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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 23826 | Data di udienza: 16 Marzo 2022

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive in zona sismica – Prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere – Elementi sintomatici della compartecipazione – Artt. 44, 71, 72, 93 e 95 del d.p.R. n. 380/2001.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Giugno 2022
Numero: 23826
Data di udienza: 16 Marzo 2022
Presidente: MARINI
Estensore: ANDRONIO


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive in zona sismica – Prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere – Elementi sintomatici della compartecipazione – Artt. 44, 71, 72, 93 e 95 del d.p.R. n. 380/2001.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 21 giugno 2022 (Ud. 16/03/2022), Sentenza n.23826

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Opere abusive in zona sismica – Prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere – Elementi sintomatici della compartecipazione – Artt. 44, 71, 72, 93 e 95 del d.p.R. n. 380/2001.

In tema di reati edilizi, la titolarità di un diritto reale sul bene non è da sola sufficiente a configurare la responsabilità per la realizzazione dell’opera abusiva, potendo la stessa non corrispondere ad un dominio effettivo sul bene che ne è oggetto. Sicché, la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario, la presenza di quest’ultimo “in loco” e lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi.

(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 03/02/2021 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO) Pres. MARINI, Rel. ANDRONIO, Ric. Genna


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 21/06/2022 (Ud. 16/03/2022), Sentenza n.23826

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Genna Vita Loredana, nata a Marsala;

avverso la sentenza del 03/02/2021 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro Maria Andronio;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Valentina Manuali, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 febbraio 2021, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsala del 26 settembre 2019, con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di un mese e dieci giorni di arresto ed euro 5.500,00 di ammenda, per i reati di cui agli artt. 81 cod. pen., 44, comma 1, lettera b), 71, 72, 93 e 95 del d.p.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato, in qualità di proprietaria di un terreno – con più condotte esecutive del medesimo disegno criminoso – in zona sismica, senza gli adempimenti previsti dalla legge, opere abusive, quali un deposito, addossato al fabbricato principale preesistente, della superficie di metri quadrati 8,10 e del volume di metri cubi 18,9 e una soletta in c.a. a copertura di un canale di scolo.

2. Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano il vizio di motivazione, il travisamento delle dichiarazioni del teste Pellegrino e la mancata valutazione delle dichiarazioni del teste Genna Antonino. La difesa afferma, in via preliminare, che l’imputata ha abitato con i propri genitori fino all’anno 2015 al piano terra dell’immobile nella cui area esterna sono state riscontrate le opere abusive e, dopo essersi sposata, si è successivamente trasferita al primo piano del medesimo immobile, con separato accesso al civico 165/B.

La difesa lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto penalmente responsabile l’imputata delle opere abusive, in quanto ha travisato le dichiarazioni del teste Pellegrini secondo cui Genna Vita Loredana risiede insieme ai genitori al piano terra dell’immobile, di cui è proprietaria.

La difesa lamenta, inoltre, che la Corte territoriale ha omesso di valutare la testimonianza di Genna Antonino, padre dell’imputata, che, oltre ad assumersi la responsabilità per aver realizzato le opere abusive, ha dichiarato che il piano terra dell’immobile è abitato da lui mentre il primo piano dalla figlia. A sostegno del dedotto travisamento delle dichiarazioni del teste Pellegrini, la difesa evidenzia che lo stesso, al momento del sopralluogo, ha trovato nell’immobile la madre dell’imputata, Anselmi Maria Pia, e non la querelante cugina, Anselmi Maria Cristina, la quale, inoltre, è proprietaria di un diverso immobile al piano terra, confinante con quello dell’imputata.

Infine, la difesa evidenzia che l’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001 non attribuisce al titolare del diritto reale sull’immobile in cui è realizzata abusivamente l’opera alcuna posizione di garanzia e, pertanto, lo stesso non può essere per ciò solo ritenuto responsabile dell’abuso edilizio commesso da altri, in assenza di indizi ulteriori idonei a sostenere la compartecipazione, anche morale, al reato.

2.2. Con un secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 533 cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello dichiarato la penale responsabilità dell’imputata a fronte di riscontri probatori contraddittori e, dunque, in assenza di certezza al di là di ogni ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza.

