+39-0941.327734 abbonati@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Danno ambientale, Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 47870 | Data di udienza: 19 Ottobre 2011

* RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Serie di attività illecite – C.d. “giro bolla” – Mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti – Modifica di codice CER – Irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico – Miscelazioni – Attività organizzate – Nozione – Art. 260 D.L.vo n.152/2006DANNO AMBIENTALE – Parti civili – Liquidazione del danno – Giudice civile – Artt.303-311 del d.lgs. n.152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Inammissibilità per genericità dei motivi – Inammissibilità originaria dei ricorsi per violazioni di disposizioni penali.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Dicembre 2011
Numero: 47870
Data di udienza: 19 Ottobre 2011
Presidente: Ferrua
Estensore: Marini


Premassima

* RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Serie di attività illecite – C.d. “giro bolla” – Mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti – Modifica di codice CER – Irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico – Miscelazioni – Attività organizzate – Nozione – Art. 260 D.L.vo n.152/2006DANNO AMBIENTALE – Parti civili – Liquidazione del danno – Giudice civile – Artt.303-311 del d.lgs. n.152/2006DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Inammissibilità per genericità dei motivi – Inammissibilità originaria dei ricorsi per violazioni di disposizioni penali.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 22/12/2011 (Ud. 19/10/2011), Sentenza n. 47870 

 
RIFIUTI – Attività organizzate per il traffico illecito – Serie di attività illecite – C.d. “giro bolla” – Mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti – Modifica di codice CER – Irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico – Miscelazioni – Art. 260 D.L.vo n.152/2006.
 
L’esistenza di una irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico, di sistematiche attività di miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti  pericolosi con altri non pericolosi, l’effettuazione di miscelazioni in assenza di accertamenti tecnici preliminari e in assenza dei  necessari trattamenti preliminari,  il mancato rispetto delle cautele necessarie rispetto alla gestione di rifiuti pericolosi, l’apposizione del codice CER privilegiando la compatibilità con le autorizzazioni dei destinatari  e la compatibilità con le esigenze commerciali rispetto alla effettiva composizione dei materiali inviati, la conseguente destinazione di rifiuti in prevalenza pericolosi a impianti che non avrebbero potuto  riceverli, la modifica di codice CER, e non solo il mero “giro bolla”, rispetto a rifiuti non sottoposti ad  alcun trattamento, configurano condotte che valutate nel loro insieme con riferimento, ovviamente, al singolo impianto, palesano manifesta illiceità, e ciò a prescindere dal fatto che l’impianto potesse, quale “produttore” non originario indicare se stesso come produttore dei rifiuti e dal fatto che in condizioni di rispetto delle altre formalità e cautele il c.d. “giro bolla” possa non rivestire carattere di intrinseca illiceità. Ciò che rileva è che la mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti nei formulari e il ricorso al “giro bolla” costituiscono metodologia scelta ed utilizzata all’interno di un meccanismo che muove dalla irregolare tenuta dei registri di carico-scarico e termina con la destinazione ad altri impianti di prodotti diversi per caratteristiche rispetto a quanto dichiarato, frutto di miscelazioni non operate nei limiti e con le garanzie previste e, infine, marcati con codici CER non fedeli alle caratteristiche prevalenti della miscela e apposti avendo riguardo alle opportunità commerciali.
 
(dic. inamm. il ricorso avverso sentenza emessa in data 7/06/2010 dalla Corte di Appello di Venezia)  Pres. Ferrua, Est. Marini, Ric. Giommi ed altri
 
 
RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Attività organizzate – Nozione – Art. 260 D.L.vo n.152/2006.
 
La legge non richiede che il traffico di rifiuti sia posto in essere mediante una struttura operante in modo esclusivamente illecito, ben potendo le attività criminose essere collocate in un contesto che comprende anche operazioni commerciali riguardanti rifiuti che vengono svolte in modo lecito. In altri termini, il delitto può essere integrato sia da una struttura operante in assenza di qualsiasi autorizzazione e con modalità del tutto contrarie alla legge sia da una struttura che includa stabilmente condotte illecite all’interno di un’attività svolta in presenza di autorizzazioni e, in parte, condotta senza altre violazioni. Ciò che rileva, infatti, è l’esistenza di “traffico” di rifiuti intenzionalmente sottratto ai canali leciti e l’inserimento all’interno di un percorso imprenditoriale ufficiale può divenire addirittura una scelta mirante a mascherare l’illecito all’interno di un contesto imprenditoriale manifesto e autorizzato. A tale conclusione consegue una considerazione ulteriore: la natura “abusiva” delle condotte non è esclusa dalla regolarità di una parte delle stesse allorché l’insieme delle condotte conduca ad un risultato di dissimulazione della realtà e comporti una destinazione dei rifiuti che non sarebbe stata consentita.
 
(dic. inamm. il ricorso avverso sentenza emessa in data 7/06/2010 dalla Corte di Appello di Venezia)  Pres. Ferrua, Est. Marini, Ric. Giommi ed altri
 
 
DANNO AMBIENTALE – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Inammissibilità originaria dei ricorsi per violazioni di disposizioni penali – Parti civili – Liquidazione del danno – Giudice civile – Artt.303-311 del d.lgs. n.152/2006.
 
La dichiarata inammissibilità originaria dei ricorsi nella parte in cui afferiscono alle disposizioni penali comporta la inammissibilità di un intervento del giudice in ordine alle disposizioni civili impartite con le sentenze di merito. Spetterà, dunque, al giudice civile eventualmente investito della questione quantificare i danni conseguenti da reato, per i quali in sede penale è stata impartita una condanna generica nei confronti degli imputati e dei responsabili civili.  E’ in quella sede che le parti interessate potranno far valere gli argomenti introdotti col ricorso e con la discussione relativi alla rilevanza dell’art.5-bis della legge n.166 del 2009 rispetto allo stesso concetto di “danno ambientale”, quelli relativi all’incidenza dei nuovi parametri di liquidazione del danno e, infine, quelli relativi alla possibilità di applicare retroattivamente, e cioè a condotte esaurite integralmente sotto la vigenza del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, la disciplina contenuta nella nuova formulazione degli artt.303-311 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152.
 
(dic. inamm. il ricorso avverso sentenza emessa in data 7/06/2010 dalla Corte di Appello di Venezia)  Pres. Ferrua, Est. Marini, Ric. Giommi ed altri
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Inammissibilità per genericità dei motivi.
 
E’ inammissibile per genericità il ricorso per cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato (Cass. Sezione VI Penale, n.22445 del 2009, P.M. in proc.Candita e altri). Inoltre, il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Sicché, è preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.   
 
 (dic. inamm. il ricorso avverso sentenza emessa in data 7/06/2010 dalla Corte di Appello di Venezia)  Pres. Ferrua, Est. Marini, Ric. Giommi ed altri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 22/12/2011 (Ud. 19/10/2011), Sentenza n. 47870

SENTENZA

 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
 
Dott.a Giuliana Ferrua – Presidente
Dott. Mario Gentile – Consigliere
Dott. Renato Grillo – Consigliere
Dott. Luigi Marini – Consigliere est.
Dott.a Elisabetta Rosi – Consigliere 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
Sui ricorsi proposti dagli imputati:
1) GIOMMI GIANNI, nato a Bologna il 2 Marzo 1935
2) VALLE CARLO, nato a Vicenza il 30 Maggio 1949
3) GATTARD GIULIANO, nato a Gorizia il ) Gennaio 1958
4) GARDENAL GIANNI, nato a Mirano il 15 Gennaio 1944 Nonché dai responsabili civili:
5) ECOVENETA S.p.a.
6) NUOVA ESA S.a.s., già NUOVA ESA S.r.l.
7) SERVIZI COSTIERI S.r.l.
 
Avverso la sentenza emessa in data 7 Giugno 2010 dalla Corte di Appello di Venezia, che ha parzialmente modificato la sentenza con cui il Tribunale di Venezia con sentenza in data 7 febbraio 2008 aveva condannato i ricorrenti e i responsabili civili per i reati rispettivamente ascritti e previsti dall’art.416 e dall’art.674 c.p., nonché dagli artt.81, 110 c.p., 51 comma quarto del d.lgs. n.22 del 1997, in relazione agli artt.51, comma 1, lett.b) e 51, comma quinto della medesima legge,. nonché dagli artt.110, 81 p e 52, terzo comma, del d.lgs. n.22 del 1997, dagli artt. 110, 81 c.p. e 51, comma 1, lett.a) e b), e dagli artt.110, 81 c.p. e 53-bis del d.lgs. n.22 del 1997, e altri reati minori, e disposto il risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.
Fatti di reato commessi in tempi diversi dal dicembre 1999 fino all’8 marzo 2004.
 
