+39-0941.327734 abbonati@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 32084 | Data di udienza: 10 Novembre 2022

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva – Verifica della maturazione della prescrizione – Confisca lottizzatoria – Natura di sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale e provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune – Lottizzazione materiale, lottizzazione negoziale (o giuridica o cartolare) e lottizzazione mista – Differenze – Contravvenzione di lottizzazione abusiva – Natura di reato a carattere permanente in forma libera e progressivo nell’evento – Momento consumativo del reato e prescrizione – Individuazione – Operazione di frazionamento e cessione dei lotti – Concorso e/o cooperazione colposa – Fattispecie – Valutazione della conformità della confisca – Immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali – Principio di protezione della proprietà – Confisca generalizzata ed indistinta non conformità al principio di proporzionalità – Giurisprudenza della Corte costituzionale – Posizione del terzo estraneo rispetto al reato – Responsabilità dell’acquirente – Prova della buona fede – Doveri di informazione e conoscenza richiesti dall’ordinaria diligenza – Limiti della inevitabilità dell’ignoranza del precetto – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto giurisprudenziale – Funzione nomofilattica delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Interpretazione sistematica e principio di diritto “vincolante” per le sezioni semplici – C.d. principio di diritto “stravagante” – Non non vincola le sezioni semplici costituendo frutto di un’interpretazione restrittiva – Caos interpretativo – Artt. 618, cod. proc. pen., e 173, disp. att. c.p.p..


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 25 Luglio 2023
Numero: 32084
Data di udienza: 10 Novembre 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: ACETO


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva – Verifica della maturazione della prescrizione – Confisca lottizzatoria – Natura di sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale e provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune – Lottizzazione materiale, lottizzazione negoziale (o giuridica o cartolare) e lottizzazione mista – Differenze – Contravvenzione di lottizzazione abusiva – Natura di reato a carattere permanente in forma libera e progressivo nell’evento – Momento consumativo del reato e prescrizione – Individuazione – Operazione di frazionamento e cessione dei lotti – Concorso e/o cooperazione colposa – Fattispecie – Valutazione della conformità della confisca – Immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali – Principio di protezione della proprietà – Confisca generalizzata ed indistinta non conformità al principio di proporzionalità – Giurisprudenza della Corte costituzionale – Posizione del terzo estraneo rispetto al reato – Responsabilità dell’acquirente – Prova della buona fede – Doveri di informazione e conoscenza richiesti dall’ordinaria diligenza – Limiti della inevitabilità dell’ignoranza del precetto – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto giurisprudenziale – Funzione nomofilattica delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Interpretazione sistematica e principio di diritto “vincolante” per le sezioni semplici – C.d. principio di diritto “stravagante” – Non non vincola le sezioni semplici costituendo frutto di un’interpretazione restrittiva – Caos interpretativo – Artt. 618, cod. proc. pen., e 173, disp. att. c.p.p..



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 25 luglio 2023, (Ud. 10/11/2022), Sentenza n. 32084

 

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva – Verifica della maturazione della prescrizione.

In tema di reati per lottizzazione abusiva, in caso di maturazione della prescrizione prima dell’accertamento del reato, ciò che deve essere verificato è solo se, alla data di maturazione della prescrizione, tenuto conto degli atti interruttivi e dei periodi di sospensione, il reato era stato accertato in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive. La verifica, ha natura fattuale ed è censurabile in sede legittimità nei limiti previsti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen.; in quanto accertamento di fatto esso non può essere devoluto per la prima volta in sede di legittimità e nel caso di specie non risulta devoluto in appello.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Confisca lottizzatoria – Natura di sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale e provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune – Differenze.

La confisca lottizzatoria, è stata costantemente qualificata come sanzione amministrativa, sia pure irrogata dal giudice penale, alla stessa stregua dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001. E’ proprio tale natura a far escludere che l’impossibilità di operare in sede penale la confisca, perché non sia stato possibile accertare il fatto, impedisca all’amministrazione di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001. Nè va dimenticata la natura residuale dell’intervento del giudice il cui intervento sanzionatorio non interferisce, quindi, né si sovrappone all’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa dall’art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001, per cui, ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune, è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale. Neppure le ragioni di effettiva tutela dell’interesse collettivo alla “corretta pianificazione territoriale” potrebbero rappresentare motivo di deroga all’applicabilità, nella specie, del principio dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non potendo oltretutto situazioni patologiche come l’inerzia della pubblica amministrazione fungere da criterio interpretativo delle norme penali.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Natura del reato di lottizzazione abusiva – Lottizzazione materiale, lottizzazione negoziale (o giuridica o cartolare) e lottizzazione mista – Differenze.

Il reato di lottizzazione abusiva può essere classificato in tre diverse tipologie in base ai modi della sua consumazione: i) lottizzazione materiale; ii) lottizzazione negoziale (o giuridica o cartolare); iii) lottizzazione mista. La lottizzazione materiale (o fisica) si realizza attraverso l’esecuzione di opere che comportino, di fatto, una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; la lottizzazione negoziale (o cartolare) ricorre, invece, quando una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio effettuata in assenza del previsto piano di lottizzazione, o in presenza di piano contrastante con gli strumenti urbanistici e le previsioni normative, venga predisposta per mezzo del frazionamento e della vendita, o di atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio; la lottizzazione mista consiste nell’attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione anche solo di uno degli stessi.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Contravvenzione di lottizzazione abusiva – Natura di reato a carattere permanente in forma libera e progressivo nell’evento – Momento consumativo del reato e prescrizione – Individuazione – Operazione di frazionamento e cessione dei lotti – Concorso e/o cooperazione colposa – Fattispecie.

La contravvenzione di lottizzazione abusiva è reato a forma libera e progressivo nell’evento, che sussiste anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o all’esecuzione delle opere, posto che tali iniziali attività non esauriscono l'”iter” criminoso, che si protrae attraverso gli ulteriori interventi che incidono sull’assetto urbanistico, con ulteriore compromissione delle scelte di destinazione ed uso del territorio riservate all’autorità amministrativa competente. Sussiste il reato di lottizzazione abusiva anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite, perché tali attività iniziali, pur integrando la configurazione del reato, non definiscono l’iter criminoso che si perpetua negli interventi che incidono sull’assetto urbanistico. Infatti, tenuto conto che il reato in questione è, per un verso, un reato a carattere permanente e progressivo e per altro verso a condotta libera, si deve considerare in primo luogo che non vi è alcuna coincidenza tra il momento in cui la condotta assume rilevanza penale e il momento di cessazione del reato, in quanto anche la condotta successiva alla commissione del reato dà luogo ad una situazione antigiuridica di pari efficacia criminosa; in secondo luogo che se il reato di lottizzazione abusiva si realizza anche mediante atti negoziali diretti al frazionamento della proprietà, con previsioni pattizie rivelatrici dell’attentato al potere programmatorio dell’autorità comunale, ciò non significa che l’azione criminosa si esaurisca in questo tipo di condotta perché l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria ulteriormente compromettono le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica. Il momento consumativo del reato deve essere individuato nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento, non rilevando a tal fine, invece, l’utilizzazione del territorio in perdurante contrasto con la pianificazione urbanistica. Ai fini della prescrizione del reato di lottizzazione non conta, pertanto, il momento nel quale è stata tenuta la specifica condotta di partecipazione, bensì quella di consumazione del reato stesso che può perfezionarsi anche ad anni di distanza. Nel caso particolare di lottizzazione abusiva mista, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dopo l’ultimazione sia dell’attività negoziale che dell’attività di edificazione, e cioè, in quest’ultima ipotesi, dopo il completamento dei manufatti realizzati sui singoli lotti oggetto del frazionamento. Tale termine vale per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato; ne consegue che, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, per il concorrente non è rilevante il momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, ma quello di consumazione del reato, che può intervenire anche a notevole distanza di tempo. Nel caso di specie, il fatto è contestato come unico, commesso in concorso/cooperazione colposa da tutti gli imputati; la rubrica indica come data di cessazione della permanenza quella del 23/05/2007: i Giudici di merito l’hanno fissata al 19/04/2007, in concomitanza con l’ultimo sequestro. E’ questa, dunque, la data da prendere in considerazione ai fini del calcolo della prescrizione che, tenuto conto dei periodi di sospensione del dibattimento, è maturata, secondo i Giudici di merito, il 15/03/2013, dopo che l’istruttoria aveva consentito il compiuto accertamento del reato, sotto ogni profilo (in realtà, come si vedrà meglio in sede di esame dei singoli ricorsi, la prescrizione è maturata dopo la sentenza di primo grado e, certamente, ben oltre il 15 marzo 2013).

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva mista (e materiale) – Il territorio oggetto materiale e unico elemento unificante – Artt. 30, 31, 44, 83-95, d.P.R. n. 380/2001.

L’unico elemento unificante, in caso di lottizzazione abusiva mista (e materiale), è il territorio, non le volontà di coloro che con le singole condotte concorrono, nel tempo, a stravolgerne la vocazione urbanistico-edilizia. L’unicità o la diversità delle lottizzazioni (e dei relativi reati) deve essere valutata tenendo conto della natura oggettiva e delle caratteristiche dell’area complessivamente interessata dagli interventi, a prescindere dal fatto che le condotte (nel caso di specie, i frazionamenti, le donazioni, le vendite e le opere edilizie) siano state poste in essere da soggetti diversi tra loro, in epoche diverse e, in ipotesi, senza alcun previo concerto. L’art. 30, d.P.R. n. 380 del 2001, indica come oggetto materiale della lottizzazione i terreni (sottoposti a opere di trasformazione urbanistica od edilizie); la condotta integrante il reato di lottizzazione abusiva (materiale o mista), previsto dall’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, consiste nell’iniziare le opere di trasformazione di tali terreni. E’ dunque ai “terreni”, oggetto materiale della condotta, che occorre fare riferimento, non alle volontà di coloro che hanno innescato il meccanismo lottizzatorio ed hanno concorso a realizzarlo nel tempo. L’oggettività del dato “territorio” precede, nella valutazione dell’unitarietà del fatto-reato “lottizzazione abusiva”, l’esame delle condotte singole poiché è il territorio nella sua unitarietà ad essere sottratto alla riserva pubblica di programmazione.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Valutazione della conformità della confisca – Immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali – Principio di protezione della proprietà – Confisca generalizzata ed indistinta non conformità al principio di proporzionalità – Giurisprudenza della Corte costituzionale.

In tema di lottizzazione abusiva, ai fini della valutazione della conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, assume rilievo anche l’aspetto dell’individuazione dei beni oggetto della misura, nel senso che il provvedimento ablatorio è legittimo se limitato ai beni immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali. Si è così ritenuto non conforme al principio di proporzionalità la confisca generalizzata ed indistinta “dei terreni abusivamente lottizzati nonché delle opere abusivamente costruite e la loro devoluzione al Comune”, senza operare una selezione mirata ad applicare la misura alle sole opere funzionali alla trasformazione della struttura e dell’area. E’ invece conforme al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, la confisca di tutta l’area oggetto della lottizzazione, compresi gli edifici sulla stessa realizzati, laddove la complessiva operazione edilizia realizzata abbia determinato il completo stravolgimento della destinazione urbanistica dei terreni, modificandola, nella specie, da zona destinata all’allevamento e all’agricoltura a zona residenziale. Sul tema della proporzionalità della confisca è intervenuta anche la Corte costituzionale che, con sentenza n. 146 del 2021, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte d’appello di Bari, con ordinanza del 18/05/2020, «nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite risulti sproporzionata alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della C[orte]EDU espressa dalla Grande Camera nella sentenza del 28.6.2018, Giem e altri c. Italia, non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave, come quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della pianificazione urbanistica generale, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva». Ribadendo quanto già affermato con sentenza n. 148 del 1994, il Giudice delle leggi ha ribadito che la lottizzazione abusiva, poiché stravolge la funzione pianificatoria e la sua riserva in capo all’autorità comunale, costituisce una forma di intervento sul territorio ben più incisiva, per ampiezza e vastità, di quanto non sia la costruzione realizzata in difformità o in assenza di concessione, con compromissione molto più grave, nel primo caso, della programmazione edificatoria del territorio stesso. Il reato di lottizzazione abusiva tutela un bene giuridico di particolare rilievo, perché attinente non solo alla tutela del paesaggio e dell’ordinato sviluppo urbanistico rispetto a forme isolate e puntuali di aggressione, ma anche e soprattutto alla salvaguardia della stessa funzione pianificatoria comunale, intesa come momento terminale e ineludibile della complessiva strategia di programmazione delle forme di intervento sul territorio. Richiamando la sentenza della Corte EDU, GIEM c/Italia, la Corte costituzionale ha ribadito che per valutare la proporzionalità della confisca il giudice deve tener conto della demolizione delle opere abusivamente realizzate e/o dell’annullamento del piano di lottizzazione.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Immobili o terreni abusivamente lottizzati – Posizione del terzo estraneo rispetto al reato – Responsabilità dell’acquirente – Prova della buona fede – Doveri di informazione e conoscenza richiesti dall’ordinaria diligenza – Limiti della inevitabilità dell’ignoranza del precetto.

L’acquirente di immobili o terreni abusivamente lottizzati non è, per ciò solo, terzo estraneo rispetto al reato di lottizzazione abusiva, salva la prova di aver agito in buona fede partecipando inconsapevolmente all’illecita operazione lottizzatoria, pur avendo adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall’ordinaria diligenza. E’ infatti configurabile la responsabilità dell’acquirente di un terreno abusivamente lottizzato a fini edificatori ove questi non acquisisca elementi circa le previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona, in quanto con tale imprudente e negligente condotta egli si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all’attività illecita del venditore. Inoltre, il doveri di informazione è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Contrasto giurisprudenziale – Funzione nomofilattica delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Interpretazione sistematica e principio di diritto “vincolante” per le sezioni semplici – C.d. principio di diritto “stravagante” – Non non vincola le sezioni semplici costituendo frutto di un’interpretazione restrittiva – Caos interpretativo – Artt. 618, cod. proc. pen., e 173, disp. att. c.p.p..

