Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Agosto 2016
Numero: 35243
Data di udienza: 12 Luglio 2016
Presidente: Ramacci
Estensore: Mengoni
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Nozione di inizio dei lavori – Indizi ed elementi validi – Mera attività di indagine geotecnica – Non costituisce “inizio dei lavori” in senso tencnico – Ultimazione dei lavori – Decorrenza del termine non prorogato – Effetti – Decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita – Prosecuzione lavori oltre il termine – Configurabilità del reato di cui all’art. 44, lett. b) D.P.R. n. 380/2001 – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Coordinamento tra disciplina urbanistica e paesaggistica – Artt. 146 e 181, comma 1-bis, d. lgs. n.42/2004 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione di “violazione di legge” – Ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali – Artt. 325 e 606 lett.e) cod. proc. pen. – Giurisprudenza.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/08/2016 (ud. 12/07/2016) Sentenza n.35243
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Nozione di inizio dei lavori – Indizi ed elementi validi – Mera attività di indagine geotecnica – Non costituisce “inizio dei lavori” in senso tencnico.
La mera attività di indagine geotecnica non costituisce “inizio dei lavori” in senso tencnico (al pari degli sbancamenti di terreno), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita, detti elementi consistono nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nell’elevazione di muri e nell’esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ultimazione dei lavori – Decorrenza del termine non prorogato – Effetti – Decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita – Prosecuzione lavori oltre il termine – Configurabilità del reato di cui all’art. 44, lett. b) D.P.R. n. 380/2001
– BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Coordinamento tra disciplina urbanistica e paesaggistica – Artt. 146 e 181, comma 1-bis, d. lgs. n.42/2004.
Il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilità del reato previsto dall’
art. 44, lett. b) del d.P.R. n. 380/2001, in caso di loro prosecuzione oltre detto termine. Né, peraltro, può esser invocato l’
art. 146, comma 4, d. lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale “Il termine di efficacia dell’autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all’interessato”; ed invero, questa disposizione “lega” cronologicamente i due provvedimenti sul presupposto dall’effettiva vigenza di quello urbanistico, (da escludere nel caso di specie – alla data di esecuzione dello sbancamento – in ragione della maturata decadenza).
In sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’
art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606, codice p.p.. (Cass. Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua; Cass. Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S.).
(conferma ordinanza del 27/11/2015 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI SIRACUSA) Pres. RAMACCI, Rel. MENGONI, Ric. Serra
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/08/2016 (ud. 12/07/2016) Sentenza n.35243
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 22/08/2016 (ud. 12/07/2016) Sentenza n.35243
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Serra Gianluca, nato a Siracusa il 5/3/1977;
avverso l’ordinanza del 27/11/2015 del Tribunale del riesame di Siracusa;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27/11/2015, il Tribunale del riesame di Siracusa rigettava il ricorso proposto da Gianluca Serra e, per l’effetto, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso il 30/10/2015 dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale; allo stesso – unitamente ad altri soggetti – erano contestati i reati di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen.,
44, comma 1, lett. c, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1-bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione a taluni interventi operati in area sottoposta a vincolo sul lungomare della provincia di Siracusa.
2. Propone diffuso ricorso per cassazione il Serra, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– carenza di motivazione. Il Tribunale – nell’affermare apoditticamente che i lavori di cui alla concessione edilizia n. 107 del 2012 non sarebbero iniziati entro l’anno dal rilascio della stessa – non avrebbe valutato i documenti prodotti dalla difesa, tali da imporre conclusioni difformi; dagli stessi, infatti, emergerebbe che l’area era stata fatta oggetto – nei termini – di attività di ripulitura, accantieramento ed indagini tecnico-geologiche, peraltro costose, propedeutiche all’intervento assentite e molto più rilevanti dell’accertato sbancamento di terra;
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale. L’ordinanza avrebbe affermato il principio della decadenza automatica dalla concessione – ipso iure – nel caso di mancato inizio di lavori nei termini indicati; si tratterebbe, però, di una conclusione errata, atteso che – come da più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato – a tal fine sarebbe sempre necessaria l’adozione di un provvedimento dell’autorità amministrativa, ad oggi mai emanato dal Comune di Siracusa;
– inosservanza o erronea valutazione dell’art. 15, comma 1, lett. a), l.r. n. 78 del 1976. Il Tribunale avrebbe operato un’impropria equiparazione tra divieto di opere che non siano dirette a garantire la fruizione del mare da parte della collettività e divieto di balneazione; ed invero, il limite di cui alla legge regionale n. 78 del 1976 (relativo ad edificazioni realizzate a meno di 150 metri dalla battigia) consentirebbe talune deroghe con riguardo ad interventi comunque idonei a consentire la citata fruizione, che in nulla ineriscono alla balneazione, potendo attenere alla pesca, alla navigazione o ad altre attività comunque legate al mare;