Con le Parti civili:
MINISTERO DELL’AMBIENTE
PROVINCIA DI VENEZIA
PROVINCIA DI ROVIGO
PROVINCIA DI TREVISO
COMUNE DI ADRIA
COMUNE DI VENEZIA
COMUNE DI MARCON
COMUNE DI MOGLIANO
COMITATO ARIA PULITA DI MARCON
SIG.BERTO E ALTRI CITTADINI DI MARCON
W.W.F. ITALIA
LEGAMBIENTE VOLONTARIATO VENETO
 
– Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
– Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. GIOACCHINO IZZO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
– Uditi i Difensori delle parti civili, dei responsabili civili e dei ricorrenti, che hanno concluso come da verbale.
 
CONSIDERATO IN FATTO
 
Premessa
 
La complessa vicenda ha ad oggetto una serie numerosa di violazioni al codice penale e alla disciplina in tema di rifiuti (d.lgs. n.22 del 1997 e d.lgs. n.277 del 1991) che le sentenze di merito ritengono commesse nella gestione di due gruppi societari.
 
Il primo gruppo, facente capo al Sig.GIOMMI, aveva come cardine le attività della NUOVA ESA S.r.l., società che ha consociuto successive trasformazioni, e concerne il periodo che va dal 15 dicembre 1999 al 22 dicembre 2003.
 
Il secondo gruppo, facente riferimento ai Sigg.GOTTARD, GARDENAL e VALLE, aveva come cardine le attività svolte dalla SERVIZI COSTIERI S.r.l. nel periodo dal 15 dicembre 1999 al 31 maggio 2003 e quindi dalla ECOVENETA S.p.a. a far data dal primo giugno 2003 fino alla data del sequestro degli impianti il giorno 8 marzo 2003.
 
I due gruppi societari hanno agito con modalità analoghe per un lasso di tempo in gran parte coincidente, e tali circostanze hanno suggerito al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale in unico contesto e ai giudici di merito di riconoscere l’esistenza di ragioni di speditezza per conservare l’unicità del processo.
 
Il meccanismo fraudolento posto in essere dagli imputati nella gestione delle rispettive aziende ha assunto, secondo i giudici di merito, connotazioni di stabilità e di organizzazione tali da giustificare la sussistenza del delitto di traffico illecito di rifiuti previsto dall’art.53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Ciò sia per la durata nel tempo degli illeciti e la vera e propria strumentalizzazione dell’organizzazione aziendale sia per la quantità elevatissima dei rifiuti oggetto di movimentazione e gestione da parte di ciascuna delle società. I giudici di merito hanno, invece, ritenuto non presenti i presupposti del delitto previsto dall’art.416 c.p. contestato dal Pubblico Ministero.
 
La sentenza del Tribunale di Venezia
 
Come emerge con chiarezza dai numerosi e dettagliati capi di imputazione, la gestione illegale dei rifiuti avveniva mediante la gestione e la miscelazione illecita dei materiali e la loro destinazione verso imprese o siti non abilitati a riceverli, condotte cui si affiancavano irregolarità sistematiche nella tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico e nelle attività di trasporto.
 
Tali condotte sono state oggetto di analitico esame da parte del Tribunale di Venezia, che ha affrontato alle pagine 1 e seguenti della motivazione le attività riconducibili alla gestione NUOVA ESA, analizzando a pag.27 e seguenti le responsabilità personali dei Sigg. Giommi e Toresini, ed ha, poi, affrontato alle pagine 29 e seguenti le attività riconducibili alle società SERVIZI CANTIERI ed ECOVENETA, affrontando alle pagine 47 e seguenti le responsabilità personali de Sigg. GARDENAL, GOTTARD e VALLE.
 
In esito all’istruttoria dibattimentale che ha impegnato oltre venti giornate di udienza e comportato l’acquisizione e l’assunzione di un numero molto elevato di mezzi di prova, il Tribunale ha:
– dichiarato non doversi procedere nei confronti del Sig.GIOMMI per intervenuta prescrizione per i capi B, T, U, V;
 assolto lo stesso dal capo W per non avere commesso il fatto;
– dichiarato non procedibile nei confronti dello stesso GIOMMI il capo R perché coperto da precedente giudicato;
– dichiarato non doversi procedere nei confronti del Sig.GOTTARD in relazione ai capi D e I per intervenuta prescrizione;
– condannato il Sig.GIOMMI perché responsabile di fatti contestati ai capi A, C, F, H, N, P. S e, applicata la continuazione e ritenuto più grave il capo N, determinato la pena in sei anni di reclusione;
– condannato il Sig.VALLE perché responsabile dei fatti contestati ai capi D, G, I, O, Q e, applicata la continuazione e considerato più grave il capo O, determinato la pena in tre anni e quattro mesi di reclusione;
– condannato il Sig. GOTTARD perché responsabile dei fatti contestati ai capi G, 0, Q e, applicata la continuazione e considerato più grave il capo 0, determinato la pena, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, in due anni e tre mesi di reclusione;
– condannato il Sig.GARDENAL perché responsabile dei fatti contestati ai capi D, E, G, I, K, O, Q e, applicata la continuazione e considerato più grave il capo O, determinato la pena, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, in un anno e undici mesi di reclusione, pena condizionalmente sospesa;
– applicato ai condannati le pene accessorie previste dagli artt.28, 30, 32-bis, 32-ter e 53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 nonché l’obbligo di rimettere in pristino lo stato dei luoghi;
– condannato gli imputati e i responsabili civili al risarcimento dei danni in favore delle parti civili rispettivamente costituitesi (come da pag.64 della sentenza) e alla corresponsione delle relative spese di costituzione e assistenza.
 
La sentenza della Corte di Appello
 
Avverso la decisione del Tribunale hanno proposto appello sia gli imputati GIOMMI, Carlo VALLE, GOTTARD e GARDENAL sia i responsabili civili (appellanti e appellati) ECOVENETA S.p.a., NUOVA ESA S.a.s., già NUOVA ESA S.r.l., e SERVIZI COSTIERI S.r.l.
 
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia ha, in sintesi:
– dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi A, C, D, E, H, I, K , S per essere gli stessi estinti per prescrizione; dichiarato non doversi procedere nei confronti di GIOMMI anche in ordine alla contestazione dei punti a), b) e c) del capo F per essere i reati estinti per prescrizione;
– assolto gli imputati dai reati contestati rispettivamente ai capi P e Q perché il fatto non sussiste; rideterminato la pena nei confronti di GIOMMI in quattro anni e sei mesi di reclusione; di VALLE in due anni di reclusione; di GOTTARD in un anno e otto mesi di reclusione; di GARDENAL in un anno e due mesi di reclusione;
– rideterminato per ciascun imputato la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e di quella prevista dall’art.32 c.p.;
– condannato gli imputati e i responsabili civili al risarcimento dei danni in favore delle parti civili rispettivamente costituite, danni da liquidarsi in separato giudizio, e determinato le somme che debbono essere versate a titolo di provvisionale.
 
I ricorsi per cassazione
 
Nei confronti della sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione sia gli imputati sia i responsabili civili.
 
L’Avv.Antonio. Cantelli nell’interesse di Gianni GIOMMI in sintesi lamenta:
 
1. l’errata valutazione dei fatti per avere i giudici di merito omesso di considerare che la società NUOVA ESA era autorizzata ad operare come impianto di stoccaggio che, ai sensi della lett.l) dell’art.6 del decreto Ronchi può svolgere attività di deposito preliminare e di recupero, attività che includono la cernita, la miscelazione secondo componenti omogenee, l’attribuzione di un nuovo CER e l’individuazione della destinazione finale; consegue a ciò che il titolare dell’impianto di stoccaggio acquisisce la qualifica di “produttore” e come tale non è vincolato alla destinazione attribuita ai rifiuti nel formulario originario, così che errano i giudici di merito a ritenere che i rifiuti in uscita dall’impianto dovessero essere qualificati come “pericolosi” e non destinabili ai siti indicati;
 
2. violazione di legge e, in particolare dell’art.25 della Costituzione e dell’art.7-bis del d.P.R. n.449 del 1988, rilevante ex art.606, lett.b) c.p.p., per avere il Presidente del Tribunale di Venezia, con provvedimento censurato dalle difese in sede di primo giudizio e quindi con specifici motivi di appello, modificato con motivazione solo apparente l’originaria assegnazione alla Prima sezione penale del Tribunale e violato il principio del “giudice naturale” ex art.25 Cost., così come interpretato dalla Corte costituzionale con le sentenze n.272 e n.419 del 1998;
 
