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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 49840 | Data di udienza: 13 Ottobre 2016

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sottotetto trasformazione a locali ad uso residenziale – Mutamento di destinazione d’uso rilevante – Nuovo art. 23 ter D.P.R. n. 380/2001 – Esecuzione di lavori – Opere in totale difformità dal permesso di costruire – Realizzazione di sole opere interne – Artt. 3, 23 ter, 31, 44, 45  dpr n. 380/2001 – Reati edilizi – Difformità tra titolo abilitativo, normativa urbanistica ed edilizia e intervento realizzato – Verifiche e poteri del giudice penale – Giurisprudenza – Costruzione in totale difformità del permesso di costruire – Criteri per la valutazione del reato di esecuzione dei lavori in totale difformità – Verifiche in corso d’opera – Accertamento di fatto –  Intervento abusivo edilizio – Parametri e criteri per la rilevabilità – Consistenza, destinazione dell’immobile, incidenza sul carico urbanistico, impossibilità di sanatoria, contrasto con gli strumenti urbanistici, costruzioni in zone sismiche, ecc. – Giurisprudenza urbanistica –  Abusi edilizi e particolare tenuità dell’offesa – Reato permanente e contravvenzioni relative agli abusi edilizi – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio e ricorso in cassazione – Art. 533 c.p.p. – Causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Criteri e presupposti per la configurabilità – Motivazione da parte del Giudice di merito – Necessità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 24 Novembre 2016
Numero: 49840
Data di udienza: 13 Ottobre 2016
Presidente: FIALE
Estensore: Di Stasi


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sottotetto trasformazione a locali ad uso residenziale – Mutamento di destinazione d’uso rilevante – Nuovo art. 23 ter D.P.R. n. 380/2001 – Esecuzione di lavori – Opere in totale difformità dal permesso di costruire – Realizzazione di sole opere interne – Artt. 3, 23 ter, 31, 44, 45  dpr n. 380/2001 – Reati edilizi – Difformità tra titolo abilitativo, normativa urbanistica ed edilizia e intervento realizzato – Verifiche e poteri del giudice penale – Giurisprudenza – Costruzione in totale difformità del permesso di costruire – Criteri per la valutazione del reato di esecuzione dei lavori in totale difformità – Verifiche in corso d’opera – Accertamento di fatto –  Intervento abusivo edilizio – Parametri e criteri per la rilevabilità – Consistenza, destinazione dell’immobile, incidenza sul carico urbanistico, impossibilità di sanatoria, contrasto con gli strumenti urbanistici, costruzioni in zone sismiche, ecc. – Giurisprudenza urbanistica –  Abusi edilizi e particolare tenuità dell’offesa – Reato permanente e contravvenzioni relative agli abusi edilizi – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio e ricorso in cassazione – Art. 533 c.p.p. – Causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Criteri e presupposti per la configurabilità – Motivazione da parte del Giudice di merito – Necessità.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/11/2016 (Ud. 13/10/2016) Sentenza n.49840

 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sottotetto trasformazione a locali ad uso residenziale – Mutamento di destinazione d’uso rilevante – Nuovo art. 23 ter D.P.R. n. 380/2001 – Esecuzione di lavori – Opere in totale difformità dal permesso di costruire – Realizzazione di sole opere interne – Artt. 3, 23 ter, 31, 44, 45  dpr n. 380/2001.
 
La trasformazione della parte dell’edificio costituente sottotetto a locali ad uso residenziale, come nel caso di specie, costituisce ex lege, un mutamento rilevante della destinazione d’uso. Tale orientamento è confermato, anche attualmente, dal disposto del nuovo D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23 ter (introdotto dalla legge di conversione del predetto D.L., ossia dalla L. 11 novembre 2014, n. 164), che, sul punto, chiarisce come “costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a- bis) turistico- ricettiva; b) produttiva e direzionale; e) commerciale; d) rurale”. Inoltre, l’art. 31, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 considera opere in totale difformità dal permesso di costruire quelle in cui il mutamento della destinazione d’uso prevista in progetto venga realizzato- durante l’attività costruttiva del fabbricato- attraverso l’esecuzione di lavori che globalmente conferiscono all’organismo edilizio diverse caratteristiche di utilizzazione; per la liceità di opere siffatte è necessario il rilascio di un nuovo permesso di costruire da parte del Comune, purchè la diversa destinazione sia ammessa dalle previsioni della pianificazione. Va rimarcato che, la modifica di destinazione d’uso rilevante ai fini edilizi può aversi anche mediante la realizzazione di sole opere interne, quali appunto la predisposizione degli impianti tecnologici (Cass. Sez.3 ,n.27713 del 20/05/2010; Sez.3,n.42453 del 07/05/2015).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Difformità tra titolo abilitativo, normativa urbanistica ed edilizia e intervento realizzato – Verifiche e poteri del giudice penale – Giurisprudenza.
 