La funzione nomofilattica delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, secondo l’interpretazione sistematica degli artt. 618, cod. proc. pen., e 173, disp. att. c.p.p., il principio di diritto “vincolante” per le sezioni semplici della Corte di cassazione sia quello espressamente enunciato come tale dalle Sezioni Unite, anche se, in tesi, estraneo alla questione specificamente devoluta dalla sezione rimettente. Pertanto, il comma 1-bis dell’art. 618 cod. proc. pen. non deve essere letto in necessaria correlazione con il comma 1 che lo precede; il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite non è solo quello che risolve il “contrasto giurisprudenziale” (attuale o futuro) segnalato dalla sezione rimettente e ritenuto rilevante ai fini della decisione: è anche quello enunziato all’esito del procedimento di rimessione disciplinato dall’art. 610, comma 2, cod. proc. pen., per le questioni di «speciale importanza». Sicché, ai sensi dell’art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., il “principio di diritto” è quello sul quale si basa la decisione, senza ulteriori aggettivazioni che ne limitino la portata alle sole questioni specificamente devolute dalla sezione rimettente. Mentre, il principio di diritto “stravagante”, del tutto avulso, cioè, dalle questioni dedotte, rappresenta più un’ipotesi di scuola che un’evenienza reale e, tuttavia, anche in quel caso ritenere che esso non vincoli le sezioni semplici costituisce il frutto di un’interpretazione restrittiva del comma 1-bis dell’art. 618, cod. proc. pen., il quale fa riferimento, puramente e semplicemente, al «principio di diritto enunciato dalle sezioni unite», quello cioè sul quale, a norma dell’art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., si basa la decisione. Ragionare diversamente, ritenere, cioè, che il principio di diritto non esattamente pertinente alle questioni dedotte alle sezioni unite costituisca un limite all’applicazione dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., porterebbe alla duplice, assurda conseguenza: a) della coesistenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un principio di diritto comunque affermato dalle sezioni unite e di una giurisprudenza delle sezioni semplici del tutto antitetica o solo parzialmente adesiva, concorrendo così a generare quel “caos interpretativo” che la novella del 2017 ha inteso evitare; b) della sostanziale esclusione dal “precetto” dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., proprio della questione relativa alla sua possibile applicazione anche al caso del principio di diritto “stravagante” o comunque non esattamente pertinente alla questione a suo tempo rimessa dalla sezione semplice, questione che ciascuna sezione sarebbe libera di applicare come meglio ritiene senza dover rimettere la relativa questione alle Sezioni Unite.

(rigetta i ricorsi avverso sentenza del 01/10/2021 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI) Pres. RAMACCI, Rel. ACETO, Ric. Fiore + 14


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 25/07/2023, (Ud. 10/11/2022), Sentenza n. 32084

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
FIORE nato a CAIVANO xxx
CATALANO nato a CASERTA xxx
GIULIANO nato a NAPOLI il xxx
ABATE nato a CAIVANO xxx
BARRA nato a CRISPANO il xxx
FIORE nato a CAIVANO il xxx
FIOREnato a NAPOLI il xxx
FIOREnato a CASERTA il xxx
BATTAGLIA nato a ACERRA il xxx
DE STEFANO nato a CAIVANO il xxx
CARRINO nato a CAIVANO il xxx
BUONGIORNO nato a SAN VITO AL TAGLIAMENTO il xxx
NATALE nato a NAPOLI il xxx
GIORDANO xxx nato a CARDITO il xxx
CATALANO nato a FRATTAMAGGIORE il xxx.

avverso la sentenza del 01/10/2021 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale CIRO ANGELILLIS, che ha concluso chiedendo la rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite,

udito l’AVV. VALLEFUOCO, difensore di fiducia di CATALANO, GIULIANO, DE STEFANO, NATALE, GIORDANO e CATALANO, nonché sostituto processuale dell’AVV. DELLA MONICA, difensore di FIORE, FIORE, FIORE, BATTAGLIA e BUONGIORNO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi dei propri assistiti e di quelli difeso dal’AVV. DELLA MONICA;

udito l’AVV. CLAUDIO D’ANIELLO, difensore di fiducia di e BARRA, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi dei propri assistiti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 01/10/2021, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del 23/05/2013 del Tribunale della stessa città, impugnata dagli odierni ricorrenti, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Girone in relazione al reato di violazione di sigilli di cui all’art. 349 cod. pen., rubricato al capo E), perché estinto per prescrizione, confermando nel resto la sentenza di primo grado che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati perché i reati di lottizzazione abusiva, rubricato al capo B, di violazione della normativa antisismica di cui agli artt. 83 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato al capo C, e di interventi non autorizzati realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico di cui all’art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004, rubricato al capo D, erano estinti per prescrizione e aveva disposto la confisca del terreno lottizzato e delle soprastanti opere.

2. Per l’annullamento della sentenza ricorrono i sigg.ri Natale, Giordano, Catalano, Giuliano, Catalano, De Stefano, Fiore, Fiore, Fiore, Battaglia e Buongiorno, Barra,, Carrino e Fiore

3. Natale, Giordano, Catalano, Giuliano, Catalano, De Stefano, propongono, con atto congiunto, due motivi.

3.1. Con il primo motivo deducono la violazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, 129, comma 1, cod. proc. pen., 157 e 158 cod. pen.

Premettono che il capo di imputazione individua, all’interno della fattispecie concreta, due aree oggetto di frazionamento contestate nell’ambito dello stesso processo in ragione dell’unica notizia di reato acquisita dalla Polizia Municipale di Caivano, l’una comprensiva delle particelle dal n. 2152 al n. 2159 (primi proprietari, Girone e Mugione), l’altra comprensiva delle particelle dal n. 2116 al n. 2123 (primi proprietari, Annibale e De Stefano).

La cd. lottizzazione “Annibale”, proseguono, era rimasta “silente” fino all’improvvido intervento edilizio abusivo di un terzo che aveva consentito alla PG di scoprirne l’esistenza. La Corte di appello, lamentano, non ha affrontato, né risolto la specifica questione della prescrizione del reato di lottizzazione abusiva relativo all’area cd. “lottizzazione Annibale”, autonoma e distinta, collocando il momento consumativo del reato indistintamente nei termini già fissati dal primo giudice il quale aveva fissato la cessazione della permanenza al 19/04/2007. E tuttavia, proseguono, i fatti di lottizzazione, ancorché unitariamente denunziati, erano due; la realizzazione sull’altra area di manufatti nel 2007 non può riverberare le proprie conseguenze sulla protrazione della consumazione del reato consumato in area del tutto diversa. L’ultimo atto di trasferimento relativo ad una particella ricadente nell’area cd. “Annibale”, risaliva al mese di aprile 2004; il decreto di citazione diretta a giudizio è stato emesso oltre quatto anni dopo, il 18/09/2008, sicché il Tribunale, in applicazione del principio di diritto affermato dalle Sez. U, Perroni, non avrebbe potuto compiere alcun accertamento sulla effettiva sussistenza (e persistenza) della lottizzazione.

3.2. Con il secondo motivo deducono deducono la violazione degli artt. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, 129, comma 1, cod. proc. pen., 158 e 159, comma primo, n. 3), cod. pen.

Deducono che la Corte di appello ha erroneamente calcolato per intero, ai fini della prescrizione, il periodo di sospensione del dibattimento dal 14/06/2011 al 27/09/2011 disposto per legittimo impedimento del difensore.

La sospensione della prescrizione, osservano, non avrebbe dovuto superare sessantatre giorni (sessanta più i tre giorni di impedimento), sicché, considerato il rinvio dell’udienza del 15/03/2012 a quella del 04/10/2012 per adesione dei difensori alla giornata di astensione proclamata dall’OUA, pari a otto mesi e ventitré giorni, il periodo massimo di sospensione è pari a otto mesi e ventisei giorni. Ne consegue, concludono, che il termine massimo della prescrizione era maturato il 14/01/2013, anteriore all’ultimo atto istruttorio dell’8/03/0213 (escussione del teste Falco).

4. Fiore, Fiore, Fiore, Battaglia e Buongiorno propongono, con unico atto, un solo motivo con il quale deducono la violazione degli artt. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, 117, Cost., in relazione agli artt. 6, 7 e 13, Convenzione EDU, e 1, Prot. addizionale alla Convenzione, e 125, comma 3, cod. proc. pen., in conseguenza della mancata proporzionalità della confisca.

Sostengono, al riguardo, che il Fiore aveva acquistato, nel 2000, la particella 2123 che quattro anni dopo aveva donato ai propri figli, e, in regime di comunione legale con le rispettive mogli, Buongiorno e Battaglia. Questa, dunque, è stata la sola attività posta in essere dai ricorrenti i quali non avevano dato inizio ad alcuna attività edificatoria. Le conseguenze, affermano, sono due: a) nessun apporto alla lottizzazione era stato dato rispetto al sequestro del 2007; b) vi è sproporzione tra la condotta posta in essere e la confisca del terreno.

5. Barra e articolano, con unico atto, cinque motivi.

5.1. Con il primo deducono violazione di legge e vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in ordine alla mancata declaratoria della prescrizione maturata prima dell’esercizio dell’azione penale.

Osservano, in fatto, che:
– le lottizzazioni per le quali si procede erano due: la lottizzazione cd. Annibale e la lottizzazione cd. Girone;
– l’una, originata dal frazionamento in otto nuove particelle dell’originaria particella n. 1181 di proprietà di Annibale e De Stefano, era iniziata nel 2000 ed era cessata il 22/04/2004, data di stipula dell’ultimo atto di trasferimento della proprietà della Barra in favore di Fiore e Fiore; l’altra era stata avviata il 02/07/2002 a seguito della fusione delle particelle n. 1180 e 1252 e del successivo frazionamento e alienazione a titolo oneroso fino al sequestro effettuato il 19/04/2007;
– al momento dell’esercizio dell’azione penale (18/09/2008) il termine di prescrizione (pari a quattro anni) era ormai maturato con riferimento al reato di lottizzazione cd. Annibale;
– in spregio all’art. 12 cod. proc. pen., i due reati sono stati trattati unitariamente in simultaneus processus benché le due lottizzazioni non avessero nulla in comune (diversi sono gli acquirenti, diversi i periodi storici delle operazioni negoziali, diversi i notai roganti, diversa la storia delle due lottizzazioni);
– le condotte dei proprietari di un lotto non hanno nulla a che vedere, né hanno arrecato alcun contributo alle condotte dei proprietari degli altri lotti; si tratta di soggetti totalmente estranei tra loro, non legati da alcun vincolo familiare, societario o relazionale;
– alcun contributo essi ricorrenti avevano dato a coloro che avevano acquistato un fondo appartenente alla contigua area lottizzata.

Lamentano, in diritto, che l’unica ratio della connessione è stata quella di spostare in avanti la cessazione della permanenza del reato di lottizzazione relativo alla cd. lottizzazione “Annibale” in realtà cessata già nel 2004, il che impediva al Tribunale di disporre la confisca.

5.2. Con il secondo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in ordine alla prosecuzione del giudizio nonostante la prescrizione fosse maturata ben prima dell’accertamento del reato.

Osservano che, anche volendo considerare come data di cessazione della permanenza quella del 19/04/2007, tenendo conto dei periodi di sospensione del corso della prescrizione (266 giorni), la prescrizione era maturata il 10/01/2013 in epoca, cioè, antecedente l’escussione dell’ultimo testimone, Nicola Falco (08/03/2013), la cui importanza e rilevanza ai fini dell’accertamento del fatto è provata dal fatto che per sentirlo erano stati disposti ben cinque rinvii. Ne consegue che il processo è illegittimamente proseguito, in violazione dell’art. 129, cod. proc. pen., e del principio affermato da Sez. U, n. 13539 del 2000, Perroni, al solo fine di accertare il reato nelle sue componenti oggettive e soggettive.

5.3. Con il terzo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in relazione alla buona fede e alla scusabilità della propria ignoranza.

A sostegno della dedotta violazione dell’art. 5 cod. pen. allegano che si erano limitati ad acquistare un lotto di terreno ricadente in zona agricola, già diviso e ricavato da un più ampio appezzamento di terreno, nel rispetto delle rassicurazioni fornite sul punto dagli organi competenti e dai pubblici ufficiali intervenuti a vario titolo e sempre rispettando la destinazione del fondo. Prima ancora, le operazioni preliminari di fusione e frazionamento del fondo, dal quale era stata ricavata la particella da loro acquistata, erano state approvate dagli organi comunali e dall’Agenzia del Territorio di Napoli.

Contestando il reato di lottizzazione abusiva, si è fatto carico ai ricorrenti di una responsabilità penale in mancanza di colpa non avendo essi, né potendo avere, consapevolezza della antigiuridicità della condotta e del relativo disvalore. Essi hanno agito versando in condizione di ignoranza inevitabile e, dunque, scusabile; si tratta, pur sempre, affermando, di un salumiere e di una casalinga continuamente rassicurati dalla pubblica amministrazione che approva i frazionamenti, autorizza le fusioni, autorizza le operazioni prodromiche alla vendita. La motivazione della sentenza impugnata è, sul punto, inconferente, illogica o contraddittoria con impropri e inesatti richiami alla giurisprudenza di legittimità.

5.4. Con il quarto motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in relazione alla sussistenza del reato sotto il profilo oggettivo, alla proporzionalità del provvedimento ablatorio, all’elemento soggettivo del reato, alla presenza del viottolo interpoderale, alla dimensione dei fondi, agli indici dell’intento edificatorio sottesi all’operazione lottizzatoria, al tempo di acquisto dei fondi da parte loro e alla loro buona fede.

Richiamati gli argomenti dedotti con il terzo motivo a sostegno della propria buona fede, rilevano un primo aspetto contraddittorio della motivazione della sentenza nella parte in cui, pur dando atto che essi ricorrenti non erano certamente animati da spirito doloso, predica la massima consapevolezza della violazione della legge cui andrebbe (ed è stata) commisurata la proporzionalità della sanzione.

Altro passaggio illogico è quello relativo alla degradazione a dato “sostanzialmente neutro” della presenza del viottolo interpoderale, considerato in primo grado principale indice dell’intento lottizzatorio di tutti gli imputati siccome realizzato – a detta del primo Giudice – per garantire un più comodo accesso ai fondi nella prospettiva di un loro sfruttamento edificatorio. L’accertata (e incontestata) preesistenza del viottolo, a suo tempo realizzata dai frontisti e dunque nemmeno dagli originari lottizzatori, riconosciuta dalla Corte di appello, non ha però condotto i Giudici distrettuali a trarne le giuste conseguenze avendo la sentenza impugnata confermato comunque quella del Tribunale.
Inoltre, manca del tutto la motivazione riguardo agli indici della volontà edificatoria (dimensione dei fondi, inidoneità alla coltivazione agricola, prezzo di acquisto e altri indici compendiati dal protocollo notarile n. 13 “Normativa urbanistica ed edilizia”) mai esaminati né in primo, né in secondo grado. Non è stata esaminata, per esempio, la questione relativa alla dimensione dei fondi (ritenuti in primo grado troppo piccoli da poter essere destinati alla coltivazione), benché oggetto di specifico motivo di appello; né alcuna parola è stata spesa in entrambi i gradi di giudizio sul prezzo di acquisto del fondo e sulla sua localizzazione (il primo Giudice – affermano – ne aveva rimarcato la vicinanza al centro abitato onde apoditticamente trarne la conclusione dello sfruttamento edilizio), o sul protocollo notarile n. 13.

5.5. Con il quinto motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in ordine alla sussistenza del reato avuto riguardo all’epoca dell’acquisto dei fondi.
Premettono di aver stigmatizzato la natura contraddittoria del ragionamento dei Giudici di primo grado i quali avevano tratto il convincimento della finalità edificatoria dell’attività lottizzatoria da condotte edilizie poste in essere da altra persona in epoca successiva all’acquisto del terreno.

La Corte di appello, lamentano, ha superato l’argomento affermando che essi ricorrenti erano comunque intervenuti nelle fasi iniziali dell’operazione da ciò traendone, in maniera del tutto illogica, la loro intenzione edificatoria.

6. Carrino e Fiore articolano, con unico atto, due motivi.

6.1. Con il primo deducono la violazione degli artt. 44, lett. c), e 30, d.P.R. n. 380 del 2001, il vizio di motivazione carente e contraddittoria, il travisamento della prova, la violazione dei canoni di valutazione della prova di cui all’art. 192, cod. proc. pen., l’inversione del corretto ragionamento logico-probatorio, con riguardo allo stato dei luoghi e alle attività realizzative delle opere di urbanizzazione finalizzate alla lottizzazione.