3. violazione dell’art. l l l della Costituzione con riferimento a plurimi episodi di contrazione del diritto ad una difesa effettiva che appaiono indici di non imparzialità dell’organo giudicante; in particolare con riferimento a: a) al rigetto dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato a presenziare all’udienza del 30 maggio 2007; b) al rigetto da parte del Tribunale, con ordinanza 19 aprile 2007, delle istanze di rinvio per impedimento dei difensori, con nocumento dell’effettività del diritto di difesa, e al successivo rigetto all’udienza del 10 gennaio 2008 dell’istanza della difesa volta a consentire al Sig.Giommi di sottoporsi all’esame; c) alla pratica impossibilità di procedere al controesame del teste Urli, verbalizzante e fonte centrale dell’impianto accusatorio;
 
4. erronea applicazione della legge penale rilevante ex art.606, lett.b) c.p.p. con riferimento all’art.52, comma terzo, d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, contestato al capo F, lettere da d) a k) della rubrica, e alla motivazione che la Corte di Appello ha esposto alle pagine 50 e 51; confondendo le due ipotesi previste dalla fattispecie incriminatrice, i giudici hanno ravvisato nelle condotte tenute dal personale della società una ipotesi di reato estranea alla previsione normativa: il formulario, infatti, non contiene indicazioni sulla qualità dei prodotti, previste invece dal certificato di analisi. Di tali condotte, che la disciplina affida a soggetti qualificati, non può essere chiamato a rispondere il legale rappresentante della società, mentre è ben possibile che le irregolarità nella formulazione dei documenti siano riconducibili alle violazioni amministrative previste dal quarto comma del medesimo art.52, come modificato dal d.lgs. n.389 del 1997. Il fatto, dunque, non costituisce reato;
 
5. vizio di motivazione rilevante ex art.606, lett.e) c.p.p. con riferimento alla contestazione del reato ex art.53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 (capo N); coi motivi di appello il ricorrente aveva contestato la sussistenza del reato sia sotto il profilo oggettivo, risultando minimo il numero delle aziende destinatarie dei trasporti illeciti rispetto al numero complessivo di quelle servite, sia sotto quello soggettivo, non risultando provata alcuna finalità di illecito arricchimento.
 
L’Avv. Antonio Romano nell’interesse dei Sigg.Carlo VALLE e Gianni GARDENAL in sintesi lamenta:
 
1. vizio di motivazione per illogicità del percorso decisionale e per travisamento del materiale probatorio. In particolare, è stata omessa da parte dei giudici di merito una puntuale valutazione delle dichiarazioni rese dal teste PERSI, responsabile del laboratorio di analisi della Servizi Costieri S.r.l., dal teste PAOLETTO e del teste VINCENZI, dipendenti della medesima società, che hanno reso dichiarazioni favorevoli alla difesa nei termini riportati alle pagine 2-4 del ricorso;
 
2. vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità per avere la Corte di Appello affermato erroneamente che la difesa non aveva fornito prova della regolare gestione dei fanghi trattati; si tratta di affermazione che contrasta con l’avvenuto deposito di copiosa documentazione in corso di udienza del 10 gennaio 2008.
 
L’Avv.Francesco Barili’ nell’interesse del Sig.Carlo VALLE in sintesi lamenta;
 
1. vizio di motivazione rilevante ai sensi dell’art.606, lett.e) c.p.p., vizio che concerne plurimi profili della decisione:
 
a) illogicità del giudizio in ordine alla responsabilità personale del ricorrente (pag.70 della motivazione), posto che il Sig.Valle svolgeva in proprio una diversa attività economica e non si occupava della gestione aziendale, salvo tenere i contatti con il Sig.Gottard e venire consultati per i problemi finanziari; oltre alle risultanze testimoniali, tale situazione é dimostrata dagli esiti delle intercettazioni telefoniche, tema che il ricorso affronta in modo specifico alle pagine 3-12;
 
b) illogicità della motivazione con riferimento alle singole ipotesi contravvenzionali, posto che in modo improprio è stato posto a carico degli imputati l’onere probatorio circa la liceità delle miscelazioni, mentre difetta la prova positiva dell’esistenza di illiceità nel trattamento specifico; posto che non è stato affrontato il motivo di appello concernente il trattamento delle polveri provenienti dalle Acciaierie di Servola né si è considerato che i codici attribuiti
alle polveri (100203 e 100204) non comportano differenze sotto il profilo del recupero e che non ha alcun senso parlare di “girobolla”; posto che la mancanza di una parte degli impianti e macchinari non aveva alcuna ricaduta sulle attività svolte in concreto; posto che (pag.18 e ss. del ricorso) i codici utilizzati offrivano le massime garanzie di trasparenza sul contenuto dei rifiuti inviati da Ecoveneta e non vi era in concreto alcuna irregolarità o condotta di frode, e il Gaso dei prodotto inviati alla Laterlite esaminato in sentenza non risulta né provato né rilevante, e sarebbe in ogni caso addebitabile alla responsabilità del chimico addetto alle verifiche; posto che in altri casi tra quelli posti a carico del ricorrente (Soris, Soceic, Medio Chiampo, Aim) mancano concreti profili di responsabilità, oltre ad essere presente un grave errore materiale circa la quantità dei fanghi Medio Chiampo (pag.23 del ricorso); posto che il laboratorio di analisi era attrezzato e forniva ai legali rappresentanti della società indicazioni tranquillanti;
 
c) errata applicazione dell’art.53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, avendo la sentenza impugnata ritenuto integrato il reato sebbene difettino i requisiti della professionalità delle condotte e della finalità di lucro;
 
d) difetto di motivazione con riferimento alla data di cessazione della continuazione del reato di cui all’art.53-bis d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e alle ipotesi contravvenzionali.
 
L’Avv. Luciano Sampietro nell’interesse del Sig.Giuliano GOTTARD in sintesi lamenta:
 
1. errata applicazione di legge e in particolare degli artt.51, 52 e 53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 quale conseguenza dell’errata applicazione degli artt.6 e 9 in relazione all’allegato 3 della medesima legge. Erroneamente, infatti, la sentenza esclude la legittimità delle miscelazioni di rifiuti, attività invece legittima e ampiamente praticata nel rispetto dell’art.9 della legge citata e del relativo allegato 3; all’epoca dei fatti, a differenza di quanto previsto dal successivo d.lgs. n.152 del 2006, secondo il catalogo europeo i rifiuti formati da miscelazione non avevano un codice specifico (Cassazione, Terza Sezione Penale, sentenza n.19333 dell’11 marzo 2009) e non sussisteva un divieto di operare miscelazioni (TAR Emilia Romagna, sentenza 1/4/2008, n.206): consegue a tale realtà che ai rifiuti provento di miscelazione poteva essere applicato o un codice generico (19.05.99) oppure il “codice prevalente”, come in genere si faceva presso tutti gli impianti. Tale prassi fu seguita anche dalla Servizi Costieri, senza che venissero mosse contestazioni da parte dell’ente pubblico o che fossero avanzate riserve da parte degli impianti di ricezione;
 
2. travisamento del fatto ed errata applicazione degli artt51, 52 e 53-bis del d.Lgs. 5 febbraio 1997, n.22 a seguito di errata applicazione dell’art. l del d.P.R. n.915 del 1982 e degli artt.4 e 5 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 in relazione al contenuto dell’autorizzazione provinciale. La ricostruzione operata dalla Corte di Appello alle pagine 45 e seguenti contrasta con la lettura integrale del decreto autorizzativo e, in particolare, con la previsione dell’art.7, così che i giudici di appello errano nel concludere che non era legittimo avviare i prodotti miscelati al recupero, recupero previsto all’epoca del rilascio della prima autorizzazione (anno 1996) dall’art.1 della legge n.915 del 1982;
 
3. errata applicazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt.51, 52 e 53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 a seguito di errata applicazione dell’art.l del d.P.R. n.915 del 1982, dell’art.1372 cod.civ. e degli artt.4 e 5 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. La sentenza impugnata alle pagine 66 e 67 fa discendere un profilo di illiceità dalla violazione degli accordi contrattuali concernenti la gestione dei fanghi AIM e Medio Campo; si tratta di conclusione errata sia con riferimento alla impropria rilevanza attribuita ai termini contrattuali nei confronti di terzi sia con riferimento al concetto di “smaltimento”, che deve invece includere anche le attività di trattamento e recupero;
 
4. errata applicazione degli artt.187, 194, 517 c.p.p. in relazione all’art.417 c.p.p. e conseguente nullità ex art.522 c.p.p. per avere i giudici di merito impropriamente esteso il giudizio anche a presunte violazioni concernenti le polveri provenienti dalle Acciaierie di Servola che non hanno mai costituito oggetto di contestazione all’imputato e che costituisce fatto nuovo e concorrente per il quale non sono state rispettate le garanzie previste dall’art.517 c.p.p.;
 
5. errata applicazione degli artt.15 e 53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 in relazione agli artt.6 e 9 della medesima legge ed errata applicazione dell’art.483 c.p. per avere i giudici di merito ritenuto violato l’art.15 citato in relazione alla indicazione errata nei documenti di trasporto circa la natura dei prodotti; si tratta di indicazione corretta (vedi motivo 1) con riferimento al CER dei prodotti miscelati e, in ogni caso, va esclusa la natura dolosa della condotta;
 
6. vizio di motivazione ed errata applicazione dell’art.52-bis d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 in relazione all’art.1 del d.P.R. n.915 del 1982 e agli artt.6 e 9 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 per avere i giudici di merito accolto una errata lettura dell’autorizzazione provinciale e avere erroneamente ritenuto che il c.d. “girobolla” avesse finalità illecite.
 
