Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia,
231
Numero: 8350 |
Data di udienza: 23 Gennaio 2019
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva in presenza dell’autorizzazione della P.A. – Configurabilità – Artt. 30 e 44 d.PR. n.380/2001 – Fattispecie – Lottizzazione abusiva – Natura di reato a consumazione alternativa integrabile anche a titolo di sola colpa – Concorso materiale – Difetto di autorizzazione – Contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici – Giurisprudenza – Configurabilità anche senza la costruzione di edifici o altri interventi che, singolarmente considerati, richiedano il permesso di costruire – Lottizzazione negoziale – Interpretazione giuridica del termine “frazionamento” – Limiti alla buona fede – Connessione tra le persone fisiche e persona giuridica – Onere della prova – Attività lottizzatoria – Configurabilità mediante qualsiasi utilizzazione del suolo, anche in presenza di un’autorizzazione a lottizzare – Convenzione lottizzatoria e permesso di costruire – Confisca urbanistica in assenza della sentenza di condanna da parte del giudice penale – Il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato – Poteri di confisca del giudice di primo grado – Art. 578-bis cod. proc. pen. – Limite al potere del giudice di disporre la confisca dei terreni lottizzati – Provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prescrizione del reato – Effetti – Formula di proscioglimento nel merito prevale – Rinuncia alla prescrizione – Diritto personalissimo riservato all’imputato – Necessità di una dichiarazione di volontà espressa e specifica – Accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi – Ricorso in cassazione – Esclusione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 26 Febbraio 2019
Numero: 8350
Data di udienza: 23 Gennaio 2019
Presidente: SARNO
Estensore: RAMACCI
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva in presenza dell’autorizzazione della P.A. – Configurabilità – Artt. 30 e 44 d.PR. n.380/2001 – Fattispecie – Lottizzazione abusiva – Natura di reato a consumazione alternativa integrabile anche a titolo di sola colpa – Concorso materiale – Difetto di autorizzazione – Contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici – Giurisprudenza – Configurabilità anche senza la costruzione di edifici o altri interventi che, singolarmente considerati, richiedano il permesso di costruire – Lottizzazione negoziale – Interpretazione giuridica del termine “frazionamento” – Limiti alla buona fede – Connessione tra le persone fisiche e persona giuridica – Onere della prova – Attività lottizzatoria – Configurabilità mediante qualsiasi utilizzazione del suolo, anche in presenza di un’autorizzazione a lottizzare – Convenzione lottizzatoria e permesso di costruire – Confisca urbanistica in assenza della sentenza di condanna da parte del giudice penale – Il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato – Poteri di confisca del giudice di primo grado – Art. 578-bis cod. proc. pen. – Limite al potere del giudice di disporre la confisca dei terreni lottizzati – Provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prescrizione del reato – Effetti – Formula di proscioglimento nel merito prevale – Rinuncia alla prescrizione – Diritto personalissimo riservato all’imputato – Necessità di una dichiarazione di volontà espressa e specifica – Accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi – Ricorso in cassazione – Esclusione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 26/02/2019 (Ud. 23/01/2019), Sentenza n.8350
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva in presenza dell’autorizzazione della P.A. – Configurabilità – Artt. 30 e 44 d.PR. n.380/2001 – Fattispecie.
Il reato di lottizzazione abusiva è configurabile anche in presenza dell’autorizzazione della P.A., nel caso in cui quest’ultima contrasti con gli strumenti urbanistici vigenti (precisandosi che il giudice, ove ravvisi tale contrasto, può accertare l’abusività dell’intervento prescindendo da qualunque giudizio sull’autorizzazione, senza necessità di operare alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo). Nella specie, sono state ritenuta integrate le violazione, dei combinati disposti degli artt. 30, comma 1, e 44, lett. c), d.PR. n. 380/2001, attraverso l’approvazione di un nuovo schema di lottizzazione convenzionata da parte del Comune, che consentiva la realizzazione di un intervento edificatorio in pieno contrasto sia con la variante al PRG sia con la finalità di utilità pubblica individuate dalla stessa amministrazione comunale e, cioè, quella di creare strutture socio – assistenziali per anziani consentendo, di fatto, la realizzazione di edifici che per natura giuridica e tipologia potevano qualificarsi come residenziali.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Natura di reato a consumazione alternativa integrabile anche a titolo di sola colpa – Concorso materiale – Difetto di autorizzazione – Contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici – Giurisprudenza.
Il reato di lottizzazione abusiva è un reato a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, è può essere integrato anche a titolo di sola colpa (principio affermato in relazione ad una fattispecie di acquisto, come autonome residenze o private, di unità immobiliari facenti parte di complesso turistico – alberghiero: Sez. 3, n. 17865/2009, PM. in proc. Quarta e altri). Sicché, appare pacifica l’ammissibilità di un concorso materiale tra l’art. 44, lett. b) ed il reato di lottizzazione abusiva, previsto dall’art. 44, comma primo, lett. c), del d.PR. 6 giugno 2001, n. 380. Pertanto, è evidente che la realizzazione di unità abitative eseguite mediante tali atti amministrativi, illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le norme nazionali e regionali, integra la violazione di lottizzazione abusiva.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Configurabilità anche senza la costruzione di edifici o altri interventi che, singolarmente considerati, richiedano il permesso di costruire – Lottizzazione negoziale – Interpretazione giuridica del termine “frazionamento”.
Il reato di lottizzazione abusiva, non soltanto quella negoziale, può configurarsi anche senza la costruzione di edifici o altri interventi che, singolarmente considerati, richiedano il permesso di costruire, come nel caso del picchettamento e della delimitazione dei terreni o della modifica dell’originaria destinazione d’uso degli edifici (Cass., Sez. 3, n. 38799 del 16/9/2015, De Paola, con numerosi precedenti conformi). Con specifico riferimento alla lottizzazione negoziale, la terminologia utilizzata nell’articolo 30, comma 1, per descriverla (in particolare, il termine “frazionamento”), è stata letta dalla giurisprudenza nel senso che tale attività non deve necessariamente avvenire attraverso un’apposita operazione catastale che preceda le vendite o, comunque, gli atti di disposizione (v. Sez. 3, n. 6180 del 4/11/2014 (dep.2015), Di Stefano e precedenti conformi), potendosi anche realizzare mediante ogni altra forma di suddivisione di fatto, atteso che il termine “frazionamento” deve ritenersi utilizzato dal legislatore in modo atecnico e, pertanto, riferito a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di una più ampia estensione territoriale, comunque predisposta od attuata ed anche se avvenuta in forma non catastale, attribuendone la disponibilità ad altri al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica o edilizia del territorio, tanto che può configurarsi, perciò, lottizzazione negoziale anche nell’ipotesi in cui venga stipulato un solo atto di trasferimento a più acquirenti, i quali pervengano nella disponibilità e/o nel godimento di quote di un terreno indiviso (Sez. 3, n. 6080/2008), Casile e altri).
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Limiti alla buona fede – Connessione tra le persone fisiche e persona giuridica – Onere della prova.
In tema di lottizzazione abusiva non può essere invocata la buona fede quando vi sia una intima connessione tra le persone fisiche e la società per conto della quale hanno agito, che non può pertanto definirsi estranea al reato e che ha evidentemente svolto il ruolo di mero strumento operativo attraversò il quale gli associati hanno posto in essere l’attività lottizzatoria. Per cui, non puo considerarsi terza estranea al reato ed al processo la persona giuridica che sia costituita per schermare una condotta attraverso la quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni. Inoltre, la partecipazione della persona giuridica al processo penale di cognizione può essere assicurata, nel rispetto dei principi convenzionali, attraverso l’applicazione estensiva di norme interne.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Attività lottizzatoria – Configurabilità mediante qualsiasi utilizzazione del suolo, anche in presenza di un’autorizzazione a lottizzare – Convenzione lottizzatoria e permesso di costruire.
In tema di lottizzazione abusiva la successiva edificazione del territorio è solo lo scopo cui tende l’attività lottizzatoria, la quale può configurarsi anche prima che tale scopo venga effettivamente raggiunto. Per cui, l’attività lottizzatoria si configura, mediante qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dalla entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione, contemporanea o successiva, di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l’attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità dell’insediamento; attraverso ogni intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell’intervento di nuova realizzazione, ovvero allorquando detto intervento non potrebbe essere in nessun caso realizzato, poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento generale di pianificazione, che non possono esser modificati da piani urbanistici attuativi; quando venga posta in essere qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata; in presenza di condotta che tenda a consolidare le trasformazioni già attuate mediante modifiche, migliorie o integrazioni del preesistente, posto che l’aggressione alla sistemazione del suolo si protrae finché perdurano comportamenti che compromettono la scelta di destinazione e di uso riservata alla competenza pubblica. Inoltre, il reato di lottizzazione abusiva può configurarsi anche in presenza di un’autorizzazione a lottizzare, quando l’esecuzione dell’intervento edilizio sia eseguito in difformità da quanto autorizzato ovvero quando l’autorizzazione rilasciata sia illecita o illegittima per contrasto con la normativa di settore e gli strumenti urbanistici. La lottizzazione abusiva si distingue, peraltro, dal semplice abuso edilizio, dovendosi tenere conto della funzione intrinseca della lottizzazione, la quale assolve al compito di dare attuazione allo strumento generale di pianificazione urbanistica, ove questo esista, o di formulare comunque un piano particolareggiato di urbanizzazione. Nella convenzione lottizzatoria, infatti, si stabilisce un programma concreto di realizzazione delle opere di urbanizzazione mediante il versamento dei relativi contributi pecuniari o mediante la esecuzione diretta delle opere e la cessione delle aree necessarie da parte del privato lottizzatore. Ne deriva che quando la nuova costruzione realizzata dal privato non presuppone opere di urbanizzazione primarie o secondarie e quindi non implica una pianificazione urbanistica, essa richiede certamente il previo permesso di costruire (a tutela dell’interesse pubblico al preventivo controllo di tutti gli interventi trasformativi dell’assetto territoriale), ma non necessita anche di un’autorizzazione lottizzatoria, giacché in tal caso, mancando appunto una lottizzazione, non è pregiudicata la riserva pubblica di pianificazione urbanistica.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Confisca urbanistica in assenza della sentenza di condanna da parte del giudice penale – Il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato – Poteri di confisca del giudice di primo grado – Art. 578-bis cod. proc. pen..
La confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa. Per cui, il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato se il giudice ha accertato la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio. Inoltre, l’art. 578-bis cod. proc. pen. regola solo la fase dell’impugnazione ma da ciò, non può inferirsi il divieto per il giudice di primo grado di disporre la confisca nel caso in cui dichiara prescritto il reato nonostante l’avvenuto accertamento della lottizzazione illecita. Sicché, la confisca in caso di reato prescritto, può essere ordinata anche dal giudice di primo grado nel caso sia stata accertata la lottizzazione.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Limite al potere del giudice di disporre la confisca dei terreni lottizzati – Provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato.
Il potere del giudice di disporre la confisca dei terreni lottizzati trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera (Sez. 3, n. 38700/2018, De Simone; Sez. 2, n. 50189/2015, Comune Di Golfo Aranci e altri).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Prescrizione del reato – Effetti – Formula di proscioglimento nel merito prevale – Rinuncia alla prescrizione – Diritto personalissimo riservato all’imputato – Necessità di una dichiarazione di volontà espressa e specifica.
La prescrizione di un reato consegue al venir meno dell’interesse dello Stato all’affermazione della pretesa punitiva, alla quale non è correlato alcun “diritto” dell’imputato a vederla dichiarare, tanto che la giurisprudenza, nell’attribuire rilevanza alla rinuncia alla prescrizione solo dopo il maturarsi della causa estintiva, richiama la più ampia e generica nozione di “posizione giuridica soggettiva”. Ciò in quanto, a fronte del decorso del tempo, che determina la caducazione della pretesa punitiva, il diritto dell’imputato cui l’ordinamento riconosce rango costituzionale è quello di avere un processo e, dunque, di rinunciare alla prescrizione. La formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze. Pertanto, la rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo riservato all’imputato e non rientra, pertanto, nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore a norma dell’art. 99 cod. proc. pen.” (Sez. 1, n. 21666/2012, Gattuso) e che “la rinuncia alla prescrizione richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica, che non ammette equipollenti” (Sez. U, n. 43055/2010, Dalla Serra), debba ragionevolmente ritenersi che la dichiarazione contraria, attraverso la quale si persegue il fine di vanificarne gli effetti, debba intervenire nel rispetto delle forme medesime.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi – Ricorso in cassazione – Esclusione.
L’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi finalizzata al rilascio di provvedimenti finali, è riservata sostanzialmente al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica dei contenuti degli atti della pubblica amministrazione e non può essere replicata in sede di legittimità.
(riforma sentenza del 09/05/2012 della CORTE APPELLO di ROMA) Pres. SARNO, Rel. RAMACCI, Ric. Gurgone ed altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 26/02/2019 (Ud. 23/01/2019), Sentenza n.8350
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 26/02/2019 (Ud. 23/01/2019), Sentenza n.8350
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
ALESSANDRINI ERNESTA
BARTOLOMEI ANNA RITA
BOLDRINI DANIELE
CANGEMI GABRIELE
CANTARO ESTER
CARGNELUTTI SILVANO
CARNEVALE ALESSANDRA
CARNEVALE PATRIZIA
CATENACCI FABRIZIO
CATENACCI ROBERTO
CELANI ANTONIO
CENTIOLI MARIA SERENA
CHIACCHIARELLI ALESSANDRO
CIACCIO RICCARDO
CICCARELLI MARIA LAURA
CICCARELLI NICOLA
COLANERI DOMENICO
CORSO VINCENZO
CORVAGLIA EMANUELA
GENTILI FRANCO
D’ANGELI CARMINE
D’ERCOLE MIRELLA
DE ANGELIS MARIA
BRUNO ALESSANDRO
DEL FRATE GIUSEPPE
DELL’ORCO CARLO
DI MATTIA STEFANO
FAVARON LILIANA
FEDERICI PIER VENANZIO
FERRARA DIEGO HERNAN
FOSSI CARLO
FRALLEONI GIULIO
FUSCO FABRIZIO
GAGGIOTTI FABIO
GARZIA FRANCO
GATTAMELATA FRANCO
GENTILI MAURIZIO
GIRALDI RITA
GRILLO SANTO DARKO
GROSSI ALESSANDRO
GUARNA CATERINA ANNA
GUARNA TIZIANA
IANNI FABIO
KHALILI MOHAMED
LA PENNA ANTONIO
LOMBI MARCO
MAGGI STEFANO
MANNOZZI ANTONELLA
MARIOTTI ALESSANDRO
MARTELLI MANUELA
MARTINI STEFANO
MARTINUCCI CARLO
MORELLI GOFFREDO
NAVA FRANCO
ODDI GIAMPIERO
ODDI LUCIANO
PANERAI DORIANA
PANERAI BRUNO
PAOLACCI FERNANDO
PAOLETTI ALESSANDRA
PASQUETTO ADRIANO
PETRUCCI PAOLA
PIACENTINI GIAMPIERO
POMELLA PAOLO
PROIOETTI TIZIANA
TRANSERICI ROBERTO
RAMUSSEN EVA LEONORA
RESTAINI ERNESTO
RICCHIUTO DOMENICO
ROCCO PIER LUIGI
ROSSI SERGIO
ROTONDI ELIANA
RUFINI ANNA
DI GIOVANNI CLAUDIO
SANTA ANGELINO
SICLARI VINCENZO
SILVERI MARCO
SIRSI LUIGI
SOLLA MAURO
STAFFIERI VALENTINA
PERGOLESE GIOVANNI
TOSELLI ROBERTO
TURSINI MASSIMILIANO
VALENTINI MARZIA
VECCHI MASSIMO
VELTRI ANTONIO
VELTRI CARLO
VELTRI CARMELO
VIOLA SANTINO
VIVIO MARIA PIA
ZARELLA FABIO
ZITO NICOLO’
BAGGIOSSI FABRIZIO
BATTISTI ROBERTA
CECI PATRIZIO
CECI EMILIANO
CIOLLI LUIGI
CORONA GIANMICHELE
DI GIAMBATTISTA ENZO
DI MAMBRO ALVARO
FIORI ANGELO
FREZZA FEDERICO
LORENZETTI SERGIO
LUZI MASSIMILIANO
RANIERI MASSIMO
REZZESI AGOSTINO
REZZESI MARINA
ROSSI GALLIANO
SAVALLI ANTONIETTA
TESTORI ALBERTO
TORTORA SERGIO
VERINI SUPPLIZI FABIO
D’ANGELO PAOLO
GURGONE CARLO
CICCONE CARMINE
LORENZI CARMEN
avverso la sentenza del 09/05/2012 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE FIMIANI il Procuratore Generale così conclude:
in via principale: sollevarsi la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 610 e 578-bis c.p.p., per contrasto con gli artt. 117,comma 1, Cost. e 7 Cedu, nella parte in cui non prevedono nel processo cassazione, ai fini dell’accertamento della responsabilità per il reato di lottizzazione abusiva prescritto commesso su area di proprietà di persona giuridica che non ha partecipato al processo di merito, la possibilità di citare la persona giuridica e di consentire alla stessa di costituirsi autonomamente;
in subordine: A.C.R. ai fini penali nei confronti di Lorenzi e Ciccone quanto al reato di abuso e quanto al resto limitatamente al T.S.; A.C.R. ai fini civili; rigetto nel resto.
uditi i difensori l’avvocato Mercurio Alberto in proprio e anche in sostituzione dell’avv. Campi Raffaella chiede il rigetto del ricorso di tutti gli imputati ricorrenti; deposita conclusioni e nota spese.
L’avvocato Stanco Genoveffa (sostituto processuale dell’avv. Franco Marco) chiede l’accoglimento del ricorso: a) l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nella parte relativa al diniego del risarcimento del danno del riconoscimento della provvisionale e del pagamento delle spese in favore delle P.C. oltre che nella parte in cui dispone la confisca degli immobili e, per l’effetto, di voler rinviare al Giudice competente al solo fine di quantificare l’ammontare del danno risarcibile, l’entità della provvisionale e le spese da porre a carico degli imputati; b) annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale al fine di applicare i principi di diritto che verranno enunciati con la sentenza di cui si auspica il pronunciamento. Deposita conclusioni e nota spese.
Tutti gli altri difensori presenti : Argano Armando, Mansutti Maurizio, De Simone Corrado in proprio e anche in sostituzione dell’avvocato Fiore Angelo, Melegari Luca Amedeo e Borgogno Roberto si riportano ai motivi e insistono nell’accoglimento dei ricorsi con l’annullamento della sentenza, impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Premessa
Carlo GURGONE, Carmine CICCONE, Carmen LORENZI, Vincenzo D’ARCANGELO e Salvatore SCHINTU, tramite i rispettivi difensori di fiducia, unitamente all’Avv. Marco Franco, nell’interesse sia dei promissari acquirenti che degli acquirenti di alcuni degli immobili facenti parte del “Villaggio del parco” di Sabaudia, costituitisi parti civili nel processo, hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale, il 9/5/2012, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Latina, in data 26/01/2010, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Carlo GURGONE, Vincenzo D’ARCANGELO e Salvatore SCHINTU per i reati loro ascritti ai capi a) b) e c) della rubrica perché estinti per prescrizione, confermando tanto l’assoluzione per insussistenza del fatto di Salvatore SCHINTU dal reato di cui agli artt. 110, 48, 479 cod. pen., contestatogli al capo d), quanto la condanna di Carmine CICCONE è Carmen LORENZI, i quali avevano rinunciato alla prescrizione, alla pena sospesa di anni due di reclusione ciascuno, alle pene accessorie di legge per i reati loro ascritti, alla restituzione delle somme versate in esecuzione dei contratti in essere (rimettendo le parti dinanzi ai giudice civile per la liquidazione delle spese), oltre alla confisca degli immobili e dei terreni sequestrati e con rigetto delle richieste di risarcimento del danno avanzate dalle parti civili.
