Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Fauna e Flora,
Maltrattamento animali
Numero: 8676 |
Data di udienza: 16 Luglio 2013
MALTRATTAMENTO ANIMALI – FAUNA E FLORA – Tutela degli animali – Reato di abbandono di animali – Requisiti per la configurabilità e concetto di gravità della sofferenza – Art. 727 cod. pen. – L. n. 189/04 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sindacato di legittimità e concetto di illogicità manifesta – Nozione di contraddittorietà della motivazione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Febbraio 2014
Numero: 8676
Data di udienza: 16 Luglio 2013
Presidente: Squassoni
Estensore: Grillo
Premassima
MALTRATTAMENTO ANIMALI – FAUNA E FLORA – Tutela degli animali – Reato di abbandono di animali – Requisiti per la configurabilità e concetto di gravità della sofferenza – Art. 727 cod. pen. – L. n. 189/04 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sindacato di legittimità e concetto di illogicità manifesta – Nozione di contraddittorietà della motivazione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 24 Febbraio 2014 (Ud. 16/07/2013), Sentenza n. 8676
MALTRATTAMENTO ANIMALI – FAUNA E FLORA – Tutela degli animali – Reato di abbandono di animali – Requisiti per la configurabilità e concetto di gravità della sofferenza – Art. 727 cod. pen. – L. n. 189/04.
Il reato di abbandono di animali comprende non solo tutti quei comportamenti dell’uomo che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore (Cass. Sez. 3^ 22.11.2012 n. 49298, Tomat; idem 7.11.2007 n. 44287, Belloni Pasquinelli). La novella di cui alla L. n. 189/04, richiede ai fini della integrazione della fattispecie non solo che le condizioni di custodia dell’animale appaiano incompatibili con la natura dello stesso, ma che tali condizioni siano produttive di gravi sofferenze per l’animale. E se è innegabilmente vero che il concetto di gravità della sofferenza necessario per la condotta prevista dall’art. 727 cod. pen. è diverso dal concetto di grave danno alla salute (dell’animale) contemplato nell’art. 544 ter cod. pen., è comunque indispensabile che le sofferenze cui gli animali mal custoditi dovessero essere sottoposti debbano raggiungere un livello tale da rendere assolutamente inconciliabile la condizione in cui vengono tenuti con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere. Tale giudizio va espresso con riferimento alle situazioni contingenti, essendo evidente che una temporanea situazione di disagio dell’animale non può essere confusa con la situazione contra legem enunciata dal comma 2° dell’art. 727.
(riforma sentenza n. 11968/2010 TRIBUNALE di MILANO, del 11/10/2011) Pres. Squassoni, Est. Grillo, Ric. Abbondandolo
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sindacato di legittimità e concetto di illogicità manifesta – Nozione di contraddittorietà della motivazione.
Il concetto di illogicità manifesta presuppone una incoerenza palese percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3^ 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016). La nozione di contraddittorietà implica una affermazione o un ragionamento uguale e contrario rispetto ad altro vertente sul medesimo punto: tale vizio, introdotto dalla L. 46/06, si manifesta sotto forma di incongruenza interna tra lo svolgimento del processo e la decisione, atteggiandosi, quindi, come una sorta di contraddittorietà “processuale” in contrapposizione alla contraddittorietà “logica” che è intrinseca al testo del provvedimento. Più in generale si parla di contraddittorietà della motivazione quando essa non sia adeguata in quanto non permette un agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova (così Sez. 6^ 14.1.2010 n. 7651 P.G. in proc. Mannino). In ultima analisi il vizio in questione di sostanzia “nell’incompatibilità tra l’informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l’informazione sul medesimo punto esistente in atti (si afferma ciò che si nega e si nega ciò che è affermato” (Cass. Sez. 3^ 21.11.2010 n. 12110, Campanella e altro), deve anche in questo caso trattarsi di vizio che deve (al pari della manifesta illogicità) risultare dal testo del provvedimento impugnato.
(riforma sentenza n. 11968/2010 TRIBUNALE di MILANO, del 11/10/2011) Pres. Squassoni, Est. Grillo, Ric. Abbondandolo
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 24 Febbraio 2014 (Ud. 16/07/2013), Sentenza n. 8676
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI – Presidente
Dott. RENATO GRILLO – Consigliere Rel.
