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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Aree protette, Danno ambientale, Diritto processuale penale, Fauna e Flora Numero: 10469 | Data di udienza: 30 Gennaio 2020

DANNO AMBIENTALE – Ecoreati – Integrazione del reato di inquinamento ambientale – Irreversibilità del danno – Necessità – Esclusione – Nozione di condotte di “deterioramento” (squilibrio strutturale) o “compromissione” (squilibrio funzionale) – Processi naturali incidente alla specificità della matrice o dell’ecosistema – FAUNA E FLORA – DANNO AMBIENTALE – AREE PROTETTE – Fattispecie: raccolta di corallo rosso – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Legittimità costituzionale dell’art. 452-bis c.p. – Questione manifestamente infondata – Principio di determinatezza della norma penale – Criterio di valutazione – Misure di sicurezza – Potenzialità criminale dell’indagato – Requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato – Condizioni – Giurisprudenza – Fattispecie: ecodelitti e danno ambientale causato dal prelievo di corallo rosso in area protetta.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Marzo 2020
Numero: 10469
Data di udienza: 30 Gennaio 2020
Presidente: RAMACCI
Estensore: REYNAUD


Premassima

DANNO AMBIENTALE – Ecoreati – Integrazione del reato di inquinamento ambientale – Irreversibilità del danno – Necessità – Esclusione – Nozione di condotte di “deterioramento” (squilibrio strutturale) o “compromissione” (squilibrio funzionale) – Processi naturali incidente alla specificità della matrice o dell’ecosistema – FAUNA E FLORA – DANNO AMBIENTALE – AREE PROTETTE – Fattispecie: raccolta di corallo rosso – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Legittimità costituzionale dell’art. 452-bis c.p. – Questione manifestamente infondata – Principio di determinatezza della norma penale – Criterio di valutazione – Misure di sicurezza – Potenzialità criminale dell’indagato – Requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato – Condizioni – Giurisprudenza – Fattispecie: ecodelitti e danno ambientale causato dal prelievo di corallo rosso in area protetta.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 23 Marzo 2020 (Ud. 30/01/2020), Sentenza n.10469

 

DANNO AMBIENTALE – Ecoreati – Integrazione del reato di inquinamento ambientale – Irreversibilità del danno – Necessità – Esclusione – Nozione di condotte di “deterioramento” (squilibrio strutturale) o “compromissione” (squilibrio funzionale) – Processi naturali incidente alla specificità della matrice o dell’ecosistema – FAUNA E FLORA – DANNO AMBIENTALE – AREE PROTETTE – Fattispecie: raccolta di corallo rosso.

Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 452 bis codice penale, non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale o dell’ecosistema che, nel caso del “deterioramento” o squilibrio strutturale, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare. Si è ulteriormente precisato che ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici.

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Legittimità costituzionale dell’art. 452-bis c.p. – Questione manifestamente infondata – Principio di determinatezza della norma penale – Criterio di valutazione – Fattispecie: eco-delitti e danno ambientale, prelievo di corallo rosso in area protetta.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 452-bis cod. pen. (inquinamento ambientale) in quanto gli elementi costitutivi della fattispecie rimandano a un fatto descritto in maniera sufficientemente precisa, ciò che consente di ritenere rispettato il vincolo imposto dall’art. 25, secondo comma, Cost. nella descrizione dell’illecito penale. Pertanto, la verifica del rispetto del principio di determinatezza della norma penale va condotta non già valutando isolatamente singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce. In particolare, l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero […] di clausole generali o concetti “elastici”, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo.

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure di sicurezza – Potenzialità criminale dell’indagato – Requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato – Condizioni – Giurisprudenza.

Il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidivanza al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare. La continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, dunque, va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare.

