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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 26587 | Data di udienza: 21 Aprile 2021

RIFIUTI – Natura permanente del reato di deposito incontrollato – Momento della cessazione della consumazione del reato – Sequestro preventivo dell’area – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Il silenzio dell’imputato – Garanzia processuale – Valutazione delle circostanze “aliunde” – Corte di cassazione – Valutazione del giudice di merito.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 22 Luglio 2021
Numero: 26587
Data di udienza: 21 Aprile 2021
Presidente: ANDREAZZA
Estensore: REYNAUD


Premassima

RIFIUTI – Natura permanente del reato di deposito incontrollato – Momento della cessazione della consumazione del reato – Sequestro preventivo dell’area – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Il silenzio dell’imputato – Garanzia processuale – Valutazione delle circostanze “aliunde” – Corte di cassazione – Valutazione del giudice di merito.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 22 luglio 2021 (Ud. 21/04/2021), Sentenza n.28429

 

 

RIFIUTI – Natura permanente del reato di deposito incontrollato – Momento della cessazione della consumazione del reato – Sequestro preventivo dell’area.

La contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti, prevista dal comma 2 dell’art. 256 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha natura permanente, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro.

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Il silenzio dell’imputato – Garanzia processuale – Valutazione delle circostanze “aliunde”.

In materia penale, è bene rilevare che il silenzio, garantito all’imputato come oggetto di un suo diritto processuale, non può essere utilizzato, in contrasto con tale garanzia, quale tacita confessione di colpevolezza. Ciò, però, non può comportare una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice sicché la convinzione di reità può legittimamente basarsi sulla valorizzazione in senso probatorio di idonei elementi in ordine ai quali il silenzio dell’imputato viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo, potendo il giudice trarne argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze “aliunde” acquisite, a fronte della rinuncia ad allegare fatti potenzialmente idonei a scagionarlo.

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Corte di cassazione – Valutazione del giudice di merito.

Alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti.

(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 04/06/2020 del TRIBUNALE DI RIETI) Pres. ANDREAZZA, Rel. REYNAUD, Ric. Conti


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 22/07/2021 (Ud. 21/04/2021), Sentenza n.28429

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Conti Dante, nato a Morro Reatino;

avverso la sentenza del 04/06/2020 del TRIBUNALE DI RIETI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;

lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo qualificarsi il ricorso come appello e trasmettersi gli atti alla competente Corte di appello per il giudizio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 giugno 2020, il Tribunale di Rieti ha condannato Dante Conti alla pena di 6.000 euro di ammenda in ordine al reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per aver depositato in modo incontrollato rifiuti speciali non pericolosi su un terreno di proprietà del padre e da lui ereditato in data prossima a quella di accertamento dei fatti.

2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – per essere la decisione fondata su indizi consistenti in mere congetture, non dotati di gravità, precisione e concordanza – ed il vizio di motivazione anche per omessa valutazione delle prove addotte dalla difesa.

In particolare, il giudice aveva dato credito alle dichiarazioni rese dall’ufficiale di polizia giudiziaria che ebbe a svolgere gli accertamenti circa la natura recente degli scarichi di rifiuti effettuati, benché le stesse fossero smentite dalle fotografie dei luoghi e rappresentassero mere valutazioni soggettive. Per contro, non erano state in alcun modo valutate – salvo un illogico accenno – le contrarie dichiarazioni rese dal consulente tecnico della difesa e si era illogicamente ritenuta non attendibile la deposizione del teste Renzi, erroneamente affermandosi che il medesimo aveva reso dichiarazioni diverse da quelle a suo tempo rilasciate ai sensi dell’art. 391 ter cod. proc. pen. Non erano inoltre state valutate le dichiarazioni rese dagli altri due testimoni a difesa.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. e vizio di motivazione per aver affermato – in base ad una mera presunzione, fondata su un giudizio di plausibilità, ma sconfessata dalle prove testimoniali addotte dalla difesa – che il padre dell’imputato non si occupasse in autonomia dei propri beni e dei propri affari e che tali attività fossero invece svolte da quest’ultimo. In violazione della presunzione di non colpevolezza si erano inoltre illogicamente tratti elementi di prova dal silenzio serbato dall’imputato nel processo, trascurando di considerare come questi, per il tramite della propria difesa e delle prove a discarico assunte, avesse prospettato e provato una alternativa ricostruzione dei fatti che avrebbe dovuto condurre a non ritenerne provata la responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Contrariamente a quanto ritenuto dal Procuratore generale, il ricorso non va ritenuto come proposto per saltum, con conseguente conversione in appello, ai sensi dell’art. 569, comma 3, cod. proc. pen., sul rilievo che è stato nella specie dedotto (anche) il vizio di motivazione. Ed invero, l’impugnazione proposta era l’unica consentita, non essendo appellabili le sentenze di condanna che abbiano applicato la sola pena pecuniaria dell’ammenda (art. 593, comma 3, cod. proc. pen.).