2. L’originaria imputazione, per i fatti per i fatti che qui rilevano, è la seguente:
a) artt. 110, 323 cod. pen. perché in concorso tra loro:
LORENZI Carmen, nella qualità di amministratore unico della Petrarca Costruzione S.r.l., proprietaria dei terreni descritti nel capo di imputazione che segue;
CICCONE Carmine, quale procuratore speciale e amministratore di fatto della predetta società, committente e direttore dei lavori;
GURGONE Carlo, nella qualità di responsabile pro tempore del settore urbanistica – assetto del territorio – demanio marittimo del Comune di Sabaudia, sottoscrittore della convenzione per l’attuazione del progetto relativo ad una struttura ricettiva per anziani (Delibera Consiglio Comunale 22 aprile 2004, n. 30, avente per oggetto: riconvenzionamento della società Petrarca Costruzioni S.r.l. per la realizzazione di una struttura per anziani. Approvazione nuovo schema di convenzione) e del provvedimento n. 29 del 16.8.2004 (determina di annullamento della convenzione stipulata in data 13.3.2002 con atto rep. 1392 e riconvenzionamento della società Petrarca Costruzioni S.r.l. per la realizzazione di una struttura per anziani, secondo lo schema di convenzione allegato alla delibera Consiglio Comunale 22 aprile 2004, n. 30), nonché firmatario dei permessi a
costruire nn. 155 del 30.9.2004, 254 e 255 del 4.5.2005, palesemente illegittimi, in favore di LORENZI Carmen, n.q. di cui sopra, per la realizzazione di un centro servizi e unità abitative condominiali con relativa sanatoria d’ufficio dei lavori di fondazione ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380/2001, eseguiti prima del rilascio del titolo ed accertati dal Corpo Forestale dello Stato di Terracina, riconvenzionamento in contrasto con la variante al PRG del Comune approvata dalla Regione Lazio con Delibera Regionale n. 2651 del 16 giugno 1998 e con il piano di lottizzazione con la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12.10.2000, nonché permessi a costruire in contrasto con il piano di lottizzazione già approvato il 5.7.2000 dal Consiglio comunale di Sabaudia, disattendendo la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12.10.2000, la quale stabiliva che nello schema di convenzione di cui alla DCC n. 23 del 5.7.2000 doveva essere vietata l’alienazione delle singole unità immobiliari e prevista la gestione unitaria del complesso;
D’ARCANGELO Vincenzo Pietro, n.q. di capo area dei Lavori Pubblici del Comune di Sabaudia, sottoscrittore del parere tecnico allegato alla Delibera di Consiglio Comunale n. 30 del 22 aprile 2004, con cui veniva determinato il già citato riconvenzionamento in favore della suddetta società;
SCHINTU Salvatore, n.q. di sindaco pro tempore del Comune di Sabaudia al momento della D.C.C. n. 30 del 22.4.2004 con cui veniva approvato il riconvenzionamento meglio descritto in premessa, riconvenzionamento in contrasto con la variante al PRG.del Comune approvata dalla Regione Lazio con Delibera Regionale n. 2651 del 16 giugno 1998 e con il piano di lottizzazione con la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12.10.2000, provvedimenti, questi ultimi, adottati quando lo stesso ricopriva la carica di assessore all’urbanistica del citato Comune e quindi dallo stesso istituzionalmente conosciuti.
In violazione degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Sabaudia (in particolare in violazione della DGR del 29.8.1998 – variante al PRG; del DCC n. 23 del 5.7.2000 e nota n. 11249 del 12.10.2000 della Regione Lazio) e della L. R. n. 11/76, modificata dalla L. R n. 38 del 1996, della DGR n. 6078/99 e L.R. n. 41 del 2003, realizzavano la lottizzazione denominata “Villaggio del Parco” sopra le particelle catastali meglio descritte nel capo che segue, mediante la stipulazione della D.C.C. n. 30 del 22.4.2004 e della determinazione n. 23 del 16.08.2004, lottizzazione costituita da n. 285 unità abitative in luogo di un complesso di case albergo per anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalità sociali), lottizzazione in contrasto segnatamente con la variante al PRG approvata dalla Regione Lazio con D.R. n. 2651 dal 16.6.1998 e con il piano di lottizzazione approvato con Delibera C.C. n. 23 del 5.7.2000 (avente per oggetto una struttura ricettiva per anziani del tipo casa albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per coppie di coniugi ed anziani, provvista di servizi sia autonomi che centralizzati), lottizzazione in cui veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, l’alienazione delle singole unità immobiliari in regime di libero mercato, Delibera C.C. 22 aprile 2004, n. 30 e determinazione n. 23 del 16.8.2004, illegittime ed illecite in quanto in contrasto con i citati strumenti urbanistici, intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio alla società Petrarca Costruzioni S.r.l., proprietaria dei terreni, e ai suoi amministratori e soci.
In Sabaudia, settembre 2004 e maggio 2005 in ordine all’epoca del rilascio dei permessi a costruire b) artt. 110 cod. pen. e 44, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001, perché, in concorso tra loro, nelle qualità di cui sopra e con le condotte meglio descritte al capo che precede, sopra un’area distinta al foglio n. 24 del catasto terreni-particelle 11/a, 13 parte, 16, 17, 23 parte e 18 concorrevano a realizzare la lottizzazione denominata “Villaggio del Parco”, costituita da 285 unita abitative in luogo di un complesso di case – albergo per anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalità sociali), parte delle quali già compiutamente realizzate, lottizzazione in contrasto con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali e regionali di cui al precedente capo e avente ad oggetto una struttura ricettìva per anziani del tipo casa – albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per coppie di coniugi ed anziani, autosufficienti, provvista di servizi sia autonomi che centralizzati, lottizzazione approvata di fatto con delibera n. 30 del 22 aprile 2004 del comune di Sabaudia in cui veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, di cui alla citata normativa, l’alienazione delle singole unità immobiliari in regìme di libero mercato. In Sabaudia, fino al marzo 2006.
c) artt. 110 cod. pen. e 44, lett. b) d.P.R. 380/2001 perché, in concorso tra loro, nelle qualità e con le condotte descritte in precedenza, realizzavano n. 285 unità abitative mediante il rilascio dei permessi citati, palesemente illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali regionali di cui aiprecedenti capi. In Sabaudia, fino al marzo 2006.
3. I ricorsi degli imputati e delle parti civili I motivi dei singoli ricorsi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Carlo GURGONE
Con il primo motivo di ricorso deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione – art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) e c), con riferimento agli artt. 110 e 323 cod. pen., nonché Digs. n. 267 del 2000, art. 546, comma 1, lett. e) e art. 107, comma 3, lett. c), – e la nullità della sentenza impugnata. In particolare, evidenzia la lacunosità della motivazione anche riguardo alla disamina delle singole responsabilità degli imputati
Con il secondo motivo di ricorso denuncia l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta Illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. e con riferimento all’art. 323 cod. pen. – insussistenza dell’elemento oggettivo e psicologico -del reato). Rappresenta che la decisione della Corte territoriale, sul punto, si pone in contrasto con la particolare natura del dolo intenzionale e la sua interpretazione datane dalla giurisprudenza e che nella sentenza impugnata risulterebbe arduo ravvisare anche la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato.
Con il terzo motivo di ricorso deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 cod. proc. pen., comma 1; lett. b) e c), con riferimento all’art. 323 cod. pen., e artt. 522 e 597 cod. proc. pen.). Evidenzia come la Corte di appello abbia modificato i parametri dell’imputazione originaria, dando contenuti nuovi alla condotta.
Con il quarto motivo di ricorso deduce il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), inosservanza e/o erronea applicazione del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), nonché art. 42 cod. pen., nonché il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine agli elementi oggettivi e soggettivi del reato di lottizzazione.
Con il quinto motivo di ricorso denuncia il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) per inosservanza o errata applicazione del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), nonché il vizio previsto dall’art. 606 cod. proc. pen., lett. e) per mancanza di motivazione in ordine al reato di contravvenzione urbanistica.
In data 11 aprile 2014, il ricorrente Carlo GURGONE ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 cod. proc. pen. in cui evidenzia alcuni aspetti rilevanti a giustificazione del proprio operato, analizzando l’iter procedimentale relativo ai fatti contestati.
3.2. Salvatore SCHINTU
Con il primo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) e c), in relazione agli artt. 110 e 323 cod. pen. e all’art. 522 c.p.p..
Con il secondo motivo di ricorso denuncia la nullità dell’impugnata sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al d.lgs. n. 274 del 2000 e al d.lgs. n. 165 del 2001, evidenziano la natura collegiale degli atti suddetti.
3.3. Vincenzo D’ARCANGELO
Con il primo motivo di ricorso deduce la carenza di penale responsabilità, rilevabile all’evidenza e per tabulas, nonché la nullità insanabile dell’ordinanza 12/4/2012 per assoluto difetto di motivazione, nonché della medesima ordinanza e della sentenza per violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e dell’art. 521 cod. proc. pen., in una a manifeste contraddizioni ed illogicità risultanti sia dal testo della sentenza, sia da altri atti del processo. Osserva, a tale proposito, che la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. stante la sua evidente estraneità ai fatti contestati, come richiesto formalmente dalla difesa all’udienza del 12 aprile 2012.
Con il secondo motivo di ricorso denuncia il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per manifeste contraddizioni ed illogicità risultanti sia dal testo della sentenza, sia da altri atti del processo, lamentando che la sentenza impugnata, dopo aver riportato il testo della decisione di primo grado, si sarebbe limitata all’aggiunta di frasi di mero stile, con un percorso argomentativo del tutto inidoneo a dimostrare alcunché.
Con il terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione della legge n. 241 del 1990, art. 3 in relazione al preteso difetto di motivazione della delibera consiliare n. 30 del 2004, che esamina nel dettaglio, nonché il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. c), in relazione all’art. 533 cod. proc. pen., comma 1.
Con il quarto motivo di ricorso deduce il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. c) in relazione agli artt. 521, 522 e 597 cod. proc. pen.; il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e) in relazione all’art. 323 cod. pen. ed il vizio di motivazione incoerente.
Con il quinto motivo di ricorso denuncia il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e) in relazione all’elemento soggettivo previsto dall’art. 323 cod. pen., osservando che egli avrebbe esclusivamente rilevato una istruttoria amministrativa svolta da altri, valutando la conformità dell’intervento alla normativa urbanistica ed emanando un parere di compatibilità tecnica ingiustamente ritenuto illegittimo, come dimostrato da consulenze e pareri pro ventate in atti.
Con il sesto motivo di ricorso, deduce il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. d), in relazione all’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, rispetto alla quale la Corte territoriale avrebbe omesso dì pronunciarsi.
3.4. Carmine CICCONE
Con il primo motivo di ri orso deduce il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett c), per inosservanza degli artt. 521 e 597 cod. proc. pen., assumendo che vi sarebbe stata violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto l’originaria imputazione non aveva contestato l’illegittimità degli atti amministrativi per vizi dì motivazione; la Corte d’appello avrebbe dovuto quindi valutare soltanto ì vizi afferenti l’illegittimità delle delibere n. 23/2004 e 30/2004, come imposto dall’art. 597 cod. proc. pen., mentre ha valutato la pretesa illegittimità della procedura amministrativa derivante dalle modifiche alla convenzione stipulata dalla società Petrarca S.r.l., riguardante l’alienabilità delle singole unità immobiliari, questione che non era stata oggetto di impugnazione, precludendone la cognizione al giudice dell’appello.
Con il secondo motivo di ricorso deduce, il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 323 cod. pen. in relazione all’elemento oggettivo del reato. Osserva che la motivazione della Corte di appello distinguerebbe con difficoltà tra mera illegittimità degli atti amministrativi presi in considerazione e illiceità degli stessi.
Con il terzo motivo di ricorso rileva il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 323 cod. pen., nonché il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per manifesta illogicità della motivazione quanto alla scelta di destinare gli alloggi per anziani per mezzo di usufrutto e non dell’obbligo di proprietà.
Con il quarto motivo di ricorso deduce il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza e/o erronea interpretazione dell’art. 323 cod. pen. quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico.
Con il quinto motivo di ricorso denuncia il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza e/o erronea interpretazione del d.RR. 380/2001, artt. 30 e 44, lett. c), nonché il vizio previsto dall’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine al reato di lottizzazione abusiva.
Con il sesto motivo di ricorso deduce il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza e/o errata interpretazione del d.P.R. 380/2001, artt. 30 e 44, lett. c) e dell’ art. 42 cod. pen., nonché il vizio previsto dall’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato di lottizzazione abusiva.
Con il settimo motivo di ricorso lamenta il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza o errata interpretazione del d.P.R. 380/2001, art. 44, lett. b), nonché il vizio previsto dall’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine al reato di contravvenzione urbanistica.
Con l’ottavo motivo di ricorso denuncia, infine, il vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b), per inosservanza e/o errata applicazione dell’art. 110 cod. pen., nonché il vizio previsto dall’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per mancanza della motivazione in tema di concorso del ricorrente.
3.5. Carmen LORENZI
Deduce, con il primo motivo di ricorso, la nullità della sentenza impugnata, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. c), per violazione del combinato disposto degli artt. 121, 178, comma 1, lett. c) e 546 cod. proc. pen., non essendo state prese neanche parzialmente in considerazione le argomentazioni difensive esposte in una memoria difensiva, contestualmente alla discussione, nella quale si recepivano i contenuti di un parere tecnico redatto da un esperto in diritto urbanistico volto a dimostrare la piena legittimità dell’iter amministrativo percorso ai fini del rilascio dei titoli abilitativi.
Con il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 603 cod. proc. pen., nonché la carenza di motivazione, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Con il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione del d.RR. 380/2001, art. 44, lett. b) e c) e dell’ art. 110 cod. pen., nonché la carenza e illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo stesso dei provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), in relazione alla mancata assoluzione dai reati edilizi a lei contestati con la formula “perché il fatto non sussiste” o “perché il fatto non costituisce reato”, criticando nel dettaglio i singoli argomenti posti a sostegno della decisione impugnata dopo aver testualmente riprodotto il motivo di appello.
Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 110 e 323 cod. pen., nonché la carenza ed illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo stesso della sentenza impugnata, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), in relazione alla mancata assoluzione dal reato di abuso d’ufficio a lei ascritto con la formula “perché il fatto non sussiste” o “perché il fatto non costituisce reato”.
Con il quinto motivo di ricorso rileva la violazione degli artt. 110 e 323 cod. pen., nonché la carenza assoluta della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), in relazione all’intervenuta condanna per concorso nei reati descritti nell’imputazione senza nessun approfondimento del ruolo da lei ricoperto in ambito societario.
Con il sesto motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 62 – bis e 133 cod. pen., nonché la carenza assoluta della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla violazione dei criteri di quantificazione della pena.
Con il settimo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 185 cod. pen., nonché la carenza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e), in relazione all’intervenuta condanna alla restituzione nei confronti delle costituite parti civili.
3.6. Sempre nell’interesse di Carmen LORENZI è stato poi tempestivamente dedotto, con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte, un ulteriore motivo aggiunto con il quale, in relazione al secondo motivo di ricorso, si sollevano ulteriori questioni afferenti, da un lato, alla legittimità o meno della D.C.C. di Sabaudia del 22/04/2004 e dei successivi atti amministrativi posti in essere in sua attuazione e, dall’altro, alla configurabilità o meno, nel caso in esame, del reato di lottizzazione abusiva cd. negoziale di cui agli artt. 30 e 44 del d.P.R. 380/2001.
3.7. In data 11 aprile 2014, il ricorrente Carmine CICCONE ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 cod. proc. pen. con cui ha dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione ed ha chiesto, in subordine alla cassazione dell’impugnata sentenza per i motivi esplicitati nel ricorso introduttivo, l’annullamento della stessa per intervenuta prescrizione, con conseguente revoca della disposta confisca.
3.8. Sempre in data 11 aprile 2014, la ricorrente Carmen LORENZI ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 cod. proc. pen., di contenuto analogo, dichiarando di revocare la rinuncia alla prescrizione e’ chiedendo, in subordine, annullarsi l’impugnata sentenza per intervenuta prescrizione, con conseguente revoca della confisca.
4. Le parti civili
1107 promissari acquirenti degli immobili facenti parte del “Villaggio del parco” di Sabaudia, costituitisi parti civili nel processo a quo, hanno proposto ricorso congiuntamente tramite il comune difensore fiduciario, deducendo un unico, articolato, motivo con il quale si evidenzia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per violazione del d.RR. 380/2001, art. 44, comma 2, dell’art. 185 cod. pen. e degli artt. 538, 539 e 541 cod. proc. pen.; nonché la nullità della sentenza ex art. 606 cod. proc. pen., lett. e), per illogicità e mancanza della motivazione, oltre che travisamento del fatto.
5. L’ulteriore corso del procedimento
All’udienza del 30/4/2014 veniva pronunciata ordinanza (Sez. 3, n. 20636 del 30/4/2014, Alessandrini e altri, Rv. 259436) con la quale – effettuata una preliminare valutazione in ordine alla fondatezza della richiesta, comune a tutte le parti ricorrenti, relativa alla adozione di pronuncia ampiamente liberatoria mediante annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per insussistenza del fatto o perché il fatto non costituisce reato alla luce delle considerazioni sviluppate da ciascuna delle parti ricorrenti nei separati ricorsi ed oggetto di specifica puntualizzazione in sede di discussione – con argomenti pienamente condivisibili, di cui meglio si dirà in seguito, dichiarava non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma secondo, del d.RR. n. 380 del 2001, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 29 ottobre 2013 nel caso Varvara c/ltalia, nel senso che la confisca ivi prevista non può applicarsi nel caso di declaratoria di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, per violazione degli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117, primo comma, Cost. (i quali impongono che il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà) in quanto la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto di tale bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in gioco opposti interessi costituzionalmente protetti, anche ove gli uni trovino tutela nella CEDU e gli altri nella Costituzione italiana.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 49 del 26 marzo 2015, dichiarava inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ordinanza 20636/2014.
Veniva conseguentemente fissata, per l’ulteriore corso, l’udienza del 17 luglio 2017.
In data 30 giugno 2017 erano pervenute una memoria difensiva con motivi nuovi nell’interesse di Carmine CICCONE ad ulteriore sostegno delle sue ragioni ed una memoria nell’interesse del medesimo CICCONE e di Carmen LORENZI ove si evidenzia la possibilità di – una assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2 cod. proc. pen. anche in presenza della prescrizione, l’insussistenza degli elementi oggettivi dei reati di abuso d’ufficio e lottizzazione abusiva e la necessità di tenere conto, ai fini della disposta confisca, della decisione della Grande Camera non ancora depositata a quella data.
All’udienza del 17 luglio 2017 il processo veniva rinviato a nuovo ruolo in attesa del deposito della decisione della Corte EDU conseguente al deferimento alla Grande Camera di controversie attinenti a confische urbanistiche nazionali del quale aveva dato conto anche la Corte Costituzionale.
Intervenuta successivamente la sentenza 28 giugno 2018 della Corte EDU – Grande Camera nella causa G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/ Italia, veniva stata fissata, per la trattazione, l’udienza del 20/11/2018.