Dott. GIULIO SARNO – Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da ABBONDANDOLO MICHELE N. IL 04/07/1962
avverso la sentenza n. 11968/2010 TRIBUNALE di MILANO, del 11/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/07/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.F. Salzano che ha concluso per il rigetto
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza dell’11 ottobre 2011 il Tribunale di Milano dichiarava ABBONDANDOLO Michele, imputato dei reati di cui all’art. 544 ter cod. pen. (capo A) della rubrica – reato commesso il 21 luglio 2008) ed all’art. 659 cod. pen. (capo B) della rubrica), colpevole del diverso reato di cui all’art. 727 cod. pen., così riqualificata l’originaria imputazione di cui al capo A), condannandolo alla pena di € 5.000,00 di ammenda e disponendo la confisca degli animali in sequestro con affidamento alla A.S.L. di Milano attuale custode; dichiarava non doversi procedere in ordine alla imputazione di cui al capo B) per oblazione.
1.2 D Tribunale, all’esito di una complessa istruttoria dibattimentale che aveva visto l’iniziale declaratoria di inammissibilità della costituzione di parte civile dell’associazione OIPA per non tempestività della costituzione, aveva riqualificato l’originaria imputazione per il delitto di maltrattamento di animali nel meno grave reato contravvenzionale di abbandono di animali ex art. 727, comma 2° cod. pen., ritenendo non configurabile nella specie l’elemento soggettivo tipico della fattispecie delittuosa (dolo).
1.3 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato personalmente con articolati motivi che qui di seguito si sintetizzano: a) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione della responsabilità per il ritenuto reato di abbandono di animali, rilevando che il compendio probatorio emerso avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad escludere il reato sia per quanto riguarda il supposto stato di abbandono dei numerosi cani che stazionavano nel suo appartamento, sia per quanto riguarda un altrettanto cospicuo numero di mici nient’affatto trascurati come prospettato dall’accusa; b) manifesta illogicità in ordine alla mancata acquisizione di prove decisive compendiate nelle numerose memorie difensive mai prese in considerazione dal giudice; c) omessa motivazione in ordine alla disposta inapplicabilità dell’oblazione richiesta anche per il reato di cui al capo A) nella nuova riqualificazione data dal Tribunale; d) omessa motivazione, e comunque, sua contraddittorietà e manifesta illogicità con riferimento al diniego della riapertura dell’istruzione dibattimentale; e) omessa motivazione ed illogicità manifesta in punto di disposta confisca degli animali, in quanto illegittima ed in violazione di legge.
1.4 Con memoria tempestivamente e ritualmente depositata, il ricorrente ha richiesto il rinvio dell’odierna udienza rilevando come dagli atti trasmessi a seguito del proposto ricorso di legittimità mancassero numerosi documenti prodotti ritualmente che avrebbero dovuto formare parte integrante del fascicolo processuale (si trattava delle numerose denunzie medio tempore presentate nei riguardi un teste – tale ROSSIN Adelmo – per i reati di falsa testimonianza, falso in atto pubblico e calunnia, a suo tempo trasmesse al Tribunale di Milano competente per il giudizio di primo grado). Contestualmente il ricorrente ha ricusato il difensore di ufficio nominatogli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.
2. Sembra utile al Collegio, per un corretto esame delle numerose censure formulate dal ricorrente, riepilogare per estrema sintesi la vicenda per cui è processo.
2.1 Secondo la ricostruzione fattuale operata dal giudice milanese, a seguito di una denuncia a firma di tale BOLLANI Chiara con la quale era stata segnalato il disturbo alle occupazioni ed al riposo dei condomini di un edificio in conseguenza della condotta dell’ABBONDADOLO (occupante di un appartamento dello stabile al cui interno erano ospitati numerosi cani di razza bulldog e numerosi mici) per il frastuono cagionato dagli animali e per i cattivi odori provenienti dall’appartamento che li ospitava, erano intervenute le guardie zoofile del Comune unitamente ai carabinieri.
2.2 L’accesso della P.G. consentiva di accertare che all’interno dell’appartamento, esteso circa 100 mq. abitato dall’odierno ricorrente e sovrastante quello della BOLLANI, si trovavano quattordici gatti, dei quali sette cuccioli, e nove cani adulti di razza bulldog, uno dei quali in stato di gravidanza: i cani erano tenuti a due a due nelle varie stanze dell’appartamento separati da reti o altri oggetti in funzione di divisori, con ventilatori posti nelle vicinanze per arieggiare gli ambienti, mentre i mici erano liberi di circolare nell’appartamento. Il cattivo odore proveniva dagli escrementi degli animali, mentre le finestre delle varie stanze erano ermeticamente chiuse. In seguito a tale sopralluogo si procedeva al sequestro degli animali ed alla loro sottoposizione a visita che consentiva di appurare che i cani mostravano segni di carenza e paura a muoversi in ambienti esterni, mentre ancora più gravi erano le carenze igieniche dei gatti, soprattutto i cuccioli.
