MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – Nozione di maltrattamento di animali – Diminuzione dell’originaria integrità dell’animale – Sottoposizione a comportamenti contrari alla loro etologia – Profilo dell’elemento oggettivo – Rilevanza della condotta volontaria commissiva e omissiva – Titolari del circo – Responsabilità – Elemento soggettivo – Dolo – Reato di maltrattamento di animali – Esercizio dell’attività circense – Condotte realizzate con crudeltà e senza necessità – Art. 544-ter cod.pen. – Art. 40 cpv. c.p. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione della prova testimoniale – Compatibilità o meno con altre fonti di prova di eguale valenza – Verifica dell’attendibilità della testimonianza – Scelte processuali della accusa o della difesa.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Gennaio 2025
Numero: 2372
Data di udienza: 10 Ottobre 2024
Presidente: RAMACCI
Estensore: VERGINE
Premassima
MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – Nozione di maltrattamento di animali – Diminuzione dell’originaria integrità dell’animale – Sottoposizione a comportamenti contrari alla loro etologia – Profilo dell’elemento oggettivo – Rilevanza della condotta volontaria commissiva e omissiva – Titolari del circo – Responsabilità – Elemento soggettivo – Dolo – Reato di maltrattamento di animali – Esercizio dell’attività circense – Condotte realizzate con crudeltà e senza necessità – Art. 544-ter cod.pen. – Art. 40 cpv. c.p. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione della prova testimoniale – Compatibilità o meno con altre fonti di prova di eguale valenza – Verifica dell’attendibilità della testimonianza – Scelte processuali della accusa o della difesa.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 21 gennaio 2025 (Ud. 10/10/2024), sentenza n. 2372
MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – Nozione di maltrattamento di animali – Diminuzione dell’originaria integrità dell’animale – Sottoposizione a comportamenti contrari alla loro etologia – Profilo dell’elemento oggettivo – Rilevanza della condotta volontaria commissiva e omissiva – Titolari del circo – Responsabilità – Elemento soggettivo – Reato di maltrattamento di animali – Esercizio dell’attività circense – Condotte realizzate con crudeltà e senza necessità – Art. 544-ter cod.pen. – Art. 40 cpv. c.p..
Ai fini della configurazione del reato di maltrattamento di animali, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, è necessario riferirsi a una nozione di lesione che includa «qualsiasi compromissione dell’integrità originaria dell’animale, anche quando non si traduca in un vero e proprio processo patologico né determini una menomazione funzionale, ma risulti comunque conseguenza diretta di una condotta volontaria, sia essa commissiva o omissiva». Pertanto, i titolari del circo, in quanto responsabili degli animali, sono tenuti a garantire costantemente condizioni adeguate di benessere in ogni fase della gestione, adempiendo ai doveri propri della loro posizione di garanzia. Tale obbligo si estende anche alle fasi più critiche, come quelle di smontaggio e pre-spostamento da un sito all’altro, imponendo loro di assicurare condizioni adeguate e arricchimenti idonei a tutelare il benessere degli animali sotto la loro responsabilità diretta. Con riguardo all’elemento soggettivo, occorre distinguere il dolo specifico, richiesto per condotte caratterizzate da crudeltà, dal dolo generico, che sussiste nei comportamenti privi di necessità, configurabile anche nella forma del dolo eventuale. In tal senso, si rileva che le condotte devono considerarsi coscienti e volontarie, soprattutto alla luce delle evidenti condizioni in cui si trovavano gli animali. In conclusione, per le condotte realizzate con crudeltà o per comportamenti privi di necessità, in presenza di un reato a forma libera e di condotte omissive, è necessario accertare, ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., che sull’agente gravi l’obbligo giuridico di impedire l’evento. Inoltre, il dolo generico, che caratterizza le condotte prive di necessità, può assumere la forma di dolo eventuale, allorché il soggetto agente, pur non volendo direttamente l’evento, accetti consapevolmente il rischio del suo verificarsi e, attraverso un’omissione programmata, ne tolleri l’esito. Ne consegue che, nella fattispecie, l’esistenza del dolo richiesto è pienamente ravvisabile.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Valutazione della prova testimoniale – Compatibilità o meno con altre fonti di prova di eguale valenza – Verifica dell’attendibilità della testimonianza – Scelte processuali della accusa o della difesa.
In tema di valutazione della prova testimoniale, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza.