In data 2/11/2018 la difesa di Carmine CICCONE e Carmen LORENZI ha depositato memoria ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni con riferimento ai contenuti della sentenza della Grande Camera In data 3/11/2018 la medesima difesa ha presentato ulteriore memoria con la quale approfondisce gli aspetti concernenti la contravvenzione lottizzatoria. All’udienza del 20/11/2018 il procedimento è stato rinviato a nuovo ruolo per adesione dei difensori all’astensione dalle udienze proclamata dall’organismo di categoria, venendo fissata, per la trattazione, l’odierna udienza. In data 16 gennaio 2019 la difesa di Carmine CICCONE ha depositato altra memoria ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni concludendo, all’esito di diffusa disamina, per la non corffiscabilità dell’immobile.
All’odierna udienza il Procuratore Generale ha concluso, in via principale, chiedendo sollevarsi la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 610 e 578-bis cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 117, comma 1 Cost. E 7 CEDU, nella parte in cui non prevedono nel processo di cassazione, ai fini dell’accertamento della responsabilità per il reato di lottizzazione abusiva prescritto, commesso su area di proprietà della persona giuridica che non ha partecipato al processo di merito, la possibilità di citare la persona giuridica e di consentire alla stessa di costituirsi autonomamente.
In subordine, ha richiesto l’annullamento con rinvio ai fini penali nei confronti di LORENZI e CICCONE quanto al reato di abuso d’ufficio e quanto al resto limitatamente al trattamento sanzionatorio; annullamento con rinvio ai fini civili; rigetto nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Premessa.
L’articolato sviluppo della vicenda processuale ed il rilievo assunto, dapprima dalla sentenza 49/2015 della Corte Costituzionale e, successivamente, da quella della Grande Camera della Corte EDU, che viene per la prima volta presa in considerazione nel presente procedimento, la cui trattazione era stata rinviata proprio in attesa di tale importante decisione, rendono necessario esaminare, nel dettaglio, non soltanto le decisioni di questa Corte intervenute, nelle more della decisione dei giudici di Strasburgo, ma anche la decisione stessa, avendo tutto ciò rilievo ai fini della presente decisione.
2. La giurisprudenza della Corte di Cassazione prima della decisione della Grande Camera.
Dopo la sentenza Tarvara” della Corte EDU e prima della decisione del giugno 2018 della Grande Camera, questa Corte ha esaminato la questione concernente la confisca conseguente a lottizzazione abusiva al di fuori deì casi dì condanna, tenendo conto dei principi fino a quale momento affermati.
In particolare, in una prima decisione (Sez. 3, n. 32363 del 24/05/2017, Mantione, Rv. 270443), sono state svolte alcune considerazioni alla luce delle decisioni della Corte costituzionale intervenute dopo la pronuncia della nlarvare, peraltro già in precedenza recepite, che pare opportuno riproporre pressoché testualmente per un migliore inquadramento della vicenda, in quanto ricostruiscono anche l’evoluzione giurisprudenziale in tema di lottizzazione abusiva e confisca ed anche perché utilizzabili nel presente procedimento.
Si è in quell’occasione ricordato che la complessa evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale che ha riguardato la confisca, obbligatoria, prevista, dall’art. 44, lett. c) d.P.R. 380\01, quale conseguenza della lottizzazione abusiva, trae verosimilmente origine dal contenuto letterale della richiamata disposizione, la quale, non riferendosi espressamente ad una sentenza di condanna, consente la misura ablativa nei casi in cui l’esistenza della lottizzazione sia stata semplicemente accertata.
Tale formulazione della norma è stata originariamente interpretata nel senso che la confisca possa applicarsi in tutti i casi in cui tale accertamento sia avvenuto, indipendentemente dalla condanna dei responsabili della lottizzazione, ritenendosi tale conseguenza come espressamente voluta dal legislatore sulla base del confronto con quanto diversamente previsto dall’art. 31 del d.P.R. 380\01, il quale fa esplicito riferimento alla sentenza di condanna nel prendere in considerazione l’ordine di demolizione impartito dal giudice.
Alla particolarità della misura ablativa prevista dalla disciplina edilizia è conseguita la qualificazione della stessa non come misura di sicurezza patrimoniale, bensì quale sanzione amministrativa applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune, di cui all’art. 30 d.P.R. 380\01, del tutto differente dall’analogo istituto disciplinato dall’articolo 240 cod. pen. (cfr. Sez.3, n. 38728 del 7/7/2004, Lazzara, Rv. 229608; Sez. 3, n. 41757 del 23/9/2004, Pignatiello ed altri, Rv. 230313. Nello stesso senso, Sez. 3, n. 36844 del 9/7/2009, Conto’, Rv. 244923 che ne rileva, però, il carattere sanzionatorio ai sensi dell’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo il principio enunciato in relazione alla decisione “Sud Fondi” della Corte EDU) ed avente natura reale e non personale (v., ad es., Sez. 3, n. 37086 del 7/7/2004, Perniciaro, Rv. 230031). Si ricordava ancora come tale ultimo aspetto, unitamente alla riconosciuta peculiarità della misura ablativa, avesse prodotto, quale ulteriore conseguenza, il consolidarsi di un indirizzo giurisprudenziale secondo cui la confisca deve ritenersi efficace ed operante anche in danno di soggetti terzi estranei al reato, i quali, se in buona fede, possono poi far valere i loro diritti in sede civile (si veda, ad es. Sez. 3, n. 38728 del 7/7/2004, Lazzara, Rv. 229610, cit.), spiegando i suoi effetti non soltanto in caso di estinzione del reato per prescrizione, ma anche in presenza di un esito assolutorio del giudizio con formula diversa dall’insussistenza del fatto, ritenendosi, peraltro, manifestamente infondata la questione di incostituzionalità sollevata con riferimento all’ari 44, comma 2 d.P.R. 380\01 (Sez. 3, n. 6396 del 7/11/2006 (dep. 2007), Cieri, Rv. 236076).
Tale orientamento, si osservava, è stato, però, oggetto di successiva verifica alla luce della già menzionata sentenza “Sud Fondi della Corte EDU, la quale, nel prendere in esame il noto caso della lottizzazione in località “Punta Perotti” di Bari, conclusosi con la confisca disposta nonostante l’assoluzione degli imputati per difetto dell’elemento soggettivo, ha dapprima riconosciuto la ricevibilità del ricorso (Sez. Il decisione 30.8.2007 SUD FONDI s.r.l. e altri contro Italia), considerando la natura di “pena” della confisca, in quanto collegata ad un illecito penale e, successivamente, ha accertato la violazione degli articoli 7 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, dichiarando arbitraria la confisca applicata (Sez. Il sent. 20 gennaio 2009).
Si aggiungeva, poi, che questa Corte, già dopo la pronuncia di ricevibilità del ricorso e prima della definitiva pronuncia della Corte di Strasburgo, ha riesaminato la questione, rilevando tra l’altro, considerato anche quanto indicato nella decisione del 30/8/2007, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale per asserita violazione degli artt. 3, 25, comma secondo, 27, 42, 97, 111, 117, comma primo, Cost. prospettata nell’ambito di quel giudizio (Sez. 3, n. 37472 del 26/6/2008, Belloi e altri, Rv. 241100), che è stata successivamente ribadita anche alla luce della successiva pronuncia della Corte EDU del 2009, prendendo anche in esame la particolare posizione del terzo estraneo rispetto al reato di lottizzazione abusiva (Sez. 3, n. 39078 del 13/7/2009, Apponi e altri, Rv. 245348).
Si rammentava, inoltre, che le successive pronunce di questa Corte hanno tenuto ovviamente conto di quanto affermato dalla Corte EDU (v., ad es., Sez. 3, n. 17865 del 17/3/2009, P.M. in proc. Quarta e altri, Rv. 243749; Sez. 3, n. 21188 del 30/4/2009, Casasanta e altri, Rv. 243630; Sez. 3, n. 48924 del 21/10/2009, Tortora e altri, Rv. 245763) e che era intervenuta, in quel periodo, anche la Corte Costituzionale, in quanto sollecitata dalla Corte d’Appello di Bari, la quale aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2 del TU in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui impone al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti, che era stata, tuttavia, dichiarata inammissibile (Corte Cost. sent. 239 del 24 luglio 2009). La questione era stata peraltro in – precedenza ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (Sez. 3, n. 20243 del 25/3/2009, Rammacca Sala e altri, Rv. 243624; Sez. 3, n. 37472 del 26/6/2008, Belloi e altri, Rv. 241100, cit.).
Il successivo intervento della Corte EDU con la sentenza “Varvara” ha determinato, si osservava, ulteriori sviluppi, concretatisi con la declaratoria di non manifesta infondatezza, da parte di questa Corte, della questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ordinanza 20636/2014 nell’ambito del presente procedimento.
La sentenza Varvara, lo si ricorda, aveva affermato che la sanzione penale (così definita la confisca) inflitta al ricorrente, quando il reato era estinto e la sua responsabilità non era stata accertata con una sentenza di condanna, contrasta con il principio di legalità di cui all’articolo 7 della Convenzione , ritenendo quindi la confisca una sanzione non prevista dalla legge ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione ed arbitraria.
Quanto alla natura di “pena” della confisca, la sentenza Varvara non forniva particolari indicazioni, limitandosi a richiamare quanto in precedenza affermato dalla sentenza “Sud Fondi” La sentenza Mantione proseguiva osservando come la Corte costituzionale (sent. 26/3/2015, n. 49, cit.) pur dichiarando l’inammissibílità della questione (sollevata anche dal Tribunale ordinario di Teramo), avesse preso in considerazione quanto affermato nelle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in precedenza menzionate, fornendo una serie di indicazioni sui rapporti tra diritto interno e Convenzione EDU ed affermando, tra l’altro, richiamando anche il contenuto di due precedenti decisioni (le sentenze n.239/2009 e 85/2008), che «di per sé, non è escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato (misura, quest’ultima, che il giudice penale è tenuto a disporre con la sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva ai sensi dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001)», rilevando, altresì, che «allo stato, e salvo ulteriori sviluppi della giurisprudenza europea (in seguito al deferimento alla Grande Camera di controversie attinenti a confische urbanistiche nazionali, nei ricorsi n. 19029/11, n. 34163/07 e n. 1828/06), deve perciò ritenersi erroneo il convincimento, formulato dai rimettenti come punto di partenza dei dubbi di costituzionalità, che la sentenza Varvara sia univocamente interpretabile nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una sentenza di condanna da parte del giudice per il reato di lottizzazione abusiva».
Si ricordava, inoltre, che tali affermazioni erano state successivamente ribadite (Corte costituzionale ord. 187 del 23/07/2015), osservando “… che la sentenza della Corte EDU nel caso Varvara può essere letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa; che i canoni dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme avrebbero dovuto orientare il giudice a quo verso tale soluzione; che, infatti, esigere la condanna penale per l’applicazione di una sanzione di carattere amministrativo (quale è, secondo la giurisprudenza costante, la confisca di una lottizzazione abusiva), per quanto assistita dalle garanzie della “pena” ai sensi dell’art. 7 della CEDU, determina l’integrale assorbimento della misura nell’ambito del diritto penale e rappresenta una soluzione di dubbia compatibilità con il «principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l’ultima ratio, deve intervenire soltanto allorché, da parte degli altri rami dell’ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire» (sentenza n. 487 del 1989; in seguito, sentenza n. 49 del 2015); che ai fini dell’osservanza della CEDU rileva non la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria ma la pienezza dell’accertamento di responsabilità, tale da vincere la presunzione di non colpevolezza; che tale accertamento è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato conseguente alla prescrizione (sentenze n. 49 del 2015, n. 239 del 2009 e n. 85 del 2008)”. Veniva fatto infine rilevare come, alle richiamate pronunce, si fosse successivamente riferita questa Corte, riconoscendo la possibilità di applicare la confisca anche in caso di sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato (Sez. 3, n. 16803 del 8/4/2015, Boezi e altri, Rv. 263585; Sez. 3, n. 15888 del 8/4/2015 (dep. 2016), Sannella e altro, Rv. 266628; Sez. 4, n. 31239 del 23/612015, Giallombardo, Rv. 264337) prendendo in esame, alla luce di quanto chiarito dalla Corte EDU e dalla Corte costituzionale, il peculiare aspetto della efficacia della confisca delle aree e dei terreni abusivamente lottizzati quando, pur essendo accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, non si pervenga alla condanna od all’irrogazione della pena (principi successivamente ribaditi in Sez. 3, n. 33051 del 10/5/2017, P.G. e altri in proc. Puglisi e altri, Rv. 270646).
3. La posizione dei terzi, rilevante per la soluzione della questione in esame.
Alla luce di tali premesse, la sentenza Mantione ha preso in considerazione anche la peculiare posizione dei terzi acquirenti dei beni lottizzati, osservando come anch’essa fosse stata oggetto di analisi da parte del giudice delle leggi, il quale, nella più volte citata sentenza n. 49/2015, nel ricordare che “la confisca urbanistica costituisce sanzione penale ai sensi dell’art. 7 della CEDU e può pertanto venire disposta solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti”, precisa come l’accertamento possa essere “contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero Il terzo di mala fede acquirente del bene”, aggiungendo, poi: “sia che la misura colpisca l’imputato, sia che essa raggiunga il terzo acquirente di mala fede estraneo al reato, si rende perciò necessario che il giudice penale accerti la responsabilità delle persone che la subiscono, attenendosi ad adeguati standard probatori e rifuggendo da clausole di stile che non siano capaci di dare conto dell’effettivo apprezzamento compiuto. Ora, tali considerazioni chiariscono che il terzo acquirente di buona fede, che ha a buon titolo confidato nella conformità del bene alla normativa urbanistica, non può in nessun caso subire la confisca. Va poi da sé che l’onere di dimostrare la mala fede del terzo grava, nel processo penale, sulla pubblica accusa, posto che una “pena”, ai sensi dell’art. 7 della CEDU, può essere inflitta solo vincendo la presunzione di non colpevolezza formulata dall’art. 6, comma 2, della CEDU (ex plurimis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 1° marzo 200Z Geerings contro Paesi Bassi)».
Si osservava, peraltro, che, nella menzionata pronuncia, la Corte Costituzionale, pur ritenendo di non potersi soffermare “sui limiti che l’ordinamento processuale può, di volta in volta e a seconda della fase in cui versa il processo, imporre al giudice penale quanto alle attività necessarie per giungere all’accertamento della responsabilità», ravvisa nella giurisprudenza di questa Corte “una linea di tendenza favorevole ad un ampliamento di essi (ad esempio, Corte di cassazione, sezioni unite penali, 10 luglio 2008, n. 38834)”.
Valutando quindi tali considerazioni con riferimento alla questione sottoposta all’esame del Collegio, la sentenza Mantione, nel verificare se il giudice dell’esecuzione possa procedere all’accertamento di responsabilità del terzo acquirente, ritenuto necessario per l’operatività nei suoi confronti della misura ablativa disposta nel precedente giudizio, ricordava come una risposta affermativa possa rinvenirsi in altre pronunce di questa Corte.
Si faceva così rilevare che, in generale, si è già avuto modo di affermare che nel procedimento di esecuzione va considerato “interessato” chiunque vanti una posizione giuridicamente tutelata sulla quale incide l’esecuzione della sentenza (Sez. 3, n. 23761 del 11/5/2010, Presidenza Del Consiglio Dei Ministri e altri, Rv. 24728101, attinente, peraltro, alla vicenda “Sud Fondi”).
Sempre in generale, si ricordava come, in più occasioni, si fosse chiarito che è solo il giudice dell’esecuzione che può giudicare della pretesa avanzata in executivis dal terzo in relazione al bene confiscato, qualsivoglia sia il contenuto della istanza, richiamando, a tale proposito, quanto affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/9/2014 (dep.2015), Uniland Spa e altro) le quali, nel considerare l’ipotesi in cui il terzo non abbia avuto modo di far valere le proprie pretese davanti al giudice della cognizione, hanno richiamato la competenza generale del giudice dell’esecuzione, menzionando anche le plurime decisioni che riconoscono soltanto al terzo, nei confronti del quale la sentenza irrevocabile non fa stato, la possibilità di far valere davanti al giudice dell’esecuzione i diritti vantati su un bene confiscato con sentenza irrevocabile (le SS. UU. richiamano, ex multis Sez. 1, n. 3311 del 11/11/2011 (dep. 2012), Lonati, Rv. 251845; Sez. 1, n. 27201 del 30/5/2013, Can, Rv. 257599; Sez. 3, n. 23926 del 27/5/2010, Baraldi, Rv. 247797 le quali seguono a due decisioni delle Sezioni Unite: Sez. U, n. 9 del 18/5/1994, Comit Leasing S.p.a. in proc. Longarini e Sez. U, n. 9 del 28/4/1999, Bacherotti, Rv. 213511) e ricordando come, per terzo, debba ritenersi la persona estranea al reato, ovvero quella che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilità, poiché soltanto versando in tale situazione oggettiva e soggettiva questi può vedere riconosciuta la intangibilità della sua posizione giuridica soggettiva e l’insensibilità di essa agli effetti del provvedimento di confisca.
Osservano ancora le Sezioni Unite che “il concetto di buona fede per il diritto penale è diverso da quello di buona fede civilistica a norma dell’art. 1147 cod. civ., dal momento che anche i profili di colposa inosservanza di doverose regole di cautela escludono che la posizione del soggetto acquirente o che vanti un titolo sui beni da confiscare o già confiscati sia giuridicamente da tutelare”. Si richiamava inoltre l’attenzione sul fatto che a conclusioni analoghe era già pervenuta questa Corte con riferimento a questione concernente gli effetti del provvedimento dì confisca nei confronti di soggetto terzo (Sez. 3, n. 51387 del 24/10/2013, La Nuova Immobiliare Srl, Rv. 258015), pervenendo all’affermazione del principio secondo il quale, in tema di lottizzazione abusiva, rientra nella sfera di Cognizione del giudice dell’esecuzione l’accertamento della sussistenza di profili di colpa a carico del terzo acquirente, nei confronti del quale può essere disposta la confisca del bene qualora abbia omesso di assumere le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell’intervento edilizio con gli strumenti urbanistici (sulla competenza del giudice dell’esecuzione si era pronunciata, in precedenza, Sez. 3, n. 25883 del 14/3/2013, Pasqui e altri, Rv.257143).
Nell’affermare tale principio la menzionata sentenza richiama, nel dettaglio, le precedenti pronunce ove si era riconosciuta l’operatività della confisca nei confronti del terzo rispetto al quale deve escludersi la buona fede (Sez. 3, n. 36844 del 9/7/2009, Conto’, Rv. 244924, cit.; Sez. 3, n. 45833 del 18/10/2012, Comune Di Palermo, Rv. 253853; Sez. 3, n. 37472 del 26/6/2008 Belloi e altri, Rv. 241098, cit.; Sez. 6, n. 45492 del 23/11/2010, Murolo, Rv. 249215; Sez. F, n. 31921 del 24/7/2012, Spaccialbelli, Rv. 253421; Sez. 3, n. 15981 del 28/2/2013, P.M. in proc. Moretti, Rv. 254987. Conforme a quest’ultima Sez. 3, n. 51710 del 3/12/2013, P.M. in proc. Chiantera e altri, Rv. 257348).