(riforma con rinvio ordinanza del 03/10/2019 del TRIBUNALE DI SALERNO) Pres. RAMACCI, Rel. REYNAUD, Ric. Forchetta


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 23 Marzo 2020 (Ud. 30/01/2020), Sentenza n.10469

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Forchetta Antonio, nato a Napoli;

avverso l’ordinanza del 03/10/2019 del TRIBUNALE DI SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’avv. Antonio Garofalo, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3 ottobre 2019, il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di Antonio Forchetta avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare dell’obbligo di dimora per un fatto di compromissione e deterioramento dell’ecosistema marino di un’area naturale dichiarata Zona di Protezione Speciale in comune di Praiano, commesso nel maggio 2018 in concorso con altre persone e ricondotto al delitto di cui all’art. 452 bis, primo comma, n. 2), ed ultimo comma cod. pen.

In particolare, l’ipotesi di accusa si riferisce alla pesca abusiva, con metodo di raccolta distruttivo del substrato roccioso, di circa 700 grammi di corallo rosso Mediterraneo (Corallium rubrum).

2. Avverso l’ordinanza, a mezzo del difensore ha proposto ricorso per cassazione il suddetto indagato deducendo, con il primo motivo, il vizio di motivazione per essere stata applicata la misura cautelare a distanza di oltre un anno dai fatti contestati, in difetto dei requisiti di concretezza ed attualità del pericolo e senza tener conto del fatto che l’attività di pesca del corallo era stata effettuata con le necessarie autorizzazioni, prodotte in atti.

3. Con ulteriore motivo si allega che difetterebbero, in ogni caso, gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 452 bis cod. pen. non potendo sostenersi che il modesto prelievo di corallo rosso nella specie ipotizzato integri gli estremi di quella compromissione o deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino richiesti per l’integrazione del reato, essendo piuttosto nella specie applicabile il regime sanzionatorio previsto dal d.m. 21 dicembre 2018 per il caso di pesca del corallo in assenza di licenza.

4. Con l’ultimo motivo si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 452 bis cod. pen., per contrasto con gli artt. 25 Cost. e 7 C.E.D.U., stante la violazione del principio di tassatività e determinatezza della fattispecie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Premesso che il ricorrente non contesta la gravità indiziaria circa la sua partecipazione all’episodio di pesca abusiva di 700 gr. di corallo rosso Mediterraneo avvenuta il 26 maggio 2018 in concorso con altre persone, ed in particolare con il figlio Fabio Alfonso e con Fabrizio Di Venere – i quali procedettero materialmente all’immersione nell’area protetta ed effettuarono l’illecito prelievo – rileva innanzitutto il Collegio che il secondo motivo di ricorso va ritenuto infondato, avendo i giudici del merito cautelare correttamente ricondotto il fatto al delitto di cui all’art. 452 bis cod. pen.

Deve al proposito osservarsi come, sin dalle prime applicazioni giurisprudenziali della fattispecie criminosa in esame, questa Corte abbia riconosciuto che la “compromissione” e il “deterioramento” di cui al nuovo delitto di inquinamento ambientale consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268059).

Ai fini dell’integrazione del reato non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274), essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269489). Si è ulteriormente precisato che ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melina, Rv. 273566).

1.1. Nel caso di specie, pacifica essendo l’abusività della condotta – non avendo gli indagati, all’epoca del fatto, le necessarie autorizzazioni (del tutto generico è il contrario, ed immotivato, rilievo contenuto in ricorso) ed essendo la pesca avvenuta, peraltro in area protetta, con modalità vietate, in particolare con metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso – l’ordinanza impugnata attesta esservi stata una consulenza che, con riguardo al sequestro del corallo di circa 700 gr. oggetto dell’unica contestazione mossa all’odierno ricorrente, ha accertato «una attività di raccolta distruttiva massiva delle colonie e nei confronti dell’habitat protetto», con «un danno ambientale ed ecologico considerevole, sia a livello di specie che a livello di habitat».