– inosservanza o erronea applicazione dell’
art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n.42 del 2004. L’ordinanza avrebbe riconosciuto il fumus di questo reato in forza del Piano paesistico regionale approvato nel 2012, che ha dichiarato di notevole interesse pubblico l’area in esame, ponendola al livello 3 di tutela; orbene, premesso che tale approvazione è successiva al rilascio di tutti i provvedimenti e pareri relativi all’opera in oggetto, pertanto validi per 5 anni dalla data del rilascio (giusta norma transitoria ex art. 48 del Piano medesimo), l’art. 46 (
rectius:
146), comma 4, d. lgs. n. 42 del 2004 prevede comunque che tale termine decorra dal giorno di efficacia del titolo edilizio eventualmente necessario per l’intervento. Titolo rilasciato nel caso di specie, sì da non potersi affermare – come invece si legge nell’ordinanza – che il nulla osta paesaggistico sarebbe scaduto nel quinquennio dal rilascio, avvenuto nel 2009. E con la precisazione ulteriore che la competente Soprintendenza, in ben due occasioni nel 2015, ha comunque affermato la piena compatibilità del progetto alle prescrizioni vigenti. Il Tribunale, pertanto, si sarebbe intromesso in un ambito riservato all’autorità amministrativa;
– inosservanza o erronea applicazione dell’
art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001. L’ordinanza impugnata, pur in presenza di una concessione edilizia, avrebbe ritenuto il
fumus della contravvenzione di cui alla lett. b) della norma in esame, anziché della lett. a); orbene, questa tesi non potrebbe esser condivisa, poiché non risulterebbe corretta l’equazione – operata dal Collegio – concessione illegittima=assenza di concessione. Tale effetto, invero, potrebbe riconoscersi soltanto a fronte di un provvedimento emesso da autorità priva del relativo potere, o in forza di condotta illecita. Sarebbe configurabile, quindi ed al più, la contravvenzione di cui alla lett. a) in oggetto, della quale, però, difetterebbe il necessario elemento psicologico, come con riguardo a tutti i reati ipotizzati.
3. Con requisitoria scritta del 20/4/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, assumendo la palese infondatezza di tutte le doglianze.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’
art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’
art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
4. Ciò premesso, il ricorso risulta infondato.
Ritiene la Corte che la questione centrale della presente vicenda afferisca all’avvenuto inizio delle opere, assentite dalla concessione edilizia n. 107 del 12/4/2012, entro il termine annuale fissato nel provvedimento medesimo, ed agli effetti – automatici o meno – della decadenza dal provvedimento stesso, in caso di esito negativo della prima verifica; orbene, con riguardo ad entrambi i profili la motivazione redatta dal Tribunale risulta tutt’altro che assente o meramente apparente, emergendo piuttosto come congrua, fondata su oggettivi riscontri investigativi e privi di qualsivoglia illogicità. Come tale, non censurabile.
In particolare, e richiamata la pacifica scansione cronologica degli eventi, l’ordinanza ha evidenziato che: 1) la comunicazione di inizio lavori era stata inviata dalla “Pega Tourist s.r.l.” al Comune di Siracusa l’11/4/2013 (ultimo giorno utile, a fronte di una concessione rilasciata il 12/4/2012); 2) il 2/12/2014 – ad avvenuta voltura del titolo da parte della “Rescador s.r.l.”, della quale il ricorrente è legale rappresentante – la Polizia municipale aveva accertato che non vi era alcuna attività lavorativa in corso, verificando soltanto «un terreno totalmente ricoperto da vegetazione autoctona, l’inesistenza in situ di opere di natura edilizia, scavi, sbancamenti, né tantomeno la presenza delle normali infrastrutture mobili che caratterizzano l’insediamento di un cantiere edile»; 3) il successivo 4/2/2015, un ulteriore sopralluogo aveva riscontrato le medesime circostanze; 4) soltanto in data 3/3/2015, erano risultati apposti i cartelli di cantiere, con esecuzione di lavori di sbancamento e terrazzamento del costone.
5. In forza di tali considerazioni – che questo Collegio non è autorizzato a contestare, attinendo a profili fattuali, peraltro consacrati in atti pubblici – il Tribunale del riesame ha quindi concluso che le opere da ultimo accertate erano state poste in essere ben oltre il termine di un anno dal rilascio della concessione edilizia e, pertanto, non più assentite, integravano il fumus del reato di cui all’
art. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 (atteso il carattere vincolato dell’area). Quel che, peraltro, priva di rilievo il primo motivo di gravame, con il quale si assume il difetto di motivazione con riguardo ai documenti prodotti dalla difesa in sede camerale; osserva la Corte, infatti, che la rilevanza degli stessi è stata implicitamente disattesa dalle affermazioni che precedono, poiché giammai idonei – quantomeno nella presente fase cautelare – a superare gli esiti di accertamenti compiuti da pubblici ufficiali, che avevano riferito nei termini suddetti. E fermo restando, peraltro, che – per costante indirizzo di legittimità, qui da ribadire – la mera attività di indagine geotecnica (di cui alla documentazione allegata), quand’anche avvenuta, non potrebbe comunque costituire “inizio dei lavori” nell’ottica in esame (al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita (per tutte, Sez. 3, n. 7114 del 27/1/2010, Viola, Rv. 246220: in motivazione, la Corte ha precisato che detti indizi consistono nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nell’elevazione di muri e nell’esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio).