(dich. inamm. i ricorsi avverso sentenza del 12/04/2022 del TRIBUNALE DI TEMPIO PAUSANIA), Pres. RAMACCI, Est. VERGINE, Ric. M.E. e C.A.
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 21/01/2025 (Ud. 10/10/2024), sentenza n. 2372SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
omissis
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12 aprile 2022 il Tribunale di Tempio Pausania ha dichiarato M.E. e C.A., nella loro qualità di titolari del circo “(omissis)”, colpevoli del reato a loro in concorso ascritto al capo a) di imputazione, di cui agli artt. 100 e 533-ter (rectius 110 e 544-ter) cod.pen., contestato in (omissis), il 28 agosto 2014, e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, li ha condannati, ciascuno, alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; li ha condannati, altresì, al risarcimento, in solido, del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, assegnando alla stessa, a titolo di provvisionale provvisoriamente esecutiva, la somma di euro 5.000,00 da computarsi nella liquidazione definitiva, nonché al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile (omissis) ONLUS, per la costituzione ed assistenza in giudizio; con confisca del denaro corrisposto a seguito della alienazione degli animali originariamente sottoposti a sequestro giudiziale.
Ha dichiarato, invece, non doversi procedere nei loro confronti in ordine ad altro reato sempre loro in concorso originariamente ascritto al capo b), di cui all’art. 727 comma 2, cod.pen., per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.
2. Con la sentenza avverso cui è proposto ricorso, del 17 ottobre 2023, la Corte di appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza del Tribunale, condannando gli imputati al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (omissis) ONLUS.
3. Gli imputati hanno proposto, a mezzo di difensore di fiducia, tempestivo ricorso per cassazione, affidando la richiesta di annullamento della sentenza a tre motivi.
3.1. Col primo motivo, lamentano inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen., in relazione al reato di cui all’art. 544-ter cod.pen., per inesistenza dell’elemento soggettivo del reato, e contestano specificamente l’affermazione dell’esistenza del dolo specifico in capo agli imputati, in difetto della relativa mancata disamina e prova.
L’art. 544-ter cod.pen. punisce i comportamenti previsti dalla norma in quanto posti in essere per crudeltà o senza necessità. Esiste, dunque, un’area, ampia, di non punibilità delle condotte ivi previste relativa al possibile utilizzo degli animali connotato da “necessità”.
La giurisprudenza di legittimità, Sez. 3 n. 49672 del 2018, ha «… chiarito che nella nozione di “necessità” degli artt. 544- bis e ter cod.pen. rientra anche lo stato di necessità previsto dall’art. 54 cod.pen., nonché ogni altra situazione che induca all’uccisione o al maltrattamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (Cass. Sez. 3, n. 44822/07, Borgia)».
Ma, osserva la difesa, ove si faccia coincidere l’area della ‘liceità’ dell’utilizzo degli animali con quella delimitata dalla scriminante dell’art. 54 cod.pen., la lettura della Corte Suprema rischia di rendere pleonastica la formulazione della norma, in quanto le ipotesi scriminate sarebbero quelle già previste dall’art. 54 cod.pen.. Esistono, invece, situazioni, altre, in cui “si può maltrattare o financo uccidere gli animali”, tra le quali la difesa esemplificativamente colloca l’agire dell’uomo per finalità alimentari, di ausilio a soggetti disagiati o alle forze dell’ordine, e, in generale, tutti i casi scriminati dall’art. 19-ter disp att cod.pen. che -introdotto dalla legge n. 189 del 2004- stabilisce, espressamente, che «le disposizioni del titolo IX bis del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di […] attività circense […]», individuata la ratio della norma nella individuazione di una area, delimitata, di comportamenti giustificati da ragioni di “necessità”.
Ciò premesso -continua la difesa- nella sentenza impugnata non si individuano condotte di lesione, sevizie, lavori insopportabili, bensì ‘comportamenti’, e si lascia sullo sfondo l’elemento psicologico, laddove ci si limita ad affermare «gli animali detenuti nel circo e sottoposti a maltrattamenti sotto l’aspetto delle molteplici violazioni del loro benessere etologico erano numerosi […]», nulla argomentando sul dolo degli imputati e sulla sua intensità, ciò nonostante l’affermazione della necessaria sussistenza del dolo specifico per la configurabilità del reato ove le condotte siano poste in essere con crudeltà, e della bastevolezza di quello generico, quando invece la condotta sia tenuta senza necessità.