Si riteneva meritevole di considerazione anche un’ altra decisione di questa Sezione (Sez. 3 n. 34882 del 22/4/2010, Usai, non massimata), nella quale la questione viene affrontata tenendo conto anche dei contenuti della sentenza “Sud Fondi della Corte EDU e della sentenza 239/2009 della Corte costituzionale. Si afferma, in questa decisione, che la condotta del terzo non in buona fede è intimamente connessa a quella del venditore’, sicché le loro azioni, solo apparentemente distinte, si collegano tra loro determinando la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio, osservando, altresì, che la decisione della Corte EDU non ha affermato in alcun modo che la confisca presuppone una pronuncia di condanna nei confronti del soggetto al quale la cosa appartiene, ribadendo conseguentemente il principio secondo il quale “per disporre la confisca prevista dall’art. 44, 20 comma del TU. n. 380/2001 (e precedentemente dall’art. 19 della legge n. 47/1985), il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente condannato, in quanto detta sanzione ben può essere disposta allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio, l’intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore ed alla inflizione della pena.
Viene quindi precisato che presupposto essenziale ed indefettibile, per l’applicazione della confisca, è l’accertamento della effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva, con l’ulteriore condizione, connessa alle decisioni della Corte EDU e che riguarda l’elemento soggettivo del reato, da riscontrare, quanto meno, in termini di colpa, rilevabile almeno sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza, nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.
La sentenza Mantione riteneva quindi utilizzabili tali principi anche ai fini della soluzione della questione esaminata, pur rilevando, alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.49\2015, con riferimento a quanto disposto dalla Convenzione, che non deve essere l’interessato a dover dimostrare la propria buona fede, gravando sulla pubblica accusa l’onere di dimostrarne l’insussistenza ed indicando come evidente la necessità di assicurare al soggetto interessato tutte le garanzie richieste dalla Convenzione, che il Collegio reputava siano comunque assicurate anche nella fase di esecuzione.
Si ricordava, a tale proposito, che solo in detta fase processuale il terzo può concretamente agire per far valere le proprie ragioni, rimanendo-estraneo alla fase di cognizione e disponendo, in altri momenti, di strumenti limitati (lo ricorda la citata sentenza 348.82/2010, richiamando gli articoli 257, comma 1; 322, comma 2 e 355 comma 3 cod. proc. pen.), che non consentono la necessaria verifica di cui si discute.
In tale fase, peraltro, viene assicurato il contraddittorio ed il diritto di difesa, anche attraverso la nomina di un difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, prevedendosi che lo stesso debba essere sentito se ne fa richiesta e riconoscendo al giudice dell’esecuzione ampi poteri, prevedendo l’art. 666, comma 5 cod. proc. pen. che questi possa richiedere alle autorità competenti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno e, se occorre, assumere prove, sempre nel rispetto del contraddittorio.
È altresì assicurata la pubblicità dell’udienza, atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 109 \2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen. nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica. La Corte, peraltro, nella richiamata decisione, pone in evidenza come il prowedimento ablativo possa “colpire un soggetto rimasto estraneo al giudizio di cognizione e che non ha avuto, quindi, neppure la possibilità di fruire della garanzia della pubblicità delle udienze nell’ambito di detto giudizio”. Tale decisione, si rammentava, ha trovato applicazione anche da parte di questa Sezione, che ha avuto modo di rilevare la manifesta infondatezza della ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente che, su richiesta degli interessati, il procedimento di applicazione della confisca dinanzi al giudice dell’esecuzione si svolga, in prima istanza, con le forme dell’udienza pubblica, così come accade per il procedimento di opposizione contro la relativa ordinanza, in seguito all’intervento della Corte costituzionale appena richiamato, precisando che gli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, non impongono una “forma” unica di contraddittorio, sicché sono legittimi i procedimenti in cui esso sia eventuale, perché attivato solo su istanza di parte e posticipato, poiché collocato nella fase del controllo sulla prima decisione emessa “de plano” (Sez. 3, n. 49317 dei 27/10/2015, Clark e altro, Rv. 265537).
All’esito di tali considerazioni, la sentenza Mantione affermava il principio secondo il quale, in tema di lottizzazione abusiva, l’applicazione della confisca al di fuori dei casi di condanna, nei confronti del terzo sul cui patrimonio la misura viene ad incidere, rimasto estraneo al procedimento penale, presuppone che siano riscontrabili quantomeno profili di colpa da parte del giudice dell’esecuzione nell’ambito del relativo procedimento, il quale non contrasta con alcun principio costituzionale o convenzionale (in senso conforme, v. Sez. 3, n. 1503 del 22/06/2017 (dep. 2018), Di Rosa e altro, Rv. 273535, in tema di violazioni tributarie).
3.1. I principi affermati dalla sentenza Mantione hanno poi ;trovato riscontro, sebbene indiretto, nell’art. 1 83 – quater disp. att. cod. proc. pen., introdotto dal digs. 1 marzo 2018 n. 21, il quale attribuisce al giudice dell’esecuzione la competenza a disporre la confisca prevista in casi particolari dall’articolo 240-bis cod. pen. o da altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano. Va altresì segnalato che un ulteriore garanzia per il terzo proprietario di beni confiscati è riconosciuta dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 48126 del 20/7/2017, Muscari e altro, Rv. 270938) in presenza del sequestro del bene (situazione che quasi sempre si verifica nei processi per lottizzazione abusiva) laddove, ritenuti alcuni limiti alle garanzie del terzo – presenti nel processo di esecuzione come evidenziato in un’ordinanza con la quale questa Corte (Sez. 1, n. 8317 del 14/1/2016, Ofria, non massimata) aveva sollevato questione di legittimità costituzionale (riguardo agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., degli articoli 573, 579 comma 3 e 593 cod. proc. pen., nella parte in cui dette norme non prevedono, a favore di terzi incisi nel diritto di proprietà per effetto della sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca) e concernenti la realizzazione, in via soltanto mediata, del diritto alla prova del soggetto istante, che risulta influenzato dalla esistenza della decisione irrevocabile posta a monte, nel cui ambito ben potrebbero essere state presi in esame (senza contraddittorio effettivo con il titolare formale del diritto di proprietà) profili di ricostruzione probatoria e valutativi rilevanti anche in rapporto alla condizione giuridica del terzo, in potenziale violazione del principio del contraddittorio, inteso come garanzia partecipativa del soggetto interessato ai momenti di elaborazione probatoria e la non tempestività della tutela in tal modo accordata — ha ritenuto che il terzo rimasto estraneo al processo, formalmente proprietario del bene già in sequestro, di cui sia stata disposta con sentenza la confisca, può chiedere al giudice della cognizione, prima che la pronuncia sia divenuta irrevocabile, la restituzione del bene e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame.
Della soluzione interpretativa adottata dal massimo organo nomofilattico ha dato conto anche – la Corte Costituzionale, la quale, decidendo sulla questione sollevata da questa Corte, che dichiarava inammissibile, ha osservato che la stessa elimina la stasi temporale nell’esercizio della tutela giurisdizionale, dando atto della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, ritenuta certamente compatibile con la lettera della legge e la cornice normativa entro cui essa si inserisce, che offre al terzo, pur dopo la confisca, quale forma di tutela, il rimedio cautelare.
Più recentemente la posizione del terzo è stata presa in considerazione osservando che il sistema di garanzie processuali concessegli nel sistema normativo attualmente vigente è da ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l’applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali, e non traendosi contrarie indicazioni dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Sez. 2, n. 53384 del 12/10/2018, Lega Nord, Rv. 274242.La decisione ha preso in considerazione anche i principi affermati dalla Grande camera nella sentenza G.I.E.M. s.r.l. ed altri contro Italia, dando tuttavia conto della peculiarità del caso trattato dalla Corte EDU, riguardante un’ipotesi di lottizzazione abusiva).
4. Le altre decisioni in materia di lottizzazione e confisca.
Unitamente alla sentenza Mantione altre pronunce hanno ulteriormente analizzato la questione della confisca conseguente alla lottizzazione abusiva con interpretazioni costituzionalmente e convenzionalmente orientate.
Si è così ribadita, in una quasi coeva pronuncia, la legittimità della confisca del bene lottizzato in presenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione quando sia stata accertata, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (Sez. 3, n. 33051 del 10/5/2017, P.G. e altri in proc. Puglisi e altri, Rv. 270646). In altra decisione (Sez. 3, n. 53692 del 13/7/2017, Martino, Rv. 272791, ma si veda anche la coeva Sez. 3, n. 18895 del 13/7/2017 (dep. 2018), Spagnoletta, non massimata) è stata poi effettuata una approfondita disamina dei principi espressi dalla Corte EDU alla luce della giurisprudenza costituzionale, tenendo conto anche di quanto evidenziato, in tema di confisca, dalle Sezioni Unite (segnatamente da Sez. U, n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, Rv. 264434), ponendo in evidenza, ancora una volta, come debba escludersi che l’accertamento della responsabilità debba essere necessariamente contenuto in una statuizione di condanna per il reato in ordine al quale si procede, epilogo che si è ritenuto escluso (sebbene non in assoluto, ma ope legis ipotizzabile) proprio dal tenore dell’art. 44, comma secondo, d.P.R. 380/ 2001, nonché dalla ratio legis e dalla natura dell’istituto, avente natura di sanzione amministrativa, ponendo in evidenza la ontologica differenza tra confisca urbanistica e confisca disciplinata nell’art. 240 cod. pen., essendo la prima finalizzata ad una espropriazione a favore dell’autorità comunale, a differenza della confisca codicistica, la quale realizza una espropriazione a favore dello Stato, con la conseguenza che la confisca urbanistica, al pari dell’ordine di demolizione delle opere edilizie abusive di cui all’articolo 31, comma 9, d.P.R. 380/2001, si configura quale sanzione amministrativa applicata dal giudice penale in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune (ai sensi dei commi 7 e 8 dell’articolo 30 d.P.R. 380/2001).
Ricordando, poi, che già in precedenza era stato affermato il principio secondo il quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei terreni oggetto di ipotizzata lottizzazione abusiva non può essere legittimamente adottato quando l’esercizio .dell’azione penale risulti precluso, essendo già maturata la prescrizione del reato, poiché in tal caso è impedito al giudice di compiere, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l’accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e della sussistenza di profili, quanto meno di colpa, nei soggetti incisi dalla misura, presupposto necessario per disporre la confisca anche in presenza di una causa estintiva del reato (Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese, Rv. 267534), la sentenza Martino specifica che, prevedendo la legge stessa (art. 44, comma 2 d.P.R. 380/01) l’accertamento della lottizzazione, una interpretazione convenzionalmente conforme di tale disposizione deve risolversi nel senso che, anche in presenza di una causa estintiva del reato, è necessario, per disporre la confisca urbanistica, procedere all’accertamento del reato (nei suoi estremi oggettivi e soggettivi) e verificare la sussistenza di profili quanto meno di colpa nei soggetti incisi dalla misura, con la conseguenza che il principio generale dell’obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato risulta recessivo rispetto alle disposizioni speciali che prevedono l’applicazione di misure le quali, per essere disposte, richiedono inevitabilmente la prosecuzione del processo e la conseguente acquisizione delle prove in funzione di quell’accertamento strumentale all’emanazione del provvedimento finale.
Conseguentemente, prosegue.la sentenza Martino, ai sensi dell’art. 4.4, comma secondo, d.RR. 380/2001, in presenza di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca urbanistica, il giudice del dibattimento, qualora maturi una causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), non ha l’obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità ex articolo 129 cod. proc. pen., con l’ulteriore conseguenza che può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio e, a tal fine, deve, pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (nel caso di specie, prescrizione), proseguire nell’istruttoria dibattimentale, differendo, se del caso, la declaratoria di estinzione del reato all’esito del giudizio e disponendo la confisca urbanistica a condizione che sia accertato il fatto reato, cioè la lottizzazione abusiva, in tutte le sue componenti oggettive e di imputazione soggettiva almeno colpevole.
4.1. Le considerazioni svolte nella sentenza Martino sono state successivamente ribadite (Sez. 3, n. 43630 del 25/6/2018, Tammaro, non massimata; Sez. 3, n. 15140 del 24/11/2017 (dep. 2018), De Maio, non massimata; Sez. 3, n. 15126 del 24/10/2017 (dep. 2018), Guacci, non massimata; Sez. 3, n. 5936 del 8/11/2018 (dep. 2019),Basile, non massimata), mentre i principi affermati sulla base della sentenza n. 4912015 della Corte Costituzionali sono stati ribaditi anche con riferimento ad altre fattispecie (v. Sez. 3, n. 1503 del 22/6/2017 (dep. 2018), Di Rosa e altro, Rv. 273534 in tema di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici di cui all’art. 40 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504).
Va inoltre rilevato che la soluzione interpretativa prospettata dalla sentenza Martino ha trovato successiva conferma, quanto meno per ciò che riguarda il giudizio di appello e quello di cassazione, nell’art. 578 – bis cod. proc. pen., introdotto con il d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 ed in vigore dal 6 aprile 2018, il quale dispone che “quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”. Il riferimento ad “altre disposizioni di legge”, come osservato in dottrina, rende applicabile la disposizione processuale anche alla confisca disposta ai sensi dell’art. 44 d.RR. 380/01.
Si è successivamente affermato, infine, che non è necessario che l’acquirente del terreno confiscato concorra nel reato di lottizzazione abusiva, essendo sufficiente la mancanza di buona fede al momento dell’acquisto stesso, che ben può essere desunto dalla realizzazione delle opere le quali, anche a distanza di tempo, concretizzano la finalità dell’acquisto (e rendono manifesta la consapevolezza dell’abusiva lottizzazione), né è dirimente il fatto che il pubblico ministero non abbia esercitato l’azione penale per il reato di lottizzazione abusiva nei confronti degli acquirenti (successivamente accusati e condannati per la sola realizzazione delle opere abusive), non potendosi desumere da ciò la loro estraneità, ai fini esecutivi, dal reato di lottizzazione abusiva (Sez. 3, n.47729 del 11/04/2018, Piras, non ancora massimata. V. anche Sez. 3, n. 130 del 15/9/2017 (dep. 2018), Fogli, non massimata).
5. La decisione della Grande Camera e le vicende esaminate.
La sentenza 28 giugno 2018 della Corte EDU — Grande camera nella causa G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/ Italia, emessa dopo quasi tre anni dalla udienza del 2 settembre 2015, ha riguardato più casi, relativi a tre diversi ricorsi, con i quali le società G.I.E.M. S.r.I., HOTEL PROMOTION BUREAU S.r.l. (società in liquidazione), R.I.T.A. SARDA S.r.l. (società in liquidazione), FALGEST S.r.l., nonché Filippo GIRONDA, hanno adito la Corte, deducendo, la G.I.E.M. S.r.1, una violazione degli articoli 6 § 1, 7 e 13 della Convenzione, nonché dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 in ragione della confisca subita; le società HOTEL PROMOTION BUREAU S.r.l. e R.I.T.A. alle decisioni della Corte ed a tale proposito va richiamato quanto precisato dalla Corte Costituzionale nella più volte menzionata sentenza n. 49/2015. Il giudice delle leggi ha espressamente escluso, nel ritenere errato il ragionamento formulato nell’ordinanza di rimessione, che la Corte EDU possa determinare il significato della legge nazionale, dovendo invece valutare “se essa, come definita e applicata dalle autorità nazionali, abbia, nel caso sottoposto a giudizio, generato violazioni delle superiori previsioni della CEDU. È pertanto quest’ultima, e non la legge della Repubblica, a vivere nella dimensione ermeneutica che la Corte EDU adotta in modo costante e consolidato”, pur specificando che “non è in discussione che, acquisita una simile dimensione, competa al giudice di assegnare alla disposizione interna un significato quanto più aderente ad essa (sentenza n. 239 del 2009), a condizione che non si riveli del tutto eccentrico rispetto alla lettera della legge (sentenze n. 1 del 2013 e n. 219 del 2008).
Aggiunge la Corte Costituzionale “che il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU, appena ribadito, è, ovviamente, subordinato al prioritario compito dì adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007). Il più delle volte, l’auspicabile convergenza degli operatori giuridici e delle Corti costituzionali e internazionali versoa, approcci condivisi, quanto alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, offrirà una soluzione del caso concreto capace di conciliare i principi desumibili da entrambe queste fonti. Ma, nelle ipotesi estreme in cui tale via appaia sbarrata, è fuor di dubbio che il giudice debba obbedienza anzitutto alla Carta repubblicana”.
Si legge ancora, in altra parte della sentenza: “Questa Corte non può che ribadire quanto affermato fin dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ovvero che alla Corte di Strasburgo compete di pronunciare la «parola ultima» (sentenza n. 349 del 2007) in ordine a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, secondo quanto le parti contraenti hanno stabilito in forza dell’art. 32 della CEDU. Si tratta di una «funzione interpretativa eminente» (sentenza n. 348 del 2007), con la quale si assicura che, all’esito di un confronto ermeneutico, tale da coinvolgere nel modo più ampio possibile la comunità degli interpreti, sia ricavata dalla disposizione convenzionale una norma idonea a garantire la certezza del diritto e l’uniformità presso gli Stati aderenti di un livello minimo di tutela dei diritti dell’uomo.
Tuttavia, sarebbe errato, e persino in contrasto con queste premesse, ritenere che la CEDU abbia reso gli operatori giuridici nazionali, e in primo luogo i giudici comuni, passivi ricettori di un comando esegetico impartito altrove nelle forme della pronuncia giurisdizionale, quali che siano le condizioni che lo hanno determinato. Il giudice nazionale non può spogliarsi della funzione che gli è assegnata dall’art. 101, secondo comma, Cost, con il quale si «esprime l’esigenza che il giudice non riceva se non dalla legge l’indicazione delle regole da applicare nel giudizio, e che nessun’altra autorità possa quindi dare al giudice ordini o suggerimenti circa il modo di giudicare in concreto» (sentenza n. 40 del 1964; in seguito, sentenza n. 234 del 1976), e ciò vale anche per le norme della CEDU, che hanno ricevuto ingresso nell’ordinamento giuridico interno grazie a una legge ordinaria di adattamento.
Certamente, il giudice comune non potrà negare di dar corso alla decisione promanante dalla Corte di Strasburgo che abbia definito la causa di cui tale giudice torna ad occuparsi, quando necessario, perché cessino, doverosamente, gli effetti lesivi della violazione accertata (sentenza n. 210 del 2013). In tale ipotesi «la pronunzia giudiziaria si mantiene sotto l’imperio della legge anche se questa dispone che il giudice formi il suo convincimento avendo riguardo a ciò che ha deciso altra sentenza emessa nella stessa causa» (sentenza n. 50 del 1970). Quando, invece, si tratta di operare al di fuori di un simile presupposto, resta fermo che «L’applicazione e l’interpretazione del sistema di norme è attribuito beninteso in prima battuta ai giudici degli Stati membri» (sentenza n. 349 del 2007). Ciò non vuol dire, però, che questi ultimi possano ignorare l’interpretazione della Corte EDU, una volta che essa si sia consolidata in una certa direzione. Corrisponde infatti a una primaria esigenza di diritto costituzionale che sia raggiunto uno stabile assetto interpretativo sui diritti fondamentali, cui è funzionale, quanto alla CEDU, il ruolo di ultima istanza riconosciuto alla Corte di Strasburgo.
Quest’ultimo, poggiando sull’art. 117, primo comma, Cost., e comunque sull’interesse di dignità costituzionale appena rammentato, deve coordinarsi con l’art. 101, secondo comma, Cost, nel punto di sintesi tra autonomia interpretativa del giudice comune e dovere di quest’ultimo di prestare collaborazione, affinché il significato del diritto fondamentale cessi di essere controverso. È in quest’ottica che si spiega il ruolo della Corte EDU, in quanto permette di soddisfare l’obiettivo di certezza e stabilità del diritto”.