Lamentano, in particolare, la carenza decisionale in ordine ad un aspetto qualificante la fattispecie in esame contraddistinta dalla autonomia delle due lottizzazioni (la “Annibale” e la “Girone”) che, invece, la Corte di appello, rimandando, per relationem alla sentenza di primo grado, ha ritenuto frutto di una comunanza decisionale e progettuale inutilmente contestata in secondo grado. Tale carenza appare oltremodo evidente ove si consideri che il Tribunale aveva desunto tale comunione di intenti dalla realizzazione di una strada interpoderale preesistente agli originari frazionamenti (e al loro stesso atto di acquisto). Non si trattava, dunque, di un’opera di urbanizzazione a servizio della nascente lottizzazione.

Nè potevano ritenersi validi gli ulteriori indici dell’esistenza della lottizzazione e della sua conoscibilità (prima ancora che della sua conoscenza) valorizzati dal Tribunale (benché esplicitamente contestati in appello) posto che dall’atto di acquisto del lotto di loro proprietà si faceva riferimento ad un unico frazionamento, così che i ricorrenti mai e poi mai avrebbero potuto rendersi conto dell’esistenza di un secondo atto di frazionamento che avrebbe dato vita alla seconda lottizzazione. Tanto più che, affermano, l’epoca di realizzazione del loro manufatto (2001) era addirittura precedente ai frazionamenti e alla alienazione dei fondi della lottizzazione cd. “Girone” (che sono del 2002).

Nè costituisce argomento convincente la destinazione urbanistica dei fondi; l’esame attento dell’art. 54 delle NTA (allegato all’atto di acquisto) non esclude a priori la capacità edificatoria del fondo, limitandosi solo a disciplinarne la destinazione. Che i ricorrenti avessero edificato nell’immediatezza dell’acquisto senza richiedere l’autorizzazione ad edificare, non può considerarsi – sostengono – elemento da cui desumere la coscienza di una sussistenza di una volontà lottizzatoria. Non un solo elemento, insomma, lasciava presagire questa volontà. Il fatto che, a distanza di oltre dieci anni dall’acquisto, l’ufficiale di polizia giudiziaria escusso all’udienza del 7 aprile 2011 aveva riferito che tutti i fondi (tranne quello dei ricorrenti) fossero coltivati e che sugli stessi non sussisteva alcuna opera edilizia, e che anzi erano recintati con reti metalliche (nemmeno in muratura), non può che convincere della volontà di utilizzare i fondi per fini non edificatori. Nel 2007, anno del sequestro, tutti i fondi della cd. lottizzazione “Annibale” erano inedificati e regolarmente coltivati, in evidente contrasto logico con la affermata preesistente volontà lottizzatoria.

6.2. Con il secondo motivo deducono la contraddittorietà, intrinseca ed estrinseca, della motivazione, la sua illogicità, la violazione delle regole che presiedono al corretto iter del procedimento probatorio, l’illogica ed ingiusta applicazione della confisca, provvedimento, quest’ultimo, che pregiudica il diritto di proprietà dei terzi acquirenti in buona fede.

7. Il Procuratore generale ha depositato note di udienza chiedendo di rimettere i ricorsi alle Sezioni unite ai sensi del comma 1-bis dell’art.618 cod. proc. pen. ritenendo opportuno un nuovo esame della seguente questione: “se il giudice di primo grado possa disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.

2. La rubrica imputa ai ricorrenti il reato di lottizzazione abusiva perché «in concorso tra loro, in qualità di proprietari di nr. 18 lotti di terreno (di circa 1000 mq ciascuno) ubicati in Caivano-Via Delle Rose ed individuabili nelle particelle (…) indicate al foglio 9 del Catasto Urbano, iniziavano la trasformazione urbanistica dell’intera area (di mq. 16.434) ove erano ubicati tali lotti, in particolare rendendo la stessa suscettibile di sfruttamento edilizio in contrasto con l’originaria vocazione agricola e con la sottoposizione della medesima ad un vincolo di carattere archeologico. In particolare il mutamento dell’originaria vocazione urbanistica dell’area veniva conseguito:

1) ponendo in essere atti di frazionamento delle poche particelle di cui, all’origine, si componeva catastalmente l’intera area e, subito dopo, ponendo in essere atti di cessione e/o donazione delle nuove particelle ottenute. Nella specie: in relazione alla porzione di area (pari a mq.8167) attualmente comprensiva delle particelle dal nr. 2152 al nr. 2159, Girone e Mugione, primi proprietari e tali in relazione a due sole particelle indicate al nr. 1252 e 1180, realizzavano la fusione di tali particelle ed il successivo frazionamento in otto nuove; in seguito, procedevano alla donazione delle medesime ed ai figli, ad eccezione di quella indicata al nr. 2153; in particolare a Girone venivano attribuite le particelle 2152 e 2155, a Girone le nn. 2154 e 2157, a Girone le nn. 2156 e 2159, a Girone la nr. 2158. Nel quasi medesimo contesto temporale, poi, Girone donava la particella 2152 a Girone, Girone donava la particella 2154 a Girone, Girone donava la particella 2156 a Girone. In relazione invece alla porzione di area (pari a mq. 8267) oggi comprensiva delle particelle dal nr. 2116 al nr. 2123, Annibale e De Stefano, primi proprietari di unica particella indicata al nr. 1181, frazionavano la medesima in otto nuove particelle. Subito dopo donavano: – ad Annibalele nn. 2116, 2119 e 2121. Costei poi vendeva la nr. 2116 a Carrino e la 2119 a Catalano; a Barrala nr. 2121; – ad Annibale le nr. 2117, 2120, 2122. Costui, a sua volta, vendeva la particella nr. 2117 ad Articolare che la rivendeva ancora a Natale, odierno proprietario, la nr. 2120 a Catalano; la 2122 a Barrache ne rivendeva metà a Fiore e metà a Fiore. Vendevano poi a Fiore la particella nr. 2123. Costui, in seguito, ne donava una metà a Fiore ed altra metà a Fiore;

2) realizzando tra le due suindicate porzioni (di mq. 8167 e di mq. 8267) una strada di circa 10 metri ed in relazione alla particella 2116, anche un marciapiede.

In Caivano-Via Delle Rose-sino al 23.5.2007».

3. Il fatto è contestato come unico, commesso in concorso/cooperazione colposa da tutti gli imputati a partire dall’anno 2000, allorquando, Annibale e De Stefano, dopo aver frazionato in otto particelle quella n. 1181 di loro proprietà, nello stesso giorno, il 17/04/2000, ne donavano tre ad Annibale(part.lle 2116, 2119 e 2121) e tre ad Annibale (part.lle 2117, 2120 e 2122); il 19/06/2000 ne vendevano una a Fiore (part.lla n. 2123). Nel giugno 2000 Annibale vendeva le sue tre particelle, rispettivamente, a Carrino (marito di Fiore; part.lla 2116, venduta il 12/06/2000), Catalano (part.lla 2119, venduta il 14/06/2000) e Barra (coniuge di Abbate; part.lla n. 2121); nello stesso periodo, Annibale avrebbe venduto le sue particelle, rispettivamente, a Catalano (marito di Giuliano; part.lla n. 2120 venduta il 14/06/2000), Articolare (part.lla n. 2117, venduta il 12/06/2000) e Barra (part.lla n. 2122, venduta il 12/06/2000). Il 15/04/2004, Articolare vendeva la sua particella ai coniugi Natale/Giordano; il 22/04/2004 Barrace dava metà della particella n. 2122, acquistata da Annibale, a Fiore (coniuge di Buongiorno) e l’altra metà a Fiore (coniuge di Battaglia). Il Fiore avrebbe donato metà della particella n. 2123 a Fiore e l’altra metà a Fiore. Nel 2001, Carrino (e la moglie, Fiore) avviavano, sul lotto di loro proprietà, la abusiva realizzazione di un manufatto esteso 180 mq. sottoposto a vari provvedimenti di sequestro, l’ultimo dei quali eseguito il 10/05/2007.

3.1. Nello stesso anno 2001 veniva venduta a Girone la particella n. 1180; questi e la moglie, Mugione, proprietari anche della particella n. 1252, avevano provveduto a fondere le due particelle per poi frazionarle in altre otto particelle donate, nel tempo (dal 02/07/2002 al 13/09/2002), ai propri figli, (part.lle 2152 e 2155), (part.lle 2154 e 2157), (part.lle 2156 e 2159) e, da ultimo, (ed al di lei coniuge, Di Micco; part.lla 2158)., e avevano provveduto successivamente a cedere parte di quanto ricevuto donandolo, rispettivamente, a Girone e al marito, Falco (part.lla n. 2152 ceduta il 13/09/2002), Gironee relativo coniuge, Sentiero Francesco (part.lla n. 2156 ceduta il 13/09/2002), Girone e relativo coniuge, Aquilante Bernardo (part.lla n. 2154 ceduta il 27/09/2002). In buona sostanza, lo stesso giorno nel quale Girone e Mugione avevano donato a Girone (ed al marito) la particella 2158 (il 13/09/2022), e avevano donato una delle due particelle ricevute con le donazioni del 02/07/2002.

3.2. Il 16/04/2007 era stata accertata, sulla particella di proprietà di Girone, la abusiva realizzazione di un manufatto edilizio oggetto di vari sequestri, l’ultimo dei quali eseguito il 19/04/2007.

3.3. In sintesi, nell’anno 2000 (tra i mesi di aprile e giugno) gran parte della lottizzazione “Annibale” era stata completata, ma non ancora portata a termine. Il 14/12/2001, dopo che già nell’ottobre dello stesso anno erano stati avviati i lavori dai Carrino (che ammettono di aver realizzato il marciapiede), prende piede la lottizzazione “Girone” che prosegue fino a tutto il mese di settembre 2002. Nel 2007 si accerta che Girone aveva iniziato attività edificatoria sulla particella n. 2159 donatagli nel 2002.

3.4. L’intera area interessata dalle due lottizzazioni ricadeva in zona agricola produttiva seminativo irriguo e orti, ad eccezione delle particelle n. 2116 (di proprietà dei coniugi Carrino/Fiore) e n. 2159 (di proprietà di Girone) che, oltre alla destinazione agricola produttiva seminativo irriguo e orti, erano in gran parte destinate a servizi di interesse urbano e di quartiere ed in minima parte a viabilità.

3.5. Le due aree frazionate erano separate da una strada sterrata lunga circa 10 metri che consentiva l’ingresso ai singoli lotti (così affermava il primo Giudice, pag. 8).

4. Il Tribunale non aveva dubitato della sussistenza del reato (unico) di lottizzazione abusiva delle due aree, al fine di poterle sfruttare a fini edificatori, e della colpevolezza di tutti gli imputati (donatari, acquirenti e sub-acquirenti dei singoli lotti).

4.1. Quanto al profilo oggettivo, osservava che «si è in presenza di una lottizzazione abusiva di tipo misto (negoziale e materiale) realizzata sia attraverso il frazionamento delle originarie particelle in complessivi 16 lotti di modeste dimensioni e nella successiva cessione degli stessi, sia con l’esecuzione su due di tali lotti, uno per ciascuna area, di manufatti abusivi che hanno comportato una trasformazione edilizia del territorio. Con riferimento all’operazione negoziale l’esistenza di un piano lottizzatorio abusivo si evince, in primo luogo, dal numero e dalle dimensioni dei singoli lotti. Come si è visto, ciascuna delle due aree, in origine di circa 8000 metri quadrati, venne ripartita in otto piccoli lotti, ciascuno avente superficie di circa 1000 metri quadrati: per effetto di tali frazionamenti, le due aree in questione risultano divise in 16 sub particelle, tutte di dimensioni modeste, inidonee ad una proficua utilizzazione agricola. La prossimità dei fondi lottizzati al centro abitato del Comune di Caivano e quindi ad aree già altamente urbanizzate e densamente abitate rende assolutamente verosimile che la lottizzazione negoziale eseguita fosse finalizzata alla successiva edificazione dei singoli lotti».

4.2. Quanto al profilo soggettivo, il Tribunale riteneva «chiara la volontà degli imputati, nelle rispettive posizioni, di procedere e di concorrere ad un’abusiva lottizzazione dei due fondi in questione, finalizzata ad una futura edificazione». Con riferimento ai donatari e agli acquirenti, ne riteneva certa la colpevolezza, «quantomeno sotto il profilo della colpa, dal momento che per le modalità oggettive attraverso cui la lottizzazione era stata realizzata e tenuto conto delle stesse risultanze documentali, con particolare riguardo alla esistenza dei due atti di frazionamento delle originarie particelle ed alla destinazione urbanistica dei fondi, essi, esercitando, con la dovuta diligenza, gli indicati obblighi di informazione, avrebbero potuto rappresentarsi l’esistenza dell’abusivo piano lottizzatorio. A ciò si aggiunga – affermava – che uno dei 16 lotti, la particella 2116, oggetto di una rilevante attività edificatoria abusiva accertata sin dall’ottobre del 2001, ovvero prima che si esaurisce la sequenza negoziale produttiva della contestata lottizzazione, il che rendeva del tutto evidente la potenziale destinazione edilizia delle singole aree» (pag. 10 e seg.). Pertanto, la circostanza che, all’atto del sequestro, alcuni lotti si presentassero recintati e coltivati non determinava, secondo il Tribunale, alcuna conseguenza, né sul piano oggettivo, né su quello soggettivo, sulla sussistenza del reato poiché essa non escludeva la consapevolezza della finalità edificatoria della lottizzazione, resa palese dall’attività edificatoria posta in essere sin dal 2001 su una delle particelle.

4.3. Secondo il Tribunale la permanenza del reato era cessata il 19/04/2007, giorno dell’ultimo sequestro eseguito sulla particella di proprietà di Girone; sicché, considerati i periodi di sospensione del corso della prescrizione (calcolati dal Tribunale in dieci mesi e ventisei giorni), la prescrizione era definitivamente maturata il 15/03/2013. Il compiuto accertamento del reato di lottizzazione abusiva non aveva perciò impedito al Tribunale di disporre la confisca dei terreni.