3.2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., per contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da una parte riconosce che le presunte lesioni – rectius stereotipie- debbano necessariamente derivare da reiterati comportamenti di maltrattamento perduranti nel tempo e, dall’altra, ritiene che anche fatti episodici e limitati nel tempo abbiano la stessa efficacia causale.
La critica è mossa con riferimento al passo della sentenza (pag 41) in cui si afferma essere del tutto improbabile che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico -ritenute per l’asserito insorgere di stereotipie- fossero indotte dalla ‘estemporanea’ attività di smontaggio del circo, dovendo risalire ad un periodo di molto anteriore, affermazione asseritamente in contraddizione logica con quella secondo cui le contrastanti attestate condizioni di benessere etologico degli animali, come rilevate da consulente della difesa, avrebbero ragion d’essere per essere state eseguite in tempi diversi rispetto a quelli delle verifiche eseguite dai consulenti dell’accusa; ciò in assenza di dati certi, nella letteratura medicoscientifica veterinaria, circa i tempi di insorgenza di siffatte stereotipie. Da tanto, non essendo sorretta la motivazione dal necessario rigoroso percorso inferenziale-induttivo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
3.3. Col terzo motivo lamentano, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al criterio di valutazione della attendibilità dei testimoni, a taluni dei quali, i consulenti dell’accusa, è stata riconosciuta patente di attendibilità, a talaltri, i diciannove veterinari consulenti della difesa, negata.
Il motivo così rubricato è svolto, poi, con riferimento alla individuazione dei principi fissati in tema di ragionamento probatorio, il cui archetipo è fissato negli artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., per censurare, in sostanza, l’asserito difetto di motivazione a sostegno di una giustificazione razionale della decisione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sentenza del 17 ottobre 2023 della Corte di appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania di condanna di M.E. e C.A., nella qualità di titolari del circo “(omissis)”, in quanto riconosciuti colpevoli del reato a loro in concorso ascritto di cui agli artt. 100 e 544-ter cod.pen..
In motivazione la Corte territoriale ha dato atto degli snodi procedimentali del dibattimento innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, quindi della ricostruzione fattuale della vicenda operata dal Tribunale sulla scorta della lettura delle deposizioni dei testi -sia della pubblica accusa che della difesa- escussi in merito allo stato di salute e alle condizioni di benessere o meno di ciascuno degli animali di proprietà del circo, dell’esame dell’imputato C.A., e delle produzioni documentali, fonti, tutte, puntualmente indicate e sceverate nella sentenza del Tribunale, oggetto di valutazione da parte di quel giudice come indicato alle pagine da 20 a 26 della sentenza della Corte sassarese.
Ha, poi, dedotto come il Tribunale ha ritenuto integrato il reato contestato, intanto sotto il profilo dell’elemento oggettivo, coerentemente al dettato della norma ed alla sua interpretazione giurisprudenziale, con riferimento ad una nozione di lesione comprensiva di «qualsiasi diminuzione dell’originaria integrità dell’animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva ed omissiva (Cassaz. Sez. 3, 27.6.2013, n. 32837)».
Condizioni, quelle così delineate, ritenute in forza della osservazione dello stato in cui versavano gli animali all’atto del loro sequestro, come risultanti dalla corposa istruttoria, dalla quale è risultato «che gli stessi fossero stati sottoposti a comportamenti contrari alla loro etologia che hanno comportato anche l’insorgenza di malattie psico-fisiche, poi risolte o quanto meno alleviate, grazie all’intervento dei medici incaricati dalla (omissis). Tutti gli animali, invero, in conseguenza delle condizioni in cui erano detenuti, della malnutrizione, delle carenze igienico- sanitarie, hanno manifestato disagi visibili, nonché patologie particolarmente evidenti nei cavalli, il cui quadro salutare era caratterizzato da ipotonia e ipotrofia muscolare […], evidente denutrizione, ferite cicatrizzate, incuria della tavola dentaria, degli zoccoli, degli arti e delle frange, nonché dermatiti. Gli altri animali […] avevano condizioni fisiche altrettanto gravi, manifestavano chiari segni di disagio sfociati in vere e proprie patologie, incontrovertibilmente connessi all’ambiente in cui erano inseriti (privo dei necessari stimoli anche legati all’interazione con i propri simili, sprovvisto di arricchimenti, di superfici idonee, di adeguata ombreggiatura, di acqua e cibo liberamente a disposizione, in taluni casi senza un riparo dalla costante vista degli umani, etc.) e che, in quanto pervicacemente inidoneo a soddisfare le esigenze etologiche delle varie specie, deve ritenersi fonte di maltrattamento, quanto meno, per la totalità degli animali sequestrati, sub specie di “comportamenti insopportabili” per le loro “caratteristiche etologiche”» (il richiamo è svolto con riferimento a Cassaz. n.5979/2012).