2. Ciò premesso, i due motivi di ricorso – da valutarsi unitariamente perché connessi – sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza, poiché la motivazione della sentenza impugnata non può dirsi manifestamente logica.

2.1. Ed invero, l’imputato è stato ritenuto responsabile nella sua qualità (non contestata) di amministratore unico della Conti Francesco Srl e la sentenza attesta come egli di fatto la gestisse, senza che in ricorso si contesti la circostanza.

Gli scarichi di rifiuti fatti oggetto di contestazione sono stati ritenuti anche di recente avvenuti e imputabili – per natura – all’attività edile da quest’ultima svolta, come pure i lavori di spianamento per la realizzazione di un piazzale, sicché non illogicamente sono stati accollati all’imputato piuttosto che al padre, deceduto all’età di 91 anni qualche mese prima dell’accertamento del reato, pur essendo sino al decesso il medesimo proprietario di quel terreno, poi ereditato dal figlio.

La non risalente natura, almeno in parte, degli scarichi – che la difesa dell’imputato avrebbe voluto addebitare alla responsabilità del deceduto genitore – è stata dal Tribunale ritenuta in base alle dichiarazioni rese dal teste Dante, unitamente a quelle dei testi Millesimi e Cioccoloni, i quali ebbero ad effettuare sopralluoghi nel momento di accertamento del reato attestando di come vi fossero anche scarichi recenti, sui quali ancora non era cresciuta la vegetazione.

Il giudice ha non illogicamente ritenuto che la conclusione non fosse inficiata dalle dichiarazioni rese, e dagli accertamenti svolti, dal consulente tecnico della difesa dott. Palmieri, la cui deposizione è stata valutata, come pure dalle dichiarazioni degli altri testimoni, parimenti valutate e ritenute non incompatibili con quelle dei testimoni d’accusa (ciò che vale per i testi Cani, Fejzulahi e Renzi, donde la genericità delle contestazioni al proposito mosse in ricorso).

Generico, poi, è il riferimento al fatto che il padre dell’imputato avrebbe quantomeno continuato a gestire i propri fondi sino a data prossima al decesso, ciò che, stante la ritenuta provenienza dei rifiuti dall’attività d’impresa dell’imputato, neppure specificamente contestata dal ricorrente, non escluderebbe comunque la responsabilità concorsuale di quest’ultimo nel reato ascritto.

2.2. L’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, dunque, è stata desunta dal giudice in base a indizi gravi, precisi e concordanti che la sentenza impugnata riepiloga, dandone una valutazione di merito che, in quanto
non manifestamente illogica, non può formare oggetto di censura in questa sede di legittimità.

Ed invero, alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Del resto, la contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti, prevista dal comma 2 dell’art. 256 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e nella specie ritenuta, ha natura permanente, la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l’eventuale sequestro (Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017, Paglia, Rv. 272632). Correttamente, quindi, il giudice individua quale momento della cessazione della consumazione del reato la data di intervenuto sequestro preventivo dell’area (16 maggio 2016), ben successiva al decesso del padre dell’imputato.

2.3. Infine, è bene rilevare che il silenzio, garantito all’imputato come oggetto di un suo diritto processuale, non può essere utilizzato, in contrasto con tale garanzia, quale tacita confessione di colpevolezza.

Ciò, però, non può comportare una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice sicché la convinzione di reità può legittimamente basarsi sulla valorizzazione in senso probatorio di idonei elementi in ordine ai quali il silenzio dell’imputato viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo (Sez. n. 3241 del 09/02/1996, Federici e a., Rv. 204546), potendo il giudice trarne argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze “aliunde” acquisite (Sez. 2, n. 6348 del 28/01/2015, Drago, Rv. 262617), a fronte della rinuncia ad allegare fatti potenzialmente idonei a scagionarlo (Sez. 6, n. 28008 del 19/06/2019, Arena, Rv. 276381).

Quanto al fatto che la alternativa versione sarebbe stata allegata dal difensore, basti ribadire come la stessa è adeguatamente vagliata, ed esclusa, dalla sentenza impugnata.

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 21 aprile 2021.

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