5. Nel disattendere i rilievi difensivi e nel confermare, per quanto qui di interesse, la pronuncia relativa alla confisca dei terreni abusivamente lottizzati, la Corte di appello ha osservato quanto segue:

5.1. la prescrizione non osta, secondo il diritto vivente, alla confisca purché il reato sia accertato, sotto ogni profilo, prima della sua maturazione;

5.2. nel caso di specie, la prescrizione è maturata (tenuto conto dei periodi di sospensione del dibattimento e del fatto che la permanenza era cessata il 19/04/2007, data dell’ultimo sequestro) il giorno 15/03/2013;

5.3. il fatto è stato definitivamente accertato l’8/03/2013 in concomitanza con l’escussione del testimone Falco, sicché tutta l’attività istruttoria è stata espletata prima che il reato di estinguesse per prescrizione;

5.4. irrilevante, ai fini del calcolo del relativo termine, che le altre aree non siano state interessate da provvedimenti di sequestro poiché il reato di lottizzazione abusiva può essere posto in essere da più soggetti i quali possono partecipare alla sua consumazione con condotte anche solo omissive, anche eterogenee e diverse da quella strettamente edificatoria, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell’illecito, senza che vi sia la necessità di un accordo preventivo;

5.5. nessuno degli appellanti interessati alla lottizzazione “Annibale” aveva allegato elementi concreti a sostegno della sproporzione della misura ablatoria, dedotta, però, sotto il profilo della violazione dell’art. 8, Conv. EDU (rispetto della vita privata e familiare e del proprio domicilio), non del diritto di proprietà;

5.6. la lottizzazione “Annibale” era stata effettuata mediante plurimi atti notarili non limitati ai soli capostipiti e coeredi;

5.7. la sussistenza del reato è provata dalla prossimità temporale tra l’intervenuta operazione di frazionamento e la pronta cessione dei lotti a proprietari diversi, due dei quali (i coniugi Carrino/Fiore) avevano immediatamente intrapreso, sulla particella di loro proprietà, lavori finalizzati alla edificazione di una villetta, così denunziando l’intenzione lottizzatoria sottesa all’intera operazione;

5.8. che l’iniziativa dei coniugi Annibale e De Stefano fosse finalizzata a precostituire, per tutti gli imputati, le condizioni per realizzare un complesso edilizio e non una «comunità di piccoli agricoltori composta da nuclei famigliari» è circostanza comprovata dalla vicinanza temporale tra:
a) il frazionamento della particella n. 1181 (08/02/2000);
b) il primo atto di donazione, rogato il 17/04/2000, in favore di Annibale (part.lle 2216, 2219 e 2121) e di Annibale (part.lle 2217, 2120 e 2122);
c) le successive alienazioni a titolo oneroso poste in essere in favore di: Fiore (atto del 19/06/2000, part. n. 2123, da parte di Annibale e De Stefano); Carrino e Fiore (atto del 12/06/2000, part. n. 2116, da parte di Annibale); Catalano (atto del 14/06/2000, part. n. 2119, da parte di Annibale); Barra e (atto del 14/06/2000, part. n. 2121, da parte di Annibale; atto del 12/06/2000, part. 2122, da parte di Annibale); Catalano e Giuliano (atto del 14/06/2000, part. n. 2120, da parte di Annibale); Articolare (atto del 12/06/2000, part. n. 2117, da parte di Annibale);

5.9. l’avvenuto frazionamento (nei termini sopra indicati) e la pronta attività edificatoria posta in essere nel 2001 dai coniugi Carrino/Fiore, provano la consapevolezza (e la colpevolezza) dei successivi acquirenti dei lotti (i coniugi Natale e Cristina Giordano, Fiore e Buongiorno, Fiore e Battaglia) che nel 2004 avevano ben chiara la vera destinazione finale dei fondi;

5.10. irrilevante, pertanto, la preesistenza o meno del viottolo di accesso ai lotti, indicato quale argomento di prova dagli imputati a sostegno della loro buona fede e della diversità delle due lottizzazioni;

5.11. quanto alla cd. lottizzazione “Girone”, la volontà lottizzatoria è desumibile dal previo accorpamento e dalla successiva divisione dei due lotti originari e dalla successiva attività edificatoria di Girone che per primo aveva intrapreso la realizzazione di una villetta;

5.12. in particolare, dopo aver proceduto il 22/04/2002 alla suddivisione della “macroarea” in otto lotti uguali, nell’arco di pochi giorni del mese di luglio (2, 13 e 27 luglio 2002) i coniugi Girone li avevano ceduti ai propri famigliari uno dei quali,, aveva subito intrapreso l’attività edificatoria.

6. La questione posta trasversalmente da tutti i ricorsi è quella relativa alla possibilità di disporre la confisca in caso di prescrizione maturata prima dell’accertamento del reato di lottizzazione abusiva.

6.1. L’argomento è stato affrontato e risolto da Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, (citata dai ricorrenti a sostegno delle proprie difese) che ha affermato i seguenti principi di diritto: «La confisca di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. «In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001».

6.2. Spiegano le Sezioni Unite che «la possibilità per il giudice dell’impugnazione, che dichiari la prescrizione, di decidere comunque agli effetti della confisca, non può implicare, come invece ritenuto da alcune pronunce, che il giudizio di primo grado, una volta intervenuta la prescrizione e non ancora accertato il fatto, possa comunque proseguire a tali soli fini di accertamento. Un orientamento di questa Corte, ricordato in chiave critica anche dalla ordinanza di rimessione, ha ritenuto recessivo il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato di cui all’art. 129 cod. proc. pen. rispetto al correlativo e coesistente “obbligo di accertamento” ricavabile dall’art. 44 cit. [d.P.R. n. 380 del 2001], che, dunque, dovrebbe avere piena espansione consentendo al giudice, nell’ottica della possibilità di individuare, accanto all’azione penale tipica, una cosiddetta “azione penale complementare”, di “adottare altri provvedimenti a carattere reattivo, nei quali si sostanzia l’esigenza dell’ordinamento di ripristinare l’ordine giuridico violato dal fatto illecito” (…) Sicché, in definitiva, l’unico limite a che il processo penale possa progredire relativamente ad un’azione di accertamento finalizzata alla sola decisione sulla confisca urbanistica sarebbe rappresentato dall’estinzione maturata prima dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese, Rv. 267534) poiché, in tal caso, sarebbe impedito al giudice di compiere, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l’accertamento del reato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi».

Le Sezioni Unite non hanno condiviso tale orientamento perché, affermano, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 129 cod. proc. pen. osta alla prosecuzione del processo ai soli fini dell’adozione di provvedimenti ‘lato sensu’ sanzionatori: l’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato è derogabile unicamente ‘in melius’, dal comma 2 della stessa norma, laddove già risulti con evidenza la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito, e, ‘in peius’, solo in presenza di norme che espressamente statuiscano in tal senso. Il tenore letterale dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, osservano le Sezioni Unite, non fornisce alcun argomento a sostegno dell’obbligo di compiere l’accertamento nonostante la prescrizione già maturata: «pur postulando che ai fini della confisca sia sufficiente l’accertamento del fatto, in tal modo consentendo la misura anche a fronte di maturata prescrizione, la stessa nulla dice in ordine ai rapporti in punto di successione temporale tra l’accertamento del fatto, da un lato, e la prescrizione, dall’altro, se, cioè, l’accertamento debba necessariamente precedere il termine di compimento della prescrizione, affinché sia legittimo disporre la confisca, oppure sia invece consentito che, nonostante la prescrizione ormai intervenuta, il giudizio debba proseguire oltre ai soli fini di accertare il fatto (evidentemente prima non accertato) onde potere disporre la confisca. Né poteva, una norma sostanziale come quella in oggetto, operare specificazione sui tempi e sul quomodo dell’accertamento, appartenendo fisiologicamente un tale ambito alle sole norme di carattere processuale». Nè argomenti in senso contrario possono trarsi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 o dalla sentenza della Corte EDU pronunciata nel caso G.I.E.M. c/Italia, nessuna delle quali ha espressamente riconosciuto la possibilità di proseguire il processo penale in costanza di causa estintiva del reato maturata prima dell’accertamento del reato di lottizzazione abusiva o, peggio ancora, prima dell’esercizio dell’azione penale.

Le Sezioni Unite ricordano che da sempre l’art. 129 cod. proc. pen. è stato interpretato dalla Corte di cassazione come norma espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia «lo stato e il grado del processo» (clausola, questa, significativamente menzionata dalla norma), sentenza di proscioglimento. Ed è emblematico, rimarcano, che, esattamente in fattispecie riguardante la confisca urbanistica, ed in conseguenza della stretta applicazione del “principio di immediatezza” di cui all’art. 129 cit., sia stato dalla Corte di cassazione ritenuto abnorme il decreto del giudice dell’udienza preliminare che, proprio al fine di consentire successivamente l’accertamento finalizzato a detta confisca, abbia disposto ugualmente il rinvio a giudizio per un reato, pur riconoscendo l’intervenuta estinzione dello stesso per prescrizione, in quanto esplicatosi al di fuori dei casi consentiti, al di là di ogni ragionevole limite (Sez. 1, n. 33129 del 06/07/2004, Confl. comp. in proc. Bevilacqua, Rv. 22938). Ricordano anche che la Corte, pur attraverso il riferimento a quanto imposto specificamente dall’art. 469 cod. proc. pen., ha ravvisato, a fronte di maturata prescrizione del reato di lottizzazione, l’impossibilità, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, e, dunque, ad azione penale già esercitata, e dunque in un momento processuale tale, in teoria, da consentire di accertare il fatto nelle sue componenti oggettive e soggettive, di protrarre oltre il giudizio (Sez. 3, n. del 14/11/2018, dep. 2019, Bernardini, Rv. 277975).

Due sono le finalità assicurate dall’art. 129 cod. proc. pen.: a) quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”; b) quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato. In tali funzioni è insita una terza, consistente nel fatto che l’art. 129 rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 cod. pen.

In definitiva, chiosano le Sezioni Unite richiamando (e riaffermando) i principi già enunciati da Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403, il principio dell’immediata operatività della causa estintiva, fatto salvo il limite dell’evidente innocenza dell’imputato, è il frutto di una scelta legislativa che trova la sua ratio nell’intento di evitare la prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi ed inutili formalismi. Ove il principio dell’immediatezza del proscioglimento fosse ritenuto generalmente derogabile in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica, in senso cioè chiaramente sfavorevole all’imputato, non ci si potrebbe sottrarre all’evidente sperequazione che verrebbe in tal modo a crearsi nel caso, invece, di accertamenti da operare in melius, essendosi sempre esclusa dalla Corte di cassazione la possibilità di prosecuzione a tal fine del processo proprio per il contrasto della stessa con quanto disposto dall’art. 129 cod. proc. pen. (a tal fine le Sezioni Unite citano Sez. 3, n. 56059 del 19/09/2017, Marvelli, Rv. 272427 e Sez. 5, n. 5586 del 03/10/2013, Fortunato, Rv. 258875, secondo cui il maturare della prescrizione del reato preclude al giudice il compimento di ulteriori accertamenti, se l’imputato non rinuncia alla causa estintiva). In buona sostanza, mentre l’assoluzione nel merito potrebbe prevalere unicamente se già emergente con evidenza al momento della maturazione della prescrizione, a fini “sanzionatori”, invece, il processo, pur a prescrizione ormai decorsa, dovrebbe, secondo la soluzione non condivisa dalle Sezioni Unite, ugualmente proseguire. Pertanto, solo là dove specificamente previsto, il principio dell’immediata adozione di pronuncia di proscioglimento può trovare deroga nel contemperamento con interessi ritenuti comunque meritevoli di tutela, difettando invece, per quanto riguardante la confisca lottizzatoria, ogni disposizione in tal senso. Le norme che derogano all’art. 129 cod. proc. pen., non possono essere considerate esemplificative di un “sistema” e non possono pertanto essere applicate al di fuori dei casi da esse espressamente previsti (art. 537 cod. proc. pen., in tema di pronuncia sulla falsità di documenti; art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 in tema di contrabbando).

La confisca lottizzatoria, proseguono le Sezioni Unite, è stata costantemente qualificata dalla Corte di cassazione come sanzione amministrativa, sia pure irrogata dal giudice penale, alla stessa stregua dell’ordine di demolizione di cui all’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001.E’ proprio tale natura, affermano, a far escludere che l’impossibilità di operare in sede penale la confisca, perché non sia stato possibile accertare il fatto, impedisca all’amministrazione di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001, come già affermato, per esempio, da Sez. 3, n. 5857 del 06/10/2010, dep. 2011, Grova, Rv. 249517. Nè va dimenticata la natura residuale dell’intervento del giudice il cui intervento sanzionatorio non interferisce, quindi, né si sovrappone all’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa dall’art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001, per cui, ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno al patrimonio disponibile del Comune, è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale. Neppure le ragioni di effettiva tutela dell’interesse collettivo alla “corretta pianificazione territoriale” potrebbero rappresentare motivo di deroga all’applicabilità, nella specie, del principio dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non potendo oltretutto situazioni patologiche come l’inerzia della pubblica amministrazione fungere da criterio interpretativo delle norme penali.
Di qui l’affermazione dei principi di diritto sopra indicati.

6.3. Il Procuratore generale, nelle sue note d’udienza e all’esito dell’odierna discussione, ha chiesto la rimessione dei ricorsi alle Sezioni Unite proponendo il seguente quesito: «se il giudice di primo grado possa disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive».

6.4. Il PG non condivide l’approdo di Sez. U, Perroni, che, afferma, «hanno generato un contrasto con la giurisprudenza preesistente, di tal ché non si tratta di una riproposizione della medesima questione, poiché essa viene proposta direttamente all’esame delle sezioni unite per la prima volta (…) Ribadito che, nella specie, non può ritenersi che le Sezioni unite Perroni fossero state investite di un ricorso sulla ‘medesima questione’ così da precludere la remissione per tale ragione, neppure può ritenersi sussistere l’ipotesi del “superato contrasto” giurisprudenziale, in quanto le Sezioni unite sono intervenute su una questione dove il diritto vivente era consolidato in senso opposto, fino a potersi sostenere che in realtà non sussistesse alcun reale contrasto sul punto specifico e, quindi, sono state loro stesse a innovare la giurisprudenza. Ciò hanno fatto con un percorso argomentativo nuovo sul quale, proprio perché innovativo e tale da ribaltare un diritto vivente opposto, deve inevitabilmente ancora svilupparsi quel circolo di argomenti e di orientamenti, che alimenta e deve necessariamente alimentare il dialogo giurisprudenziale e che verrebbe invece soffocato sul nascere, se fosse ritenuta impedita la rimessione, con il rischio di pretermettere indicazioni e argomentazioni decisive e non esaminate. Paradossale sarebbe del resto ritenere superato un contrasto dalla stessa sentenza che lo ha determinato».

6.5. Secondo il PG non v’era dubbio, in base alla giurisprudenza precedente, che il momento dell’accertamento del fatto coincidesse con quello della pronuncia della sentenza ed aggiunge che il principio di diritto affermato da Sez. U, Perroni, non coincide con la questione ad esse espressamente devoluta dall’ordinanza di rimessione: «[l]a questione devoluta dall’ordinanza della terza sezione penale del 2 ottobre 2019, n. 40380 alle SU [era] la seguente: “se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte europea dell’uomo del 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri contro Italia”. La terza sezione, in sintesi, ritenuta nel merito l’infondatezza del ricorso e rilevata la sopravvenuta prescrizione, si è posta la questione se fosse consentito alla Corte di cassazione disporre l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. a) cpp, per essere il reato estinto e nel contempo rinviare al giudice di merito per un giudizio limitato alla valutazione sulla confisca coerente con i principi fissati dalla sentenza GIEM della Corte europea. Le SU hanno inteso, tuttavia, occuparsi anche di un’altra questione, mettendo espressamente nel mirino la giurisprudenza sopra citata che ritiene possibile la prosecuzione del processo anche dopo la maturazione della prescrizione, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti della confisca urbanistica, e lo ha fatto enunciando il (…) principio di diritto [sopra indicato]».