L’Avv.Angelo Merlin nell’interesse del responsabile civile ECOVENETA S.p.a. in sintesi lamenta:
 
1. carenza di motivazione con riferimento all’esistenza di prova di responsabilità del Sig.Gardenal per i fatti contestati al capo O) nel periodo 1 giugno 2003 – 8 marzo 2004 nel quale la società gesti il sito di Marghera. La motivazione presente a pag.71 della sentenza di appello omette di dare risposta alle censure contenute nei punti 3.2, 3.3 e 3.4 dell’atto di appello del Sig. Gardenal e ricava l’illiceità delle condotte dell’imputato (pagg.71-73) unicamente da elementi di prova riferiti esclusivamente al precedente periodo di lavoro presso la Servizi Costieri; difetta così qualsiasi motivazione in ordine ai fatti successivi al primo giugno 2003;
 
2. sempre con riferimento al capo O) sussiste errata applicazione dell’art.110 c.p. e carenza totale di motivazione con riferimento alla partecipazione del Sig.Gardenal alle attività illecite contestate per il periodo successivo al primo giugno 2003, posto che la sentenza (pag.73) dichiara accertata la responsabilità dell’imputato per le attività svolte presso la Servizi Costieri ed avanza una mera ipotesi di prosecuzione delle attività presso la Ecoveneta S.r.l., ma non esamina il tema e non dà risposta agli allegati difensivi contenuti al punto 3.4 dell’appello presentato da tale società. Si versa così in ipotesi di motivazione solo apparente.
 
L’Avv.Claudio Cantelli nell’interesse della NUOVA ESA S.a.s., già NUOVA ESA S.r.l., in sintesi lamenta:
 
1. violazione dell’art.2495 cod.civ. e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta legittimazione passiva della NUOVA ESA. In sede di giudizio e in sede di motivi di appello si era eccepito che la NUOVA ESA S.r.l. ebbe a trasformarsi in società in accomandita semplice in data 10 agosto 2004, avendo come amministratore Valerio Sartori, ed è quindi posta in liquidazione il 30 dicembre 2005, rivestendo il Sig.Sartori la qualità di liquidatore. La società subisce quindi la trasformazione in MARNO S.a.s. e quindi in MARNO S.a.s. di Franco Di Salvo, cessando l’attività il 31 maggio 2007 e venendo cancellata dal registro delle imprese in data 18 luglio 2007. In tale situazione opera l’art.2495 c.c. (entrato in vigore in data 1/1/2004 nella nuova formulazione introdotta dall’art.4 del digs. n.6 del 2003) che attribuisce all’atto di cancellazione efficacia costitutiva anche nei confronti delle cancellazioni intervenute precedentemente alla sua entrata in vigore (Sezioni Unite Civili, sentenza n.4060 del 22 febbraio 2010). La società NUOVA ESA deve pertanto essere esclusa dal giudizio.
 
2. Violazione dell’art.18 della legge n.349 del 1986 con riferimento al riconoscimento delle richieste risarcitone avanzate dalle parti civili e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza di danno ambientale. E invero, nessuna prova è stata acquisita in atti circa la sussistenza di un effettivo danno per l’ambiente, con l’eccezione di disagi olfattivi lamentati dagli abitanti del comune di Marron che non assumono rilevanza ai fini che qui interessano; nessuna accertamento è stato compiuto con riferimento al superamento di valori soglia per suoli, sottosuoli e acque, con la conseguenza che non si ravvisano danni effettivi e che non esistono i presupposti né per le attività di bonifica né per le attività di ripristino dello stato dei luoghi previste dal comma ottavo del citato art.18 come intervento prioritario, cui seguono in via gradata la quantificazione monetaria del danno ambientale e la eventuale determinazione dello stesso in via equitativa. Deve, poi, considerarsi che dall’art.58 del d.lgs. n.152 del 1999 e dagli artt.239 e 300 del d.lgs. n.152 del 2006 emerga la definizione del danno ambientale come una “contaminazione rilevante” dell’ambiente e come un deterioramento “significativo” e “misurabile” di una risorsa naturale o dell’utilità che questa assicura;
 
3. Violazione di legge in relazione all’art.303, primo comma, lett.f, del d.lgs. n.152 del 2006 come modificato dal’art.5-bis della legge n.166 del 2009, e vizio di motivazione con riferimento ai criteri di determinazione dell’obbligatoria risarcitoria per i quali il citato l’art.303 dispone applicarsi, anche alle domande già proposte, le disposizioni contenute nell’art.311, commi secondo e terzo, del d.lgs. n.152 del 2006 in luogo di quelle contenuti nei commi sesto, settimo e ottavo dell’art.18 della legge 18 luglio 1986, n.349; tale disciplina è stata ignorata dai giudici di appello anche nella parte in cui (comma 3 del citato art.311) spetta al Ministero dell’Ambiente quantificare il danno ambientale;
 
4. Violazione dell’art.25 Costituzione e vizio di motivazione con riferimento al mancato rispetto del principio del giudice naturale. La censura, che richiama l’esistenza di una nullità ex art.178, lett.a) c.p.p. in relazione alla capacità del giudice, ricalca la situazione oggetto del secondo motivo Giommi;
 
5. Violazione dei principi del giusto processo ex art.111 Costituzione nei termini oggetto del terzo motivo Giommi;
 
6. Errata applicazione di legge con riferimento alla contestazione dei punti d)-k) del capo di imputazione sub F; si tratta di motivo identico al quarto motivo del ricorso Giommi;
 
7. Vizio di motivazione con riferimento al reato ex art.53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 contestato al capo N; si tratta di motivo identico al quinto motivo del ricorso Giommi;
 
8. Difetto di motivazione con riferimento alla obbligatorietà del codice CER 19, non avendo la Corte di Appello indicato da quali fonti ricava l’esistenza di tale obbligo e avendo omesso la Corte di considerare che “solo a partire da un determinato momento, la Provincia avrebbe prescritto formalmente alla Nuova Esa l’attribuzione del codice CER 19” e che tale condizione di obiettiva incertezza in capo allo stesso ente pubblico impedisce di parlare di “consolidate pratiche illecite”;
 
9. Errata applicazione della legge, in particolare dell’ari 15 c.p., e vizio di motivazione con riferimento ai reati contestati ai capi A, C, F e H. Erroneamente la Corte di Appello ha confermato l’impostazione del Tribunale, secondo la quale i reati citati conserverebbero autonomia rispetto alla violazione prevista dal’art.53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. La Corte sul punto si è limitata ad affermare (pag.51) che le censure difensive contenute nel terzo motivo di appello sono “all’evidenza infondate sia in fatto come in diritto”. Si tratta di motivazione solo apparente che ha evitato di considerare come le singole condotte previste dalle contravvenzioni contestate ai capi A, C, F e H siano ricomprese tra le condotte che integrano il delitto contestato al capo N e debbano ritenersi da quest’ultimo assorbite.
 
OSSERVA
 
1. Le questioni processuali
 
Sono state riproposte in questa sede con i motivi di ricorso alcune censure che la Corte di Appello è stata chiamata a valutare in ordine alla nullità della sentenza di primo grado per lamentate violazioni della legge processuale.
 
Richiamato il principio generale fissato dall’art.177 c.p.p. in tema di tassatività delle nullità, questa Corte rileva che i ricorrenti hanno invocato l’esistenza di un contrasto fra le determinazioni dei giudici di merito e i principi fissati dall’art.25 della Costituzione in tema di rispetto del giudice naturale e dall’art.111 della Costituzione in tema di giusto processo.
 