Di tali principi hanno tenuto conto le Sezioni Unite (Sez. U, n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267486), le quali, richiamando le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, hanno chiarito che “Il primo dovere dell’interprete è di verificare se è effettivamente riscontrabile un contrasto tra norme interne delle quali debba farsi applicazione nel caso concreto e norme CEDU, o se, invece, la disciplina nazionale sia in linea, anche attraverso una interpretazione adeguatrice, con quella convenzionale.
In quest’ultima ipotesi non può evidentemente sorgere alcun problema dall’applicazione della norma interna, mentre, nel caso di accertato insanabile contrasto, tale norma è soggetta al sindacato di costituzionalità ex art. 117 Cost, per violazione della norma convenzionale interposta, essendo escluso che possa direttamente farsi applicazione di quest’ultima obliterando il contrario disposto di una norma interna (si vedano ad esempio, per tale evenienza, i due recenti casi di incidente di costituzionalità promosso dalle Sezioni Unite penali con le ordinanze n. 41694 del 18/10/2012 Nicosia, e n. 34472 del 19/04/2012, Ercolano).
Altro aspetto, anch’esso definitivamente esplorato, è quello della forza vincolante della giurisprudenza della Corte EDU nei confronti del giudice nazionale. Data la natura eminentemente casistica di tali sentenze, che per di più si riferiscono a una pluralità di ordinamenti, il vincolo per il giudice nazionale sussiste esclusivamente con riguardo a un orientamento convenzionale “consolidato” ovvero a una decisione “pilota” in senso stretto, la quale, cioè, con riferimento a un determinato ordinamento nazionale, ne evidenzi lacune o contrasti strutturali con la CEDU (per tutte, da ultimo, Corte cost., sent n. 49 del 2015).
Successivamente, la Corte costituzionale ha definito le pronunce della Grande Camera della Corte di Strasburgo come espressione del diritto vivente europeo (sentenza n. 43/2018).
Tali indicazioni devono pertanto essere tenute presenti nell’attuale contesto, pur considerando, rispetto ai riferimenti all’orientamento consolidato, cui si riferiscono le richiamate pronunce, della precisazione formulata nella sentenza della Grande Camera, laddove si afferma “la Corte sottolinea che le sue sentenze hanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere vincolante e le loro autorità interpretativa non possono pertanto dipendere dal collegio giudicante che le ha pronunciate”, puntualizzazione maggiormente enfatizzata nelle opinioni dissenzienti (v. opinione parzialmente concordante e parzialmente dissenziente del giudice Pinto De Albuquerque).
6.2. Ciò premesso, occorre richiamare l’attenzione su altri due aspetti che si ritengono non secondari ai fini di una corretta lettura dei principi affermati dalla Corte EDU.
Il primo è evidenziato tanto dalla Corte Costituzionale nella sentenza 49/2005 (richiamando la sent 236/2011) – ove si afferma che le decisioni della Corte EDU, ancorché tendano ad assumere un valore generale e di principio, restano pur sempre legate alla concretezza della situazione che l’hanno originate – quanto dalle Sezioni Unite nella sentenza Dasgupta, laddove si richiama la “natura eminentemente casistica” delle decisioni dei giudici di Strasburgo.
Tale osservazione va tenuta presente anche con riferimento alla decisione della Grande Camera, dalla motivazione della quale emerge chiaramente l’incidenza del caso specifico nella soluzione interpretativa adottata.
Il secondo dato significativo riguarda il fatto, evidenziato in dottrina, che, rispetto alla Corte EDU, non vige il prinCipio “iura novit curia”, sicché la Corte decide sulla base della disciplina normativa per come rappresentata dalle parti e sulla scorta dell’interpretazione giurisprudenziale nazionale richiamata sempre dalle parti interessate.
7. Sulla violazione dell’art. 7 della Convenzione.
I ricorsi ai giudici di Strasburgo sul punto erano tutti fondati sul presupposto che, non essendo stati condannati i ricorrenti, la confisca disposta nei loro confronti avrebbe violato l’articolo 7 della Convenzione.
La Corte, dopo aver premesso che, con decisioni generalmente convergenti, ha sempre ritenuto, in precedenza, che la imposizione della confisca a seguito di condanna costituisce solo uno dei criteri da considerare ai fini dell’applicazione dell’art. 7 (ricordando come, più raramente, tale dato sia stato considerato, invece, decisivo), ha qualificato la confisca come “pena” nel senso indicato dall’art. 7, richiamando, a tale proposito, la precedente sentenza Sud Fondi, trovando poi conferma a tale affermazione anche in ragione della natura e delle finalità della confisca, indicata come prowedimento eminentemente punitivo, nonché nella gravità degli effetti di tale prowedimento e nelle procedure di adozione e di esecuzione dello stesso.
Nel concludere che le misure di confisca costituiscono «pene» ai sensi dell’articolo 7 della Convenzione, risultando tali dall’interpretazione autonoma della nozione di «pena» ai sensi dell’articolo 7 e che ciò comporta l’applicabilità di questa disposizione, anche in assenza di un procedimento penale ai sensi dell’articolo 6, i giudici richiamano quanto evidenziato nella sentenza 49/2015 della Corte costituzionale, ove non si esclude la possibilità, per le autorità nazionali, di imporre «pene» mediante procedure diverse dai procedimenti penali nel senso del diritto nazionale.
La Grande camera riconosce anche che la giurisprudenza interna si è adeguata alle sue precedenti decisioni, dopo la sentenza Sud Fondi, affermando che, anche in caso di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, la confisca può essere disposta solo se il reato risulta accertato quanto all’elemento oggettivo e quello soggettivo, escludendone altresì l’applicabilità nei confronti dei terzi in buona fede.
Nel richiamare, poi, la sentenza Varvara, osserva che tale decisione non consente di ritenere che la confisca conseguente alla lottizzazione abusiva deve necessariamente seguire ad una condanna penale, dovendo la Corte EDU verificare soltanto che l’affermazione di responsabilità penale rispetti le garanzie stabilite all’articolo 7 della Convenzione e derivi da un procedimento che soddisfi le esigenze dell’articolo 6, con l’ulteriore conseguenza che la conformità con l’articolo 7, come interpretato nella sentenza Varvara, non richiede la trattazione dì qualsiasi controversia nell’ambito di un procedimento penale in senso stretto, poiché la norma non impone la «criminalizzazione», da parte degli Stati, di procedure che, nell’esercizio del loro potere discrezionale, gli stessi escludono dall’ambito del diritto penale propriamente detto.
La Corte afferma, poi, all’esito di tali considerazioni, che, qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato.
Sulla base di tale principio ha dunque ritenuto non violato l’articolo 7 nei confronti del ricorrente GIRONDA, rispetto al quale era stata dichiarata la prescrizione del reato contestato, giungendo invece a conclusioni diverse per ciò che concerne le società ricorrenti.
7.1. Sulla base delle argomentazioni sviluppate dalla Corte EDU e fin qui richiamate può, dunque, pervenirsi ad una prima conclusione e, cioè, che, almeno per quanto riguarda le persone fisiche, la sentenza della Grande camera deve essere letta come una espressa conferma della correttezza delle conclusioni cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità dopo la sentenza Varvara ed il successivo SARDA S.r.l. una violazione degli articoli 7 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 in ragione della confisca subita, mentre il GIRONDA ha ritenuto fosse stato violato l’articolo 6 § 2 della Convenzione relativamente alla presunzione di innocenza.
All’esito del giudizio, la Corte EDU ha stabilito, con quindici voti contro due, che vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione nei confronti di tutte le società ricorrenti; con dieci voti contro sette, che non vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione nei confronti del GIRONDA; ha dichiarato, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione nei confronti di tutti i ricorrenti; con quindici voti contro due, ha ritenuto di non doversi pronunciare sulla sussistenza di una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione nei confronti della società G.I.E.M. S.r.l. e dell’articolo 13 nei confronti delle società G.I.EM. S.r.l. e FALGEST S.r.l.; con sedici voti contro uno, ha ritenuto che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione nei confronti del GIRONDA; all’unanimità, infine, ha affermato che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è istruita. La sentenza della Corte EDU fornisce, owiamente, una dettagliata descrizione delle singole vicende processuali che hanno visto coinvolti i ricorrenti, richiamando anche il diritto e la prassi interna ritenuti pertinenti alle questioni esaminate. Di ciò si darà atto successivamente, per quel che qui rileva, dal momento che, come si dirà, le conclusioni cui la Corte EDU è pervenuta sono evidentemente correlate alla specificità dei singoli casi sottoposti alla sua attenzione, circostanza che si ritiene di dover considerare ai fini della corretta applicazione dei principi affermati.
La Corte di Strasburgo, peraltro, non si è discostata da quanto precedentemente affermato nelle sentenze e Sud Fondi e Varvara se non, rispetto a quest’ultima, nel ritenere che la constatazione circa la sussistenza di tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva, pur in presenza di una declaratoria di improcedibilità per prescrizione del reato, costituiscono sostanzialmente una condanna nel senso dell’articolo 7 della Convenzione, che in questo caso non è violato così confermandone la lettura datane dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla Corte costituzionale in precedenza ricordate.
6. Gli obblighi del giudice nazionale rispetto alle sentenze della Corte EDU Prima di esaminare più nel dettaglio i principi affermati dalla Corte EDU, pare opportuno accennare, preliminarmente, agli obblighi del giudice nazionale rispetto intervento della Corte Costituzionale, riconoscendo al giudice la possibilità di ordinare la confisca del bene lottizzato anche quando pronuncia sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, purché motivi adeguatamente sull’attribuibilità del fatto all’imputato sotto i profili oggettivo e soggettivo. Va conseguentemente ribadito quanto in precedenza affermato e, cioè, che il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato allorquando sia stata accertata, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo e che il giudice del dibattimento può disporre la confisca urbanistica, anche in assenza di una sentenza di condanna ma in presenza del necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio.
Il principio trova, sul piano interno, conferma nel disposto dell’art.. 578-bis cod. proc. pen., che estende anche all’ipotesi di confisca la disciplina già valevole per l’azione civile sulla base dell’art.. 578 cod. proc. pen. La disposizione presuppone, infatti, che la confisca sia stata ordinata nel giudizio di primo grado, evidentemente quando il reato non è ancora prescritto e stabilisce che, qualora il giudice di appello o la Corte di cassazione si trovino a dover dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, debbano comunque decidere sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato.
L’art. 578-bis cod. proc. pen. regola, evidentemente, solo la fase dell’impugnazione ma, da ciò, non può inferirsi il divieto, per il giudice di primo grado, di disporre la confisca nel caso in cui dichiara prescritto il reato nonostante l’avvenuto accertamento della lottizzazione illecita.
Il divieto per il giudice di primo grado di pronunciarsi sulle statuizioni civili, si fonda, infatti, come più volte rilevato da questa Corte, sul disposto dell’art.. 538 cod. proc. pen., secondo il quale il giudice decide sulla domanda di restituzione e risarcimento solo quando pronuncia sentenza di condanna. li che ha indotto ad affermare, coerentemente, che il giudice di appello il quale, nel pronunciare declaratoria del reato per prescrizione, accerti che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso per cassazione eventualmente proposto dalla parte civile avverso tale sentenza (Sez. 4, n. 27393 del 22/3/2018, P.C. in proc. Fasolino e altri, Rv. 273726).
Tali principi non sono, tuttavia, esportabili in tema di confisca urbanistica, per la quale non vale il disposto dell’art.. 538 cod. proc. pen. ed, anzi, occorre tenere conto che l’accertamento può riguardare atti dell’amministrazione la cui falsità, ove accertata, soggiace ai principi dell’art.. 537, comma 5 cod. proc. pen., che obbliga il giudice alla dichiarazione di falsità anche nel caso di sentenza di proscioglimento. Inoltre, va aggiunto che la sentenza Martino ha già avuto modo di evidenziare in maniera condivisibile, le peculiarità del provvedimento ablatorio urbanistico rispetto ad altre ipotesi di confisca. Il che esclude anche la possibilità di mutuare le considerazioni espresse nella sentenza Lucci laddove si stabilisce che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio. (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434, cit.).
La sentenza Martino, peraltro, nello svolgere tali considerazioni, ha preso anche in esame la questione, che tuttavia non rileva nel presente procedimento, degli obblighi del giudice del merito conseguenti alla presenza di una causa di estinzione del reato, quale la prescrizione, alla luce di quanto disposto dall’art. 129 cod. proc. pen. con argomentazioni che hanno trovato conferma nelle successive pronunce dianzi richiamate.
7.2. Quanto alle persone giuridiche ricorrenti, come si è detto, la Corte è giunta a differenti conclusioni, considerando violato l’art. 7. La Grande Camera, dopo aver ricordato che, per la legge italiana, alle società a responsabilità limitata viene attribuita una autonoma personalità giuridica, distinta da quella degli amministratori e dei soci, evidenzia la necessità di stabilire se le persone fisiche coinvolte nei procedimenti penali di cui si tratta abbiano agito e siano state giudicate in quanto tali o come rappresentanti legali delle società (§ 265).
Fatta tale affermazione, la Corte EDU osserva che nel diritto italiano le società responsabilità limitata non possono, in quanto tali, essere parti nel procedimento penale, nonostante la loro personalità giuridica distinta e, conseguentemente, non potevano essere legalmente rappresentate nei procedimenti penali in questione, mentre invece le azioni (e la responsabilità che ne derivava) dei loro rispettivi rappresentanti legali sono state loro direttamente attribuite, giungendo pertanto alla conclusione che, nei procedimenti dette società erano terze parti, come risulta confermato dalle sentenze dei giudici nazionali.
Viene altresì posto in evidenza che la confisca di beni è imposta dal giudice penale quale conseguenza obbligatoria dell’accertamento della lottizzazione abusiva, senza che sia prevista alcuna distinzione per il caso in cui il proprietario dei beni sia una società, richiamando testualmente quanto in precedenza affermato nella sentenza Varvara e pervenendo alla conclusione che, nei casi sottoposti alla sua attenzione, la violazione dell’art. 7 si è configurata per il fatto che le società non erano parti nel procedimento penale (nel caso specifico, le società G.I.E.M. S.r.l., HOTEL PROMOTION BUREAU S.r.l.’, R.I.T.A. SARDA S.r.l. e .FALGEST S.r.l., non erano state parti in alcun procedimento e soltanto il legale rappresentante della Hotel PROMOTION BUREAU S.r.l. e della FALGEST S.r.l., nonché due membri della R.I.T.A. SARDA S.r.l., erano stati accusati personalmente).
7.3. Occorre a tale proposito rilevare come, dalle considerazioni sviluppate dalla Corte EDU, non possa ritenersi che la sentenza abbia voluto radicalmente escludere, in ogni caso, la possibilità della confisca in danno delle persone giuridiche, affermando che le stesse debbano necessariamente partecipare al procedimento penale, poiché una simile evenienza è attualmente estremamente problematica (seppure, come si dirà appresso, non impossibile), atteso che lo strumento normativo che, in linea generale, potrebbe consentirlo (il d.lgs. 231/2001) non contempla, tra i reati presupposto, la lottizzazione abusiva, sempre che, come è stato osservato in dottrina, a tale affermazione i giudici di Strasburgo non siano stati indotti da un errato inquadramento della disciplina nazionale indicata dalle parti.
Inoltre, seppure la lottizzazione abusiva fosse contemplata tra i reati presupposto, la partecipazione al procedimento penale prevista dal d.lgs. 231/01 sarebbe comunque eventuale e finalizzata all’accertamento di una responsabilità accessoria, sulla cui natura (amministrativa, penale o sui generis), dottrina e giurisprudenza non sono, peraltro, pervenute a conclusioni unanimi, senza considerare che, ipotizzando la possibilità di una netta distinzione tra la posizione dell’ente e quella della persona fisica che lo rappresenta, sempre tenendo conto dello strumento normativo oggi disponibile, verrebbero a prodursi ulteriori problematiche conseguenze come, ad esempio, l’impossibilità, per eventuali danneggiati, di costituirsi parte civile nei confronti dell’ente (cfr. Sez. 6, n. 2251 del 5/10/2010 (dep. 2011), Fenu e altri, Rv. 248791, nonché Corte Giust. (Seconda Sezione) del 12 luglio 2012, Giovanardi).
Parimenti, sembra potersi anche escludere che la sentenza sia volutamente improntata ad un rigido ed irrazionale approccio formalistico, teso a valorizzare la mera distinzione tra persona fisica e persona giuridica, abbandonando, del tutto eccezionalmente, proprio in questa occasione, il criterio della prevalenza della sostanza sulla forma, che, come pure evidenzia la dottrina, ha costantemente caratterizzato le decisioni della Corte EDU.
Invero, la sentenza espressamente equipara, nel caso specifico, le società ai soggetti terzi in genere ed inoltre, laddove si riferisce, come si è già detto, alla necessità di verificare se le persone fisiche sottoposte a processo penale per l’abusiva lottizzazione abbiano agito e siano state processate in quanto tali o legali rappresentanti delle società (§265), stigmatizzando il fatto che le azioni e la conseguente responsabilità dei rappresentanti legali era stata loro attribuita pur non avendo partecipato al giudizio (§266), sembra considerare, piuttosto, la posizione della società che, completamente estranea al processo penale (dunque, quale terzo) patisce gli effetti del giudizio nei confronti della persona fisica per le condotte da questa autonomamente poste in essere.
Si tratterebbe, in altre parole, della medesima situazione nella quale viene a trovarsi il terzo (persona fisica) di buona fede e tale conclusione pare trovare conferma anche nella risposta che la Corte EDU fornisce alle osservazioni del Governo.
Si era infatti obiettato, da parte di quest’ultimo, che, ad eccezione della G.I.E.M. S.r.l., la quale aveva subito la confisca quale conseguenza di un’automatica inclusione dell’area di sua pertinenza nella lottizzazione di Punta Perotti, mentre i suoi rappresentanti non erano stati neppure perseguiti, le altre società coinvolte non potevano affermare di aver agito in. buona fede, trattandosi di “meri strumenti giuridici nelle mani dei loro azionisti” (§ 264) ed a tale osservazione la Corte ha replicato, in risposta all’affermazione del Governo, secondo cui le predette società erano in malafede, che dagli atti di causa non emergevano elementi che dimostrassero il trasferimento della proprietà dei beni alle società ricorrenti ad opera dei loro rappresentanti legali, richiamando l’articolo 6 della direttiva 2014/42, citata nel precedente paragrafo 152, la quale, nel prevedere la confisca dei beni di terzi, stabilisce che «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per poter procedere alla confisca di proventi da reato o di altri beni di valore corrispondente a detti proventi che sono stati trasferiti, direttamente o indirettamente, da un indagato o un imputato a terzi, o che sono stati da terzi acquisiti da un indagato o imputato, almeno se tali terzi sapevano o avrebbero dovuto sapere che il trasferimento o l’acquisizione dei beni aveva /o scopo di evitarne la confisca, sulla base di fatti e circostanze concreti, ivi compreso il fatto che il trasferimento o l’acquisto sia stato effettuato a titolo gratuito o contro il pagamento di un importo significativamente inferiore al valore di mercato».
La sentenza della Grande Camera sembra, dunque, riferirsi alla posizione della persona giuridica del tutto estranea ai fatti per cui si procede in sede penale (emblematico, a tale proposito, risulta il caso della G.I.E.M. s.r.l.) e sostanzialmente “in buona fede”, riconoscendo, però, la possibilità che tale posizione di terzietà possa difettare.
Nei caso specifico della lottizzazione abusiva, la relazione diretta tra la condotta delle persone fisiche legali rappresentanti della persona giuridica e le vicende di quest’ultima è molto spesso evidente, se solo si tengano presenti le modalità attuative del reato.