Il principio di diritto enunciato dalle Sez. U, Perroni, dovrebbe essere considerato alla stregua di un “obiter dictum”, come tale non vincolante ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. e dunque “superabile” dalle Sezioni penali della Corte di cassazione ed, in particolare, dalla Terza Sezione penale che ben potrebbe applicare (anche al caso di specie) i principi affermati da Sez. 3, n. 2292 del 25/10/2019, dep. 22/01/2020, Romano, non mass., e da Sez. 3 n. 8350 del 23/01/2019, Alessandrini, Rv. 275756, secondo cui il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato ove sia stata comunque accertata, con adeguata motivazione e nel contraddittorio delle parti, la sussistenza del reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo.

Sotto un primo profilo, l’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2011, è norma che sterilizza l’immediata operatività della causa di estinzione del reato maturata nel corso del processo, operando allo stesso modo dell’art. 301, d.P.R. n. 43 del 1973, in tema di contrabbando. Sotto altro profilo, prosegue il PG, è lo stesso art. 44, cit., a suggerire la soluzione: «“la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è lottizzazione abusiva, dispone la confisca…”: solo la sentenza accerta, ovvero non c’è accertamento senza sentenza».

Dunque, conclude il PG, è solo la sentenza che segna il momento dell’accertamento del reato.

8. Il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per la remissione dei ricorsi alle Sezioni Unite.

8.1. Ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., «[s]e una sezione della corte [di cassazione] ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso».

8.2. La norma, introdotta dall’art. 1, comma 66, d.lgs. n. 103 del 2017 (cd. Riforma Orlando), ricalca, pressoché alla lettera, il terzo comma dell’art. 374 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 8, d.lgs. n. 40 del 2006, ed intende all’evidenza rafforzare, attraverso il consolidamento del ruolo delle Sezioni Unite, la funzione nomofilattica della Corte di cassazione il cui compito ordinamentale resta quello, fondamentale anche nell’ottica della certezza del diritto, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale (art. 65, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, Ordinamento giudiziario).

8.3. Come affermato da una consolidata e risalente giurisprudenza di questa Corte, l’uniforme interpretazione della legge significa uguaglianza di trattamento dei cittadini di fronte alla legge, sicché la nomofilachia costituisce diretta espressione dell’art. 3, Cost. L’art. 65, r.d. n. 12 del 1941, attribuisce la funzione nomofilattica alla Corte di Cassazione, ed essa appartiene ad ogni sezione della Corte medesima; ma quando, essendovi decisioni in contrasto, intervengono le Sezioni Unite per mettere fine ad una incertezza interpretativa, la decisione delle Sezioni Unite costituisce una sorta di annuncio implicito di giurisprudenza futura determinante affidamento per gli utenti della giustizia in generale e per il cittadino in particolare: in tale ipotesi la funzione nomofilattica ha un peso dominante su altri valori e le sezioni semplici devono prenderne atto (Sez. 3, n. 7455 del 23/02/1994, Di Chiara, Rv. 198355 – 01; Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, Berneschi, in motivazione).

8.4. Come ben spiegato da Sez. 2, n. 8327 del 24/11/2021, dep. 2022, «[l]a disposizione mira a rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, introducendo a tal fine nell’ordinamento un’ipotesi di rimessione obbligatoria alle Sezioni unite ogni qual volta una singola sezione non condivida un principio di diritto precedentemente enunciato dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273549 – 01), senza, peraltro, introdurre vincoli interpretativi per le singole sezioni semplici, le quali, prima di essere chiamate a manifestare la propria opinione dissenziente rimettendo nuovamente la decisione della questione, con ordinanza, alle Sezioni unite, conservano, alternativamente, il potere-dovere: a) di valutare che la questione non rientri nell’ambito di operatività di un principio di diritto vincolante affermato dalle Sezioni unite; b) decidere il ricorso sulla base della c.d. «ragione più liquida». 2.1. In ordine all’individuazione dei principi di diritto vincolanti affermati dalle Sezioni Unite, parte della dottrina ritiene che il vincolo promani da tutti i principi di diritto affermati dalle Sezioni unite; altra parte della dottrina ritiene, al contrario, che l’efficacia “rafforzata” prevista dall’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. vada riconosciuta esclusivamente ai principi di diritto enunciati con riguardo alla questione controversa devoluta all’esame delle Sezioni unite. Quale che sia l’opzione prescelta, non si dubita, come già evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Rv. 281501 – 01, in motivazione), che il vincolo per le Sezioni semplici sussista anche in tutti i casi in cui le Sezioni Unite modulino la questione loro sottoposta, delimitandone l’oggetto, i contorni, conformando il potere decisorio «in ragione della problematica interpretativa autonomamente ritenuta sussistente»; non diversamente accade quando «le Sezioni Unite nella definizione della questione affermano un principio di diritto che necessariamente presuppone l’affermazione di aspetti preliminari, ovvero implica enunciazioni conseguenziali, eventualmente necessarie per delimitare meglio la portata del principio»: in questi casi, «il principio di diritto ha natura unitaria e perciò non consente una scomposizione atteso che, se ciò accadesse, ne conseguirebbe una indebita alterazione del significato di quanto affermato dalle Sezioni Unite. In presenza di un principio composito, si tradirebbe il senso della decisione lì dove si consentisse una sorta di “spacchettamento” del principio, enucleando quelle che sono le singole preposizioni dell’unitaria regula iuris (…) 2.2. In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, enucleato dalla giurisprudenza di legittimità civile (Sez. U, n. 9936 del 08/05/2014, Camps International Gmbh contro Portioli, Rv. 630490 – 01; conforme, più recentemente, Sez. 5, n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184 – 01), e desunto dagli artt. 24 e 111 Cost. (in un’ottica di economia processuale e ragionevolezza della durata del processo), si ritiene consentito alla singola sezione decidere con precedenza una questione, pur logicamente subordinata rispetto ad altra oggetto di contrasto giurisprudenziale, la cui soluzione appaia al contrario pacifica (…) 2.3. Fuori da questi casi, l’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. non consente alle singole sezioni di dissentire consapevolmente da un principio di diritto affermato dalle Sezioni unite. Ove ciò accada, pur in difetto di una sanzione processuale (ma all’uopo soccorre, pur sempre, la generale previsione di cui all’art. 124 cod. proc. pen., che obbliga i magistrati ad osservare le norme processuali anche quando l’inosservanza non importi nullità od altra sanzione processuale, onerando altresì i dirigenti degli uffici della vigilanza sul rispetto delle relative norme «anche ai fini della responsabilità processuale»), potrebbe residuare l’evenienza di una connessa violazione dell’art. 6 Conv. EDU, suscettibile di incidere sulla legittimità del processo. 2.3.1. Secondo la giurisprudenza della Corte EDU (Corte EDU, Sez. 3, 09/03/2006, caso Bratyakin c. Russia (dec.); Sez. 1, 30/07/2015, caso Ferreira Santos Pardal c. Portogallo; Sez. 4, 12/01/2016, caso Borg c. Malta, § 107), infatti, se è vero che le differenze nelle interpretazioni della giurisprudenza costituiscono, per natura, la conseguenza intrinseca di qualsiasi sistema giudiziario che si basa su un insieme di tribunali che hanno autorità sulla loro giurisdizione territoriale e, pertanto, gli eventuali contrasti insorti nelle giurisprudenze dei tribunali non sono di per sé contrari alla Convenzione, discorso diverso va fatto per i contrasti emersi in seno alle Corti supreme di legittimità nazionali, il cui compito istituzionale è assicurare la “certezza del diritto”. Nel valutare se le decisioni contrastanti delle predette Corti, che si pronunciano in ultima istanza, comportino, o meno, una violazione del diritto ad un processo equo, sancito dall’art. 6, § 1, Conv. EDU, la Corte EDU deve considerare: – se si siano determinate “differenze profonde e persistenti” nella giurisprudenza della Corte suprema; – se la legislazione nazionale preveda meccanismi volti a eliminare tali incoerenze ed, in caso affermativo, se tali meccanismi siano stati applicati e quali ne siano stati gli effetti sul caso di volta in volta in esame. D’altro canto, il principio della certezza del diritto, che è implicito in tutti gli articoli della Convenzione e costituisce uno degli elementi fondamentali dello Stato di diritto, mira, in particolare, a garantire una certa stabilità delle situazioni giuridiche ed a promuovere la fiducia del pubblico nel sistema giudiziario: il persistere di decisioni giudiziarie contrastanti potrebbe creare uno stato d’incertezza giuridica che potrebbe ridurre la fiducia del pubblico nel sistema giudiziario, sebbene questa fiducia sia una delle componenti fondamentali dello stato di diritto; la certezza del diritto e la tutela del legittimo affidamento delle persone non comportano, peraltro, il diritto ad applicazioni giurisprudenziali costanti, poiché l’evoluzione della giurisprudenza non osta di per sé alla corretta amministrazione della giustizia, in quanto l’abbandono di un approccio dinamico ed evolutivo rischierebbe di ostacolare qualsiasi riforma o miglioramento e, d’altro canto, la differenza di trattamento tra due controversie non può essere intesa di per sé come violativa dei principi del giusto processo, se è giustificata da una differenza nelle situazioni di fatto in questione (…) D’altro canto, la Relazione al Progetto preliminare del vigente codice di rito dava atto che «viene meno l’effettiva uguaglianza davanti alla legge se nella sede giudiziaria situazioni uguali ricevono trattamenti diversi. Il contrasto tra le decisioni della Corte – si è sottolineato – elude inoltre la richiesta di certezza, che in materia penale è ancor più pressante e si ricollega al principio di stretta legalità, con il suo corollario di tassatività, che non consente di ritenere di volta in volta penalmente lecito o illecito lo stesso fatto o di ravvisare in esso reati diversi di ineguale gravità». La stessa giurisprudenza costituzionale non ha mancato di evidenziare che «un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai diversi tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari» può rendere inevitabile l’errore sul divieto e, conseguentemente, escludere la colpevolezza, incidendo sulla concreta possibilità di conoscenza della legge penale da parte d’ogni consociato (Corte cost., n. 364 del 1988), ed ha successivamente riconosciuto che divergenze profonde e persistenti nella giurisprudenza di una corte suprema circa l’interpretazione di una data norma possono potenzialmente violare il diritto all’equo processo garantito dall’art. 6, § 1, Conv. EDU (Corte cost., n. 230 del 2012)».

8.5. Sulla latitudine applicativa dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., si registra, in dottrina ed in giurisprudenza, un dibattito sull’interpretazione delle parole: “principio di diritto enunciato dalle sezioni unite”. Ci si domanda, in particolare, se il principio di diritto “vincolante” per le sezioni semplici sia solo quello strettamente correlato alla specifica questione posta dalla sezione rimettente (tesi, peraltro, sostenuta dall’odierno PG) o dallo stesso Presidente della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 610, comma 3, cod. proc. pen.

8.6. Secondo alcune pronunce (qualcuna emessa nelle more della stesura della motivazione della presente sentenza), il vincolo derivante dal principio di diritto affermato, ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., dalle Sezioni Unite della Corte riguarda esclusivamente l’oggetto del contrasto interpretativo rimesso e non si estende ai temi accessori o esterni (così Sez. 1, n. 49744 del 07/12/2022, Petrillo, Rv. 283840 – 02, che ha ritenuto tema “accessorio”, rispetto alla questione devoluta e decisa dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8545 del 19 dicembre 2019, avente ad oggetto la natura oggettiva o soggettiva della circostanza aggravante finalistica di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., quello del concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso); secondo altre il principio di diritto affermato dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione è vincolante, ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., anche in relazione agli aspetti preliminari e conseguenziali ad esso, ancorché relativi a profili non specificamente devoluti ma che si rendano, tuttavia, necessari per meglio delimitare il significato e la portata applicativa del principio stesso che, in tal modo, riveste carattere unitario (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501 – 01). Per Sez. 5, n. 1757 del 17/12/2020, dep. 2021, Rv. 280326 – 01, anche dopo l’introduzione dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., ad opera della legge 23 giugno 2017 n. 103, deve ritenersi immutato, in capo alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, il potere di enunciare il principio di diritto ex art. 173, comma 3, disp. att. cod. proc. pen., definendone gli esatti confini, secondo un’ottica di razionalizzazione sistematica in funzione nomofilattica, sensibile alle possibili connessioni ed implicazioni anche in relazione a profili non specificamente devoluti, così che la regola enucleata possa essere esauriente e fungere da guida per orientare in maniera certa e, quindi, prevedibile, le future decisioni.

8.7. Il Collegio ritiene, secondo l’interpretazione sistematica degli artt. 618, cod. proc. pen., e 173, disp. att. c.p.p., che il principio di diritto “vincolante” per le sezioni semplici della Corte di cassazione sia quello espressamente enunciato come tale dalle Sezioni Unite, anche se, in tesi, estraneo alla questione specificamente devoluta dalla sezione rimettente.

8.8. Il comma 1-bis dell’art. 618 cod. proc. pen. non deve essere letto in necessaria correlazione con il comma 1 che lo precede; il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite non è solo quello che risolve il “contrasto giurisprudenziale” (attuale o futuro) segnalato dalla sezione rimettente e ritenuto rilevante ai fini della decisione: è anche quello enunziato all’esito del procedimento di rimessione disciplinato dall’art. 610, comma 2, cod. proc. pen., per le questioni di «speciale importanza».

8.9. Ai sensi dell’art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., il “principio di diritto” è quello sul quale si basa la decisione, senza ulteriori aggettivazioni che ne limitino la portata alle sole questioni specificamente devolute dalla sezione rimettente.

8.10. Il principio di diritto “stravagante”, del tutto avulso, cioè, dalle questioni dedotte, rappresenta più un’ipotesi di scuola che un’evenienza reale e, tuttavia, anche in quel caso ritenere che esso non vincoli le sezioni semplici costituisce il frutto di un’interpretazione restrittiva del comma 1-bis dell’art. 618, cod. proc. pen., il quale fa riferimento, puramente e semplicemente, al «principio di diritto enunciato dalle sezioni unite», quello cioè sul quale, a norma dell’art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., si basa la decisione.

8.10.1. Ragionare diversamente, ritenere, cioè, che il principio di diritto non esattamente pertinente alle questioni dedotte alle sezioni unite costituisca un limite all’applicazione dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., porterebbe alla duplice, assurda conseguenza: a) della coesistenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un principio di diritto comunque affermato dalle sezioni unite e di una giurisprudenza delle sezioni semplici del tutto antitetica o solo parzialmente adesiva, concorrendo così a generare quel “caos interpretativo” che la novella del 2017 ha inteso evitare; b) della sostanziale esclusione dal “precetto” dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., proprio della questione relativa alla sua possibile applicazione anche al caso del principio di diritto “stravagante” o comunque non esattamente pertinente alla questione a suo tempo rimessa dalla sezione semplice, questione che ciascuna sezione sarebbe libera di applicare come meglio ritiene senza dover rimettere la relativa questione alle Sezioni Unite.

8.11. Fermo restando quanto sin qui detto, nel caso di specie, la questione devoluta alle Sezioni Unite era la seguente: «Se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia».