2.3 Sottoposti gli animali ad accertamenti clinici più approfonditi, era stata redatta da parte di uno dei veterinari dell’ASL di Milano una relazione sullo stato di salute tanto dei cani quanto dei gatti, trasmessa al P.M. officiato delle indagini. Da quanto riferito nella relazione, sia i gatti che i cani erano in sufficiente stato di nutrizione (soltanto i mici cuccioli avevano uno stato nutrizionale appena sufficiente). I gatti cuccioli erano affetti da infiammazioni alle prime vie respiratorie, mentre i gatti adulti manifestavano problemi neurologici ed oculari. In migliore stato le condizioni dei cani, anche se alcuni di essi presentavano una situazione di abnorme lunghezza delle unghie; alcuni dei cani erano affetti da esiti di otite; altri da dermatite o congiuntivite. Dopo il sequestro i cani erano stati trasferiti al presidio veterinario dell’ASL, e successivamente alcuni di essi provvisoriamente assegnati in affido a privati cittadini. L’ABBONDANDOLO rinunciava alla proprietà dei gatti, mentre chiedeva il dissequestro dei cani che veniva rigettato, attese le condizioni in cui si trovavano gli animali e la ritenuta inidoneità dell’ABBONDANDOLO a prendersi cura di essi.
2.4 Sulla base di tali premesse e anche delle risultanze derivanti dalle varie relazioni veterinarie, oltre che dai rilievi fotografici e dai filmati acquisiti, il Tribunale aveva ritenuto fondate le accuse (anche se ridimensionate quanto alla natura del reato) e disatteso le giustificazioni offerte dall’ABBONDANDOLO oltre che le sue molteplici accuse di falsità delle dichiarazioni testimoniali e di non autenticità delle fotografie ritraenti gli animali ed il loro stato di salute al momento del sequestro.
2.5 Tanto precisato quanto al fatto storico, appare fondata la censura principale relativa alla manifesta illogicità e/o contraddittorietà della decisione nel suo complesso.
2.6 Il concetto di illogicità manifesta presuppone una incoerenza palese percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3^ 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016). La nozione di contraddittorietà implica una affermazione o un ragionamento uguale e contrario rispetto ad altro vertente sul medesimo punto: tale vizio, introdotto dalla L. 46/06, si manifesta sotto forma di incongruenza interna tra lo svolgimento del processo e la decisione, atteggiandosi, quindi, come una sorta di contraddittorietà “processuale” in contrapposizione alla contraddittorietà “logica” che è intrinseca al testo del provvedimento. Più in generale si parla di contraddittorietà della motivazione quando essa non sia adeguata in quanto non permette un agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova (così Sez. 6^ 14.1.2010 n. 7651 P.G. in proc. Mannino, Rv. 246172). In ultima analisi il vizio in questione di sostanzia “nell’incompatibilità tra l’informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l’informazione sul medesimo punto esistente in atti (si afferma ciò che si nega e si nega ciò che è affermato” (in termini Sez. 3^ 21.11.2010 n. 12110, Campanella e altro, Rv. 243247).deve anche in questo caso trattarsi di vizio che deve (al pari della manifesta illogicità) risultare dal testo del provvedimento impugnato.
2.7 Tali essendo le regole generali di valutazione della motivazione nell’ambito del giudizio di cassazione, osserva il Collegio che nel caso in esame sussistono entrambi i vizi denunciati.
3. Come precisato nella sentenza impugnata, il fatto originariamente contestato all’ABBONDANDOLO in termini di maltrattamento di animali, è stato qualificato nella diversa condotta del reato di abbandono di animali come configurata nel comma 2° dell’art. 727 cod. pen. Se può considerarsi corretta – come riconosciuto dallo stesso ricorrente – la decisione del Tribunale di escludere nel caso in esame la configurabilità del delitto di maltrattamento di animali, risultando carenti i presupposti richiesti dalla norma incriminatrice, non altrettanto esatta si rivela la decisione impugnata nella parte in cui ritiene di ravvisare nella condotta in concreto tenuta dall’odierno ricorrente gli estremi della (meno grave) fattispecie contravvenzionale.
3.1 Come ribadito da un uniforme indirizzo di questa Corte Suprema, il reato di abbandono di animali comprende non solo tutti quei comportamenti dell’uomo che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore (Sez. 3^ 22.11.2012 n. 49298, Tomat. Rv. 253882; idem 7.11.2007 n. 44287, Belloni Pasquinelli, Rv. 238280).