Laddove talune oggettive evidenti lesioni psicofisiche sono state individuate come conseguenza della carenza di assistenza e trattamenti sanitari adeguati che, una volta successivamente posti in essere, hanno alleviato o addirittura risolto i problemi riscontrati, a riprova della previa sottoposizione a condotte reiteratamente incompatibili con le peculiarità proprie della specie di appartenenza.
Comportamenti, tutti, perpetrati senza necessità, certamente evitabili pur avendo riguardo alle peculiarità dell’attività circense (Cassaz. N. 15061/2007).
Condizioni, quelle dedotte, che il Tribunale ha ritenuto di escludere siano state determinate da condotte temporanee e transeunti, legate all’imminente trasferimento dell’attendamento, in ragione della impossibilità che sì gravi conseguenze potessero insorgere in tempi ristretti, e fermo restando che, anche in fase di smobilitazione, avrebbero comunque dovuto garantirsi le necessarie condizioni di benessere degli animali. Si tratta di punto e relative argomentazioni della sentenza del Tribunale che, impugnati con specifici motivi di appello (il primo) della difesa di C.A. e di M.E., sono stati confermati sulla scorta della puntuale rilettura delle fonti probatorie disponibili da cui la conferma che «le circostanze in cui sono stati effettuati i controlli di polizia giudiziaria non risultano di certo condizionate dal fatto che l’attendamento di A. (SS) era in fase di smantellamento.
L’attività di smantellamento dura al massimo tre ore, come emerge dalle dichiarazioni degli stessi imputati, e risulta pacifico. E’ assolutamente improbabile ritenere che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico in cui versavano gli animali fossero state indotte da una attività di smontaggio del circo, dovendo evidentemente risalire ad un periodo di molto anteriore. Va rilevato che il circo si trovava attendato ad A. da almeno due mesi rispetto all’epoca della denuncia e del successivo accurato controllo effettuato dai Consulenti Tecnici del P.M. e dalla P.G. delegata. Non poteva quindi trattarsi di una situazione contingente ma essa perdurava da tempo». Si fa riferimento alla testimonianza di T., esperto di benessere animale, e dei consulenti del pubblico ministero, in particolare di M., veterinaria ippiatra, come supportata dai video al proposito effettuati, e M., proprio sulla sistemazione logistica verificata attestante che «la condizione di (parziale) smobilitazione del circo sottoposto a sopralluogo non ha avuto alcun riflesso sullo stato in cui si trovavano tutti gli animali, di particolare sofferenza etologica, dimostrata da una fitta serie di acquisizioni probatorie delle quali il Tribunale di tempio Pausania ha dato esatto conto in motivazione.
Il vizio di insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione, pertanto, non sussiste tanto più che lo stesso Tribunale monocratico ha dato atto del fatto che anche in fase di smontaggio dell’attendamento le condizioni di benessere etologico alla quali fa riferimento la fattispecie criminosa doveva essere garantite».
Giova rilevare che già il Tribunale aveva indagato e risolto, negativamente, la rilevanza al caso di specie del disposto dell’art. 19-ter disp. coord cod. pen. -come introdotto dalla l. 189/2004- all’attività circense, concludendo per l’applicabilità, per il tenore letterale della norma de qua e l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza, nei soli casi in cui le attività menzionate vengano svolte nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano, ricadendo invece nella sfera del penalmente rilevante ogni condotta dalle stesse esulante. Conclusione avallata da giurisprudenza di legittimità (Cassaz. n. 11606/2012) che, individuata la normativa di riferimento della attività circense -nella primigenia legge n. 337/1968, e, poi, nelle successive n. 375/1975, n. 390/1980, n. 37/1982-, rilevato che tale normativa non considera i profili afferenti alla detenzione degli animali – detenzione comunque espressamente consentita dalla legge n. 150/1992, dal regolamento CEE n. 3626/1982 e s.m.i. e dalle norme per la commercializzazione e detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili ai circhi (e alle mostre faunistiche permanenti o viaggianti) dichiarati idonei dalle autorità competenti in materia di salute e incolumità pubblica sulla base dei criteri generali fissati previamente dalla commissione scientifica competente (CITES) che ha enucleato le linee guida per il mantenimento degli animali nei circhi e nelle mostre itinerantiha affermato che «l’ambito di operatività dell’art. 19-ter disp coord cod pen, nei termini come sopra individuati, risulta particolarmente contenuto per quanto riguarda dette attività, lasciando così ampio spazio all’applicazione delle disposizioni penali di cui agli artt. 544-bis e ss c.p. », e ha riconosciuto la valenza delle dette linee guida quale «criterio di riferimento per eventuali valutazioni anche riguardanti il rilievo penale di determinate modalità di detenzione».