8.12. Il principio di diritto, non condiviso dal PG, è stato formulato all’esito di un articolato ragionamento che ha tenuto conto dell’orientamento «ricordato in chiave critica anche dalla ordinanza di rimessione, [che] ha ritenuto recessivo il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato di cui all’art. 129 cod. proc. rispetto al correlativo e coesistente “obbligo di accertamento” ricavabile dall’art. 44 cit., che, dunque, dovrebbe avere piena espansione consentendo al giudice, nell’ottica della possibilità di individuare, accanto all’azione penale tipica, una cosiddetta “azione penale complementare”, di “adottare altri provvedimenti a carattere reattivo o ripristinatorio, nei quali si sostanzia l’esigenza dell’ordinamento di ripristinare l’ordine giuridico violato dal fatto illecito” (così, tra le altre, da ultimo, n. 2292 del 25/10/2019, dep. 22/01/2020, Romano, non mass., nonché Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017, Martino, Rv. 272791; Sez. 3, n. 43630 del 25/06/2018, Tammaro, Rv. 274196; Sez. 3, n. 31282, del 27/3/2019, Grieco, Rv. 277167). Sicché, in definitiva, l’unico limite a che il processo penale possa progredire relativamente ad un’azione di accertamento finalizzata alla sola decisione sulla confisca urbanistica sarebbe rappresentato dall’estinzione maturata prima dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese, Rv. 267534) poiché, in tal caso, sarebbe impedito al giudice di compiere, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l’accertamento del reato nei suoi estremi oggettivi e soggetti».

8.13. La questione risolta da Sez. U, Perroni (ed il correlativo principio di diritto da esse affermato) è, all’evidenza, del tutto coerente con quella devoluta dalla sezione rimettente; né può assumere rilevanza la circostanza, stigmatizzata dal PG, della sostanziale inesistenza di un preesistente contrasto interpretativo sulle questione dedotta. Ché, anzi, proprio l’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale consolidato e tuttavia non condiviso dalla sezione semplice può giustificare la rimessione del ricorso alle sezioni unite onde evitare un contrasto sulla questione dedotta; ai fini dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., il contrasto giurisprudenziale non deve necessariamente preesistere all’ordinanza di rimessione ma può costituire eventualità rappresentata dalla stessa sezione semplice della Corte di cassazione che, piuttosto che creare essa stessa il contrasto interpretativo, ritenga di risolverlo in anticipo rimettendo la questione alle sezioni unite.

8.14. Il Collegio, in conclusione, non ritiene che vi siano margini per la rimessione dei ricorsi alle sezioni unite.

9. I principi affermati da Sez. U, Perroni, cit., impongono al giudice un duplice accertamento: a) l’individuazione precisa della data in cui è maturata la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva; b) la verifica dell’acquisizione, a quella data, delle prove necessarie e sufficienti a ritenere accertato il reato in ogni sua componente, oggettiva e soggettiva.

9.1. Quanto alla prescrizione, è noto che il reato di lottizzazione abusiva può essere classificato in tre diverse tipologie in base ai modi della sua consumazione: i) lottizzazione materiale; ii) lottizzazione negoziale (o giuridica o cartolare); iii) lottizzazione mista.

9.2. La lottizzazione materiale (o fisica) si realizza attraverso l’esecuzione di opere che comportino, di fatto, una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; la lottizzazione negoziale (o cartolare) ricorre, invece, quando una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio effettuata in assenza del previsto piano di lottizzazione, o in presenza di piano contrastante con gli strumenti urbanistici e le previsioni normative, venga predisposta per mezzo del frazionamento e della vendita, o di atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio (ex plurimis, Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169 – 02); la lottizzazione mista consiste nell’attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione anche solo di uno degli stessi.

9.3. La contravvenzione di lottizzazione abusiva è reato a forma libera e progressivo nell’evento, che sussiste anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o all’esecuzione delle opere, posto che tali iniziali attività non esauriscono l'”iter” criminoso, che si protrae attraverso gli ulteriori interventi che incidono sull’assetto urbanistico, con ulteriore compromissione delle scelte di destinazione ed uso del territorio riservate all’autorità amministrativa competente (Sez. 3, n. 14053 del 20/02/2018, Ammaturo, Rv. 272697 – 01; Sez. 3, n. 12772 del 28/02/2012, Tallarini, Rv. 252236 – 01; Sez. 3, n. 36940 dell’11/05/2005, Stiffi, Rv. 232190 – 01; cfr., altresì, in motivazione, Sez. U. n. 4708 del 24/04/1992, Fogliani: «sussiste il reato di lottizzazione abusiva anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite, perché tali attività iniziali, pur integrando la configurazione del reato, non definiscono l’iter criminoso che si perpetua negli interventi che incidono sull’assetto urbanistico. Infatti, tenuto conto che il reato in questione è, per un verso, un reato a carattere permanente e progressivo e per altro verso a condotta libera, si deve considerare in primo luogo che non vi è alcuna coincidenza tra il momento in cui la condotta assume rilevanza penale e il momento di cessazione del reato, in quanto anche la condotta successiva alla commissione del reato dà luogo ad una situazione antigiuridica di pari efficacia criminosa; in secondo luogo che se il reato di lottizzazione abusiva si realizza anche mediante atti negoziali diretti al frazionamento della proprietà, con previsioni pattizie rivelatrici dell’attentato al potere programmatorio dell’autorità comunale, ciò non significa che l’azione criminosa si esaurisca in questo tipo di condotta perché l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria ulteriormente compromettono le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica»).

9.4. Il momento consumativo del reato deve essere individuato nel compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell’esecuzione di opere di urbanizzazione o nell’ultimazione dei manufatti che compongono l’insediamento, non rilevando a tal fine, invece, l’utilizzazione del territorio in perdurante contrasto con la pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 12459 del 13/01/2021, Merico, Rv. 281576 – 01).

9.5. Ai fini della prescrizione del reato di lottizzazione non conta, pertanto, il momento nel quale è stata tenuta la specifica condotta di partecipazione, bensì quella di consumazione del reato stesso che può perfezionarsi anche ad anni di distanza.

9.6. Nel caso, come quello in esame, di lottizzazione abusiva mista, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dopo l’ultimazione sia dell’attività negoziale che dell’attività di edificazione, e cioè, in quest’ultima ipotesi, dopo il completamento dei manufatti realizzati sui singoli lotti oggetto del frazionamento (Sez. 3, n. 24985 del 20/05/2015, Diturco, Rv. 264122 – 01). Tale termine vale per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato; ne consegue che, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, per il concorrente non è rilevante il momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, ma quello di consumazione del reato, che – come detto – può intervenire anche a notevole distanza di tempo (Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone, Rv. 271330 – 01; Sez. 3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani, Rv. 248483 – 01; Sez. 3, n. 41583 del 10/09/2021, n.m.; Sez. 3, n. 12459 del 13/01/2021, cit.).

9.7. Nel caso di specie, il fatto è contestato come unico, commesso in concorso/cooperazione colposa da tutti gli imputati; la rubrica indica come data di cessazione della permanenza quella del 23/05/2007: i Giudici di merito l’hanno fissata al 19/04/2007, in concomitanza con l’ultimo sequestro. E’ questa, dunque, la data da prendere in considerazione ai fini del calcolo della prescrizione che, tenuto conto dei periodi di sospensione del dibattimento, è maturata, secondo i Giudici di merito, il 15/03/2013, dopo che l’istruttoria aveva consentito il compiuto accertamento del reato, sotto ogni profilo (in realtà, come si vedrà meglio in sede di esame dei singoli ricorsi, la prescrizione è maturata dopo la sentenza di primo grado e, certamente, ben oltre il 15 marzo 2013).

9.8. Ora, una delle questioni trasversalmente poste dai ricorrenti (tutti coinvolti nella lottizzazione cd. Annibale) è quella della natura unitaria del fatto, predicandosi, da costoro, che le lottizzazioni sono due e tra loro autonome e che, pertanto, diversi sono i reati e i relativi termini di prescrizione, non potendo l’attività edificatoria realizzata nella lottizzazione cd. Girone ridondare a danno degli imputati coinvolti nella lottizzazione cd. Annibale spostando in avanti la cessazione della permanenza.

9.9. Il rilievo è infondato.

9.10. Si postula che l’unità o pluralità dei reati di lottizzazione abusiva mista dipenda, in buona sostanza, dall’atteggiamento psicologico di coloro i quali concorrono alla realizzazione del fatto; l’elemento psicologico fungerebbe da elemento unificante della fattispecie: i lottizzanti “Annibale” sono estranei alla lottizzazione “Carrino” perché non hanno preso parte a nessuno degli atti negoziali o materiali posti in essere nell’ambito di quest’ultima lottizzazione.

9.11. In realtà, osserva il Collegio, l’unico elemento unificante, in caso di lottizzazione abusiva mista (e materiale), è il territorio, non le volontà di coloro che con le singole condotte concorrono, nel tempo, a stravolgerne la vocazione urbanistico-edilizia. L’unicità o la diversità delle lottizzazioni (e dei relativi reati) deve essere valutata tenendo conto della natura oggettiva e delle caratteristiche dell’area complessivamente interessata dagli interventi, a prescindere dal fatto che le condotte (nel caso di specie, i frazionamenti, le donazioni, le vendite e le opere edilizie) siano state poste in essere da soggetti diversi tra loro, in epoche diverse e, in ipotesi, senza alcun previo concerto. L’art. 30, d.P.R. n. 380 del 2001, indica come oggetto materiale della lottizzazione i terreni (sottoposti a opere di trasformazione urbanistica od edilizie); la condotta integrante il reato di lottizzazione abusiva (materiale o mista), previsto dall’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, consiste nell’iniziare le opere di trasformazione di tali terreni. E’ dunque ai “terreni”, oggetto materiale della condotta, che occorre fare riferimento, non alle volontà di coloro che hanno innescato il meccanismo lottizzatorio ed hanno concorso a realizzarlo nel tempo. L’oggettività del dato “territorio” precede, nella valutazione dell’unitarietà del fatto-reato “lottizzazione abusiva”, l’esame delle condotte singole poiché è il territorio nella sua unitarietà ad essere sottratto alla riserva pubblica di programmazione.

9.12. Il caso di specie è paradigmatico: si tratta di fondi contigui, serviti dalla stessa strada (corretta la affermazione della Corte territoriale della irrilevanza della sua preesistenza al reato), oggettivamente trasformati, nella loro destinazione urbanistico-edilizia, dalle azioni combinate di persone diverse che, a prescindere da qualsiasi concerto o accordo, si sono combinate tra loro dando luogo, nel tempo, alla complessiva trasformazione urbanistico-edilizia dell’intera zona significativamente suddivisa in 16 lotti, peraltro tutti della medesima estensione (circa 1000 mq. l’uno); la lottizzazione “Girone”, del resto, era stata avviata dopo che su una particella della lottizzazione “Annibale” erano iniziate le attività di trasformazione fisica del territorio e previo accorpamento di due particelle, una delle quali acquistata proprio dopo l’inizio di tale attività.

10. La verifica dell’acquisizione, alla data di maturazione del tempo necessario a prescrivere, di prove necessarie e sufficienti a ritenere accertato il reato in ogni sua componente, oggettiva e soggettiva, è questione di fatto sindacabile in sede di legittimità nei limiti stabiliti dagli artt. 606 e 609, cod. proc. pen. Nel caso di specie, nessuno dei ricorrenti contesta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui il reato è stato processuale e definitivamente accertato il 15 marzo 2013. Ben diversa, come si vedrà in sede di esame dei ricorsi, è la questione relativa alla data di effettiva maturazione della prescrizione.

10.1. Occorre al riguardo ribadire che:

11. Possono ora essere esaminati i singoli ricorsi.

12. I ricorsi di Natale , Giordano, Catalano, Giuliano, Catalano, De Stefano.

12.1. I coniugi Natale e Giordano sono gli acquirenti della part.lla n. 2117 venduta loro il 15/04/2004 da Articolare che, a sua volta, l’aveva acquistata il 14/06/2000 da Annibale cui era stata donata il 17/04/2000 da Annibale e De Stefano.

12.2. I coniugi Catalano e Giuliano avevano acquistato, il 14/06/2000, la part.lla n. 2120 da Annibale cui era stata donata il 17/04/2000 insieme con la n. 2117.

12.3. Catalano è proprietario della part.lla n. 2119 acquistata il 14/06/2000 da Annibalecui era stata donata il 17/04/2000 da Annibale e De Stefano.

12.4. Tanto premesso, il primo motivo pone la questione del ‘tempus commissi delicti’ e postula la maturazione della prescrizione in epoca precedente l’emissione stessa del decreto di citazione diretta a giudizio. La questione, tuttavia, non era stata da loro posta in appello, avendo essi dedotto l’insussistenza del reato, la propria buona fede, l’impossibilità di disporre la confisca in costanza di prescrizione e la violazione del principio di proporzione. Nè avevano dedotto la diversità delle due lottizzazioni. In ogni caso la questione, di natura oggettiva, era stata posta dai Carrino ed è infondata per le ragioni già illustrate al § 9.

12.5. Il secondo motivo riguarda la sospensione della prescrizione conseguente al rinvio dell’udienza del 14/06/2011 dovuto a legittimo impedimento dell’Avv. Costato che, però, non difendeva nessuno degli odierni ricorrenti (assistiti dagli Avv.ti Forte e Cerrone). L’Avv. Cerrone aveva depositato il certificato medico attestante l’impedimento dell’Avv. Costato ed aveva chiesto senz’altro il rinvio dell’intero processo senza nemmeno prospettare la possibile separazione delle posizioni degli imputati assistiti dal difensore impedito. Sicché, il periodo di sospensione del dibattimento disposto anche per gli altri imputati deve essere computato per intero (Sez. 4, n. 50303 del 20/07/2018, Rv. 274000 – 01; Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013, De Seriis, Rv. 257649 – 01; Sez. F, n. 34896 dell’11/09/2007, Laganà, Rv. 237586 – 01).

12.6. Va inoltre considerato l’ulteriore periodo di sospensione del processo (dal 16/02/2012 al 15/03/2012, per ulteriori 28 giorni) dovuto al fatto che l’udienza del 16/02/2012, fissata per l’audizione dei testimoni della difesa, era stata rinviata al 15/03/2012 perché il difensore, contravvenendo all’impegno assunto alla precedente udienza del 13/01/2012 (anch’essa rinviata per l’assenza dei due testimoni della difesa), non aveva provveduto a comunicare alla cancelleria gli indirizzi dei testimoni a discarico Cristiano e Falco Nicola e, quindi, sostanzialmente a causa di una dispersione dell’attività processuale imputabile alla parte tecnica, con la conseguente operatività della generale previsione dell’art. 159, comma 1, n. 3, ultima parte del primo inciso per il caso di rinvii disposti a richiesta dell’imputato o del suo difensore (Sez. 2, n. 293 del 04/12/2013, Silvano, Rv. 257318 – 01; Sez. 5, n. 18091 del 29/01/2018, n.m.; Sez. 3, n. 43172 del 05/07/2017, n.m.).

