Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali,
Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 36040 |
Data di udienza: 18 Luglio 2012
* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Realizzazione di lavori edilizi – Assenza di autorizzazione – Configurabilità dell’illecito – Applicazione principio di offensività – Reato di pericolo – Art. 181 d.Lgs. n. 42/2004 – Artt. 13 e 20 legge n. 394/1991 – DIRITTO URBANISTICO – Interventi di restauro e risanamento conservativo – Natura e finalità – Natura “precaria” di un manufatto – Esenzione dal permesso di costruire – Presupposti – Nozione di pertinenza urbanistica – Elementi – Relazione “di servizio” con la costruzione preesistente – Necessità – Artt. 3 c.1, 44, lett. c), 93 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Ricostruzione fattuale e rilettura del quadro probatorio – Riesame nel merito della sentenza impugnata – Esclusione.
Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Settembre 2012
Numero: 36040
Data di udienza: 18 Luglio 2012
Presidente: Fiale
Estensore: Fiale
Premassima
* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Realizzazione di lavori edilizi – Assenza di autorizzazione – Configurabilità dell’illecito – Applicazione principio di offensività – Reato di pericolo – Art. 181 d.Lgs. n. 42/2004 – Artt. 13 e 20 legge n. 394/1991 – DIRITTO URBANISTICO – Interventi di restauro e risanamento conservativo – Natura e finalità – Natura “precaria” di un manufatto – Esenzione dal permesso di costruire – Presupposti – Nozione di pertinenza urbanistica – Elementi – Relazione “di servizio” con la costruzione preesistente – Necessità – Artt. 3 c.1, 44, lett. c), 93 e 95 d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Ricostruzione fattuale e rilettura del quadro probatorio – Riesame nel merito della sentenza impugnata – Esclusione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 20 settembre 2012 (Ud. 18 lug. 2012) Ordinanza n. 36040
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Realizzazione di lavori edilizi – Assenza di autorizzazione – Configurabilità dell’illecito – Applicazione principio di offensività – Reato di pericolo – Art. 181 d.Lgs. n. 42/2004 – Artt. 13 e 20 legge n. 394/1991.
Il reato di cui all’
art. 181, comma 1, del d.Lgs. 22.1.2004, n. 42 è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non é necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici. Reato di pericolo è anche la contravvenzione di cui agli artt. 13 e 20 della legge n. 394/1991 ed il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.
(conferma sentenza n. 249/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 07/10/2011) Pres. Fiale, Est. Fiale, Ric. Mileo
DIRITTO URBANISTICO – Interventi di restauro e risanamento conservativo – Natura e finalità.
L’
art. 3, 1° comma lett. c), del T.U. n. 380/2001 identifica gli interventi di “restauro e risanamento conservativo” come quelli “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che – nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso – ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili”. La finalità e quella di rinnovate l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata – poiché si tratta pur sempre di conservazione – nel rispetto dei suoi elementi essenziali “tipologici, formali e strutturali”.
(conferma sentenza n. 249/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 07/10/2011) Pres. Fiale, Est. Fiale, Ric. Mileo
DIRITTO URBANISTICO – Natura “precaria” di un manufatto – Esenzione dal permesso di costruire – Presupposti.
La natura “precaria” di un manufatto, ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, né dalla natura dei materiali utilizzati ovvero dalla più o meno facile rimovibilità della stessa, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
(conferma sentenza n. 249/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 07/10/2011) Pres. Fiale, Est. Fiale, Ric. Mileo
La nozione di pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera – che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato – preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede. La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l’ampliamento di un edificio che per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza dell’immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui é destinato.
(conferma sentenza n. 249/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 07/10/2011) Pres. Fiale, Est. Fiale, Ric. Mileo
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudizio di legittimità – Ricostruzione fattuale e rilettura del quadro probatorio – Riesame nel merito della sentenza impugnata – Esclusione.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio (rivolte a fissare l’ultimazione dei lavori in epoca di gran lunga anteriore) non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta da logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione dei fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
(conferma sentenza n. 249/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 07/10/2011) Pres. Fiale, Est. Fiale, Ric. Mileo
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 20 settembre 2012 (Ud. 18/07/2012) Ordinanza n. 36040
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALDO FIALE – Presidente Rel.
Dott. AMEDEO FRANCO – Consigliere
Dott. GUICLA MULLIRI – Consigliere
Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO – Consigliere
Dott. GASTONE ANDREAZZA – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da MILEO LUIGI N. IL 10/10/1951
avverso la sentenza n. 249/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del 07/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/07/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 7.10.2011, ha confermato la sentenza 21.6.2010 del Tribunale di Vallo della Lucania, che aveva affermato la responsabilità penale di Mileo Luigi in ordine ai reati di cui:
– all’
art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire – in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e ricadente nella perimetrazione del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano – lavori edilizi consistiti nella chiusura, per una superficie di mt. 10 x 5, di una tettoia collegata con un capannone adibito a cantiere navale – acc. in Castellabate, località Alano, fino all’agosto 2006);
– all’
art. 181 d.Lgs. n. 42/2004 (per avere realizzato l’opera anzidetta senza l’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico);
– agli artt. 13 e 20 legge n. 394/1991 (per avere realizzato l’opera anzidetta senza l’autorizzazione dell’Ente parco)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi due di arresto ed euro 24.000,00 di ammenda, con ordine di rirnessione in pristino dello stato dei luoghi.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Mileo, il quale ha eccepito:
– la incongruità del disconoscimento della precarietà delle opere di nuova realizzazione, che non sarebbero assoggettate, per tale loro caratteristica, ai regime del permesso di costruire. Le stesse integrerebbero altresì un intervento di risanamento conservativo che era necessario mal fine di rendere possibile l’utilizzazione dell’aspiratore della polvere di cantiere”;
– la incongruità del disconoscimento della natura pertinenziale delle opere medesime;
– l’assenza di una concreta alterazione dell’ambiente (anche in relazione al reato di cui all’art. 734 cod. pen.);
– l’eccessività della pena;
– la prescrizione dei reati, sull’assunto che le opere sarebbero state realizzate nel mese di marzo del 1986.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché articolato in fatto e manifestamente infondato.