Sul punto la Corte ritiene di dover condividere integralmente le decisioni assunte dai giudici di appello ed illustrate alle pagine 92 e seguenti della motivazione.
 
1.1. Con riferimento alla asserita violazione della regola che garantisce all’imputato l’assegnazione del processo al giudice “precostituito per legge” (secondo motivo Giommi e quarto motivo soc.Nuova Esa), la decisione della Corte di Appello merita piena conferma allorché, correttamente applicando i principi interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, ha stabilito che in ipotesi di motivata assegnazione del processo da parte del Presidente del Tribunale ad un giudice dello stesso ufficio diverso da quello inizialmente individuato non sussiste alcuna violazione della capacità del giudice nel rispetto dell’art.33, secondo comma, c.p.p., non versandosi in ipotesi di individuazione di un organo giudicante “extra ordinem” effettuata sulla base di procedura arbitraria, ma di normale esercizio dei poteri di organizzazione del lavoro all’interno delle regole tabellari (sul punto si rinvia alla condivisa motivazione della sentenza n.3811 del 2006 emessa da questa Sezione nel procedimento Magni e altro, rv 235030 e a quella della sentenza n.13445 del 2005 emessa dalla Prima Sezione Penale nel procedimento Perronace, rv 231338, decisioni confermate dalla recente decisione della Seconda Sezione Penale, n.6505 del 2011 in procedimento Puzio, rv 249450).
 
Ciò premesso in ordine all’interpretazione della disciplina, la Corte rileva che la Corte di Appello ha esaminato e valutato positivamente l’esistenza dei presupposti per la nuova assegnazione del processo ad altra sezione e l’esistenza di specifica motivazione del provvedimento presidenziale, dandone conto a pag.93 della motivazione, così che le censure mosse dai ricorrenti possono essere considerate manifestamente infondate.
 
1.2 Devono essere valutate, in secondo luogo, le violazioni lamentate dal ricorrente Giommi (terzo motivo) e dalla soc.Nuova Esa (quinto motivo) con riferimento all’ordine di assunzione delle prove, alla gestione del dibattimento e alle erronee decisioni del Tribunale che avrebbero respinto le istanze di rinvio per impedimento proposte dalla Difesa, precluso l’esame dello stesso imputato in corso di dibattimento e precluso la possibilità di proficua partecipazione all’esame del teste Urli. La Corte rileva che la motivazione della sentenza impugnata ha reso su ciascuno dei profili una puntuale illustrazione delle ragioni che escludono l’esistenza di una violazione o immotivata compressione dei diritti della difesa. Tale motivazione viene integralmente condivisa dalla Corte alla luce della ricostruzione dell’andamento del dibattimento che i giudici di appello hanno operato alle pagine 96 e 97 fornendo puntuale risposta alle censure mosse con i motivi di appello.
 
Dal momento che con i motivi di ricorso vengono riproposte le medesime questioni già affrontate e risolte motivatamente dal giudice di secondo grado, deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui si considerano generici, con riferimento al disposto degli artt.581, comma primo, lett.c) e 591, comma primo, lett. c) c.p.p., i motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le medesime doglianze presentate in sede di appello avverso la sentenza di primo grado e che nella sostanza non tengono conto delle ragioni che la Corte di appello ha posto a fondamento della decisione sui punti contestati. Si tratta di interpretazione costantemente applicata dalla giurisprudenza di questa Corte ed espressa, da ultimo, con la sentenza della Sesta Sezione Penale, n.22445 del 2009, P.M. in proc.Candita e altri, rv 244181, ove si afferma che “e’ inammissibile per genericità il ricorso per cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato”.
 
2. La legittimazione della società Nuova Esa ad essere parte del processo nella qualità di responsabile civile.
 
Tra i motivi di ricorso viene introdotta per la prima volta la questione relativa alla legittimazione della società ad essere citata in giudizio e giudicata come responsabile civile. Si tratta di questione non proposta in primo grado, che la ricorrente afferma di avere prospettato al giudice di appello mediante produzione di nuova documentazione in corso di dibattimento e che, non affrontata nella motivazione e nel dispositivo della sentenza di appello, costituisce adesso motivo di ricorso.
 
Rileva la Corte che il fatto storico posto a fondamento del motivo di ricorso è riconducibile alla cancellazione della società dal Registro delle imprese che sarebbe stata dichiarata in data 18 luglio 2007, al termine di una complessa evoluzione societaria che avrebbe visto la cancellazione avvenire rispetto alla ragione sociale “Marmo Sas di Franco Di Salvo e C. in liquidazione”, avendo come liquidatore il Sig.Franco Di Salvo. La data di cancellazione esposta dalla Difesa consente di rilevare che detto evento è anteriore alla celebrazione del giudizio di primo grado e alla sentenza emessa dal Tribunale.
 
Né le conclusioni assunte dalla Difesa della società Nuova Esa al termine del giudizio di primo grado né i motivi di appello successivamente presentati hanno per oggetto il difetto di legittimazione a seguito di cancellazione; né risulta richiesta in sede di impugnazione la rinnovazione del dibattimento al fine di produrre la necessaria, per quanto tardiva, documentazione. Inoltre, di una richiesta di esclusione della società per difetto di legittimazione non si dà atto nelle conclusioni della parte come riportate in sentenza di appello, ed anzi in tale sede si dà atto che la Difesa della società ha avanzato conclusioni di merito.
 
Alla luce dei fatti processuali così sintetizzati, non sussiste la lamentata violazione del difetto di decisione e di specifica motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello, mentre risulta inammissibile un motivo di ricorso che sollecita questa Corte ad effettuare per la prima volta una valutazione che presuppone un accertamento di merito che è estraneo al giudizio di legittimità. Il motivo di ricorso va, pertanto, considerato inammissibile e il suo contenuto potrà trovare eventualmente ingresso in sede di giudizio avanti il giudice civile.
 
3. I criteri di esame dei ricorsi adottati dalla Corte
 
I contenuti dei ricorsi sono in larga parte caratterizzati da censure relative alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione delle prove operate dai giudici di merito. Ciò impone alla Corte di richiamare in via generale i principi interpretativi che la giurisprudenza ha fissato circa i limiti del controllo di legittimità anche con riferimento al testo vigente dell’art.606, lett.e) c.p.p..
 
Va, dunque, ricordato che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074). Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello”.
 
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di Cassazione non ha “la pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito mediante la sollecitazione al giudice di legittimità affinché ripercorra l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.
 
Ancora successivamente alla modifica della lett.e) dell’art.606 c.p.p. apportata dall’art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46, l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
Ciò non significa, ovviamente, che la presenza di manifesta illogicità della motivazione, rilevante ai sensi della citata dell’e) dell’art.606 c.p.p., non debba essere riconosciuta allorquando a fronte di plurime ipotesi ricostruttive dei fatti i giudici di merito non abbiano dato conto in modo coerente e corretto sul piano logico delle ragioni per cui l’ipotesi accolta abbia forza sufficiente da escludere la solidità delle ipotesi alternative sottoposte al loro giudizio.
 
Sulla base di tale premessa la Corte procederà all’esame dei motivi di ricorso relativi alla sussistenza dei reati residui e delle responsabilità muovendo dalla constatazione che la sentenza di appello ha già affrontato i nodi critici che le sono stati sottoposti con le impugnazioni avverso la prima decisione e che a questa Corte compete l’esame dei soli profili rilevanti in sede di legittimità.
 
4. I metodi di trattamento dei rifiuti; in particolare, le miscelazioni e i formulari.
 
Attesa la loro valenza decisiva e pregiudiziale, debbono essere esaminati in primo luogo i motivi di ricorso che contestano la sussistenza stessa delle violazioni della disciplina concernente la gestione dei rifiuti nei suoi diversi passaggi.
 
Sostengono i ricorrenti che la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito è frutto di un duplice errore: un accertamento del dato statistico non rispondente al materiale probatorio acquisito; una errata interpretazione e applicazione del dato normativo, in questo ricompreso anche il regime derivante dai provvedimenti di autorizzazione rilasciati alle imprese.
 