Rispetto a tali criteri direttivi molteplici sono state, secondo il Tribunale, le violazioni riscontrate, da cui sono derivate patologie e conseguenze psicofisiche a carico degli animali manifestate tra l’altro tramite forte apatia e stereotipia, tipiche manifestazioni di stress. Sicché, conclusivamente, si è ritenuto che «i titolari del circo, nella loro qualità di responsabili degli animali, devono sempre garantire idonee condizioni di benessere degli animali in ogni singola fase, eseguendo tutto ciò che hanno l’obbligo di fare nella loro posizione di garanzia e quindi garantendo, anche qualora si versi nelle more della fase di smontaggio e delle delicate fasi di pre-spostamento da un sito all’altro, condizioni idonee ed arricchimenti, proprio a tutela del benessere degli animali nella loro diretta responsabilità».
Quanto, poi, all’elemento soggettivo, e premessa la differente prescrizione del dolo specifico per le condotte realizzate con crudeltà, e del dolo generico, per i comportamenti tenuti senza necessità (cfr. Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Rv 238455), configurabile anche nella forma del dolo eventuale, già il Tribunale ha ritenuto che «la condotta degli imputati deve ritenersi cosciente e volontaria, anche in considerazione dell’evidenza delle condizioni, ut supra riportate, in cui versavano gli animali stessi». La Corte, rammentata la giurisprudenza al proposito (cfr. Sez. 3, n. 26368 del 2011, non massimata, Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007 Ud. (dep. 30/11/2007) Rv. 238457 – 01, Sez. 3, n. 46784 del 05/12/2005 Ud. (dep. 21/12/2005) Rv. 232658 – 0) e osservato che si è al cospetto di reato a forma libera (cfr. Sez. 3, n. 5979 del 07/02/2013), argomentando che «in caso di condotta omissiva, sia necessario accertare, in ragione di quanto stabilito dall’art 40 cpv. c.p., che sull’agente incomba l’obbligo giuridico di impedire l’evento e che il dolo, generico laddove la condotta sia caratterizzata dall’assenza di necessità, può anche assumere la forma di dolo eventuale quando il soggetto agente, senza volerne direttamente la produzione, accetti consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne l’esito, che attraverso la propria programmata omissione si verifichi l’evento (conforme, Cassa. III sentenza 21 dicembre 2005, n. 46784)», ha ritenuto l’esistenza del dolo richiesto.
2. Può dunque passarsi alla discussione di ciascuno dei tre motivi di ricorso.
2.1. Col primo motivo, lamentano inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen., in relazione al reato di cui all’art. 544-ter cod.pen., per inesistenza dell’elemento soggettivo del reato, e contestano specificamente l’affermazione dell’esistenza del dolo specifico in capo agli imputati, in difetto della relativa mancata disamina e prova. Nulla secondo la difesa la Corte territoriale avrebbe argomentato in merito al dolo degli imputati e alla sua intensità.