2. La natura “precaria’ di un manufatto – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (vedi, ad esempio, Cass., Sez. III: 25.2.2009, n. 22054, Frank; 13.6.2006, n. 20189, Cavallini; 27.9.2004, n. 37992, Mandò; 10.6.2003, n. 24898, Nagni) – ai fini dell’esenzione dal permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, né dalla natura dei materiali utilizzati ovvero dalla più o meno facile rimovibilità della stessa, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale di essa ad un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente e sollecita eliminazione, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo.
Nella fattispecie in esame i giudici dei merito hanno escluso il preteso requisito della temporaneità, logicamente rilevando che la struttura arbitrariamente realizzata si connetteva ad un’attività d’impresa esercitata in via continuativa e senza predeterminazioni temporali, ed a tale conclusione sono pervenuti con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logico-giuridici.
3. L’
art. 3, 1° comma lett. c), del T.U. n. 380/2001 identifica gli interventi di “restauro e risanamento conservativo” come quelli “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che – nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso – ne consentano destinazioni d’uso con esso compatibili”.
La finalità e quella di rinnovate l’organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata – poiché si tratta pur sempre di conservazione – nel rispetto dei suoi elementi essenziali “tipologici, formali e strutturali”.
Nella fattispecie in esame, invece, non é ravvisabile un’attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti normativamente delineati, bensì la realizzazione di un “edificio” al posto di una preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi tipologici e formali e creazione ex novo di volumetria.
4. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, la nozione di pertinenza urbanistica” ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un’opera – che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato – preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.
La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma “di servizio”, allo scopo di renderne più agevole e funzionale l’uso (carattere di strumentalità funzionale), sicché non può ricondursi alla nozione in esame l’ampliamento di un edificio che – come nella vicenda che ci occupa – per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all’essenza dell’immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui é destinato (vedi Cass., Sez. III: 29.5.2007, Rossi; 11.5.2005, Gricia; 17.1.2003, Chiappalone. Nello stesso senso vedi pure C. Stato, Sez. V, 22.10.2007, n. 5515).
5. Le censure riferite alla configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 734 cod. pen. sono assolutamente irrilevanti, poiché da tale contravvenzione il Mileo é stato assolto già in primo grado per insussistenza del fatto.
6. Quanto, invece, alla prospettazione di inofensività per gli altri reati ambientali, va ribadito l’orientamento giurisprudenziaie costante [vedi Cass., Sez. III: 29.11.2001, Zecca; 15.4.2002, Negri; 14.5.2002, Migliore; 4.10.2002, Debertol; 7.3.2003, Spinosa; 6.5.2003, Cassisa; 23.5.2003, Invernici; 26,5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori; 7.10.2003, Fierro; 3.6.2004, Coletta; 24.5.2005, Garofalo; 17.11.2005, Villa] secondo il quale il reato di cui all’
art. 181, comma 1, del d.Lgs. 22.1.2004, n. 42 à reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non é necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici.
Reato di pericolo è anche la contravvenzione di cui agli artt. 13 e 20 della legge n. 394/1991 ed il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.
La Corte Costituzionale, in proposito, ha precisato (sentenza n. 247 del 1997) che anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto é sempre devoluto al sindacato del giudice penale l’accertamento in concreto dell’offiensività specifica della singola condotta, dal momento che, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la ricondudbilità della fattispecie concreta a quella astratta e si verte in tema di reato impossibile, ex art. 49 cod. pen. (sentenza n. 360 del 1995). Nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’offensività del fatto illecito, in materia di tutela penale dell’ambiente, e’ stata diffusamente analizzata – nelle prospettazioni dottrinarie e giurisprudenziali e pure con riferimento ai connotati concettuali controversi – da Cass., Sez. III: 73.2000, n. 2733, Gaio e 10.112001, Zucchini, alle cui specificazioni si rinvia.
Nella fattispecie in esame – a fronte dell’esecuzione di opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l’ambiente (trattasi di un manufatto di 50 mq., per un’altezza di mt. 4,60] – sussiste un’effettiva messa in pericolo del paesaggio e dell’assetto del Parco, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.
7. La pena risulta determinata con corretto riferimento ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., previo adeguato apprezzamento sia della violazione dei doppio vincolo ambientale sia della personalità dell’imputato.
8. I giudici del merito, con valutazione razionale, hanno accertato che le opere vennero realizzate nel luglio o agosto del 2006. I reati, pertanto, non erano prescritti alla data delle pronunzia della sentenza impugnata e la inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione eventualmente scaduta in epoca successiva (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, De Luca).
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio (rivolte a fissare l’ultimazione dei lavori in epoca di gran lunga anteriore) non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione dei fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
9. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativa mente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
ROMA, 18.7.2012