6. Con riguardo, poi, al profilo della decadenza dal titolo abilitativo, strettamente connesso al precedente, rileva il Collegio che la motivazione dell’ordinanza risulta ancora congrua e tutt’altro che assente o meramente apparente.
Ed invero, ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, “Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare tre anni dall’inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
Orbene, dalla lettera della norma – per come costantemente interpretata da questa Corte – deriva che il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilità del reato previsto dall’art. 44, lett. b) del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto termine. (Sez. 3, n. 17971 dell’B/4/2010, Garofalo, Rv. 247161: in motivazione, peraltro, la Corte ha precisato che, diversamente, un provvedimento espresso e motivato dell’Autorità amministrativa è richiesto per la proroga del termine. Negli stessi termini, tra le altre, Sez. 3, n. 12316 del 21/2/2007, Minciarelli, Rv. 236336). E senza che, al riguardo, possa rilevare il diverso indirizzo che il Consiglio di Stato ha espresso con la decisione n. 4823 del 22/10/2015, richiamata nel gravame, peraltro non pacifico neppure in seno al medesimo Consesso; ed invero, nella motivazione della stessa (resa, all’evidenza, in un’ottica diversa da quella in esame), si afferma – pur aderendo all’indirizzo citato – che il provvedimento di decadenza è «meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l’epoca in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento dell’evento estintivo».
7. In forza di quanto precede, dunque, il provvedimento impugnato risulta sostenuto da adeguata motivazione con riferimento al contestato
art. 44, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001, sì da non poter esser censurato nei termini invocati; emerge sufficiente, infatti, il fumus di opere eseguite in difetto di titolo edilizio, poiché già decaduto. E senza che, pertanto, assuma alcun rilievo la doglianza – invero astrattamente fondata – con la quale si contesta l’asserita illegittimità della concessione in esame in forza del rapporto (individuato dal Tribunale) tra le opere in oggetto, la loro destinazione ad esser fruite dalla collettività e la balneabilità del mare antistante; trattasi, infatti, di un nesso che pare sfuggire ai canoni della logica, ma che, proprio per ciò, non integra una violazione di legge contestabile in sede di legittimità.
8. Di seguito, con particolare riguardo alla condotta ex
art. 181, d. lgs. n. 42 del 2004 (in ordine alla quale – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 23/3/2016 – dovrà peraltro esser verificata la configurabilità del primo o del secondo comma della norma, con ogni conseguente effetto), osserva il Collegio che l’ordinanza ne ha riconosciuto il
fumus ancora in ragione di una risultanza obiettiva, quale il vincolo paesaggistico gravante sull’area in oggetto; ciò, giusta decreto del competente assessorato a data 30/9/1998 (che aveva dichiarato il notevole interesse pubblico della zona) e Piano paesistico del 1 °/2/2012, che aveva inserito il medesimo territorio sotto un livello 3 di tutela. In ragione del quale – giusta valutazione operata dal Tribunale, non sindacabile in questa sede poiché attinente a mero fatto – gli interventi quale quello riscontrato non possono esser compiuti, in quanto esclusi ai sensi del punto 13g dello stesso Piano. E senza che, da parte di questa Corte, possa accogliersi il motivo proposto al riguardo dal Serra, che imporrebbe un esame di merito della tipologia dell’opera de qua ed il suo inserimento – o meno – tra le previsioni del punto 13g citato.
9. Del pari, con riguardo alla medesima contestazione, osserva poi il Collegio che l’ordinanza – ancora con solido percorso motivazionale – ha confutato la tesi per la quale l’autorizzazione paesaggistica, poiché rilasciata prima dell’approvazione del Piano, sarebbe risultata comunque valida per i successivi cinque anni, giusta art. 48 di quest’ultimo; ed invero, come si legge nell’ordinanza, al maturare del quinquennio dal 4/6/2009 nessun lavoro aveva ancora avuto inizio sull’area in esame, come da plurimi accertamenti compiuti, sì che successivi sbancamenti non erano risultati “coperti” da alcun provvedimento al riguardo. Né, peraltro, può esser invocato l’
art. 146, comma 4, d. lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale “Il termine di efficacia dell’autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell’intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all’interessato”; ed invero, questa disposizione “lega” cronologicamente i due provvedimenti sul presupposto dall’effettiva vigenza di quello urbanistico, da escludere nel caso di specie – alla data di esecuzione dello sbancamento – in ragione della maturata decadenza, come ben riconosciuta dal Tribunale del riesame.
10. Quel che, all’evidenza, priva di rilievo anche l’ultimo motivo, in punto di elemento soggettivo, suscettibile di piena valutazione esclusivamente nella fase di merito e censurabile da questa Corte soltanto in presenza di evidenti ed oggettivi sintomi di assenza.
11. Il ricorso, pertanto, risulta infondato, ed il ricorrente deve esser condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2016