In tema di reati edilizi, qualora emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l’intervento realizzato, per il quale sia stato rilasciato un titolo abilitativo, il giudice penale è in ogni caso tenuto a verificare incidentalmente la legittimità di quest’ultimo, senza che ciò comporti la sua eventuale “disapplicazione”, in quanto tale provvedimento non è sufficiente a definire di per sé – ovvero prescindendo dal quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, e dalle rappresentazioni di progetto alla base della sua emissione – lo statuto di legalità dell’opera realizzata (Sez.3, n.36366 del 6/06/2015; Sez.3, n.26144 del 22/04/2008; Sez.3, n.41620 del 02/10/2007; Sez.6, n.23255 del 17/02/2003).
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Costruzione in totale difformità del permesso di costruire – Criteri per la valutazione del reato di esecuzione dei lavori in totale difformità – Verifiche in corso d’opera – Accertamento di fatto.
 
La costruzione in totale difformità del permesso di costruire può derivare, oltre che da consistenti aumenti di volumetria o altre rilevanti modificazioni della struttura esterna dell’immobile, anche dalla esecuzione di interventi all’interno di un fabbricato che determinino la modificazione di parte dell’edificio, allorché tale modificazione abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), quali ad esempio la modificazione della destinazione d’uso di parte dell’immobile rispetto a quanto assentito con il provvedimento autorizzatorio. Inoltre, il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire (del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. b) non presuppone necessariamente il completamento dell’opera, ma è altresì configurabile nel corso dell’esecuzione degli interventi edilizi, allorché la difformità risulti palese durante l’esecuzione dei lavori, in quanto dalle opere già compiute appare evidente la realizzazione di un organismo diverso da quello assentito. In corso d’opera, pertanto, l’accertamento del mutamento di destinazione d’uso va effettuato sulla base della individuazione di elementi univocamente significativi, propri, del diverso uso cui è destinata l’opera e non coerenti con la destinazione originaria. Si tratta di un accertamento di fatto che, se oggetto di adeguata motivazione, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA –  Intervento abusivo edilizio – Parametri e criteri per la rilevabilità – Consistenza, destinazione dell’immobile, incidenza sul carico urbanistico, impossibilità di sanatoria, contrasto con gli strumenti urbanistici, costruzioni in zone sismiche, ecc. – Giurisprudenza urbanistica.
 
In materia urbanistica, la consistenza dell’intervento abusivo (tipologia di intervento, dimensioni e caratteristiche costruttive) costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo, riguardo agli aspetti urbanistici, anche altri elementi, quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente (ad es. l’ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell’intervento, la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell’intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell’opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi, quali le norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell’ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali (Cass. Sez.3, n.47039 del 08/10/2015;Sez.3, n. 47039 del 08/10/2015, dep.27/11/2015).
 
 
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA –  Abusi edilizi e particolare tenuità dell’offesa – Reato permanente e contravvenzioni relative agli abusi edilizi.
 
Il reato permanente, nel cui novero rientrano le contravvenzioni relative agli abusi edilizi, non essendo riconducibile nell’alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis cod. pen., può essere oggetto di valutazione con riferimento all’ indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quando più tardi sarà cessata la permanenza (Sez.3, n.47039 del 08/10/2015, dep.27/11/2015; Sez.3,n.50215 del 08/10/2015, dep.22/12/2015).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio e ricorso in cassazione – Art. 533 c.p.p..
 
Il rispetto della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, deve guidare il giudice nel processo di ricerca della verità e nella affermazione della colpevolezza che va fatta solo quando questa sia accertabile in termini di certezza. La regola di giudizio predetta contenuta nell’art. 533 c.p.p., comma 1 come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 5 impone, infatti, al giudice il ricorso ad un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (ovvero l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica. Tale principio, però, non ha affatto innovato la natura del sindacato della Corte di Cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello. La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile. In altri termini, si  richiede che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, sia esclusa in assenza di riscontri pur minimi nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Criteri e presupposti per la configurabilità – Motivazione da parte del Giudice di merito – Necessità.
 
Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo si tratta, è stato osservato di ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito e che vanno espresse in motivazione da parte del Giudice di merito (Sez. U, n.13681 del 25/02/2016).
 
 
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso la sentenza del 22/02/2016 della CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI) Pres. FIALE, Rel. DI STASI, Ric. Mulargia
 
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/11/2016 (Ud. 13/10/2016) Sentenza n.49840

SENTENZA

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 24/11/2016 (Ud. 13/10/2016) Sentenza n.49840

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sul ricorso proposto da MULARGIA EFISIO, nato a Oristano il 15/09/1944;
avverso la sentenza del 22/02/2016 della Corte di Appello di Cagliari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Filippi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Marcello Floris, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 22.2.2016, la Corte di Appello di Cagliari confermava la sentenza del 4.11.2014 del Tribunale di Oristano con la quale l’odierno ricorrente Mulargia Efisio (in concorso con il coimputato Musu Antonello) era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 44 lett. b) dpr n. 380/2001 – perché quale proprietario committente aveva realizzato in totale difformità dalla concessione edilizia n. 017/08 ESV in luogo dei previsti locali di sgombero sottotetto due ulteriori unità immobiliari con destinazione residenziale prive dell’altezza minima prevista per l’abitabilità, indipendenti rispetto alle sottostanti unità abitative ed accessibili tramite scala esterna e con aperture finestrate, non previste in progetto, che avevano determinato le modifiche dei prospetti- e condannato alla pena di un mese di arresto ed euro 10.000,00 di ammenda con ordine di demolizione delle opere abusive.
 
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Mulargia Efisio, per il tramite del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
 
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 45 dpr n. 380/2001.
 
Argomenta che la Corte territoriale erroneamente riteneva integrati i presupposti di responsabilità penale per il reato contestato, limitandosi ad avallare la decisione di primo grado con una motivazione apparente e contraddittoria senza una corretta disamina delle emergenze processuali ed in particolare della efficacia estintiva dell’accertamento di conformità n. 37/2012 rilasciato il 13.11.2002 dal Comune di Santa Giusta.
 
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 192 cod.pen. per erronea valutazione delle prove.
 
Argomenta che i Giudici di merito avevano fondato la condanna su indizi contraddittori, illogici ed insufficienti ed avevano ignorato prove decisive, sia testimoniali che documentali, lasciando irrisolti molti punti fondamentali della ricostruzione del fatto storico e non dissipati ragionevoli dubbi; l’affermazione di responsabilità era stata basata, infatti, sulle dichiarazioni dell’agente accertatore che, pur privo delle necessarie conoscenze tecniche specifiche, aveva dichiarato che si era in presenza di un ipotizzabile cambio di destinazione d’uso, senza valutare la documentazione prodotta e le dichiarazioni rese dal responsabile dell’ufficio tecnico comunale che comprovavano la sanabilità dell’opera; alcuna prova sussisteva, inoltre, dell’elemento soggettivo, non essendo l’imputato un tecnico ed avendo ottenuto un titolo abilitativo da parte del Comune che avallava le modifiche al progetto originario.
 
Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 533, comma 1, cod.proc.pen..
 
Argomenta che la Corte territoriale ha violato il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, principio che avrebbe dovuto condurre all’assoluzione dell’imputato.
 
Con il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 131 bis cod.pen.
 
Argomenta che la Corte negava ingiustamente l’applicazione dell’art. 131 bis cod.pen. con una motivazione assente che si limitava a rilevare la realizzazione di due abitazioni abusive con conseguente significativo incremento del carico urbanistico.
 
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
 
Va ricordato che l’art. 31, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 considera opere in totale difformità dal permesso di costruire quelle in cui il mutamento della destinazione d’uso prevista in progetto venga realizzato- durante l’attività costruttiva del fabbricato- attraverso l’esecuzione di lavori che globalmente conferiscono all’organismo edilizio diverse caratteristiche di utilizzazione; per la liceità di opere siffatte è necessario il rilascio di un nuovo permesso di costruire da parte del Comune, purchè la diversa destinazione sia ammessa dalle previsioni della pianificazione.
 