Va preliminarmente rilevato che l’affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, resa dopo aver premesso la differente prescrizione del dolo specifico, per le condotte realizzate con crudeltà, e del dolo generico, per i comportamenti tenuti senza necessità (cfr. Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Rv 238455), configurabile quest’ultimo anche nella forma del dolo eventuale, sulla scorta di quanto già dal Tribunale ritenuto («la condotta degli imputati deve ritenersi cosciente e volontaria, anche in considerazione dell’evidenza delle condizioni, ut supra riportate, in cui versavano gli animali stessi»), è stata confermata dalla Corte territoriale, la quale, rammentata la giurisprudenza al proposito (cfr. Sez. 3, n. 26368 del 2011, non massimata, Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007 Ud. (dep. 30/11/2007) Rv. 238457 – 01, Sez. 3, ri. 46784 del 05/12/2005 Ud. (dep. 21/12/2005) Rv. 232658 – 0) e osservato che si è al cospetto di reato a forma libera (cfr. Sez. 3, n. 5979 del 07/02/2013), ha argomentato che «in caso di condotta omissiva, sia necessario accertare, in ragione di quanto stabilito dall’alt 40 cpv. c.p., che sull’agente incomba l’obbligo giuridico di impedire l’evento e che il dolo, generico laddove la condotta sia caratterizzata dall’assenza di necessità, può anche assumere la forma di dolo eventuale quando il soggetto agente, senza volerne direttamente la produzione, accetti consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne l’esito, che attraverso la propria programmata omissione si verifichi l’evento (conforme, Cass. III sentenza 21 dicembre 2005, n. 46784)», resa sinteticamente all’esito della rammentata ampia motivazione in ordine alla ricorrenza dell’elemento oggettivo del reato contestato, e, evidentemente, svolta per completezza argomentativa, ma non risultando essere stata proposto apposito motivo col ricorso in appello.
Si tratta di argomentazioni rese in coerenza con la giurisprudenza in materia di questa Corte di legittimità.
Il motivo qui proposto per primo è inammissibile.
Tanto sulla scorta della considerazione, preliminare, del non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata, per cui i ricorrenti, ove avessero formulato preciso motivo sul punto, avrebbero avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr: Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066), e posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (in tal senso, ex multis, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Ud. (dep. 28/06/2017) Rv. 270627 – 01, Sez. V, n. 48703 del 24 settembre 2014, CED Cass. n. 261438).
Non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle, quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perchè non devolute alla sua cognizione (così sin da Sez. 2, n. 40240 del 22/11/2006 Ud. (dep. 06/12/2006) Rv. 235504 – 01) che ha sancito che «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24 e 111, comma settimo, Cost., nella parte in cui dispone che il ricorso per cassazione proposto per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello è inammissibile, perchè la disposizione appena richiamata detta una disciplina ragionevole di regolazione del diritto di ricorrere per cassazione per violazione di legge contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, limitandolo, per ragioni di funzionalità complessiva del sistema, soltanto per il caso in cui la parte abbia inteso adire tutti i tre gradi di giudizio.», principio poi, con giurisprudenza costante e monolitica di questa Corte riaffermato (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 28514 del 23/04/2013 Ud. (dep. 02/07/2013) Rv. 255577 – 01, Sez. 2, Sentenza n. 13826 del 17/02/2017 Ud. (dep. 21/03/2017) Rv. 269745 – 01 e Massime precedenti Conformi: N. 22362 del 2013 Rv. 255940 – 01, N. 28514 del 2013 Rv. 255577 – 01, N. 48416 del 2014 Rv. 261029 – 01, N. 6131 del 2016 Rv. 266202 – 01).
2.2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., per contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da una parte riconosce che le presunte lesioni -rectius stereotipie- debbano necessariamente derivare da reiterati comportamenti di maltrattamento perduranti nel tempo e, dall’altra, ritiene che anche fatti episodici e limitati nel tempo abbiano la stessa efficacia causale. La critica è mossa con riferimento al passo della sentenza (pag. 41) in cui si afferma essere del tutto improbabile che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico -ritenute per l’asserito insorgere di stereotipie- fossero indotte dalla ‘estemporanea’ attività di smontaggio del circo, dovendo risalire ad un periodo di molto anteriore, affermazione asseritamente in contraddizione logica con quella secondo cui le contrastanti attestate condizioni di benessere etologico degli animali, come rilevate da consulente della difesa, avrebbero ragion d’essere per essere state eseguite in tempi diversi rispetto a quelli delle verifiche eseguite dai consulenti dell’accusa; ciò in assenza di dati certi, nella letteratura medicoscientifica veterinaria, circa i tempi di insorgenza di siffatte stereotipie. Da tanto, non essendo sorretta la motivazione dal