La persona giuridica, se proprietaria dell’area abusivamente lottizzata, è normalmente committente degli interventi in essa realizzati, è il soggetto che procede al frazionamento, alla vendita, o ad altri atti equivalenti, riguardanti i singoli lotti, richiede eventuali titoli abilitativi agli enti competenti, pone in essere gli atti negoziali riguardanti gli edifici eventualmente realizzati ed ogni altra attività correlata, che viene materialmente attuata (ed altrimenti non potrebbe essere) dalla persona fisica che ne ha la rappresentanza legale, ricevendo la persona giuridica conseguenti vantaggi ed utilità e non potendosi pertanto considerare, in simili casi, soggetto estraneo al reato, mentre, in altri casi ancora, la persona giuridica altro non è se non il mero strumento operativo mediante il quale agisce la persona fisica suo rappresentante legale nel proprio esclusivo interesse, avvalendosi dello schermo societario sostanzialmente quale mezzo di segregazione patrimoniale.
Sembra pertanto potersi ritenere che, nel caso in cui risultino accertate nel giudizio di merito situazioni quali quelle appena indicate, debba escludersi la posizione di soggetto terzo estraneo al reato della persona giuridica nel senso delineato dalla sentenza della Grande Camera, trovando conseguentemente applicazione i principi dianzi richiamati e relativi ai soggetti terzi non in buona fede.
Del resto, sarebbe irrazionale sostenere che la medesima posizione debba trovare un trattamento diverso se il soggetto è una persona giuridica e non una persona fisica, peraltro con le rilevanti conseguenze che ne deriverebbero nel caso specifico.
Va anche tenuto in considerazione che, nella maggior parte dei casi, la persona fisica rappresentante legale della società è giudicata nel processo penale esclusivamente in ragione di tale sua specifica posizione e per le condotte poste in essere agendo quale organo della persona giuridica nell’ambito delle relazioni intersoggettive, risultando del tutto estranee al processo condotte individuali autonome non riferibili all’ente.
Va infine richiamata l’attenzione sul fatto che a conclusioni analoghe, ancorché non interamente sovrapponibili, è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte con riferimento alla confisca in materia di discarica abusiva e di trasporto illecito di rifiuti, osservando che se l’attività illecita è stata posta in essere da una persona giuridica attraverso i propri organi rappresentativi, mentre a costoro è addebitabile la responsabilità penale per i singoli fatti di reato, le conseguenze patrimoniali ricadono sullo ente esponenziale in nome e per conto del quale le persone hanno agito, ad eccezione del caso in cui vi sia stata una rottura del rapporto organico, per avere l’imputato agito di propria esclusiva iniziativa (Sez. 3, n. 44426 del 7/10/2004, Vangi, Rv. 230469; Sez. 3, n. 299 del 3/12/2003 (dep.2004), Andrisano, Rv. 227220; Sez. 3, n. 17349 del 29/3/2001, Mingione F, Rv. 219698).
Più recentemente, sempre in tema di confisca di aree destinate a discarica abusiva, si è affermato che se il reato è stato contestato e accertato come commesso dall’imputato nella sua qualità di legale rappresentante della società proprietaria del terreno e nell’esclusivo interesse di quest’ultima, la società è il beneficiario effettivo dell’attività delittuosa, sicché la sua posizione non può essere equiparata a quella di un terzo estraneo (Sez. 3, n. 39027 del 20/4/2018, Caprino, non massimata).
Nella diversa ipotesi in cui la persona giuridica assuma invece, sempre alla luce delle considerazioni svolte dai giudici di Strasburgo, la posizione di terzo di buona fede, estraneo al processo, varranno anche in questo caso i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione ad analoga posizione delle persone fisiche richiamati in precedenza.
La soluzione prospettata che, lo si ripete, consegue alla sostanziale equiparazione della persona giuridica alla omologa situazione in cui viene a trovarsi la persona fisica quale terzo estraneo al procedimento, consente, avuto riguardo anche a quanto si è in precedenza osservato riguardo al processo di esecuzione ed alle garanzie che lo stesso attualmente offre, di pervenire ad una scelta interpretativa conforme ai principi affermati dalla Corte di Strasburgo.
7.4. Nel frattempo, la necessità di adeguarsi ai principi affermati dalla Grande Camera richiede a questa Corte di verificare se le disposizioni processuali attualmente vigenti consentano di ipotizzare, per il futuro, la partecipazione al processo delle persone giuridiche. Si è detto, in precedenza, che una simile soluzione non sembra del tutto impraticabile ed, invero, essa è stata già presa incidentalmente in considerazione, ad avviso del Collegio in maniera convincente, in una recente pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 3979 del 21/912018 (dep. 2019), Cerra, non ancora massimata).
Invero la richiamata pronuncia, auspicando futuri interventi modificativi del legislatore ed escludendo che debba ritenersi scontata, nel frattempo, un’interpretazione convenzionalmente conforme nel senso della disapplicazione della confisca urbanistica per le persone giuridiche, evidenzia come spetti al giudice nazionale stabilire se l’interpretazione conforme alla CEDU possa spingersi sino al punto di ritenere, per il passato, sufficientemente garantito il procedimento di esecuzione per rendere efficace la pronuncia della confisca nei confronti delle persone giuridiche (come si è appena affermato) e, per il futuro, di consentire alle stesse la partecipazione al processo penale di cognizione facendo leva su norme che, rispetto al caso non regolato dal diritto interno, disciplinano la citazione degli enti.
La sentenza richiama espressamente, a tale proposito, il combinato disposto di cui agli artt. 197 cod. pen. e 89 cod. proc. pen., in tema di persone giuridiche obbligate al pagamento della pena pecuniaria, nonché l’art. 104-bis, comma 1— quinquies, disp. att. cod. proc. pen., in tema di tutela dei terzi nel giudizio nei casi di beni sottoposti a sequestro preventivo e a sequestro e confisca in casi particolari (che ha, tuttavia, un ambito di operatività limitato). L’art. 197 cod. pen. riguarda, infatti, l’obbligazione civile delle persone giuridiche per il pagamento delle multe e delle ammende, mentre l’art. 89 cod. proc. pen. stabilisce le modalità di citazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, disponendo che “la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria è citata per l’udienza preliminare o per il giudizio a richiesta del pubblico ministero o dell’imputato.
Si osservano in quanto applicabili le disposizioni relative alla citazione e alla costituzione del responsabile civile. Non si applica la disposizione dell’articolo 87 comma 3. Le richiamate disposizioni riferite al responsabile civile (artt. 83 e 64 cod. proc. pen.) prendono in in considerazione non soltanto la persona fisica, ma anche “l’associazione o dell’ente’. Si tratta, dunque, di una situazione nella quale viene presa in considerazione, come si desume dall’art. 197 cod. pen., quale presupposto di una diretta conseguenza di natura patrimoniale sulla persona giuridica (l’obbligazione al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta) la condanna per reato contro chi abbia la rappresentanza o sia amministratore della persona giuridica owero si trovi con essa in rapporto di dipendenza. Tale soggetto, secondo quanto rilevato in dottrina, deve ritrovarsi in una situazione di mero collegamento funzionale con l’ente, indipendentemente dal fatto che ne sia un organo. Uno dei presupposti per la configurabilità dell’obbligazione di cui all’art. 197 si identifica nella “condanna per reato contro chi abbia la rappresentanza, o l’amministrazione” degli enti forniti di personalità giuridica “o sia con essi in rapporto di dipendenza”. L’autore del reato sarà, quindi, un rappresentante o un amministratore o un dipendente della persona giuridica. La disposizione, inoltre, precisa che deve trattarsi di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell’interesse della persona giuridica.
Il comma 1 — quinquies dell’art. l’art. 104-bis, disp. att. cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 6 d.lgs. 21/2018, il quale ha disposto diverse modifiche di norme preesistenti in materia di confisca in casi particolari) stabilisce, invece, che nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo, tra i quali devono ritenersi pacificamente comprese anche persone giuridiche.
La possibilità della partecipazione della persona giuridica al processo penale in ipotesi diverse da quelle disciplinate dal d.lgs. 231/01 non è, dunque, del tutto esclusa dal legislatore e l’applicazione della richiamate disposizioni processuali suggerita dalla menzionata decisione estesa anche alle persone giuridiche in ipotesi di lottizzazione abusiva si risolverebbe in un indubbio vantaggio, consentendone la partecipazione al processo fin dall’inizio, senza necessariamente rinviare alla successiva fase dell’esecuzione la soluzione di questioni inerenti la confisca dei beni di proprietà e risulterebbe risolutiva per la concreta attuazione dei principi convenzionali di cui si tratta.
E’ appena il caso di osservare che il ricorso agli artt. 197 cod. pen. e 89 cod. proc. pen. riguarderebbe gli stessi esclusivamente quale strumento processuale compatibile da utilizzare per la individuazione delle modalità di citazione e partecipazione al giudizi della persona giuridica. Il fatto che la partecipazione della persona giuridica al processo penale di cognizione possa essere assicurata, nel rispetto dei principi convenzionali; attraverso l’applicazione estensiva di norme interne quali, appunto, gli artt. 197 cod. pen. e 89 cod. proc. pen., mentre quella rimasta estranea al processo può far valere le proprie ragioni innanzi al giudice dell’esecuzione il quale, ai fini della decisione, ha il potere-dovere di accertare in modo autonomo la sussistenza del reato e l’estraneità ad esso della persona giuridica nei confronti della quale il giudicato non produce effetti rende pertanto non rilevante la questione di legittimità costituzionale prospettata dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni.
8. Sulla violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1.
La sentenza della Grande Camera ha riconosciuto la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 nei confronti di tutti i ricorrenti in ragione del carattere sproporzionato della misura di confisca.
Vanno tuttavia considerate con attenzione le premesse sulle quali la Corte EDU perviene a tale decisione, che pare opportuno richiamare per quanto qui di interesse.
8.1. Considerando il merito della vicenda e le prospettazioni delle parti, la sentenza rileva come la G.I.E.M. S.r.l. abbia rappresentato alla Corte che l’articolo 19 della legge 47/1985 (ora trasfuso nell’art. 44 d.P.R. 380\01) viola l’articolo 1 del Protocollo n. 1, in quanto, con una formulazione generica, consentirebbe che la confisca possa estendersi ben oltre i terreni direttamente interessati dalle trasformazioni urbanistiche abusive, tanto che, nel caso specifico, avrebbe comportato l’abiezione di un’area tre volte più estesa di quella interessata dai permessi di costruire rilasciati dall’amministrazione comunale.
Le società HOTEL PROMOTION BUREAU S.r.l. e R.I.T.A. SARDA S.r.l. hanno invece riferito ai giudici di Strasburgo che gli ottantotto lotti costruiti occupavano, in totale, 15.920 m 2 , mentre la superficie supplementare confiscata era 14,5 volte superiore.
La FALGEST S.r.l. ed il ricorrente GIRONDA indicano la confisca come sproporzionata perché, di fronte a semplici preliminari di vendita che coprono meno dell’11% della superficie del terreno, la confisca aveva riguardato l’intera area.
Si tratta, come si è visto, delle prospettazioni delle parti, le quali hanno evidenziato quella che, all’apparenza, risulta una effettiva applicazione della confisca anche al di fuori dei casi consentiti dalla legge nazionale e tale circostanza, come si dirà anche in seguito, ha certamente condizionato il giudizio della Corte, come si desume chiaramente dalla motivazione che segue alla premessa in fatto.
8.2. Invero se, come affermano le parti, le confische hanno effettivamente riguardato aree estranee all’attività lottizzatoria illecita, si tratterebbe di una pacifica ed indiscutibile lesione del diritto di proprietà degli interessati, sempreché le parti, enfatizzando esclusivamente il dato meramente quantitativo, abbiano operato una distinzione tra superfici occupate da immobili e superfici libere da edificazioni, individuando i terreni abusivamente lottizzati esclusivamente in quelli materialmente edificati.
Una simile affermazione, tuttavia, è del tutto estranea al concetto di lottizzazione individuato dal legislatore nazionale e dalla pluriennale giurisprudenza di questa Corte. Come è noto, l’art. 30 del d.P.R. 380/01 stabilisce, al primo comma, che “si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.
Da tale definizione dottrina e giurisprudenza hanno classificato la lottizzazione abusiva secondo tre diverse tipologie: materiale, negoziale (o giuridica, o cartolare) e mista ed il riferimento generico, nell’articolo 30, al termine “opere”, ha consentito alla giurisprudenza di considerare configurabile la lottizzazione materiale in ogni tipologia di attività edilizie o di urbanizzazione atte a stravolgere l’assetto del territorio rendendone impraticabile la programmazione ed, infatti, il bene giuridico protetto dall’articolo 30 del TU, secondo la giurisprudenza amministrativa, è non solo quello dell’ordinata pianificazione urbanistica e del corretto uso del territorio, ma anche (e soprattutto) quello relativo all’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione – cioè dal comune — al quale spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio, non previamente assentito (Cons. Stato, Sez. IV n. 5849 del 6/10/2003. V. anche, ex pl., Sez. IV n. 26 del 8/1/2016; Sez. V n. 4429 del 3/8/2012).
Ne consegue che la lottizzazione abusiva, non soltanto quella negoziale, può configurarsi anche senza la costruzione di edifici o altri interventi che, singolarmente considerati, richiedano il permesso di costruire, come nel caso del picchettamento e della delimitazione dei terreni o della modifica dell’originaria destinazione d’uso degli edifici (v. da ultimo, Sez. 3, n. 38799 del 16/9/2015, De Paola, Rv. 264717, con numerosi precedenti conformi).
Con specifico riferimento alla lottizzazione negoziale, la terminologia utilizzata nell’articolo 30, comma 1, per descriverla (in particolare, il termine “frazionamento”), è stata letta dalla giurisprudenza nel senso che tale attività non deve necessariamente avvenire attraverso un’apposita operazione catastale che preceda le vendite o, comunque, gli atti di disposizione (v. Sez. 3, n. 6180 del 4/11/2014 (dep.2015), Di Stefano, Rv. 262387 e precedenti conformi), potendosi anche realizzare mediante ogni altra forma di suddivisione di fatto, atteso che il termine “frazionamento” deve ritenersi utilizzato dal legislatore in modo atecnico e, pertanto, riferito a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di una più ampia estensione territoriale, comunque predisposta od attuata ed anche se avvenuta in forma non catastale, attribuendone la disponibilità ad altri al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica o edilizia del territorio, tanto che può configurarsi, perciò, lottizzazione negoziale anche nell’ipotesi in cui venga stipulato un solo atto di trasferimento a più acquirenti, i quali pervengano nella disponibilità e/o nel godimento di quote di un terreno indiviso (Sez. 3, n. 6080 del 26/10/2007 (dep. 2008), Casile e altri, Rv. 238977).
Dunque la successiva edificazione del territorio è sì lo scopo cui tende l’attività lottizzatoria, la quale può, tuttavia, configurarsi anche prima che tale scopo venga effettivamente raggiunto. L’attività lottizzatoría si configura, dunque, mediante qualsiasi utilizzazione del suolo che, indipendentemente dalla entità del frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, preveda la realizzazione, contemporanea o successiva, di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, che postulino l’attuazione di opere di urbanizzazione primaria o secondaria, occorrenti per le necessità dell’insediamento; attraverso ogni intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell’intervento di nuova realizzazione, ovvero allorquando detto intervento non potrebbe essere in nessun caso realizzato, poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o localizzazione dello strumento generale di pianificazione, che non possono esser modificati da piani urbanistici attuativi; quando venga posta in essere qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata; in presenza di condotta che tenda a consolidare le trasformazioni già attuate mediante modifiche, migliorie o integrazioni del preesistente, posto che l’aggressione alla sistemazione del suolo si protrae finché perdurano comportamenti che compromettono la scelta di destinazione e di uso riservata alla competenza pubblica.
Il reato di lottizzazione abusiva può configurarsi, inoltre, anche in presenza di un’autorizzazione a lottizzare, quando l’esecuzione dell’intervento edilizio sia eseguito in difformità da quanto autorizzato ovvero quando l’autorizzazione rilasciata sia illecita o illegittima per contrasto con la normativa di settore e gli strumenti urbanistici. La lottizzazione abusiva si distingue, peraltro, dal semplice abuso edilizio, dovendosi tenere conto della funzione intrinseca della lottizzazione, la quale assolve al compito di dare attuazione allo strumento generale di pianificazione urbanistica, ove questo esista, o di formulare comunque un piano particolareggiato di urbanizzazione. Nella convenzione lottizzatoria, infatti, si stabilisce un programma concreto di realizzazione delle opere di urbanizzazione mediante il versamento dei relativi contributi pecuniari o mediante la esecuzione diretta delle opere e la cessione delle aree necessarie da parte del privato lottizzatore. Ne deriva che quando la nuova costruzione realizzata dal privato non presuppone opere di urbanizzazione primarie o secondarie e quindi non implica una pianificazione urbanistica, essa richiede certamente il previo permesso di costruire (a tutela dell’interesse pubblico al preventivo controllo di tutti gli interventi trasformativi dell’assetto territoriale), ma non necessita anche di un’autorizzazione lottizzatoria, giacché in tal caso, mancando appunto una lottizzazione, non è pregiudicata la riserva pubblica di pianificazione urbanistica (così, in motivazione, Sez. 3, n. 17663 del 3/3/2005, Del Medico, Rv. 231511).
La correlazione tra terreno abusivamente lottizzato e realizzazione di interventi edilizi è dunque impropria e che tale è stata la prospettazione delle parti ai giudici di Strasburgo lo si ricava anche dalla indicazione delle deduzioni del Governo, laddove, pur a fronte della affermazione secondo cui una confisca solo parziale dei terreni avrebbe pregiudicato le legittime finalità perseguite dallo Stato, ossia l’adeguamento dei lotti alle disposizioni urbanistiche, la tutela dell’ambiente e la punizione dei responsabili di trasformazioni urbanistiche abusive, si enfatizza, ancora una volta, la distinzione tra terreni edificati e non edificati (rappresentando la difficoltà di limitare la confisca ai soli terreni edificati) ed il dato quantitativo, rettificando il numero degli appartamenti confiscati e dei terreni edificati confiscati indicati dalle parti private.
8.3. Afferma poi la Corte EDU (§ 295) che non può porsi porsi in dubbio la legittimità delle politiche statali a favore della tutela ambientale, perché in tal modo si garantiscono e si difendono anche il benessere e la salute delle persone, facendo però seguire, a tale asserzione, la constatazione del fatto che l’esame dei casi sottoposti alla sua attenzione, che la stessa Corte precisa essere basata sulle informazioni fornite dalle parti, lascia qualche dubbio circa la realizzazione dello scopo che ha giustificato le misure contestate dai ricorrenti.
Successivamente, la Corte analizza le situazioni specifiche, chiedendosi come la confisca avesse potuto realizzare le finalità di tutela perseguite dallo Stato, dal momento che alla G.I.E.M. il terreno era stato restituito, mentre gli immobili confiscati alla HOTEL PROMOTION S.r.l. e R.I.T.A. SARDA S.r.l., risultavano ancora occupati dai proprietari ed il consiglio comunale di Golfo Aranci aveva riconosciuto l’interesse a mantenere il complesso immobiliare confiscato, tenuto conto della possibilità di utilizzare gli alloggi per far fronte a situazioni di emergenza, concedendo, direttamente o indirettamente, l’uso dei beni a titolo oneroso a persone a basso reddito, mentre il complesso di pertinenza della FALGEST S.r.l. e dal ricorrente Gironda si trovava in stato di abbandono per mancanza di manutenzione da parte del Comune proprietario.