3.2 Tuttavia la norma incriminatrice, dopo la novella di cui alla L. n. 189/04, richiede ai fini della integrazione della fattispecie non solo che le condizioni di custodia dell’animale appaiano incompatibili con la natura dello stesso, ma che tali condizioni siano produttive di gravi sofferenze per l’animale. E se è innegabilmente vero che il concetto di gravità della sofferenza necessario per la condotta prevista dall’art. 727 cod. pen. è diverso dal concetto di grave danno alla salute (dell’animale) contemplato nell’art. 544 ter cod. pen., è comunque indispensabile che le sofferenze cui gli animali mal custoditi dovessero essere sottoposti debbano raggiungere un livello tale da rendere assolutamente inconciliabile la condizione in cui vengono tenuti con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere. Tale giudizio va espresso con riferimento alle situazioni contingenti, essendo evidente che una temporanea situazione di disagio dell’animale non può essere confusa con la situazione contra legem enunciata dal comma 2° dell’art. 727 citato.
3.3 Si legge nella sentenza (pag. 13) che si è accertato che “le condizioni in cui gli animali vivevano per esiguità di spazio e precarie condizioni igieniche erano inconciliabili con la loro natura e tali da arrecare loro gravi sofferenze”. Prosegue il Tribunale, affermando che “ciò è emerso in modo rilevante per i 14 gatti rinvenuti nell’appartamento questione che non erano liberi di uscire e vivevano a contato con i cani in una situazione di totale promiscuità e per alcuni dei cani che avendo le unghia molto lunghe evidentemente non venivano fatti uscire per le necessarie passeggiate”. Il Tribunale conclude affermando che “le sofferenze patite dagli animali emergono in re ipsa dal fatto che in un appartamento di poco più di 100 mt. Quadri venissero tenuti giorno e notte 9 cani e 14 gatti; dal fatto che gli stessi animali non avessero la possibilità di uscire e venissero tenuti in condizioni igieniche precarie, come testimoniato dal cattivo odore che fuoriusciva dall’appartamento di cui tutti i testi presenti al sopralluogo hanno parlato” (pag. 13 citata).
3.4 La illogicità della decisione si coglie leggendo alcune pagine precedenti in cui si dà atto: 1) che i cani erano stati custoditi, dopo il sequestro, nel canile comunale di Via Lombroso, non adatto alle loro condizioni fisiche in quanto la razza bulldog inglese soffre particolarmente il caldo; 2) che i cani erano stati consegnati al canile di cui sopra nei primi quindici giorni di agosto con la conseguenza che una tale situazione – diversa da quella constatata all’atto del sequestro – aveva inciso negativamente sulle loro condizioni di salute che si erano, per ciò, aggravate; 3) che all’ABBONDANDOLO non potevano addebitarsi né le condizioni di salute negative dei cani quando erano stati ricoverati nel canile municipale, né la morte di uno di essi stante la mancanza di priva del nesso di causalità tra l’evento morte e la mancata somministrazione di cure da parte dell’ABBONDANDOLO. (pag. 10 della sentenza).
3.5 Si legge, ancora, nella decisione impugnata che i gatti adulti erano “in buono stato di nutrizione” mentre i cuccioli erano “appena nutriti”; erano esenti da parassiti esterni (pulci, zecche et similia); che alcuni cuccioli presentavano sintomi di rino-tracheite e congiuntivite; che alcuni esemplari presentavano disturbi neurologici e oculari; che anche i nove cani erano in buono stato di nutrizione e privi di parassiti; che tutti erano dotati di microchip e vaccinati contro la filaria e che alcuni dei detti animali presentavano un ipoconsumo ungueale tipico dell’animale che non viene portato a passeggio; che alcuni erano affetti da dermatite (malattia tipica del bulldog); altri presentavano sospetti esiti di otiti o alopecia o congiuntivite (pag. 7 della sentenza).
3.6 Si legge, infine, che i cani erano tenuti a due a due nelle varie stanze, separati da reti o da oggetti che fungevano da divisori; che vi erano dei ventilatori posti nelle vicinanze e che i mici circolavano liberi nell’appartamento (pag. 6).
3.7 Il ricorrente ha allegato al ricorso una serie di fotografie ritraenti le condizioni degli animali e la situazione ambientale dell’appartamento, ivi compresa la presenza dei ventilatori per arieggiare gli ambienti, ribadendo poi che la particolare razza bulldog inglese soffriva decisamente il calco, sicchè non solo i vari ambienti venivano rinfrescati con gli appositi ventilatori, ma le imposte – nelle ore del giorno – venivano tenute chiuse per non far filtrare il sole. Ha precisato l’ABBONDANDOLO – come ricordato nella sentenza impugnata – che, essendo egli un allevatore e titolare di una azienda agricola, aveva modo di ospitare i cani anche in altri luoghi e soprattutto di condurli all’esterno per sgambare in località Landriano e di poterli far ospitare in un canile di quel Comune (pag. 11 della sentenza).