necessario rigoroso percorso inferenziale-induttivo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Si è detto di come sul punto le argomentazioni spese dalla Corte di appello sassarese, che devono leggersi congiuntamente alla già esauriente motivazione del Tribunale, sono state particolarmente dettagliate ed incisive nel confutare le argomentazioni svolte col relativo motivo di appello, il primo di entrambe le difese. Tutt’altro che apodittica e intrinsecamente contraddittoria risulta la contestata affermazione resa a pag. 41 della sentenza impugnata, resa proprio per rinnegare la censurata -con l’appello- contraddittorietà al proposito di quella di primo grado circa la raggiunta prova – secondo prospettazione difensiva in quella sede- della corretta alimentazione e nutrizione degli animali, della sufficienza e del rispetto dei criteri CITES relativamente allo spazio a loro disposizione, contraddittorietà sconfessata dalle acquisizioni dibattimentali sulla scorta delle quali la Corte territoriale ha respinto la censura di omessa valutazione delle prove offerte dalla difesa (cfr, testi Cocco, Muzzetto, Nieddu e Benech). Si è detto, pure, che le argomentazioni sul punto della sentenza del Tribunale, impugnate con specifici motivi di appello (il primo) della difesa così di C.A. come di M.E., sono state confermate sulla scorta della puntuale rilettura delle fonti probatorie disponibili, da cui la affermazione che «le circostanze in cui sono stati effettuati i controlli di polizia giudiziaria non risultano di certo condizionate dal fatto che l’attendamento di A. (SS) era in fase di smantellamento. L’attività di smantellamento dura al massimo tre ore, come emerge dalle dichiarazioni degli stessi imputati, e risulta pacifico. E’ assolutamente improbabile ritenere che le condizioni di scarso o pessimo benessere etologico in cui versavano gli animali fossero state indotte da una attività di smontaggio del circo, dovendo evidentemente risalire ad un periodo di molto anteriore. Va rilevato che il circo si trovava attendato ad A. da almeno due mesi rispetto all’epoca della denuncia e del successivo accurato controllo effettuato dai Consulenti Tecnici del P.M. e dalla P.G. delegata. Non poteva quindi trattarsi di una situazione contingente ma essa perdurava da tempo». Si fa riferimento alla testimonianza di T., esperto di benessere animale, e dei consulenti del pubblico ministero, in particolare di M., veterinaria ippiatra, come supportata dal video al proposito effettuati, e M., proprio sulla sistemazione logistica verificata attestante che «la condizione di (parziale) smobilitazione del circo sottoposto a sopralluogo non ha avuto alcun riflesso sullo stato in cui si trovavano tutti gli animali, di particolare sofferenza etologica, dimostrata da una fitta serie di acquisizioni probatorie delle quali il Tribunale di tempio Pausania ha dato esatto conto in motivazione.
Il vizio di insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione, pertanto, non sussiste tanto più che lo stesso Tribunale monocratico ha dato atto del fatto che anche in fase di smontaggio dell’attendamento le condizioni di benessere etologico alla quali fa riferimento la fattispecie criminosa doveva essere garantite». La denunciata -in quella sede- contraddittorietà intrinseca alla motivazione è stata dalla Corte di appello di Sassari superata con argomentazioni corpose, non censurabili per inconciliabilità alcuna tra le ragioni giustificative addotte dai giudici di merito e le risultanze probatorie, scevre da illogicità manifeste così nella giustificazione interna della decisione per coerenza tra premesse e conclusioni – quanto alla risalenza nel tempo dell’attendamento del circo in A. (da almeno due mesi rispetto all’epoca della denuncia e del successivo accurato controllo effettuato dai Consulenti Tecnici del P.M. e dalla P.G. delegata) e quanto alla testimonianza degli esperti indicati sulla sistemazione logistica di sola parziale smobilitazione del circo sottoposto a sopralluogo irrilevante ai fini dello stato in cui si trovavano gli animali- come per l’adozione di criteri di inferenza assolutamente plausibili, relativamente al rapporto di causa-effetto tra le dette rilevate condizioni e la accertata condizione di mancato benessere etologico degli animali.
Con tali argomentazioni -svolte si ribadisce da pagina 40 a pagina 44 della motivazione- il ricorso non si confronta, sicché il motivo in discussione, solo assertivo, è inammissibile. Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01; confrmi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425), e da genericità «intrinseca» quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come nel caso di appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex multis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l’entità della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, Raiani, Rv. 261094).
2.3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al criterio di valutazione della attendibilità dei testimoni, a taluni dei quali, i consulenti dell’accusa, è stata riconosciuta patente di attendibilità, a talaltri, i diciannove veterinari consulenti della difesa, negata.