La costruzione in totale difformità del permesso di costruire può derivare, quindi, oltre che da consistenti aumenti di volumetria o altre rilevanti modificazioni della struttura esterna dell’immobile, anche dalla esecuzione di interventi all’interno di un fabbricato che determinino la modificazione di parte dell’edificio, allorché tale modificazione abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), quali ad esempio la modificazione della destinazione d’uso di parte dell’immobile rispetto a quanto assentito con il provvedimento autorizzatorio, (Sez.3, n.4555 dell’11/12/2007, dep.29/01/2008, Rv.238854; Sez.3, n.9282 del 26/01/201, Rv.249756; Sez.3,n.42453del 07/05/2015,Rv.265191).
 
Inoltre, il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire (del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. b) non presuppone necessariamente il completamento dell’opera, ma è altresì configurabile nel corso dell’esecuzione degli interventi edilizi, allorché la difformità risulti palese durante l’esecuzione dei lavori, in quanto dalle opere già compiute appare evidente la realizzazione di un organismo diverso da quello assentito, (cfr. sez. 3, 20.9.2007 n. 41578, Brancate, RV 238000;sez. 3, 30.1.2008 n. 13592, P.M. in proc. Dinolfo, RV 239837).
 
In corso d’opera, pertanto, l’accertamento del mutamento di destinazione d’uso va effettuato sulla base della individuazione di elementi univocamente significativi, propri, del diverso uso cui è destinata l’opera e non coerenti con la destinazione originaria. Si tratta di un accertamento di fatto che, se oggetto di adeguata motivazione, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.
 
Orbene, nel caso in esame, i giudici di merito hanno accertato che i servizi realizzati (di natura idraulica, elettrica, fognaria) all’interno delle parti del fabbricato destinate ad uso non abitativo sono inequivocabilmente dimostrativi della diversa destinazione in corso di realizzazione, non assentita dal permesso di costruire e certamente idonea ad incidere sul carico urbanistico, sicché, nella specie, il reato era già sussistente, non occorrendo certamente il completamento degli interventi abusivi per configurarlo, e la motivazione sul punto si palesa adeguata ed immune da vizi logici.
 
Va rimarcato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la modifica di destinazione d’uso rilevante ai fini edilizi può aversi anche mediante la realizzazione di sole opere interne, quali appunto la predisposizione degli impianti tecnologici (Sez.3 ,n.27713 del 20/05/2010, Rv.247919; Sez.3,n.42453 del 07/05/2015, Rv.265191).
 
Deve, inoltre, osservarsi che, sulla questione della configurabilità del reato edilizio, nessuna concreta incidenza esplica la recente modifica normativa operata dal D.L. 12 settembre 2014, n. 133, recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive” (GU n. 212 del 12 settembre 2014), entrato in vigore il 13 settembre 2014 che, all’art. 17, nel modificare il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3 ha esteso la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria ricomprendendovi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, a condizione, tuttavia, che non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso.
 
Nel caso di specie, infatti, escluso in fatto che si trattasse di mero frazionamento od accorpamento, in ogni caso difetterebbe proprio la seconda di queste condizioni, atteso il mutamento di destinazione d’uso che l’intervento era finalizzato ad attuare.
 
E, del resto, che si tratti di mutamento di destinazione d’uso rilevante, è confermato, anche attualmente, dal disposto del nuovo D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23 ter (introdotto dalla legge di conversione del predetto D.L., ossia dalla L. 11 novembre 2014, n. 164), che, sul punto, chiarisce come “costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a- bis) turistico- ricettiva; b) produttiva e direzionale; e) commerciale; d) rurale”.
 
Dunque, la trasformazione della parte dell’edificio costituente sottotetto a locali ad uso residenziale, come nel caso di specie, costituisce ex lege, un mutamento rilevante della destinazione d’uso.
 
Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa alla valutazione operata dalla Corte di appello, in termini di illegittimità, dell’accertamento di conformità n. 37/2012.
 
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di reati edilizi, qualora emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l’intervento realizzato, per il quale sia stato rilasciato un titolo abilitativo, il giudice penale è in ogni caso tenuto a verificare incidentalmente la legittimità di quest’ultimo, senza che ciò comporti la sua eventuale “disapplicazione”, in quanto tale provvedimento non è sufficiente a definire di per sé – ovvero prescindendo dal quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, e dalle rappresentazioni di progetto alla base della sua emissione – lo statuto di legalità dell’opera realizzata (Sez.3, n.36366 del 6/06/2015, Rv.265034; Sez.3, n.26144 del 22/04/2008, Rv.240728; Sez.3, n.41620 del 02/10/2007, Rv.237995; Sez.6, n.23255 del 17/02/2003, Rv.225674).
 