La rilevanza assorbente di quest’ultimo aspetto impone di prendere da esso le mosse, concentrando l’attenzione sui motivi proposti dai Sigg.Gottard e Valle, che più direttamente lo hanno affrontato. Si osserva da parte dei ricorrenti con riferimento alle attività della società Servizi Costieri (ma le osservazioni hanno portata generale) che le prescrizioni contenute nella deliberazione provinciale del 1999 si prestano ad una lettura fuorviante, se non inserite nel contesto più ampio che prende le mosse dall’originaria autorizzazione del 1996, rilasciata sotto la vigenza della legge n.915 del 1982, e dal contenuto dell’art.1 di tale legge. Una corretta analisi di tali fonti avrebbe dovuto rendere evidente che non sussisteva alcun divieto di miscelazione dei rifiuti e che l’azienda di stoccaggio era abilitata espressamente ad effettuarle e a destinare a terzi i rifiuti cosi ottenuti, agendo come “produttore” e, quindi, senza dover dare conto nei formulari della provenienza originaria dei rifiuti stessi.
 
I motivi di ricorso proposti sul punto sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili nei termini che seguono.
 
E’ certamente vero che la deliberazione provinciale del 1996 conteneva disposizioni che costituiscono l’antecedente della deliberazione emessa nel 1999, ed è vero che la prima deliberazione fu emessa nella vigenza della legge n.915 del 1982 e del relativo art.1, il cui contenuto è richiamato in sede di ricorso. Ma tali considerazioni perdono ogni rilevanza rispetto ai fatti di causa se solo si considera che le contestazioni mosse ai ricorrenti concernono il periodo che va dall’anno 1999 al 2003 e Biondi al 2004, cioè un periodo disciplinato interamente dalla legge (1.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e dalle autorizzazioni che furono emesse a seguito dell’entrata in vigore, anche in attuazione della disciplina comunitaria in materia, prima del d.l. 5 settembre 1996, n.462, quindi della legge 11 novembre 1996, n.575 e, infine, della citata legge n.22 del 1997.
 
L’esame della fondamentale legge n.22 del 1997 mette in evidenza come la disciplina in vigore negli anni contemplati dalle contestazioni prevedesse, in estrema sintesi:
a) che la gestione dei rifiuti ha come sbocco in via preferenziale il recupero e, solo ove ciò non sia possibile o utile, lo smaltimento; è dunque evidente (art.6) che recupero e smaltimento costituiscono ipotesi alternative ed esemplificate negli allegati B e C alla legge. A ciò consegue che la medesima legge contiene il concetto che “recupero” e “smaltimento” costituiscono le due forme principali di chiusura del ciclo di trattamento dei rifiuti (si veda per l’esplicitazione di tale logica il successivo chiarimento intervenuto con l’art.183 d.lgs. 3 aprile 2006, n.152, modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n.4);
b) che per i rifiuti pericolosi esiste un generale divieto di miscelazione tra di loro ovvero con rifiuti non pericolosi, divieto cui è possibile derogare solo a seguito di autorizzazione da rilasciare in presenza di specifiche condizioni (art.9, commi primo e secondo, in relazione all’art.2, comma secondo);
e) che in occasione dei trasporti debbono essere utilizzati documenti contenenti informazioni in grado di attestare provenienza, qualità e quantità dei rifiuti;
d) che i trasporti di rifiuti pericolosi debbono essere effettuati nel rispetto degli obblighi in tema di imballaggio e di etichettatura.
 
Muovendo dal dato normativo qui sintetizzato è possibile apprezzare i contenuti dell’autorizzazione provinciale del dicembre 1999. In particolare si osserva:
 
1) che l’art.7 prevede per i rifiuti non pericolosi e pericolosi l’effettuazione di attività di cernita e di separazione secondo “partite omogenee”, con avvio a “idoneo smaltimento” delle partite che non possano avere diversa destinazione;
2) che l’art.12 recita: “E’ consentita la miscelazione, ai fini del loro smaltimento presso l’impianto, di rifiuti non pericolosi tra loro, la miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi e di rifiuti pericolosi con altri pericolosi, con le seguenti prescrizioni: …”;
3) che 1’art.13 prevede che la miscelazione di partite di rifiuti diversi avvenga sulla base di accertamenti tecnici che verifichino la possibilità e la non pericolosità dell’operazione e del risultato, così da poter procedere in sicurezza al trattamento e allo smaltimento;
4) che gli artt.19 e 20 prevedono la possibilità di triturare e omogeneizzare i rifiuti, ma anche in questo caso si fissano cautele che evitino di perdere traccia dei rifiuti originari, di rendere impossibile il riconoscimento dei componenti, di operare congiuntamente su rifiuti aventi destinazioni diverse;
5) che in caso di attività di triturazione e omogeneizzazione non si possono trattare insieme rifiuti pericolosi e non pericolosi, “ciò al fine di evitare la loro declassificazione”.
 
L’esame di tali disposizioni rende evidente l’errata lettura che il ricorso Gottard dà (pag.16) dell’art.7 del decreto provinciale. Rende, altresì, evidente che tale decreto nel suo complesso dà attuazione alla regola del divieto di miscelazione di rifiuti ex art.9 della d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, consentendo tale attività in via eccezionale (art.12) “ai fini del loro smaltimento presso l’impianto” e solo procedendo con le cautele sopra ricordate.
 
Sul punto non va dimenticato che proprio l’incenerimento dei rifiuti costituiva una fonte essenziale di produzione di energia dell’impianto della Servizi Costieri.
 
Le miscelazioni rappresentano, dunque, una deroga al regime generale dei rifiuti; per tale ragione sono soggette a regime restrittivo e di rigida applicazione, tanto che possono essere effettuate solo previa autorizzazione espressa e previo rispetto di specifiche cautele e formalità che garantiscano una corretta e non pericolosa gestione dei rifiuti ottenuti.
 
Va, infine, richiamato il principio generale della disciplina sui rifiuti, chiaramente riconducibile ai principi fissati in sede comunitaria, secondo cui l’intera disciplina, le determinazioni degli organi di controllo e le condotte tenute dai gestori devono fondarsi su logiche di precauzione e di prevenzione.
 
5. Le condotte illecite in generale
 
Quanto si è appena detto circa il regime generale della gestione dei rifiuti, delle miscelazioni e delle forme di trattamento rende evidente la infondatezza dei motivi di ricorso nella parte in cui contestano le difformità accertate dai giudici di merito fra le regole esistenti e le condotte tenute dai ricorrenti e ne contestano, in ogni caso, la rilevanza.
 
Può essere, invece, evidenziato dalla Corte che il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito risulta lineare e logico allorché considerano la concatenazione esistente fra una serie di condotte e circostanze che debbono essere prese in esame nel loro insieme: la irregolare tenuta dei registri di carico e scarico; l’assenza presso le aziende di macchinari e di strutture corrispondenti a quanto necessario o dichiarato; la mancanza di valide e puntuali analisi e accertamenti chimici adeguati sui rifiuti; la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti pericolosi e non pericolosi, in assenza di analisi adeguate e con modalità che non consentivano di conservare traccia delle partite di rifiuto gestite e non consentivano a terzi di conoscere l’effettiva composizione delle partite ottenute; la destinazione a terzi di rifiuti con caratteristiche di pericolosità non evidenziate; l’esistenza di irregolarità nella redazione dei formulari; la attribuzione del codice CER non secondo la logica della prevalenza e della corrispondenza fra codice e prodotti, bensì secondo le caratteristiche dell’impianto a cui venivano destinati; infine, la destinazione di rifiuti di natura pericolosa a siti e aziende non autorizzati a riceverli.
 
Sul punto, l’esame congiunto delle motivazioni delle due sentenze di merito, che si integrano data la comune valutazione, porta a escludere che i giudici di merito siano incorsi in quei macroscopici errori di fatto che, secondo quanto considerato da alcune difese in sede di discussione, sarebbero derivanti da errata comprensione dei meccanismi di gestione dei rifiuti e delle stesse norme che li regolano.
 
Prendendo in esame adesso solo la motivazione della sentenza di appello, la Corte rileva che i giudici di merito muovono (pag.98) dal riconoscimento che non sussisteva un divieto assoluto di miscelazione e che sono state accertate condotte concorrenti di terzi, giudicati separatamente, alla determinazione delle irregolarità; va, dunque, escluso che l’intero impianto argomentativo si fondi su una errata interpretazione del dato normativo o su una superficiale ricostruzione dei fatti, dei ruoli e delle condotte.
 
Come indicato nella premessa di metodo iniziale, a questa Corte non può essere chiesto di procedere ad un esame analitico dei singoli rapporti contrattuali e delle singole partite di rifiuti come alcuni dei ricorsi hanno, invece, prospettato. Sul punto, la sentenza di appello propone una motivazione che ricostruisce i punti essenziali delle violazioni, esposte alle pagine 104-106 per le attività della Nuova Esa e alle pagine 114-125 per le attività della Servizi Costieri e della Ecoveneta; tale motivazione si fa carico delle censure mosse alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale alle pagine 4-10 per la Nuova Esa e alla pagine 31 e seguenti per le restanti società e procede ad un esame complessivo delle condotte.
 