Si aggiunge che il danno da rimozione appare tanto più significativo considerando che «l’accrescimento e lungo ciclo vitale richiederà almeno 40-50 anni in assenza di raccolta o altri impatti prima che si raggiungano condizioni analoghe a quelle distrutte dalle attività di prelievo» e «il danno ambientale determinerà per i decenni a venire una riduzione del capitale naturale e dei beni e servizi eco sistemici ad esso connessi».

Va inoltre ricordato che, come si legge nella provvisoria imputazione, la pesca abusiva di Corallium rubrum, specie importante dell’habitat coralligeno, classificato come “prioritario per la conservazione” e inserito nella lista IUCN (International Union for Conservation on Nature) come “specie a rischio di estinzione” e di interesse comunitario ai sensi dell’allegato V Direttiva CE 92/43, avente, altresì, il ruolo di “ingegnere ecosistemico di lungo corso”, ha interessato l’area marina protetta, in comune di Praiano, rientrante nella ZPS IT8030011 denominata “Fondali marini di Punta Campanella e Capri”.

Le considerazioni tecniche sviluppate nella citata consulenza – non specificamente contestate – sono dunque certamente sufficienti, nella presente fase cautelare, a far ritenere integrato il fumus di sussistenza del reato ascritto.

1.1. Quanto alla doglianza concernente la riconducibilità delle condotte al regolamento citato in ricorso – che non è decreto ministeriale, ma decreto direttoriale emesso dal direttore generale del Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo: decreto direttoriale n. 26287 del 21 dicembre 2018, recante Adozione del Piano nazionale di gestione per la raccolta del corallo rosso (Corallium rubrum) nelle acque marine del territorio nazionale – il citato provvedimento normativo, all’Allegato A, prevede che «salvo che il fatto non costituisca più grave reato, i trasgressori alle disposizioni del presente decreto saranno sanzionati ai sensi del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4; nonché ai sensi delle vigenti norme nazionali in materia di sicurezza della navigazione marittima, di tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, ovvero di disciplina della pesca subacquea professionale».

Al di là dell’assoluta genericità del richiamo fatto in ricorso a tale regolamento, la disciplina citata, pur richiamando le sanzioni previste dal d.lgs. 4/2012, fa dunque salve le disposizioni che prevedano più gravi reati, e non potrebbe essere altrimenti non essendo ovviamente ammissibile che una norma di fonte regolamentare – peraltro, un decreto direttoriale – possa incidere sul campo di applicazione delle disposizioni penali contenute in una legge dello Stato.

Analoga clausola di riserva è prevista nel richiamato decreto legislativo.

Ed invero, il d.lgs. n 4 del 2012 (recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”), si propone la finalità di provvedere al «riordino, al coordinamento ed all’integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura» (art. 1).

A tal fine, il capo I disciplina l’attività di pesca e di acquacoltura” in tutti gli ambiti in cui essa si declina (pesca professionale, acquacoltura, impresa ittica, pesca non professionale), mentre il capo II, dedicato alle “Sanzioni”, prevede, agli artt. 7 e 10, una serie di divieti (al dichiarato fine di «tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale»), la cui violazione è sanzionata, rispettivamente, come mera contravvenzione o illecito amministrativo, dai successivi artt. 8 e 11, i quali, tuttavia, sono definiti applicabili «salvo che il fatto costituisca più grave reato» (art. 8, comma 1) ovvero «salvo che il fatto costituisca reato» (art. 11, comma 1).

L’eventuale concorso di norme, dunque, è risolto dalle citate clausole dì sussidiarietà espressa e non v’è pertanto dubbio circa l’applicabilità della fattispecie delittuosa prevista dall’art. 452 bis cod. pen., che, peraltro, incrimina fatti nemmeno sussumibili nella violazione dei divieti elencati dagli artt. 7 e 10 d.lgs. n. 4 del 2012, sì da essere in ogni caso speciale rispetto a questi.

2. Quanto all’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 452 bis cod. pen., la stessa – oltre che nella specie irrilevante, giusta quanto più oltre si dirà sub §. 3, è manifestamente infondata.