2. Il secondo motivo è inammissibile.
 
Ne va rilevata, infatti, la aspecificità ai sensi degli artt. 591 e 581 cod. proc. pen.
 
Il ricorrente si limita a censurare genericamente la sentenza resa dal giudice di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe valutato il compendio probatorio, le cui risultanze escluderebbero la sua responsabilità, e senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.
 
Il motivo risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio, senza l’indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla capacità dimostrativa delle prove raccolte. 
 
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
 
Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere fa capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.
 
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
 
Il rispetto della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio deve, come noto, guidare il giudice nel processo di ricerca della verità e nella affermazione della colpevolezza che va fatta solo quando questa sia accertabile in termini di certezza. La regola di giudizio predetta contenuta nell’art. 533 c.p.p., comma 1 come modificato dalla L. n. 46 del 2006, art. 5 impone, infatti, al giudice il ricorso “ad un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, con la conseguenza che il giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (ovvero l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)” (in termini Sez. 1 24.10.2011 n. 41110, P.G. in proc. Javad, Rv. 251507). Tale principio, però, non ha affatto innovato la natura del sindacato della Corte di Cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, “essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello”(” (Sez.1, n.41110 del 24/10/2011, Rv.251507).
 
La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, infatti, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, “in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile”. (Sez. 4 17.6.2011 n. 30862, Giulianelli e altri, Rv. 250903). In altri termini, si  richiede che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, sia esclusa in assenza di riscontri pur minimi nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (così Sez. 1 3.3.2010 n. 17921, Giampà, Rv. 247449).
 
Nel caso di specie, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata sono frutto di una valutazione approfondita che ha tenuto conto di tutti i dati probatori acquisiti e sulla base della quale è stato espresso un giudizio di certezza in termini incontestabili, laddove dietro l’asserito mancato rispetto della regola di cui sopra si cela una pretesa ricostruzione alternativa della vicenda processuale che – nei termini in cui è stata posta – è preclusa nel giudizio di legittimità.
 
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
 
4.1. Va premesso che questa Corte ha avuto modo di precisare (Sez. 3, n. 15449 del 08/4/2015, Mazzarotto, Rv. 263308) che l’art. 131-bis, comma 1 cod. pen. delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, fissando, al comma 4, i criteri di determinazione della pena. Si ulteriormente rilevato, nella richiamata decisione, che la rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilità, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Si è osservato, poi, che il primo degli «indici-criteri» (particolare tenuità dell’offesa) si articola, a sua volta, in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 cod. pen., sussista l’indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
 
Le Sezioni Unite hanno, poi, affermato che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo si tratta, è stato osservato di ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito e che vanno espresse in motivazione da parte del Giudice di merito (Sez. U, n.13681 del 25/02/2016, Rv.266590).
 
4.2 Questa Corte ha, inoltre, affermato che il reato permanente, nel cui novero rientrano le contravvenzioni relative agli abusi edilizi, non essendo riconducibile nell’alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis cod. pen., può essere oggetto di valutazione con riferimento all’ indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quando più tardi sarà cessata la permanenza (Sez.3, n.47039 del 08/10/2015, dep.27/11/2015,Rv.265448; Sez.3,n.50215 del 08/10/2015, dep.22/12/2015, Rv.265434).
 
4.3. Si è, ulteriormente precisato che la consistenza dell’intervento abusivo (tipologia di intervento, dimensioni e caratteristiche costruttive) costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo, riguardo agli aspetti urbanistici, anche altri elementi, quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente (ad es. l’ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell’intervento, la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell’intervento abusivo, come nel caso in cui siano violate, mediante la realizzazione dell’opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi, quali le norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell’ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali (Sez.3, n.47039 del 08/10/2015, Rv.265450;Sez.3, n. 47039 del 08/10/2015, dep.27/11/2015, Rv.265448,cit.).
 
Nella specie, il Giudice di merito, nel valutare la richiesta avanzata dall’imputato, ha denegato la configurabilità della predetta causa di esclusione della punibilità escludendo la particolare tenuità del fatto, rimarcando in senso negativo sia le modalità della condotta, con riferimento alla consistenza dell’intervento abusivo realizzato, sia l’entità del danno con riferimento alla incidenza dell’opera abusiva sul carico urbanistico.
 
La motivazione offerta è congrua e logica, nonché in linea con il principio di diritto suesposto. 
 
5. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
 
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura ritenuta equa indicata in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 
Così deciso il 13/10/2016
 

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