Sul punto la Corte osserva che esistono alcuni elementi di fatto che le sentenze di merito illustrano in modo coerente e logico, cosi che questo giudice deve muovere da tale ricostruzione per verificare se le fattispecie legali siano state correttamente applicate al caso concreto.
 
In particolare, le sentenze di merito accertano (si vedano le pagine 102-107 della sentenza di appello con riferimento alle attività Nuova Esa e le pagine 114-125 per la soc.Servizi Costieri e la soc.Ecoveneta):
a) l’esistenza di una irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico, che la Corte riconduce a specifica violazione degli artt.12 e 18 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e del D.M. 1 aprile 1998, n.14;
b) l’esistenza di sistematiche attività di miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti pericolosi con altri non pericolosi;
c) l’effettuazione di miscelazioni in assenza di accertamenti tecnici preliminari e in assenza dei necessari trattamenti preliminari;
d) il mancato rispetto delle cautele necessarie rispetto alla gestione di rifiuti pericolosi;
e) l’apposizione del codice CER privilegiando la compatibilità con le autorizzazioni dei destinatari e la compatibilità con le esigenze commerciali (v. sul punto anche pag.34 e 35 della sentenza di primo grado) rispetto alla effettiva composizione dei materiali inviati;
f) la conseguente destinazione di rifiuti in prevalenza pericolosi a impianti che non avrebbero potuto riceverli;
g) la modifica di codice CER, e non solo il mero “giro bolla”, rispetto a rifiuti non sottoposti ad alcun trattamento.
 
Tali condotte, valutate nel loro insieme con riferimento, ovviamente, al singolo impianto, connotano i fatti di manifesta illiceità, e ciò a prescindere dal fatto che l’impianto potesse, quale “produttore” non originario indicare se stesso come produttore dei rifiuti e dal fatto che in condizioni di rispetto delle altre formalità e cautele il c.d. “giro bolla” possa non rivestire carattere di intrinseca illiceità. Ciò che rileva è che la mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti nei formulari e il ricorso al “giro bolla” costituiscono metodologia scelta ed utilizzata all’interno di un meccanismo che muoveva dalla irregolare tenuta dei registri di carico-scarico e terminava con la destinazione ad altri impianti di prodotti diversi per caratteristiche rispetto a quanto dichiarato, frutto di miscelazioni non operate nei limiti e con le garanzie previste e, infine, marcati con codici CER non fedeli alle caratteristiche prevalenti della miscela e apposti avendo riguardo alle opportunità commerciali.
 
A fronte di questa ricostruzione dei fatti, non assume alcuna rilevanza decisiva la doglianza relativa al fatto che l’esame dei materiali delle Acciaierie Servola compiuto in sede di giudizio e quindi ricompreso in motivazione (pag.115 della sentenza di appello) concerna o meno ipotesi incluse nel capo di imputazione; anche qualora si espungesse tale esame dal contesto motivazionale, la complessiva motivazione della sentenza riferita alla soc.Servizi Costieri supererebbe assolutamente la c.d. “prova di resistenza” dal momento che i fatti oggetto di specifica contestazione contenuti nei capi d’imputazione sono oggetto di separata e analitica valutazione alle pagine 117-125 e solo ad essi si riferisce il dispositivo, così risultando rispettato il dettato dall’art.521 c.p.p.
 
6. Le condotte illecite riferite alla gestione Ecoveneta.
 
Afferma il ricorso proposto dalla società tramite l’Avv.Merlin, in linea col contenuto del ricorso proposto nell’interesse del Sig.Gardenal, che la sentenza non offre alcun elemento obiettivo a riscontro della circostanza che le attività illecite proseguirono successivamente al mese di giugno 2003 e che l’intera motivazione ha per oggetto fatti, dichiarazioni e risultanze di intercettazione telefonica limitate al periodo che precede il mese di giugno 2003 e, anzi, si concentrano su elementi fattuali che non vanno oltre l’ultima parte dell’anno 2002.
 
La Corte rileva che la motivazione della sentenza di appello non affronta in modo organico il tema delle condotte relative al periodo in cui l’impianto fu gestito dalla società Ecoveneta e constata che alcuni passaggi motivazionali presenti a pag.128 appaiono non concludenti rispetto al giudizio di responsabilità del Sig.Gardenal con riferimento a detto periodo.
 
Tuttavia, la lettura della motivazione nella sua interezza impone di rilevare che i giudici di appello hanno fornito una motivazione sufficiente del proprio convincimento che non merita le censure che le sono state mosse e che deve essere valutata anche alla luce della motivazione della sentenza di primo grado. In effetti, l’accertamento della prosecuzione delle attività illecite fino al momento del sequestro operato nell’anno 2004 non viene fondato esclusivamente sulla continuità operativa e gestionale delle due società rispetto al medesimo impianto e sulla circostanza che il sig.Gardenal ha conservato identiche mansioni al momento del cambio di ragione sociale e di gestione, ma trova una sua ragion d’essere sia nella ricostruzione della modalità operativa di Servizi Costieri sia nella parte in cui si accerta che le attività di gestione di rifiuti e fanghi proseguirono in rapporto con le medesime società e nel contesto di analoga politica gestionale (sul punto si rinvia in particolare alle pagine 115, 117 e 123-127 della motivazione di appello, nonché alle pagine 34, 35, 39 e, quindi, 42-44 della motivazione di primo grado con riferimento agli specifici rapporti commerciali). A fronte di una motivazione che illustra in modo coerente le ragioni della conferma del giudizio di responsabilità, così che va esclusa del tutto l’esistenza del vizio di carenza di motivazione ex art.606, lett.e) c.p,p., le censure si concentrano su argomenti concernenti la ricostruzione dei fatti e l’esistenza dei presupposti della qualificazione giuridica dei medesimi, che non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
 
7. Le violazioni previste dall’art.52, comma terzo e dall’art.53-bis del digs. 5 febbraio 1997, n.22.
 
7.1 – Esaminati nelle pagine che precedono i motivi relativi alla ricostruzione delle condotte illecite, la Corte rileva che nessun dubbio può sussistere circa l’esistenza dei presupposti della violazione prevista dal terzo comma del citato art.52, dal momento che risulta accertato che nei casi oggetto di contestazione i formulari contenevano informazioni sui prodotti trasportati difformi dal vero, né alcun dubbio può esistere circa la natura del reato a seguito del rinvio alle pene previste dall’art.483 del codice penale che comporta l’applicazione delle pene riservate ai delitti. I motivi di ricorso che censurano sul punto la sentenza di appello sono, dunque, palesemente privi di fondamento.
 
7.2 – I motivi concernenti l’art.53-bis del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 risultano manifestamente infondati. Una volta che il giudizio circa la sussistenza dei fatti ipotizzati e delle condotte contestate sia considerato immune dai vizi prospettati dai ricorrenti, nessun dubbio può sussistere in ordine alla coerenza e alla logicità della valutazione con cui i giudici di merito hanno ritenuto quei fatti e quelle condotte riconducibili alla fattispecie incriminatrice sotto il profilo della sistematicità delle condotte, della natura professionale dell’organizzazione posta in essere utilizzando società e impianti destinati al trattamento dei rifiuti, della abusività delle condotte, della ingente quantità dei rifiuti trattati in modo illecito, dell’esistenza di vantaggi per i gestori dei rifiuti e di una consapevole e orientata volontà degli stessi gestori del meccanismo fraudolento.
 
Sono, infatti, prive di fondamento le ipotesi interpretative proposte dai ricorrenti, secondo le quali il reato di organizzazione volta al traffico di rifiuti potrebbe essere integrato solo attraverso l’utilizzo di impianti privi di autorizzazione o agenti totalmente al di fuori del regime delle autorizzazioni, ben potendo una sistematica attività illecita essere agevolata sotto molteplici profili dalla utilizzazione di impianti forniti di autorizzazione. Altrettanto infondate le censure che farebbero derivare la insussistenza del reato dall’avvenuta assoluzione degli imputati dal reato previsto dall’art.416 c.p. La mancanza di prove circa l’esistenza del reato associativo non esclude affatto sul piano interpretativo e logico che risultino integrati gli estremi del reato ex art.53-bis, citato, il quale costituisce reato-fine rispetto all’ipotizzato, e poi escluso, vincolo associativo ex art.416 c.p. e conserva la propria autonomia sulla base di elementi, quali la struttura operativa e l’elemento soggettivo, che rispondono a criteri di chiarezza e completezza rispettosi del principio costituzionale di riserva di legge penale.
 