2.1. Per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la verifica del rispetto del principio di determinatezza della norma penale va condotta non già valutando isolatamente singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce.

In particolare, «l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero […] di clausole generali o concetti “elastici”, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo» (Corte cost., sent. n. 5 del 2004; in senso analogo, ex plurimis, sentt. n. 327 del 2008, n. 34 del 1995, n. 122 del 1993, n. 247 del 1989; ordd. n. 395 del 2005, n. 302 e n. 80 del 2004).

2.2. Ciò premesso, reputa il Collegio che la fattispecie in esame non confligga con l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto le espressioni impiegate dal legislatore appaiono sufficientemente univoche nella descrizione del fatto vietato, che, essendo modellato come reato di evento a forma libera, contempla le condotte di “compromissione” e di “deterioramento” – sostanzialmente analoghe, ed in parte addirittura identiche (ci si riferisce al deterioramento), a quelle tradizionalmente descritte con riguardo al delitto di danneggiamento di cui all’art. 635 cod. pen. – ed in relazione alle quali la giurisprudenza di questa Corte ha fornito un’interpretazione uniforme e costante, nel senso dinanzi indicato sub §• 1.

Diversamente da quanto opinato dal ricorrente, poi, l’impiego di aggettivi riferiti a quegli eventi, alternativamente previsti dalla norma, quali “significativi” e “misurabili”, pone dei vincoli, qualitativi e di accertamento, all’offesa penalmente rilevante.

Vincoli che delimitano il campo di applicazione della fattispecie in termini, per un verso, di gravità – il che comporta un restringimento del perimetro della tipicità, da cui sono estromessi eventi che non incidano in maniera apprezzabile sul bene protetto – e, per altro verso, di verificabilità, da compiersi sulla base di dati oggettivi, e quindi controllabili e confutabili.

Parimenti preciso è l’oggetto della condotta, che deve aggredire o le matrici ambientali (acque, aria, porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo), ovvero un ecosistema o una biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Ne segue, che, gli elementi costitutivi della fattispecie rimandano a un fatto descritto in maniera sufficientemente precisa, ciò che consente di ritenere rispettato il vincolo imposto dall’art. 25, secondo comma, Cost. nella descrizione dell’illecito penale.

3. Il ricorso è invece fondato con riguardo alla doglianza concernente la sussistenza delle esigenze cautelari, nella specie ravvisate con riguardo al pericolo di reiterazione della condotta criminosa.

Al proposito, osserva il Collegio che va qui ribadito l’orientamento secondo cui, poiché l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale, non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie (Sez. 3, n. 34154 del 24/04/2018, Ruggerini, Rv. 273674; Sez. 6, n. 24477 del 04/05/2016, Sanzogni e a., Rv. 267091; Sez. 6, n. 24476 del 04/05/2016, Tramannoni, Rv. 266999).

Tale prevedibilità, tuttavia, non dev’essere oltre misura enfatizzata, essendosi condivisibilmente osservato che la previsione di una “specifica occasione” per delinquere esula dalle facoltà del giudice (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216; Sez. 2, n. 53645 del 08/09/2016, Lucà, Rv. 268977).

L’attualità, piuttosto, deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi (Sez. 6, n. 24779 del 10/05/2016, Rando, Rv. 267830).

E’ necessario e sufficiente, allora, formulare una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, purché fondata su elementi concreti, quali la personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, e l’esame delle sue concrete condizioni di vita (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684; Sez. 2, n. 47891 del 07/09/2016, Vicini e aa., Rv. 268366; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508).

Tra i concreti elementi da prendere in considerazione per tale valutazione v’è poi certamente quello, previsto dall’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., «del tempo trascorso dalla commissione del reato».

Anche alla luce di questa risalente previsione di carattere generale, la legge 16 aprile 2015, n. 47, introducendo nell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidivanza al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare (Sez. 5, n. 43083 del 24/09/2015, Maio, Rv. 264902).

La continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, dunque, va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (Sez. 2, n. 18744 del 14/04/2016, Foti, Rv. 266946; Sez. 2, n. 26093 del 31/03/2016, Centineo, Rv. 267264; Sez. 6, n. 15978 del 27/11/2015, dep. 2016, Garrone, Rv. 266988).

3.1. Nel caso di specie, il tribunale reputa che le modalità di esecuzione della condotta criminosa descritte nell’ordinanza siano «indicative di una propensione tutt’altro che occasionale alla commissione di delitti contro l’ambiente» ed esclude l’ipotesi di «una spontanea interruzione dell’attività criminosa da parte del ricorrente (rivelatosi completamente incapace di tenere a freno i suoi impulsi criminali)».

L’affermazione, reputa il Collegio, è manifestamente illogica e non supportata dalla ricostruzione del fatto e della personalità dell’indagato operate nell’ordinanza, nella quale si dà atto che Antonio Forchetta ha partecipato ad uno solo degli episodì di illecito prelievo di corallo, provvedendo, dal porto di Salerno, a segnalare telefonicamente al figlio – che si trovava in mare, in compagnia degli altri complici – i movimenti della Guardia costiera e delle forze di polizia, essendo certamente consapevole del reato che questi aveva in animo di compiere.

Dalla ricostruzione dell’indagine effettuata nell’ordinanza emerge che al figlio ed agli altri suoi altri complici furono contestati ulteriori episodi di illecita pesca del corallo, ma in nessuno di questi risultò coinvolto l’odierno indagato, sicché l’argomentazione sulla non occasionalità della condotta – non altrimenti giustificata – su cui l’ordinanza fonda la concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione del reato non appare logica.

Né la stessa può fondarsi sulla considerazione della condotta antecedente e successiva all’unico reato ipotizzato nei confronti di Antonio Forchetta: l’ordinanza dà atto che questi ha un solo precedente penale per delitto di diversa specie (art. 642 cod. pen.) e non risultano, appunto, ulteriori addebiti nel non breve lasso di tempo trascorso tra il fatto (del 26 maggio 2018) e l’ordinanza applicativa di misura, resa oltre quindici mesi dopo (il 2 settembre 2019).

Né soccorrono gli ulteriori argomenti – del tutto generici e logicamente scollegati rispetto al ruolo svolto da Antonio Forchetta nel caso di specie – spesi nell’ordinanza circa la “conoscenza delle dinamiche dell’agire illecito nel settore in esame” o la “perfetta conoscenza dei luoghi da depredare, dei canali di illecita distribuzione cui dirottare il bene depredato, dei luoghi ove acquisire la disponibilità del corallo da commercializzare e smistare illecitamente”: dalle conversazioni intercettate riportate nell’ordinanza non risulta che Antonio Forchetta abbia partecipato, in barca, ad illecite battute di pesca, né che abbia mai avuto contatti con i soggetti ai quali il figlio ed i suoi complici vendevano il corallo.

Quanto al “forte interesse manifestato per la sorte del corallo prelevato in quella occasione” – alludendosi alle conversazioni telefoniche intercorse tra lui e Fabrizio Di Venere dopo che quest’ultimo era riuscito a fuggire dalla barca, controllata dalla Polizia, portando con sé il corallo appena pescato e venendo braccato dalla polizia – osserva il Collegio come, da un lato, si tratti di circostanze che comprovano soltanto la dolosa partecipazione del ricorrente all’unico episodio illecito a lui contestato e, d’altro lato, come dagli elementi di indagine riportati emerga semmai che lo stesso non fosse così determinato a conseguire l’illecito profitto, se è vero che, a fronte delle difficoltà nella fuga palesategli dal Di Venere, nell’intercettazione prog. n. 208, egli suggerisce a quest’ultimo di “buttare” la roba.

4. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Salerno.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Salerno.

Così deciso il 30 gennaio 2020.

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