12.7. Il Collegio non condivide il diverso approdo di Sez. 6, n. 37688 del 20/11/2020, Dedoni, Rv. 280292 – 01, secondo il quale il rinvio dell’udienza per l’omessa citazione del teste ad opera della parte onerata, anche se ascrivibile a un suo comportamento negligente, non determina la sospensione della prescrizione, essendo giustificato da esigenze istruttorie. Se è vero che l’inadempimento di tale onere non determina l’inammissibilità della prova o una automatica decadenza o revoca della ordinanza ammissiva della prova stessa e che la prova, una volta ammessa non è più nella disponibilità della parte che l’ha richiesta (che non può rinunciarvi senza il consenso dell’altra parte), è altrettanto vero, però, che la parte non ha nemmeno la disponibilità dei tempi del processo. L’obiezione secondo la quale il rinvio sarebbe sempre dovuto a esigenze di natura istruttoria, potendo il giudice comunque revocare l’ammissione della prova ritenuta superflua o se l’inerzia della parte onerata della citazione possa essere interpretata come comportamento significativo della volontà di rinunciare alla prova ammessa, non regge alla duplice constatazione che: a) difficilmente potrebbe essere ritenuta superflua una prova testimoniale a discarico che avrebbe dovuto essere assunta subito dopo la conclusione della assunzione delle prove a carico; b) tale obiezione pecca di astrattezza perché non considera le singole e specifiche dinamiche processuali e perché non sempre il comportamento negligente può essere considerato manifestazione della volontà della parte di rinunziare alla prova (e nel caso di specie non lo è stata). Il più delle volte la negligenza della parte incide sui tempi del processo procrastinando l’assunzione di prove che sono effettivamente necessarie all’accertamento del fatto, sopratutto quando, come nel caso di specie, a tale negligenza non poteva ovviare il giudice proprio perché la parte non aveva comunicato gli indirizzi dei testimoni da citare. E’ un dato di fatto che l’accertamento del reato ha coinciso proprio con la assunzione della testimonianza di Falco Nicola.

12.8. Va inoltre calcolata l’ulteriore sospensione del corso della prescrizione (per 67 giorni) dovuta alla richiesta, formulata dai difensori all’udienza del 08/03/2013, di rinviare il processo per la discussione; richiesta accolta dal Giudice che ha rinviato il processo all’udienza del 14/05/2013.

12.9. Considerando tutti i periodi di sospensione del dibattimento, compresi quelli indicati ai §§ 12.5-12.8 (per un totale di 403 giorni), la prescrizione è maturata nei confronti dei ricorrenti in data addirittura successiva alla sentenza di primo grado (il 27/05/2013).

13. I ricorsi di Fiore , Fiore, Fiore, Battaglia e Buongiorno.

13.1. Il 19/06/2000 Fiore aveva acquistato, da Annibale e De Stefano, la part.lla n. 2123, donata, quattro anni dopo, ai figli (per il 50%) e (per l’altro 50%) in regime di comunione legale con le rispettive mogli, Buongiorno e Battaglia. Nello stesso periodo, con atto del 22/04/2004, Fiore e Fiore (e rispettive mogli) acquistavano daBarra la part.lla n. 2122, ciascuno per la metà.

13.2. L’apporto causale dato dai ricorrenti (attualmente proprietari dei beni confiscati) alla consumazione del reato di lottizzazione abusiva (mista) è tutt’altro che marginale e niente affatto limitato alla sola ricezione del terreno donato da Fiore (il quale, tra l’altro, non ha alcun interesse attuale a dolersi della confisca, non essendo più titolare della situazione giuridica soggettiva attiva incisa dalla confisca). Essi hanno anche anche acquistato un ulteriore terreno da Barrache era stato a suo tempo donato da Annibale e De Stefano ad Annibale e da questi venduto nel giugno 2000 proprio alla Barra. La condotta dei ricorrenti, dunque, si pone alla fine di un’unica sequenza lottizzatoria, perpetuata anche grazie a loro, attraverso la quale – come già detto – un’intera area estesa oltre 16.400 metri quadrati, destinata nella sua quasi interezza a zona agricola e interamente sottoposta a vincolo archeologico, è stata suddivisa in 16 lotti di modeste dimensioni su due dei quali erano state iniziate attività edilizie.

13.3. I ricorrenti citano, a sostegno della natura sproporzionata della confisca, il principio affermato da Sez. 3,n. 3727 del 20/11/2020, Rv. 280871 – 01, secondo il quale, in tema di lottizzazione abusiva di carattere esclusivamente negoziale, ai fini della valutazione della conformità della confisca dei terreni al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, il giudice deve valutare, alla luce degli interventi eventualmente adottati dall’interessato e da questi specificamente provati, la proporzionalità di tale misura ablatoria, accertando se la stessa sia l’unica misura adeguata a ripristinare la conformità urbanistica dell’area interessata.

13.4. Si tratta di principio non applicabile al caso di specie, non trattandosi, come già detto, di lottizzazione abusiva di carattere esclusivamente negoziale, bensì di lottizzazione abusiva mista.

13.5. Più confacente al caso di specie è il principio affermato da Sez. 3, n. 12640 del 05/02/2020, Iannelli, Rv. 278765 – 01, secondo cui, in tema di lottizzazione abusiva, solo la effettiva ed integrale eliminazione di tutte le opere e dei frazionamenti eseguiti in attuazione dell’intento lottizzatorio, cui sia conseguita, in assenza di definitive trasformazioni del territorio, la ricomposizione fondiaria e catastale dei luoghi nello stato preesistente accertata nel giudizio rende superflua la confisca dei terreni perché misura sproporzionata alla luce dei parametri di valutazione del principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 della Convenzione EDU, come interpretato dalla pronuncia della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia.

13.6. Come ricordato in motivazione, «[n]el paragrafo 301, la decisione della Grande Camera evidenzia che, ai fini della valutazione della proporzionalità della confisca, devono essere presi in considerazione diversi parametri, quali la possibilità di adottare misure meno restrittive, come la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, aggiungendo (§302) che deve essere offerta la possibilità, alla persona interessata, di esporre adeguatamente le sue ragioni alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti dall’art. 1 del Protocollo n. 1. Date tali premesse, la Corte EDU afferma che l’applicazione automatica della confisca in caso di lottizzazione abusiva prevista — salvo che per i terzi in buona fede — dalla legge italiana è in contrasto con i principi richiamati, perché non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze specifiche del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione (osservando anche che, non essendo state parti nei procedimenti, nella fattispecie le società ricorrenti non hanno beneficiato di alcuna delle garanzie procedurali di cui al precedente paragrafo 302). Nel dare quindi conto di quanto affermato dalla sentenza della Grande Camera, la sentenza [Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019] Alessandrini rileva come la verifica circa la corretta estensione della confisca richiede un accertamento in fatto che deve necessariamente essere effettuato, sulla base di dati materiali oggettivi, dal giudice del merito e da questi supportato con adeguata e specifica motivazione, sindacabile, in sede di legittimità, nei limiti propri di tale giudizio (…) i giudici di Strasburgo, nel considerare le possibilità di misure meno restrittive rispetto alla confisca, menzionano espressamente la demolizione e l’annullamento del piano di lottizzazione, sostanzialmente richiamando quanto già era stato affermato nella precedente pronuncia 20 gennaio 2009 emessa nel caso Sud Fondi c/ Italia ove, nel paragrafo 140, si menziona la possibilità di “prevedere la demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione”. Dunque, Corte EDU afferma che deve sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito e che ad essa spetta valutare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e l’interesse della parte in causa, lasciando allo Stato un ampio margine di apprezzamento sia per scegliere i mezzi da utilizzare che per giudicare se le loro conseguenze siano legittimate, nell’interesse generale, dalla preoccupazione di conseguire lo scopo perseguito (così la sentenza G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/Italia § 292, affermazione ribadita nella sentenza della Quarta Sezione, 26 novembre 2019 Yasar v. Romania § 50-51). Da quanto sopra richiamato emerge chiaramente che la Corte di Strasburgo attribuisce particolare rilevanza alla possibilità di perseguire il medesimo fine attraverso l’adozione di misure alternative alla confisca, in modo tale da incidere meno pesantemente sul diritto di proprietà, rispettando, anche attraverso il ricorso agli altri parametri indicati, il rapporto di proporzionalità di cui si è detto. Occorre, a questo punto, domandarsi se la integrale demolizione di tutte le opere eseguite in attuazione di un’attività di illecita lottizzazione, unitamente alla eliminazione dei pregressi frazionamenti e delle loro conseguenze, rispondano ai criteri di proporzionalità indicati dalla Corte EDU e rappresentino una valida alternativa alla confisca. Ritiene il Collegio che una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della vigente disciplina consenta una risposta affermativa. Tali conclusioni, tuttavia, rendono necessarie alcune precisazioni. Va in primo luogo osservato che se lo scopo è quello di ripristinare la conformità urbanistica dell’area interessata dall’intervento lottizzatorio abusivo, la riconduzione della stessa alle originarie condizioni deve essere effettiva ed integrale, non assumendo quindi rilievo interventi ripristinatori fittizi o soltanto parziali, dovendosi intendere come tali non soltanto quelli attuati mantenendo anche soltanto alcuni degli interventi realizzati, ma anche quelli resi impossibili dalle trasformazioni effettuate (si pensi, ad esempio, a disboscamenti, sbancamenti di terreno ed altri interventi di definitiva mutazione dell’originario assetto dell’area)».

13.7. Più in generale, costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, in tema di lottizzazione abusiva, ai fini della valutazione della conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, assume rilievo anche l’aspetto dell’individuazione dei beni oggetto della misura, nel senso che il provvedimento ablatorio è legittimo se limitato ai beni immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali (Sez. 3, n. 43119 del 17/07/2019, Falconi, Rv. 277263 – 01; Sez. 3, n. 38484 del 05/07/2019, Giannattasio, Rv. 277322 – 02; Sez. 3, n. 31282 del 27/03/2019, Grieco, Rv. 277167 – 03; Sez. 3, n. 14743 del 20/02/2019, Amodio, Rv. 275392 – 01). Si è così ritenuto non conforme al principio di proporzionalità la confisca generalizzata ed indistinta “dei terreni abusivamente lottizzati nonché delle opere abusivamente costruite e la loro devoluzione al Comune”, senza operare una selezione mirata ad applicare la misura alle sole opere funzionali alla trasformazione della struttura e dell’area. E’ invece conforme al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, la confisca di tutta l’area oggetto della lottizzazione, compresi gli edifici sulla stessa realizzati, laddove la complessiva operazione edilizia realizzata abbia determinato il completo stravolgimento della destinazione urbanistica dei terreni, modificandola, nella specie, da zona destinata all’allevamento e all’agricoltura a zona residenziale.

13.8. Sul tema della proporzionalità della confisca è intervenuta anche la Corte costituzionale che, con sentenza n. 146 del 2021, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte d’appello di Bari, con ordinanza del 18/05/2020, «nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite risulti sproporzionata alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della C[orte]EDU espressa dalla Grande Camera nella sentenza del 28.6.2018, Giem e altri c. Italia, non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave, come quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della pianificazione urbanistica generale, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva».

13.9. Ribadendo quanto già affermato con sentenza n. 148 del 1994, il Giudice delle leggi ha ribadito che la lottizzazione abusiva, poiché stravolge la funzione pianificatoria e la sua riserva in capo all’autorità comunale, costituisce una forma di intervento sul territorio ben più incisiva, per ampiezza e vastità, di quanto non sia la costruzione realizzata in difformità o in assenza di concessione, con compromissione molto più grave, nel primo caso, della programmazione edificatoria del territorio stesso. Il reato di lottizzazione abusiva tutela un bene giuridico di particolare rilievo, perché attinente non solo alla tutela del paesaggio e dell’ordinato sviluppo urbanistico rispetto a forme isolate e puntuali di aggressione, ma anche e soprattutto alla salvaguardia della stessa funzione pianificatoria comunale, intesa come momento terminale e ineludibile della complessiva strategia di programmazione delle forme di intervento sul territorio. Richiamando la sentenza della Corte EDU, GIEM c/Italia, la Corte costituzionale ha ribadito che per valutare la proporzionalità della confisca il giudice deve tener conto della demolizione delle opere abusivamente realizzate e/o dell’annullamento del piano di lottizzazione.

13.10. Nel caso di specie è stata posta in essere (secondo quanto affermano i Giudici di merito) la trasformazione di un’intera area agricola in zona destinata all’edificazione residenziale (e non a una comunità di piccoli agricoltori); trasformazione avviata e resa possibile proprio mediante la parcellizzazione dell’area in 16 lotti, tutti di medesime dimensioni, parcellizzazione posta in essere in egual misura da tutti i ricorrenti (nei modi già descritti). Nè, nelle more del giudizio, sono state poste in essere azioni concrete volte al ripristino dello “status quo ante” (spontanea demolizione delle opere abusive; ricomposizione dell’unità dei lotti frazionati).

13.11. Limitare lo sguardo all’azione del singolo autore della singola operazione negoziale e all’oggetto materiale della specifica transazione costituisce operazione non attuativa ma limitativa (e sostanzialmente elusiva) del principio di proporzionalità della misura ablatoria perché distoglie lo sguardo dal quadro complessivo dell’azione integrante il reato, portando all’assurda conseguenza dell’impossibilità stessa della sottrazione dell’oggetto materiale del reato stesso (che ne costituisce anche il prodotto) alla confisca.

13.12. Parcellizzare le singole condotte avulse dal contesto nel quale si sono inserite prescindendo dal risultato complessivamente ottenuto, porterebbe a valorizzare, ai fini della proporzionalità della confisca, il solo mezzo dell’azione, con la conseguenza che l’unità del fatto lottizzatorio verrebbe spezzettata in tanti minuscoli pezzi quanti sono i “mezzi” posti in essere per ottenerlo.

14. Il ricorsi di Barra e Aniello.

14.1.Barra e Aniello sono coniugi. Avevano ricevuto le particelle n. 2121 e n. 2122, rispettivamente, da Annibale e Annibale. Il 22/04/2004 avevano ceduto metà della particella 2122 a Fiore (marito di Buongiorno) e l’altra metà a Fiore (marito di Battaglia). Attualmente sono proprietari della particella n. 2121.

14.2. Il primo motivo deduce il tema della natura unitaria delle due lottizzazioni, questione già analizzata in precedenza con argomenti ai quali si rimanda. Va qui solo aggiunto che i ricorrenti, con le proprie condotte (di ricezione e alienazione dei lotti abusivamente frazionati), hanno materialmente (e consapevolmente) concorso a dare causa alla lottizzazione abusiva, non essendo rilevante, ai fini della unità o pluralità oggettiva dei reati, che abbiano dato causa all’azione anche di altre persone, in tesi, ad essi ignote. Il rapporto di causalità sussiste tra la condotta (nel caso di specie, gli acquisti e le cessioni) e l’evento complessivamente considerato (la trasformazione urbanistica dell’area), non tra la condotta dell’agente e quella di altre persone.

14.3. Il secondo motivo è infondato e non proponibile in questa sede di legittimità.

14.4. Va innanzitutto ribadito che la “prosecuzione del giudizio” nonostante la maturazione della prescrizione prima dell’accertamento del reato non costituisce motivo di nullità della sentenza né della confisca con essa disposta; Sez. U, Perroni, cit., non ha mai affermato questo principio, né – come già detto – ha mai affermato che la confisca accede necessariamente ad una sentenza di condanna. Ciò che deve essere verificato è solo se, alla data di maturazione della prescrizione, tenuto conto degli atti interruttivi e dei periodi di sospensione, il reato era stato accertato in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive. La verifica, come già detto, ha natura fattuale ed è censurabile in sede legittimità nei limiti previsti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen.; in quanto accertamento di fatto esso non può essere devoluto per la prima volta in sede di legittimità e nel caso di specie non risulta devoluto in appello.