Su questi aspetti la Corte rinvia all’ampia motivazione della sentenza emessa il 3 Marzo 2011 nel procedimento Accarino e altri, potendosi limitare a richiamare in questa sede i soli passaggi motivazionali che affrontano il concetto di abusività:
“… Deve rilevarsi sul punto come questa Corte abbia già affermato che la legge non richiede che il traffico di rifiuti sia posto in essere mediante una struttura operante in modo esclusivamente illecito, ben potendo le attività criminose essere collocate in un contesto che comprende anche operazioni commerciali riguardanti i rifiuti che vengono svolte in modo lecito (Terza Sezione Penale, sentenza 15 dicembre 2010, Bonesi e altro). In altri termini, il delitto può essere integrato sia da una struttura operante in assenza di qualsiasi autorizzazione e con modalità del tutto contrarie alla legge sia da una struttura che includa stabilmente condotte illecite all ‘interno di un’attività svolta in presenza di autorizzazioni e, in parte, condotta senza altre violazioni. Ciò che rileva, infatti, è l’esistenza di “traffico” di rifiuti intenzionalmente sottratto ai canali leciti e l’inserimento all’interno di un percorso imprenditoriale ufficiale può divenire addirittura una scelta mirante a mascherare l’illecito all’interno di un contesto imprenditoriale manifesto e autorizzato. A tale conclusione consegue una considerazione ulteriore: la natura “abusiva” delle condotte non è esclusa dalla regolarità di una parte delle stesse allorché l’insieme delle condotte conduca ad un risultato di dissimulazione della realtà e comporti una destinazione dei rifiuti che non sarebbe stata consentita.”
 
Alla luce delle considerazioni che precedono la Corte ritiene che debbano qualificarsi come manifestamente infondate le censure che contestano la sussistenza dei presupposti del reato come ritenuto in sentenza.
 
Va, infatti, rilevato, che le sentenze di merito hanno offerto una ricostruzione dei fatti che include come “sistematiche” le operazioni condotte in frode alla normativa vigente e che quantifica in entità rilevantissime, e cioè in milioni di chilogrammi di rifiuti, il traffico svolto complessivamente ma anche quello posto in essere con i rifiuti relativi a singole aziende.
 
8. I motivi di ricorso in ordine alle responsabilità individuali
 
Quanto esposto in premessa circa i limiti del controllo di legittimità in ordine alla ricostruzione dei fatti e quanto esposto nelle pagine che precedono in ordine ai motivi concernenti le modalità di gestione dei rifiuti rendono manifestamente infondati i motivi di ricorso concernenti la responsabilità penale dei singoli ricorrenti.
 
La Corte di Appello ha puntualmente motivato le ragioni per cui, giudicato separatamente il personale che operava nelle aziende di stoccaggio alle dipendenze delle società ricorrenti, deve essere affermata la penale responsabilità degli amministratori delle società e di coloro che di fatto ne avevano la gestione e la supervisione. Non può certo ravvisarsi un vizio di manifesta illogicità nei passaggi motivazionali con cui la Corte di Appello effettua un collegamento fra la sistematicità delle violazioni e il loro protrarsi nel tempo, da un lato, e l’esistenza di un inevitabile interesse di coloro che avevano poteri decisionali sulla gestione delle società e da questa traevano. Tale collegamento non é motivato dalla Corte di Appello esclusivamente su basi logiche o con massime di esperienza, ma trova fondamento in elementi di fatto specifici, quali le circostanze ricordate alle pagine 107 e seguenti per il Sig.Giommi, e alle pagine 125 e seguenti per i Sig.Valle, Gardenal (di cui si è detto nell’esaminare il ricorso relativo alla gestione Ecoveneta) e Gottard.
 
Sussistono, dunque, i presupposti per dichiarare i motivi di ricorso sul punto manifestamente infondati.
 
9. La richiesta estinzione dei reati per prescrizione.
 
La dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi concernenti i profili processuali e di merito della sentenza impugnata impone di applicare alla presente decisione il principio in tema di decorrenza e maturazione dei termini prescrizionali fissato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che alla inammissibilità originaria del ricorso consegue la non rilevanza in questa sede dell’avvenuta maturazione dei termini massimi di prescrizione del reato in epoca successiva alla sentenza e impugnata (Cass., Sezioni Unite Penali, sentenza n.32 del 22 novembre-22 dicembre 2000,
rv217266; sentenza n.33542 del 27 giugno-11 settembre 2001, rv 219531; sentenza n.23428 del marzo-22 giugno 2005, rv 231164).
 
Non risultano, pertanto estinti, i reati contestati agli odierni ricorrenti, ivi compresi i fatti commessi fino al 31 dicembre 2002 in quanto, a prescindere da eventuali sospensioni disposte in corso di giudizio, il termine massimo per i delitti in esame alla luce delle interruzioni avvenute deve essere fissato di sette anni e sei mesi e matura alla data del 30 giugno 2010, data successiva alla pronuncia della sentenza di appello.
 
Una osservazione specifica deve essere dedicata al nono motivo proposto dalla soc.Nuova Esa. 
 
L’avvenuta dichiarazione di prescrizione in sede di merito dei reati contravvenzionali e la inammissibilità dei motivi relativi ai profili penali dichiarata in questa sede rende manifestamente infondata e inammissibile la censura che ha ad oggetto l’esistenza di pretesi vizi motivazionali in relazione ai reati dichiarati prescritti.
 
10. Le disposizioni civili
 
La dichiarata inammissibilità originaria dei ricorsi nella parte in cui afferiscono alle disposizioni penali comporta la inammissibilità di un intervento di questo giudice in ordine alle disposizioni civili impartite con le sentenze di merito. Spetterà, dunque, al giudice civile eventualmente investito della questione quantificare i danni conseguenti da reato, per i quali in sede penale è stata impartita una condanna generica nei confronti degli imputati e dei responsabili civili.
 
E’ in quella sede che le parti interessate potranno far valere gli argomenti introdotti col ricorso proposto dalla soc. Nuova Esa e con la discussione avanti questa Corte relativi alla rilevanza dell’art.5-bis della legge n.166 del 2009 rispetto allo stesso concetto di “danno ambientale”, quelli relativi all’incidenza dei nuovi parametri di liquidazione del danno e, infine, quelli relativi alla possibilità di applicare retroattivamente, e cioè a condotte esaurite integralmente sotto la vigenza del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22, la disciplina contenuta nella nuova formulazione degli artt.303-311 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152.
 
Pacifico, infine, che le disposizioni in tema di provvisionale non possono costituire oggetto di censura in sede di legittimità.
 
11. Alla dichiarata inammissibilità di tutti i motivi di ricorso consegue ex art.616 c.p.p. la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
 
12. Infine, nel rispetto del principio di soccombenza, i ricorrenti debbono essere condannati in solido alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, come da separati provvedimenti, nei termini che seguono: GIOMMI e la soc.NUOVA ESA in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1) Provincia di Venezia; 2) Provincia di Treviso; 3) Comune di Marcon; 4) Cittadini di Marcon come da elenco riportato nella sentenza impugnata; 5) Comitato Aria Pulita di Marcon; 6) WWF Ong; 7) L.I.P.U.; che liquida in euro 1.300,00 oltre accessori di legge per ciascuna delle parti sopra indicate difese dall’Avv. Zaffalon e in euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna delle parti restanti. Condanna VALLE, GOTTARD, GARDENAL e le società SERVIZI COSTIERI/SEAV e ECOVENETA in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1) Provincia di Venezia; 2) Comune di Venezia; 3) Provincia di Rovigo; 4) WWF Ong; che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna di loro.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
 
Condanna GIOMMI e la soc.NUOVA ESA in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1) Provincia di Venezia; 2) Provincia di Treviso; 3) Comune di Marcon; 4) Cittadini di Marron come da elenco riportato nella sentenza impugnata; 5) Comitato Aria Pulita di Marcon; 6) WWF Ong; 7) L.I.P.U.; che liquida in euro 1.300,00 oltre accessori di legge per ciascuna delle parti sopra indicate difese dall’Avv.Zaffalon e in euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna delle parti restanti. Condanna VALLE, GOTTARD, GARDENAL e le società SERVIZI COSTIERI/SEAV e ECOVENETA in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza sostenute nel grado dalle parti civili: 1) Provincia di Venezia; 2) Comune di Venezia; 3) Provincia di Rovigo; 4) WWF Ong; che liquida in euro 2.000,00 oltre accessori di legge per ciascuna di loro.
 
Così deciso in Roma il 19 Ottobre 2011
 

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!