Rilevato, innanzi tutto, che in tema di valutazione della prova testimoniale, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (Sez. 6, n. 39312 del 01/07/2022, Mango, Rv. 283941 – 02 Sez. 6, n. 27185 del 27/03/2014, P., Rv. 260064 – 01; Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830 – 01), si osserva, intanto, che in nessun luogo della motivazione è dato individuare traccia di una ritenuta inattendibilità di taluni testimoni a differenza di altri, siano essi espressione delle scelte processuali della accusa o della difesa. In ogni caso, come per il primo motivo, si rileva l’inammissibilità della censura in esame, per non essere stata proposta in appello (si richiamano, dunque, tutte le argomentazioni svolte a proposito della inammissibilità del primo dei motivi di ricorso).
Tanto preliminarmente premesso si osserva, poi, che «Non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti», così, ex multis, Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 Ud. (dep. 25/05/2011) Rv. 250362 – 01.
Si rileva che la difesa, alfine, confonde i piani della attendibilità dei testimoni, pacificamente mai messa in dubbio, con la valutazione delle testimonianze dagli stessi rese, dai giudici di merito vagliate e valutate nella loro portata probatoria, nel che consiste l’in sè del giudizio, e che è, a ben vedere, il vero oggetto di censura della difesa dei ricorrenti, che, come reso evidente dallo svolgimento del motivo, argomentano poi, in realtà, con riferimento alla individuazione dei principi fissati in tema di ragionamento probatorio, il cui archetipo è fissato negli artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., per censurare, in sostanza, l’asserito difetto di motivazione a sostegno di una giustificazione razionale della decisione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma il principio per il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna «al di là di ogni ragionevole dubbio» non si riferisce alla necessità di considerare ovvero di confutare ogni possibile e diversa ricostruzione fornita dalle parti (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, Sandra, Rv. 270108). Il citato criterio di valutazione, infatti, impone al giudice di procedere ad una valutazione complessiva nella quale siano considerate in modo coerente e logico tutte le risultanze processuali e siano state considerate, anche implicitamente, solo le ipotesi che non siano frutto di ragionamenti congetturarli (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014 dep. 2015, Rv 262280). In tale contesto, pertanto, la violazione dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» è configurabile esclusivamente quando il giudice, ancorando la decisione ad elementi privi di riscontro nelle emergenze processuali, non tenga in alcun conto della diversa e più coerente (in quanto fondata su elementi concreti, emersi ed acquisiti nel processo) ricostruzione alternativa, solo così idonea ad ingenerare un dubbio ragionevole. Non può, al contrario, tale principio essere dedotto in sede di legittimità invocando una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero un’attività esclusa dal perimetro della giurisdizione di legittimità, ma solo evidenziando vizi logici manifesti e decisivi del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna.
Non ogni «dubbio», infatti, sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito si traduce in una «illogicità manifesta», essendo necessario che sia rilevato un vizio logico che incrini in modo severo la tenuta della motivazione, evidenziando una frattura logica non solo manifesta, ma anche decisiva, in quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giudiziale giustificativo della condanna. Si ritiene, cioè, che il parametro di valutazione indicato nell’art. 533 cod. proc. pen., che richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni «dubbio ragionevole», opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità; in tale ultima sede, tale regola rileva solo nella misura in cui la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale (Sez. 2, n. 18313 del 09/01/2020, Curca, n.m.): infatti, può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte.
In sintesi: la “regola B.A.R.D.” (acronimo anglosassone per «beyond any reasonable doubt») in sede di legittimità rileva solo se la sua violazione «precipita» in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, l’unico ad essere sottoposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun potere di valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle prove può, invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» non incontra il limite funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso, Rv. 270108). La violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., non può essere dedotta con ricorso per Cassazione né quale violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, ma può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia esclusivamente ove la sua violazione si traduca nell’illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021; Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017).
E’ quindi inammissibile il ricorso che censuri un vizio della motivazione, ma si risolva in un’inammissibile sollecitazione alla rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie del giudizio, delle quali i ricorrenti propongono una lettura alternativa (Sez. 6, n. 44148 del 10/10/2023, Cusenza, n.m.; nel caso di specie, il ragionevole dubbio sarebbe stato immanente nella ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, ma si doleva di un’errata valutazione delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio dibattimentale).
E’, esattamente, quanto occorso anche nel caso di specie, che determina l’inammissibilità del motivo.
3. Ne consegue la inammissibilità del ricorso nella sua interezza, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Consegue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 2.800,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10/10/2024.