3.8 Dal complesso di tali circostanze ritiene il Collegio che il Tribunale non ha tenuto in adeguato conto le spiegazioni date dall’ABBONDANDOLO soprattutto con riferimento alla situazione sanitaria degli animali e con lo stato delle unghia (per quanto riguarda i cani) connaturato alla loro razza. Emerge invece un netta presa di posizione del Tribunale verso la tesi dell’abbandono colpevole e del mantenimento degli animali in situazioni incompatibili son lo stato di benessere basata, per un verso, sulle relazioni sanitarie; sul filmato girato all’atto del sopralluogo; sulle testimonianze dei verbalizzanti e per altro verso sulla situazione ambientale giudicata inadeguata in termini di spazio.
3.9 In una situazione che pure lascia trasparire alcune circostanze (come lo stato di salute dei cani; la libertà di movimento dei gatti all’interno della casa, senza però accenni alla promiscuità con i cani; la ventilazione degli ambienti; la riserva di spazi dedicati ai cani mediante predisposizione di divisori) che avrebbero dovuto indurre a maggiori approfondimenti, sarebbe stato certamente necessario – in considerazione delle spiegazioni offerte dall’imputato ma non accettate dal Tribunale – disporre un accertamento specifico in ordine tanto alla natura delle varie patologie ed al collegamento tra la situazione di custodia degli animali e tali patologie, quanto alle condizioni ambientali (soprattutto in termini di spazio) per fugare le evidenti perplessità che nascevano da una posizione di netta contrapposizione tra la situazione descritta dai verbalizzanti e le giustificazioni, estremamente dettagliate e corredate da documenti e fotografie, offerte dall’imputato.
3.10 In questi termini si ravvisa sia la contraddittorietà, sia la manifesta illogicità, sia la carenza motivazionale, anche perché non poteva assurgere a regola idonea a dimostrare la cattiva situazione di detenzione degli animali, la circostanza di uno spazio di oltre 100 mq. (giudicato esiguo), senza una specifica descrizione dei singoli ambienti e della loro distribuzione interna.
4. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza con rinvio al Tribunale di Milano per nuova motivazione in punto di responsabilità.
5. Quanto al motivo afferente alla disposta confisca, lo stesso si profila fondato per le ragioni che seguono.
5.2 Fermo restando il profilo della confiscabilità di animali in conformità a quanto previsto dall’art. 19 quater disp. Att. Cod. pen. e pur dandosi atto di un indirizzo di questa Corte Suprema (citato nella sentenza impugnata, secondo il quale “l’affidamento provvisorio a privati degli animali oggetto di confisca e sequestro, effettuato nel corso del processo in attesa di individuare gli enti ed associazioni che si dichiarino disponibili ad accoglierli, non contrasta con la previsione di cui all’art. 19 quater disp. att. cod. pen” (Sez. 3^ 21.4.2010 n. 22039, Piatto, Rv. 247656), che lascia presumere come possibile la confisca di un animale ex art. 240 comma 2° cod. pen., non appare condivisibile la decisione di non restituire gli animali all’ABBONDANDOLO in quanto basata unicamente sulla previsione meramente astratta (avendo l’imputato documentato nel ricorso di non abitare più nell’appartamento di Via Farini ove gli animali erano stati rinvenuti) di una reiterazione da parte dell’imputato, in caso di restituzione in suo favore degli animali, di comportamenti (in termini di abbandono di animali) analoghi a quelli oggetto del presente procedimento. Si tratta, infatti, di una previsione che oltre che in contrasto con la stessa possibilità (manifestata a suo tempo dal ricorrente e sostanzialmente riconosciuta come attuabile dal Tribunale) di ospitare i cani (per i gatti risulta che via sia stata una rinuncia da parte del ricorrente a tenerli con sé) in una struttura ritenuta adeguata (il canile di Landriano), pecca di genericità.
6. Per tali ragioni la sentenza impugnata va, sul punto, annullata senza rinvio con eliminazione della confisca e contestuale restituzione degli animali all’avente diritto.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, l’impugnata sentenza limitatamente alla disposta confisca che elimina – con restituzione degli animali all’avente diritto – e con rinvio al Tribunale di Milano per nuova valutazione sulla responsabilità.
Così deciso in Roma il 16 luglio 2013