14.5. Valgano, in ogni caso, le ampie considerazioni svolte ai §§ 12.5-12.9 che precedono.

14.6. Il terzo motivo pone questioni già devolute in appello ed affrontate e risolte dalla Corte territoriale con argomenti e motivazione non manifestamente illogici e saldamente ancorati a dati di fatto dei quali non viene dedotto il travisamento. La Corte di appello annota, al riguardo, che i coniugi Barra/Abate il 12/06/2000 acquistavano da Annibale la part.lla n. 2122 e che solo due giorni dopo (il 14/06/2000) acquistavano da Annibalela particella n. 2121. In quello stesso 12/06/2000, Annibalevendeva la particella n. 2116 a Carrino (che di lì a poco avrebbe dato inizio, sul lotto acquistato, all’attività edilizia) mentre Annibale vendeva la particella n. 2117 ad Articolare; il 14/06/2000, Annibalevendeva la particella n. 2119 a Catalano, e Annibale vendeva la particella n. 2120 a Catalano. In soli due giorni, i due ricorrenti avevano materialmente preso parte a plurimi atti di compravendita che avevano riguardato anche i loro lotti; su uno di quelli interessati da questa intensa e concomitante attività negoziale sarebbe stata immediatamente intrapresa l’attività edilizia di uno degli acquirenti (Carrino). Successivamente, come anticipato, il 22/04/2004 avrebbero ceduto la particella n. 2122 a Fiore e Fiore, quando l’attività edilizia del Carrino era ormai evidente e palesava l’intenzione di trasformare la destinazione urbanistica dell’intera area.

14.7. I ricorrenti, dunque, non si sono limitati ad acquistare due lotti di terreno ma hanno fattivamente contribuito alla prosecuzione del disegno lottizzatorio vendendo dopo quattro anni una delle due particelle. La dedotta ignoranza inevitabile in cui versavano a causa delle proprie condizioni sociali e della approvazione dei frazionamenti, della autorizzazione delle fusioni e delle operazioni prodromiche alla vendita, sconta il mancato confronto con i dati di fatto correttamente valorizzati dalla Corte di appello per escludere che essi avessero partecipato inconsapevolmente al complessivo progetto lottizzatorio. Nè può essere valorizzata, in senso contrario, la dedotta condizione di salumiere e di casalinga dei due ricorrenti che, semmai, rendeva oltremodo necessario assumere le doverose informazioni sulla natura e le conseguenze delle operazioni negoziali da loro poste in essere. Non v’è insomma prova (non risulta dalle sentenze di merito, né i ricorrenti lo allegano) che i due imputati avessero adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall’ordinaria diligenza.

14.8. Al riguardo, costituisce insegnamento costante della Corte di cassazione quello secondo il quale l’acquirente di immobili o terreni abusivamente lottizzati non è, per ciò solo, terzo estraneo rispetto al reato di lottizzazione abusiva, salva la prova di aver agito in buona fede partecipando inconsapevolmente all’illecita operazione lottizzatoria, pur avendo adempiuto ai doveri di informazione e conoscenza richiesti dall’ordinaria diligenza. E’ infatti configurabile la responsabilità dell’acquirente di un terreno abusivamente lottizzato a fini edificatori ove questi non acquisisca elementi circa le previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona, in quanto con tale imprudente e negligente condotta egli si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che apporta un determinante contributo causale all’attività illecita del venditore (Sez. 3, n. 36310 del 05/07/2019, Motisi, Rv. 277346 – 01; Sez. 3, n. 51429 del 15/09/2016, Brandi, Rv. 269289 – 01; Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi, Rv. 245345 – 01; Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi, Rv. 241098 – 01).

14.9. Non rilevano, ai fini della dedotta violazione dell’art. 5 cod. pen., le allegate rassicurazioni fornite dagli organi competenti e dai pubblici ufficiali intervenuti a vario titolo, né la approvazione dei frazionamenti catastali.

14.10. Come noto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 364 del 1988 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. In conseguenza di tale pronuncia, l’art. 5 cod. pen. risulta oggi cosi’ formulato: “L’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti d’ignoranza inevitabile” (così in motivazione). Spiega il Giudice delle leggi che il comma primo dell’art. 27 Cost. (“La responsabilita’ penale e’ personale”) – interpretato in relazione al comma terzo dello stesso articolo ed agli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 73, comma terzo, e 25, comma secondo, Cost. – non soltanto richiede la colpevolezza dell’agente rispetto agli elementi più significativi della fattispecie tipica (e, cioè, una relazione psichica tra il soggetto e il fatto), ma anche la effettiva possibilità di conoscere la legge penale (e, cioè, un rapporto tra soggetto e legge), possibilità che rappresenta ulteriore necessario presupposto della rimproverabilità dell’agente e, dunque, della responsabilità penale. Consegue che l’art. 5 cod. pen., disconoscendo – secondo l’allora diritto vivente – ogni collegamento tra l’obbligo penalmente sanzionato e la sua riconoscibilità ed equiparando all’ignoranza evitabile della legge penale l’ignoranza non colpevole, e, pertanto, inevitabile, viola lo spirito dell’intera Costituzione ed i suoi essenziali principi ispiratori, che pongono la persona umana al vertice della scala dei valori. Al fine di qualificare l’ignoranza della legge penale (o l’errore sul divieto) come inevitabile, occorre far riferimento a criteri oggettivi, cd. “puri” o “misti” (obiettiva oscurità del testo, gravi contrasti interpretativi giurisprudenziali, “assicurazioni erronee”, ecc.), tenendo conto, peraltro, di quelle particolari condizioni e conoscenze del singolo soggetto, tali da rendere l’ignoranza inescusabile, pur in presenza di un generalizzato errore sul divieto. Non può comunque ravvisarsi ignoranza inevitabile allorché l’agente si rappresenti la possibilità che il fatto sia antigiuridico, salva l’ipotesi di dubbio oggettivamente irrisolvibile (attinente, cioè, alla necessità di agire o non agire per evitare la sanzione). Deve, invece, di regola ritenersi che l’ignoranza sia inevitabile allorché l’assenza di dubbi sull’illiceità del fatto dipenda dalla personale non colpevole carenza di socializzazione del soggetto.

14.11. La Corte di cassazione ha successivamente ritenuto di dover stabilire i limiti della inevitabilità dell’ignoranza del precetto affermando, al riguardo, che per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cd. “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Calzetta, Rv. 197885 – 01, che ha confermato l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilità, più volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonché in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato, e ha conseguentemente ritenuto assorbita, perché irrilevante, la questione della sindacabilità, da parte del giudice ordinario, della concessione “macroscopicamente illegittima”).

14.12. Le generiche “rassicurazioni” fornite dai pubblici ufficiali e dagli organi competenti non sono idonee, dunque, a rendere inevitabile l’ignoranza del precetto violato; la necessità della “rassicurazione” rivela, piuttosto, l’esistenza del dubbio sulla liceità della condotta, dubbio oggettivamente non irrisolvibile, né risolto, nel caso di specie, da (inesistenti) provvedimenti giurisdizionali o amministrativi.

14.13. Nè, in tema di lottizzazione abusiva, rilevano, ai fini della scusabilità della ignoranza della legge penale, le approvazioni dei frazionamenti catastali effettuate dall’agenzia del territorio.

14.14. Ai sensi dell’art. 5, d.P.R. n. 650 del 1972, quando un trasferimento di beni immobili comporta il frazionamento di particelle, deve essere preventivamente presentato all’ufficio tecnico erariale il corrispondente tipo di frazionamento, firmato da un ingegnere, architetto, dottore in scienze agrarie, geometra, perito edile, perito agrario o perito agrimensore regolarmente iscritto nell’albo professionale della propria categoria: il tipo deve essere presentato in doppio originale, uno dei quali redatto su di un estratto autenticato della mappa catastale, di data non anteriore a sei mesi, e l’altro su di una copia dello stesso. L’ufficio tecnico erariale, accertata la conformità del tipo alle norme vigenti, ne dà attestazione su entrambi gli originali e ne restituisce uno entro 20 giorni dalla data di presentazione. Trascorso tale termine senza che l’ufficio vi abbia provveduto, gli atti che danno origine al trasferimento possono essere redatti con riferimento al tipo di frazionamento privo dell’attestazione di conformità.

14.15. L’art. 30, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001, stabilisce, a sua volta, che i frazionamenti catastali dei terreni non possono essere approvati dall’agenzia del territorio se non è allegata copia del tipo dal quale risulti, per attestazione degli uffici comunali, che il tipo medesimo è stato depositato presso il comune.

14.16. L’accertamento di conformità condotto dall’ufficio tecnico erariale non ha ad oggetto la conformità urbanistica dell’operazione sottesa al frazionamento; l’Agenzia del Territorio non ne ha le competenze né gli strumenti, assolvendo il catasto a funzioni prevalentemente fiscali e non urbanistiche. La necessità del preventivo deposito del frazionamento presso gli uffici comunali ne costituisce la prova più evidente, assolvendo tale onere al compito di informare l’ente locale della esistenza di operazioni potenzialmente in grado di pregiudicare la programmazione urbanistico-edilizia delle aree interessate dal (o dai) frazionamento(i).

14.17. Il quarto ed il quinto motivo sono del tutto infondati.

14.18. Sulla proporzionalità della confisca s’è già detto.

14.19. Quanto alla preesistenza o meno del viottolo interpoderale è sufficiente rimandare a quanto già ampiamente illustrato in ordine alla unicità, nel caso di specie, del reato di lottizzazione abusiva (a prescindere dalla pluralità di condotte che hanno materialmente concorso a realizzarlo) e al fatto che il viottolo ha assunto la funzione di vera e propria opera di urbanizzazione primaria a servizio dei lotti abusivamente ricavati.

14.20. Più in generale (e con riferimento alle altre questioni poste con il quarto motivo) è sufficiente evidenziare che il governo degli elementi di fatto utilizzati dai Giudici di merito per ritenere la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva ed il concorso dei ricorrenti è tutt’altro che manifestamente illogico.

14.21. Osserva, al riguardo, il Collegio: a) l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 – 01); b) l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).

14.22. Appare evidente, nel caso di specie, l’intenzione dei ricorrenti di proporre una lettura alternativa dei fatti posti dalla Corte di appello a fondamento della propria decisione. Una lettura che, peraltro, non tiene conto dell’effettiva attività edificatoria avviata su due dei lotti ottenuti dai frazionamenti, del fatto che tale attività è stata avviata in costanza (e a cavallo) delle operazioni negoziali e che gli odierni ricorrenti avevano avuto parte attiva nella successiva cessione di uno dei due lotti ricevuti, del fatto che tutte le particelle avevano le medesime dimensioni e che l’intera area era vicina al centro abitato. Non si comprende, in questo contesto, quale rilevanza possa avere, anche solo ai fini dell’elemento soggettivo del reato, il rispetto o meno, da parte del notaio rogante, della regola n. 13 dei protocolli notarili, raccolte di regole deontologiche a suo tempo elaborate dal Consiglio nazionale notarile, la cui violazione potrebbe avere rilievo disciplinare solo nei casi di loro sistematica violazione (art. 44 dei principi di deontologia professionale dei notai approvati dal Consiglio Nazionale del Notariato con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 177 del 2008). L’elaborazione giurisprudenziale in materia di elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva posto in essere mediante atti rogati dal notaio riguarda sopratutto la figura dell’acquirente che alleghi la propria buona fede (ex multis, Sez. 3, n. 15987 del 06/03/2013, Parisi, Rv. 255416 – 01; Sez. 3, n. 15981 del 28/02/2013, Moretti, Rv. 254987 – 01). Nel caso di specie, giova ricordarlo, i ricorrenti non si sono limitati alla ricezione dei lotti, ma ne hanno a loro volta ceduto uno, dopo che, come già detto, erano state avviate iniziative edificatorie sull’area di complessivo intervento, iniziative che rendevano oggettiva e percepibile la finalità dell’operazione nella sua unitarietà cui i ricorrenti avevano dato il loro contributo nei termini già ampiamente illustrati.

15. I ricorsi di Carrino e Fiore.

15.1. I due ricorrenti sono proprietari della particella n. 2116 acquistata, il 12/06/2000, da Annibale che, a sua volta, l’aveva ricevuta in donazione, circa due mesi prima, da Annibale e De Stefano. Sul terreno di loro proprietà i coniugi Carrino/Fiore avevano costruito «un manufatto con strutture orizzontali e verticali in cemento armato, composto da un piano seminterrato allo stato rustico, piano rialzato con tramezzature, pavimentazione, impiantistica, infissi esterni e posa in opera di intonaco bianco, primo piano allo stato rustico con infissi esterni e tramezzatura, rampe di scale e torrino con copertura in calcestruzzo, muretto di parapetto sul lastrico solare, muratura di recinzione del lotto con sovrastante barriera in ferro, il tutto su una superficie di circa 180 m² per piano» (sentenza primo grado, pag. 4). L’opera era stata oggetto di vari provvedimenti di sequestro preventivo il 25, il 26, il 29 ed il 30 ottobre 2001, il 19 febbraio 2002 e, nuovamente, il 10 maggio 2007.

15.2. Entrambi i motivi pongono questioni già esaminate e tra loro comuni.

15.3. Della natura unitaria della lottizzazione s’è già detto, come pure della non necessità, al riguardo, di una progettualità comune e condivisa da tutti i lottizzanti.

15.4. Nel resto, le deduzioni difensive propongono una inammissibile lettura alternativa degli elementi di prova indicati dalla Corte di appello a sostegno della propria decisione, decisione che è invece del tutto immune da vizi ed è anzi logica e coerente con le premesse fattuali del ragionamento. Premesso che i due ricorrenti hanno acquistato il lotto di terreno lo stesso giorno nel quale Annibale ne vendeva altri due, rispettivamente, a Articolare e a Barra, correttamente (e certamente in maniera non manifestamente illogica) la Corte di appello ha desunto la loro consapevole partecipazione al disegno lottizzatorio dall’immediato avvio dell’attività edilizia sul terreno in questione in totale assenza dei relativi titoli edilizi (il richiamo difensivo alla vocazione edificatoria del lotto desumibile dall’art. 54 delle NTA è incoerente; lo ha già sottolineato la Corte territoriale che si è domandata al riguardo perché, allora, i due ricorrenti non abbiano mai chiesto il permesso di costruire; domanda alla quale i due imputati non hanno mai fornito risposta, nemmeno in questa sede).

Nemmeno l’argomento della mancata effettiva edificazione degli altri lotti è convincente posto che Girone, nel 2007, stava avviando una attività edificatoria sul lotto di terreno donatogli il 2 luglio 2002 da Girone e Mugione. E’ piuttosto vero che l’argomento difensivo della mancata edificazione dell’intera zona trascura la circostanza che proprio gli interventi repressivi dell’abuso edilizio posto in essere dai due imputati possa aver scoraggiato l’immediata realizzazione di altri interventi; tant’è vero che il Carrino avrebbe ripreso tale attività a distanza ormai di cinque anni dall’ultimo sequestro del 2002. Che, dunque, vi fosse la volontà di realizzare una comunità di piccoli coltivatori costituisce argomento ritenuto non convincente dai Giudici di merito sulla base di dati di fatto concludenti e argomenti tutt’altro che illogici.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17/11/2022.

 
 

 

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!