2.3. Con memoria del 13 marzo 2022, la difesa ha eccepito la prescrizione dei reati, maturata dopo la presentazione di ricorso per cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I motivi di impugnazione – con cui si lamentano la violazione dell’art. 533 cod. proc. pen., il vizio di motivazione, il travisamento delle dichiarazioni del teste Pellegrino e la mancata valutazione delle dichiarazioni del teste Genna Antonino – che possono essere trattati congiuntamente, in quanto censurano sostanzialmente la motivazione in ordine all’accertamento della penale responsabilità della ricorrente, sono inammissibili per genericità e perché ripetitivi di doglianze già esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado.

3.1. La difesa non prende in considerazione, neanche a fine di critica, la motivazione della sentenza impugnata e, tentando di sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, sollecita una diversa e alternativa ricostruzione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. Anche a prescindere da tali considerazioni, deve rilevarsi che – contrariamente a quanto asserito dalla difesa – la Corte d’appello, con motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, ha valutato le dichiarazioni del teste Genna Antonino, padre dell’imputata, ritenendole non credibili alla luce di una pluralità di elementi, quali: a) le dichiarazioni testimoniali, non travisate, di Pellegrini, il quale ha riferito che l’imputata è la proprietaria dell’abitazione al piano terra, ove risiede insieme ai genitori, mentre al primo piano abita Anselmi Cristina; b) il verbale del sopralluogo del 6 settembre 2017, in cui si dichiara che l’imputata è proprietaria dell’immobile ove sono state riscontrate le opere abusive; c) l’atto di donazione, che attesta che all’imputata è stato donato il fabbricato al piano terra, di cui alla particella 34 sub 6 – oggetto del presente procedimento – e alla querelante Anselmi Maria Cristina il fabbricato limitrofo, di cui alla particella 34 sub 5.

La Corte territoriale, pertanto, ha valutato l’alternativa ricostruzione dei fatti prospettata dalla difesa con la censura di appello – e riproposta in termini generici in sede di ricorso per cassazione – secondo cui, dal 2015, l’immobile risulta diviso in due abitazioni distintamente contrassegnate ai civici 165, ove risiede Genna Antonino, e 165/B, ove risulta residente l’imputata. Dunque, a prescindere dal dato meramente formale relativo alla distinzione dei numeri civici, l’opera abusiva risulta addossata al fabbricato al piano terra di proprietà ed abitato dall’imputata, la quale, infatti, in sede di identificazione, aveva lì eletto domicilio, e mai aveva denunciato terzi per la realizzazione lavori edilizi abusivi a sua insaputa.

Inoltre, la Corte d’appello ha sottolineato come non possa essere trascurata la circostanza che il sopralluogo era stato richiesto dalla confinante Anselmi Maria Cristina, la quale aveva denunciato che le opere abusive erano state realizzate dall’imputata e non dal padre della medesima.

3.2. Anche la doglianza della difesa con la quale, in termini generici, ci si limita ad asserire che la responsabilità penale per i reati edilizi non può essere oggettivamente dedotta dal solo diritto di proprietà sul bene, risulta parimenti inammissibile, in quanto la stessa omette totalmente di considerare la motivazione della sentenza impugnata, pienamente conforme, sul punto, ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte d’appello, invero, prima di valutare le dichiarazioni testimoniali di Pellegrini e di Genna Antonino e di esaminare le circostanze concrete del caso di specie, ha correttamente ricordato che non è di per sé sola sufficiente a configurare la responsabilità per la realizzazione dell’opera abusiva la titolarità di un diritto reale sul bene, potendo la stessa non corrispondere ad un dominio effettivo sul bene che ne è oggetto (ex multis, Sez. 3, n. 24138 del 27/04/2021, Rv. 281540). Infatti, la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell’opera e proprietario, la presenza di quest’ultimo “in loco” e lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi (Sez. 3, n. 38492 del 19/05/2016, Rv. 268014).

Tali principi di diritto sono stati correttamente applicati al caso di specie dalla Corte d’appello che, valutando le circostanze concrete e gli elementi probatori, ha accertato la penale responsabilità della ricorrente, con motivazione che, come già esposto sub 1.1.1., risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, trattandosi di soggetto residente sul posto e sostanziale committente delle opere abusive.

4. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguenza che la mancata instaurazione del rapporto processuale preclude il rilievo da parte di questa Corte della prescrizione dei reati (ex plurimis, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Rv. 231164), nel caso di specie addirittura maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 16/03/2022.

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