A fronte di tale rappresentazione dei fatti, la Corte EDU prende in considerazione la proporzionalità della misura, osservando (§301) che a tale fine devono considerarsi diversi parametri, quali la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, aggiungendo (§302) che deve essere offerta la possibilità, alla persona interessata, di esporre adeguatamente le sue ragioni alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti dall’art. 1 del Protocollo n. 1.
All’esito di tali premesse la sentenza afferma che l’applicazione automatica della confisca in caso di lottizzazione abusiva prevista — salvo che per i terzi in buona fede — dalla legge italiana è in contrasto con i principi ricordati, in quanto non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze specifiche del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione (osservando anche che, non essendo state parti nei procedimenti, nella fattispecie le società ricorrenti non hanno beneficiato di alcuna delle garanzie procedurali di cui al precedente paragrafo 302).
8.4. Dovendosi quindi apprezzare il principio affermato al fine di offrire una interpretazione convenzionalmente orientata delle norme applicate, deve in primo luogo osservarsi che l’art. 44, al comma 2, prevede la confisca tanto “dei terreni, abusivamente lottizzati” quanto “delle opere abusivamente costruite”. Avuto riguardo al concetto di lottizzazione abusiva in precedenza ricordato, appare evidente che la legge, come si è detto, prevede la confisca indipendentemente dalla edificazione intesa nel senso di intervento edilizio comportante la realizzazione di volumi o superfici, essendo terreni lottizzati anche quelli ove non insistono opere consistenti, necessariamente, in edifici propriamente detti, ben potendo rientrare in tale concetto, ad esempio, gli interventi di urbanizzazione primaria (fognature, rete idrica, elettrica, strade di collegamento etc.), così come è altrettanto evidente che l’intervento lottizzatorio, pur in presenza di edifici, non è sempre limitato all’area di sedime degli stessi, potendo comprendere anche altre aree che, essendo in qualche modo ad essi asservite, direttamente o indirettamente, rientrano nel complesso si attività univocamente finalizzate al conferimento di un diverso assetto del territorio snaturando la programmazione dell’uso dello stesso delineato dallo strumento urbanistico generale.
La lottizzazione abusiva riguarda, dunque, quei beni immobili (terreni e manufatti) direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali. Deve conseguentemente ritenersi conforme ai principi convenzionali la confisca di tutte le aree abusivamente lottizzate, indipendentemente dalla presenza o meno di volumi, mentre tale misura ablativa non potrebbe mai riguardare aree completamente estranee all’attività lottizzatoria abusiva nel senso dianzi delineato, ponendosi una simile evenienza platealmente in contrasto con i richiamati principi. Si tratta, peraltro, di una interpretazione già effettuata in un passato non recente dal giudice nazionale considerando i principi costituzionali e convenzionali allora noti, pervenendo alla conclusione che i “terreni lottizzati” ovvero “rientranti nel generale progetto lottizzatorio” vanno identificati in quelli che risultano oggetto di un’operazione di frazionamento preordinata ad agevolarne l’utilizzazione a scopo edilizio. Ove esista, pertanto, un preventivo frazionamento, va confiscata tutta l’area interessata da tale frazionamento, nonché dalla previsione delle relative infrastrutture ed opere di urbanizzazione, indipendentemente dall’attività di edificazione posta concretamente in essere. Nell’ipotesi, invece, in cui non sia statopredisposto un frazionamento fondiario e tuttavia si sia conferito, di fatto, un diverso assetto ad una porzione di territorio comunale, la confisca va limitata a quella porzione territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti separati, dalla edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture (così, in motivazione, Sez. 3, n. 37472 del 26/6/2008, Belloi e altri, Rv. 241101).
Va tuttavia rilevato che la verifica circa la corretta estensione della confisca richiede un accertamento in fatto che deve necessariamente essere effettuato, sulla base di dati materiali oggettivi, dal giudice del merito e da questi supportato con adeguata e specifica motivazione, sindacabile, in sede di legittimità, nei limiti propri di tale giudizio.
8.5. La Corte EDU, tuttavia, evidenzia anche un altro aspetto di criticità che ritiene rilevante ai fini della ritenuta violazione del Protocollo accertata nei casi specifici sottoposti alla sua attenzione sulla base delle indicazioni delle parti e che individua nell’automatismo della confisca e nell’inesistenza di misure alternative meno restrittive.
Va però osservato, a tale proposito, che la confisca ordinata dal giudice penale non è affatto un evento scontato, automatico ed inevitabile. Essa, inoltre, è applicata, come si è visto, previa verifica di un collegamento oggettivo e soggettivo con il reato della persona che la subisce. L’art. 30, comma 7 d.P.R. 380/01 stabilisce, infatti, che, indipendentemente dal processo penale, quando il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, deve emettere ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29 del medesimo d.P.R., disponendo la sospensione dell’attività.
Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari. Il comma 8 del medesimo articolo stabilisce, inoltre, che, trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di sospensione, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere.
In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8. La mancata attuazione della procedura è inoltre pacificamente suscettibile di valutazione in sede penale quanto ad eventuali responsabilità omissive. Una volta portata a termine tale procedura, la confisca non deve essere più disposta dal giudice penale, il cui intervento, che è meramente residuale, non interferisce né si sovrappone, secondo la dottrina, con l’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa dall’art. 30 d.RR. 380\01 (e che resta estraneo, peraltro, all’ambito di operatività dell’art. 24 legge 689\81). E’ stata, inoltre, più volte presa in considerazione la rilevanza, rispetto al provvedimento di confisca, di provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa prima o dopo il passaggio in giudicato della sentenza, affermandosi che tali provvedimenti, pur non producendo effetti estintivi del reato di lottizzazione abusiva, che la legge non prevede espressamente, comportano, quale conseguenza, se legittimamente emanati prima del passaggio in giudicato della sentenza, l’impossibilità per il giudice di disporre la confisca, perché l’autorità amministrativa competente, riconoscendo ex posi la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, ha intesa evidentemente lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune (Sez. 3, n. 23154 del 18/5/2006, Scalici, Rv. 234476. Conf. Sez. 3, n. 15404 del 21/1/2016, Bagliani e altri, Rv. 266811, in motivazione; Sez. 3, n. 43591 del 18/2/2015, Di Stefano e altri, Rv. 265153; Sez. 3, n. 4373 del 13/12/2013 (dep.2014), Franco e altro, Rv. 258921).
Dopo il passaggio in giudicato, invece, si è ritenuto che l’amministrazione comunale conservi, ovviamente, la piena ed incondizionata potestà di programmazione e di gestione del territorio, dovendosi però escludere che il successivo adeguamento degli immobili acquisiti agli standard urbanistici già vigenti ovvero l’adozione di nuovi strumenti urbanistici integri una fonte di retro-trasferimento della proprietà in favore dei privati già destinatari dell’ordine di confisca. Resta tuttavia la possibilità, qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino di destinare l’area lottizzata alla edificazione, che l’amministrazione decida di non esercitare in proprio le iniziative edificatorie e di non conservare la proprietà sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono, facendo ricorso ad atti contrattuali volontari ed a titolo oneroso che trasferiscano la proprietà a tutti o parte dei precedenti proprietari (Sez. 3, n. 34881 del 22/4/2010, Franzese, Rv. 248360; Sez. 3, n. 21125 del 12/4/2007, Licciardello e altri, Rv. 236737. Contra Sez. 3, n. 35219 del 11/4/2007, Arcieri e altri, Rv. 237372; Sez. 3, n. 47272 del 30/11/2005, lacopino ed altri, Rv. 232998 che ammettono la possibilità di revoca della confisca anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza). Tale ultima soluzione adottata consente, dunque, con conseguenze sicuramente meno invasive per il soggetto interessato, il quale dispone comunque dei mezzi in precedenza indicati per affermare, anche in sede di esecuzione, le sue ragioni, di rientrare in possesso dei terreni confiscati.
Il potere del giudice di disporre la confisca dei terreni lottizzati trova, inoltre, un ulteriore limite anche nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera (Sez. 3, n. 38700 del 18/4/2018, De Simone, non mass. Con richiami ai prec. V. anche, Sez. 2, n. 50189 del 09/12/2015 – dep. 21/12/2015, Comune Di Golfo Aranci e altri, Rv. 265416).
L’amministrazione competente, infine, può autonomamente provvedere, prima della decisione del giudice penale, all’adozione dei provvedimenti di sua pertinenza, anche revocando l’autorizzazione a lottizzare. Occorre poi osservare che i giudici di Strasburgo hanno ritenuto sicuramente determinante, nel ritenere violati i principi del Protocollo, la dedotta confisca di terreni non interessati dall’attività lottizzatoria, come si evince dalla opinione parzialmente dissenziente e parzialmente concordante, dei giudici Spano e Lemmens, laddove si ritiene inaccettabile che non sia stato accertato in alcun modo se la confisca rappresentasse o meno un onere sproporzionato sul proprietario, ritenendolo un dato particolarmente rilevante, dal momento che la lottizzazione abusiva riguardava solo una parte dei terreni di cui era stata disposta la confisca. A fronte di tale deduzione delle parti, la Corte ha conseguentemente escluso che fosse stato nella fattispecie mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e l’interesse delle parti in causa.
A conclusioni non dissimili la Corte EDU era pervenuta anche nella nota sentenza Sud Fondi, laddove, a fronte della chiara indicazione del Governo, il quale faceva rilevare come la lottizzazione abusiva di un terreno presupponga una trasformazione urbanistica, nozione che riguarda la totalità del terreno e non solo la parte edificata, non trattandosi di un caso di semplice costruzione, ma di un progetto che implica anche delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (ai sensi della legge n. 847/1964 e della legge n. 865/1971), osservava che la portata della confisca, riguardante terreni non edificati per una quota pari all’85% del totale, in assenza di un qualsiasi indennizzo, non si giustifica rispetto alla finalità di ripristinare una situazione di conformità alle disposizioni urbanistiche.
La preminente incidenza, sulla decisione della Corte EDU, della prospettata applicazione della confisca anche su aree estranee alla lottizzazione può altresì dedursi anche tenendo presente quanto rilevato in altre pronunce dei giudici di Strasburgo. Si è già detto che nella sentenza G.I.E.M., si sottolinea la rilevanza delle esigenze di tutela ambientale e la proporzione che deve essere mantenuta tra le esigenze di tutela dell’interesse generale e quelle della parte in causa ed a tale scopo la Corte EDU richiama espressamente alcune sue precedenti pronunce nelle quali tale situazione viene presa in considerazione. Nella sentenza Depalle c. Francia, relativa alla ingiunzione a demolire un singolo edificio insistente sul demanio marittimo, viene evidenziato (§ 89) che la iniziativa pubblica di ripristino dell’originario stato dei luoghi risponde all’esigenza di una rigorosa e coerente applicazione della legge, giustificata non soltanto dalla necessità di tutelare il litorale ed il suo utilizzo pubblico, ma anche dall’esigenza di far rispettare le disposizioni urbanistiche, in quanto, considerata la particolarità della zona costiera, la necessità di un’urbanizzazione controllata e di un libero accesso alle coste implica una più rigida gestione di quella parte del territorio, precisando che l’affermazione vale per l’insieme delle aree litorali europee.
A conclusioni analoghe la Corte di Strasburgo è pervenuta in un caso simile (Brosset-Triboulet e altri c. Francia), ponendo ancora una volta in evidenza (§ 90) la preminente esigenza di tutela delle zone costiere e l’incidenza, sulla scelta delle misure di protezione, della previa pianificazione, che, in altra pronuncia (Gorraiz Lizarraga e altri c. Spagna § 70), individua come ambito di interesse generale, preminente rispetto agli interessi provati, entro il quale lo stato interviene.
In una recente decisione (Kvyatkovskiy v. Russia, del 18 ottobre 2018) riguardante la realizzazione, su terreno a destinazione agricola, di edifici con finalità residenziale, dei quali era stata ordinata la demolizione, la Corte ha riconosciuto che l’ingiunzione aveva lo scopo di disciplinare l’uso della proprietà conformemente all’interesse generale, mirando a garantire il rispetto delle norme urbanistiche e di costruzione, nonché l’uso del terreno conformemente alla sua destinazione.
Emerge dunque, dalle decisioni richiamate, che la Corte di Strasburgo ha sempre tenuto in particolare considerazione l’esigenza di un giusto equilibrio tra l’ingerenza sul diritto del singolo e le esigenze di salvaguardia dell’interesse generale, considerando conformi ai principi della Convenzione, pur tenendo conto della specificità dei singoli casi sottoposti alla sua attenzione, interventi radicali e definitivi quali la demolizione di singoli edifici realizzati in spregio alle previsioni della pianificazione urbanistica, effettuando tale apprezzamento attraverso un’analisi ‘globale dei vari interessi, anche mediante la verifica del comportamento tenuto dalle pani, dei mezzi utilizzati dallo stato, dalle modalità di attuazione del provvedimento, specie per quanto riguarda l’obbligo delle autorità di agire in modo tempestivo, corretto e coerente (lo si ricorda in Kvyatkovskiy v. Russia, cit.).
Se, dunque, si tiene conto della estrema gravità del reato di lottizzazione abusiva, che la distingue dalla semplice costruzione in assenza di permesso di costruire e comporta il completo stravolgimento del territorio in spregio all’attività di pianificazione e di ogni eventuale vincolo (paesaggistico o di altro genere) esistente, con un rilevantissimo aggravio del carico urbanistico e le modalità di applicazione della confisca in precedenza ricordate, deve ritenersi, con interpretazione convenzionalmente orientata, che la misura ablativa non rispetta sicuramente i criteri di proporzionalità se applicata a terreni che non sono direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e che il giudice del merito può senz’altro individuare, limitando la misura alle sole aree abusivamente lottizzate, venendo assicurate agli interessati, per le diverse ipotesi, anche in sede di esecuzione, le garanzie del contraddittorio, restando la confisca e la conseguente perdita della proprietà una misura residuale, assunta dal giudice penale sempreché non sia già intervenuta l’autorità amministrativa e soggetta ai diversi esiti come in precedenza ricordato.
9. Sulla violazione dell’art. 6 § 2 della Convenzione.
Resta da considerare, per completezza, l’ulteriore questione esaminata dai giudici di Strasburgo, la quale, tuttavia, non richiede applicazione specifica da parte di questa Corte con riferimento al caso in esame. Relativamente alla peculiare posizione del ricorrente Gironda, la Corte EDU ha ritenuto violato l’art. 6, § 2 della Convenzione, in quanto egli era stato assolto in appello per insussistenza del fatto, con conseguente annullamento della confisca, avendo la Corte territoriale ritenuto la regolarità dell’intervento realizzato, ma tale decisione era stata poi annullata senza rinvio nel giudizio di cassazione, ritenendo dimostrata la sussistenza della lottizzazione abusiva, reato ormai prescritto ed ordinando la confisca.
Sul punto la sentenza è sinteticamente motivata ma non può che essere letta nel senso che la confisca presuppone un accertamento di responsabilità da parte del giudice del merito, che non può essere sostituito da quello del giudice di legittimità sulla base di una propria valutazione del compendio probatorio. Una simile evenienza determina, tuttavia, una impasse di difficile soluzione, cui può rimediare, secondo la dottrina, soltanto uno specifico intervento del legislatore, in assenza di adeguati strumenti processuali. Occorrerebbe interrogarsi sulla compatibilità, con il principio affermato, dell’art. 620, lett. I) cod. proc. pen. nella lettura datane dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017 (dep. 2018), Matrone, Rv. 271831. Conf. Sez. 5, n. 18797 del 25/1/2018, Jicu, Rv. 272857;Sez. 6, n. 12391 del 18/1/2018, Pupo, Rv. 272458).
Altra possibilità, ritenuta tuttavia “problematica dalla dottrina, è quella della applicazione analogica dell’art. 622 cod. proc. pen., sebbene si sia anche sostenuto, sempre in dottrina, nel prospettare tale soluzione, che non sembra ammissibile ipotizzare un vuoto di soluzioni processuali una volta che si riconosca che fa legittimamente parte dell’ordinamento processuale la regola che impone l’accertamento della responsabilità, pur quando sia preclusa la formale condanna per l’intervenuta prescrizione.
Andrebbe inoltre considerato quanto disposto dall’art. 578 – bis cod. proc. pen. in precedenza menzionato, valutando la possibilità di un annullamento con rinvio qualora si renda necessario, nel caso specifico, un accertamento nel merito della sussistenza del reato al quale la confisca consegue, ritenendosi irrazionale una diversa soluzione che precluda definitivamente ogni possibilità di confisca pur in presenza di una sentenza assolutoria in appello ritenuta errata dal giudice di legittimità.
10. L’analisi dei motivi di ricorso nell’ordinanza 20636/2014.
Occorre, a questo punto, procedere all’analisi dei singoli motivi di impugnazione presentati dagli odierni ricorrenti, alla luce dei principi affermati dalla Corte EDU, dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza di questa Corte:
Va, a tale proposito, preliminarmente considerato che la questione relativa alla sussistenza dei reati oggetto di imputazione è già stata oggetto di discussione e successiva valutazione da parte di questa Corte nel provvedimento con il quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale (Sez. 3, n. 20636 del 30/4/2014, Alessandrini e altri, Rv. 259436, cit.), apprezzando preliminarmente la richiesta, comune a tutte le parti ricorrenti, di una pronuncia ampiamente liberatoria di annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per insussistenza del fatto o perché il fatto non costituisce reato alla luce delle considerazioni sviluppate da ciascuna delle parti ricorrenti nei separati ricorsi ed oggetto di specifica puntualizzazione in sede di discussione. Tali considerazioni, pienamente condivisibili, vengono fatte proprie dal Collegio e devono essere qui testualmente ribadite.
10.1. Si affermava nel richiamato provvedimento:
“Il nucleo essenziale, comune ai ricorsi’, è costituito dalla censura mossa all’impugnata sentenza (ed a quella di primo grado, confermativa della prospettazione accusatoria), secondo cui non sussisterebbero elementi probatori sicuri per ritenere configurabili gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in questione (abuso d’ufficio, lottizzazione abusiva e costruzione edilizia abusiva). In questo senso, in estrema sintesi, la difesa dei ricorrenti ha evidenziato alcuni profili che, nell’ottica difensiva, escluderebbero in nuce la configurabilità degli illeciti in questione:
a) quanto al delitto di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), il reato non sarebbe configurabile in caso di eccesso di potere, salvo che non sia possibile accertare l’esistenza dell’abnormità dell’atto amministrativo impugnato e, quanto all’elemento psicologico (dolo), la sentenza sarebbe censurabile per averlo desunto da elementi inidonei ed insufficienti per considerarlo sussistente; gli atti contestati come illegittimi in realtà non sarebbero tali, in quanto, ad esempio, il vincolo di destinazione d’uso (v. arti. 15 e 16 della Convenzione) riguardava chi sarebbe andato ad occupare l’alloggio e non il proprietario; la violazione di uno degli obblighi avrebbe comportato, in virtù di un’espressa previsione contenuta nell’atto amministrativo asseritamente illegittimo, l’acquisizione al Comune della proprietà dell’area; la stessa Regione Lazio con la nota prot. 100940 del 15/7/2004 avrebbe confermato la legittimità del nuovo schema di Convenzione di cui alla delibera n. 30 del 22/4/2004, quanto alla destinazione d’uso dell’edificio da realizzarsi come struttura per anziani; non sarebbe stato chiaro, sin dall’inizio, quale sia la violazione di legge realmente contestata ai ricorrenti;
b) quanto, poi, al reato di lottizzazione abusiva (art. 44, lett. c), d.PR. n. 380/2001) non vi sarebbero gli estremi per ritenerlo configurabile, in assenza di elementi probatori certi per ritenere che, con la convenzione “novellata” si sia operata un’illegittima trasformazione della destinazione urbanistica di zona da servizi e residenziale, con contestuale modifica della finalità socio assistenziale dell’intervento edificatorio in questione.
Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive con riferimento alle condotte ascritte ai pubblici ufficiali, le difese D’ARCANGELO (erroneamente Argante, per un refuso, nell’originale n.d.r.) GURGONE e SCHINTU hanno evidenziato come i loro assistiti fossero estranei alle violazioni ipotizzate (in particolare: a) il D’ARCANGELO in quanto subentrante nell’incarico appena un mese e mezzo prima della delibera n. 30/2004, per di più essendosi limitato ad esprimere un parere di regolarità tecnica, provvedendo ad inviare la delibera alla regione Lazio che poi procede alla verifica positiva della conformità dell’atto, sicché il parere positivo dell’organo di controllo ne confermerebbe la regolarità; b) quanto al GURGONE, egli sarebbe entrato a far parte del Comune di Sabaudia nel luglio 2004 quando ormai tutti gli atti sarebbero già stati adottati, essendosi limitato soltanto a dare esecuzione a quanto deliberato, donde non vi sarebbero elementi per configurarne la responsabilità per i reati ascrittigli; c) quanto, infine, allo SCHINTU, la sua estraneità ai fatti addebitati deriverebbe dalla circostanza per la quale fu proprio lui, in sede di consiglio comunale, a chiedere che la delibera n. 30/2004 venisse trasmessa alla regione Lazio per la verifica di conformità e, comunque, quale Sindaco, non avrebbe svolto alcun atto salvo ché votare al pari di qualsiasi altro consigliere comunale).
Infine, per quanto concerne la difesa delle parti civili costituite, premesso che le posizioni vanno differenziate in quanto delle 107 parti civili costituite, almeno per quindici di esse si pone il problema della configurabilità degli immobili, attesa l’intervenuta stipula degli atti notarili di acquisto degli , immobili con conseguente trasferimento della proprietà, sicché – ove si confermasse il decisum di merito – gli stessi verrebbero ingiustamente privati della proprietà degli immobili, essendo sicuramente qualificabili come terzi di buona fede rispetto all’illecito lottizzatorio, tanto da essersi costituiti parti civili nei confronti dei pubblici amministratori e dei titolari della società costruttrice degli immobili.
Ritiene, tuttavia, il Collegio corretta la prospettazione del Procuratore generale di Udienza, che ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte circa le condizioni previste per poter, in sede di legittimità, pronunciare l’annullamento dell’impugnata sentenza che abbia dichiarato l’estinzione di tutti i reati per prescrizione quantomeno, con riferimento, nel caso in esame, ai pubblici ufficiali. Perché, infatti, sia possibile accedere ad una formula ampiamente liberatoria da parte di questa Corte, secondo l’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite, sono necessarie alcune condizioni.
In particolare, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice e legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
Ciò significa, in altri termini – come è stato correttamente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013 – dep. 31/05/2013, Rizzo e altro, Rv. 256202), successiva all’autorevole arresto del Massimo Consesso di questa Corte -, che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze.
E questo non è certamente, il caso in esame. Ed infatti, non può dirsi che dagli atti emerga l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico di ciascun imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza.
Sul punto è bene richiamare quanto emerso, al fine di meglio lumeggiare l’approdo di questo Collegio. In estrema sintesi ciò risulta dalle tappe amministrative che hanno condotto alla contestazione dei reati in questione:
a) il Comune di Sabaudia deliberava con delibera CC n. 36/1994 resa in variante al PRG, consistente in un cambio di destinazione d’uso da area rurale ad area per la realizzazione di un centro per anziani al fine di attuare le finalità di pubblica utilità individuate; la trasformazione di un terreno agricolo in area destinata alla realizzazione di una struttura ricettiva per anziani era conforme all’utilità pubblica da realizzare strutture socio-assistenziali ed, in tale ottica, la Regione Lazio, con DGR n. 2651 del 726/6/7998, approvava la variante al PRG;
b) successivamente, in conformità alla DGR n. 2651/98 di approvazione della variante, il Comune di Sabaudia approvava un primo piano di lottizzazione ed il relativo schema di convenzione (parte integrante del deliberato) che si fondavano sui presupposti, da un lato, della gestione unitaria della struttura ricettiva per anziani secondo le modalità della casa-albergo e, dall’altro, del divieto di alienazione delle singole unità immobiliari; scopo di tale prescrizione era quello di mantenere la vocazione di struttura socio – assistenziale, vocazione che poteva essere realizzata solo rispettando la variante al PRG da agricola a servizi;
c) in un secondo momento, l’amministrazione comunale approvava (delibera CC n. 30/2004) un nuovo schema di convenzione (parte integrante del deliberato), in cui veniva trasformata la struttura ricettiva da casa – albergo a residenza per anziani e veniva meno il vincolo di inalienabilità delle singole unità immobiliari imposto dalla regione ai sensi dell’art. Z L.R. n. 36/87.
In sostanza, con la delibera n. 3012004, si è trasformata la struttura ricettiva assistenziale per anziani da struttura a servizi, coerente con le indicazioni stabilite dalla Regione Lazio all’atto dell’approvazione della variante urbanistica del PRG, a residenziale. Dunque, con il piano di lottizzazione ed il nuovo schema di convenzione, l’amministrazione comunale ha aggirato l’ostacolo della destinazione di zona a servizi, prevista dalla variante al PRG e dei vincoli imposti alla Regione Lazio in sede di accertamento di conformità, consentendo un intervento edificatorio di tipo strettamente residenziale, senza alcun carattere socio – assistenziale e, quindi, di servizi. Di fatto, pertanto, tale variante ha comportato una variante al PRG, trasformando una zona destinata a servizi in una di tipo residenziale; la trasformazione della destinazione urbanistica della zona è stata attuata mediante una procedura irrituale, ossia utilizzando uno strumento attuativo, qual è il piano di lottizzazione, ed uno strumento civilistico, qual è la convenzione. Si evidenzia quindi che, oltre la sostanziale illegittimità con cui si è operata la variante urbanistica, la diversa destinazione della zona da servizi e residenziale si è ottenuta anche attraverso una modifica non consentita della finalità socio – assistenziale. Ne consegue, dunque, che la fasi procedurali seguite dal Comune di Sabaudia hanno determinato la realizzazione di un intervento edificatorio analogo all’edilizia tipica residenziale delle zone omogenee C di espansione; nel caso di specie, peraltro, non può neanche farsi riferimento alla tipologia della “casa – albergo”, trattandosi di una struttura residenziale per anziani. Ed infatti, la legge della Regione Lazio 12 dicembre 2003, n. 41 prevede come requisiti per dette case-albergo: a) la fornitura di servizi sia autonomi che centralizzati; b) l’accoglienza di non più di 80 anziani. E evidente che, nel caso in esame, nessuna delle due condizioni risulta rispettata e il mancato rispetto di tali condizioni si inquadra nella più ampia volontà di non realizzare una struttura di tipo residenziale, adeguandosi pertanto all’illegittima trasformazione dell’area da servizi e residenziale e alla contestuale variazione della struttura, nata con destinazione socio – assistenziale, e trasformatasi in residenziale. Pertanto, ne discende, da un lato, l’illegittima ed arbitraria trasformazione di un’area da servizi a residenziale, realizzando di fatto una vera e propria variante di tipo urbanistico e, dall’altro, il venir meno della finalità socio – assistenziale della struttura realizzata in violazione della DGR n. 2651/98. In conclusione, da un punto di vista oggettivo, emerge che il Comune di Sabaudia con l’approvazione del nuovo schema di lottizzazione convenzionata allegato alla delibera n. 30/2004, ha consentito la realizzazione di un intervento edificatorio in pieno contrasto sia con la variante al PRG sia con la finalità di utilità pubblica individuate dalla stessa amministrazione comunale, e, cioè, quella di creare strutture socio – assistenziali per anziani, consentendo, di fatto, la realizzazione di edifici che, per natura giuridica e tipologia possono qualificarsi come residenziali.
E’, quindi, corretto l’inquadramento giuridico delle decisioni di merito che hanno ritenuto configurata, nel caso in esame, la realizzazione di un vero e proprio complesso residenziale in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico, ciò che pacificamente integra la violazione del combinato disposto degli artt. 30, comma 1, e 44, lett. c), d.PR. n. 380/2001. Sul punto, infatti, la giurisprudenza di questa Sezione è assolutamente consolidata essendosi, peraltro, giunti ad affermare che il reato di lottizzazione abusiva è configurabile anche in presenza dell’autorizzazione della PA., nel caso in cui quest’ultima contrasti con gli strumenti urbanistici vigenti (precisandosi in motivazione che il giudice, ove ravvisi tale contrasto, può accertare l’abusività dell’intervento prescindendo da qualunque giudizio sull’autorizzazione, senza necessità di operare alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo: Sez. 3, n. 618 del 20/09/2011 – dep. 12/01/2012, Chifari e altri, Rv. 251878). E’, quindi, evidente che, con riferimento all’illecito lottizzatorio, non sussisterebbero le condizioni per poter accedere alla richiesta difensiva di adozione della pronuncia ampiamente liberatoria, l’unica che, secondo la citata giurisprudenza, da un lato, consentirebbe la prevalenza della formula di proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di estinzione per prescrizione e, dall’altro, di evitare la confisca dell’area, atteso che – come più volte affermato da questa Sezione (Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007- dep. 05/03/2008, Quattrone, Rv. 238984) – l’obbligatorietà della confisca del terreno abusivamente lottizzato e delle opere sullo stesso abusivamente costruite consegue all’accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva indipendentemente da una pronuncia di condanna, salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto, circostanza che, come visto, non ricorre nel caso in esame.
Né avrebbe, si noti, rilievo la questione dell’asserita assenza di volontà colpevole dei ricorrenti con riferimento all’illecito lottizzatorio, atteso che è pacifico che il reato di lottizzazione abusiva – che è a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici -, può essere integrato anche a titolo di sola colpa (principio affermato in relazione ad una fattispecie di acquisto, come autonome residenze o private, di unità immobiliari facenti parte di complesso turistico – alberghiero: Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009- dep. 29/04/2009, PM. in proc. Quarta e altri, Rv. 243750).
Rimarrebbero, dunque, da valutare sia la configurabilità del delitto di abuso d’ufficio che quello di costruzione edilizia abusiva. Quanto a quest’ultimo, pacifica l’ammissibilità di un concorso materiale tra l’art. 44, lett. b) ed il reato di lottizzazione abusiva, previsto dall’art. 44, comma primo, lett. c), del d.PR. 6 giugno 2001, n. 380 (Sez. 3, n. 9307 del 24/02/2011 – dep. 09/03/2011, Silvestro e altra, Rv. 249763), è evidente che la realizzazione delle 285 unità abitative eseguite mediante tali atti amministrativi, illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le norme nazionali e regionali citate, integra la violazione ipotizzata (dovendosi, peraltro, rilevare che in sede di merito, inspiegabilmente, non è stata disposta la sanzione amministrativa accessoria della demolizione dei manufatti abusivi, conseguente ex lege).
Quanto, poi, al reato di abuso d’ufficio, potrebbe accedersi unicamente alla fondatezza delle censure difensive in ordine alla configurabilità dell’elemento psicologico del reato (non essendovi le condizioni per poter dubitare, alla luce di quanto sopra riassunto, della “violazione di norme di legge o di regolamento” e dell’ingiusto vantaggio patrimoniale arrecato), atteso che (v. pag. 27 dell’impugnata sentenza), in effetti la decisione impugnata non mostra di approfondire adeguatamente la questione della configurabilità dell’elemento psicologico del reato, donde, quantomeno su tale profilo, l’accoglimento delle censure difensive sul punto, comporterebbe l’obbligo per questa Corte di disporre l’annullamento dell’impugnata sentenza per vizio di motivazione con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
Tuttavia, com’è nota, ciò non è consentito a questa Corte di legittimità, atteso che, per costante insegnamento delle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato (sicuramente valevole per i pubblici ufficiali, non rinuncianti alla prescrizione e salva la valutazione circa l’efficacia della revoca della rinuncia alla prescrizione per i due ricorrenti Lorenzi e Ciccone, fondata su una recente decisione di questa Corte che consente la revocabilità della rinuncia: Sez. 6, n. 30104 del 11/07/2012 – dep. 23/07/2012, Pg in proc. Barcena e altro, Rv. 253256), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275; conf: Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992 – dep. 22/02/1993, Marino ed altri, Rv. 192471). Ne discenderebbe, pertanto, in virtù di quanto sopra deciso impregiudicata la questione dell’efficacia della revoca della rinuncia alla prescrizione da parte dei ricorrenti Ciccone e Lorenzi – la conseguente statuizione confermativa dell’impugnata sentenza per tutti i reati ascritti, che riguarderebbe anche i capi della sentenza impugnata con cui è stata disposta la confisca delle aree e dei terreni lottizzati.
10.2. Cordinanza procede poi nell’analisi della questione concernente la confisca, che è stata oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 49/2015 e che dovrà nuovamente essere presa in considerazione tenendo conto della recente decisione della Grande camera di cui si è ampiamente detto in precedenza.
11. I ricorsi degli imputati GURGONE, SCHINTU e D’ARCANGELO.
Come si è detto, le considerazioni svolte nell’ordinanza appena richiamata sono pienamente condivisibili, sicché può conseguentemente affermarsi che, nel giudizio di merìto, è stata correttamente accertata la sussistenza dei reati contestati sotto il profilo oggettivo e soggettivo nei confronti di tutti gli imputati.
I ricorsi di Carlo GURGONE, Salvatore SCHINTU e Vincenzo D’ARCANGELO devono, dunque, essere rigettati, essendosi già dato conto del fatto che non è rilevabile, nella fattispecie in esame, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico degli imputati, ovvero la prova positiva della loro innocenza.
12. La revoca della rinuncia alla prescrizione degli imputati Carmine CICCONE e Carmen LORENZI.
Quanto alla posizione di Carmine CICCONE e Carmen LORENZI si pone preliminarmente la questione relativa alla revoca della rinuncia alla prescrizione, che l’ordinanza 20636/2014 ha lasciato impregiudicata.
Entrambi gli imputati hanno rinunciato alla prescrizione nel corso del giudizio di appello nel tentativo (evidenziato nella successiva memoria in data 30/6/2017), di ottenere una pronuncia di merito che evitasse la confisca dei beni, ritenuta inevitabile nel contesto normativo e giurisprudenziale dell’epoca, facendo poi pervenire, con due separate memorie in data 11/4/2014, la revoca della rinuncia giustificata dal fatto che, nel frattempo, era intervenuta la sentenza Varvara della Corte EDU.
I ricorrenti motivano la revoca sostenendo che la rinuncia era giustificata dalla peculiarità della situazione, che si ritiene poi mutata a seguito della sentenza Varvara della Corte EDU, la quale, secondo i ricorrenti, avrebbe escluso la possibilità di confisca in presenza di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Ciò posto, occorre preliminarmente osservare che la dichiarazione di revoca risulta sottoscritta personalmente dai ricorrenti unitamente ai loro difensori, rispettando così i requisiti di forma individuati dalla giurisprudenza, la quale ha ricordato (Sez. 5, n. 11071 del 9/10/2014 (dep. 2015) Solimene e altri, Rv. 26287501) come, essendosi stabilito che “la rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo riservato all’imputato e non rientra, pertanto, nel novero degli atti processuali che possono essere compiuti dal difensore a norma dell’art. 99 cod. proc. pen.” (Sez. 1, n. 21666 del 14/12/2012, Gattuso, Rv 256076) e che “la rinuncia alla prescrizione richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica, che non ammette equipollenti” (Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra), debba ragionevolmente ritenersi che la dichiarazione contraria, attraverso la quale si persegue il fine di vanificarne gli effetti, debba intervenire nel rispetto delle forme medesime. Va a tale proposito osservato che, a fronte di un indirizzo interpretativo più rigoroso, che ritiene in ogni caso non revocabile la revoca della rinuncia alla prescrizione se inequivocabilmente portata a conoscenza dell’organo procedente (Sez. 5, n. 33344 del 24/4/2008, Randazzo, Rv. 241389, con richiamo ai precedenti conformi), si registra altro orientamento, più recente, secondo il quale la revoca della rinuncia alla prescrizione è possibile a condizione che la dichiarazione esprimente tale volontà non abbia già prodotto i suoi effetti, per essere stata valorizzata in un provvedimento del giudice riguardante la “regiudicanda” (Sez. 5, n. 11071 del 9/10/2014 (dep.2015), Solimene e altri, Rv. 262875; Sez. 6, n. 30104 dei 11/7/2012, Pg in proc. Barcella e altro, Rv. 253256).
Occorre rilevare che, pur aderendo a tale ultimo condivisibile orientamento (il quale, nel discostarsi dal precedente, tiene conto della peculiarità della questione trattata in quell’occasione), la revoca, da parte dei ricorrenti, della precedente rinuncia è intervenuta dopo che la stessa ha prodotto i suoi effetti e raggiunto il suo scopo, che era quello di ottenere dal giudice dell’appello una pronuncia sui fatti oggetto di contestazione.
La richiamata giurisprudenza, peraltro, risulta convincente anche laddove chiarisce che la prescrizione di un reato consegue al venir meno dell’interesse dello Stato all’affermazione della pretesa punitiva, alla quale non è correlato alcun “diritto” dell’imputato a vederla dichiarare, tanto che la giurisprudenza, nell’attribuire rilevanza alla rinuncia alla prescrizione solo dopo il maturarsi della causa estintiva, richiama la più ampia e generica nozione di “posizione giuridica soggettiva”.
Ciò in quanto, a fronte del decorso del tempo, che determina la caducazione della pretesa punitiva, il diritto dell’imputato cui l’ordinamento riconosce rango costituzionale è quello di avere un processo e, dunque, di rinunciare alla prescrizione.
Viene a tale proposito ricordato che la Corte Costituzionale (sentenza n. 275 del 23/05/1990), quando ha dichiarato il contrasto del previgente art. 157 cod. pen. con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato fosse rinunziabile dall’imputato, ritenne “privo di ragionevolezza, rispetto ad una situazione processuale improntata a discrezionalità, che l’interesse generale di non perseguire reati, il cui ricordo insieme all’allarme sociale siano cessati, sorto a causa di circostanze comunque non dominabili dalle parti, debba prevalere su quello dell’imputato, con la conseguenza di privarlo del diritto alla difesa, inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova” (Sez. 5, n. 11071 del 9/10/2014 (dep.2015), Solimene e altri, Rv. 262875, cit., in motivazione).
La revoca della rinuncia non può, pertanto, ritenersi produttiva di effetti, né può assumere rilievo, ai fini di una diversa soluzione, la prospettazione effettuata dai ricorrenti nelle richiamate memorie, ove si assume che la scelta della rinuncia era correlata alla particolarità della situazione del momento, poi venuta meno a seguito della sentenza Varvara della Corte EDU, poiché, come si è detto in precedenza, la lettura di tale decisione prospettata dai ricorrenti è errata ed è smentita non soltanto da quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza 49/2015, ma anche dalla decisione G.I.E.M. ed altri della Grande Camera, successivamente intervenuta.
13. Analisi dei motivi di ricorso degli imputati Carmine CICCONE e Carmen LORENZI
Passando, dunque, alla disamina dei motivi di ricorso, deve osservarsi che per quelli inerenti alla sussistenza dei reati vanno tratte le medesime conclusioni già evidenziate con riferimento agli altri ricorrenti, richiamando le argomentazioni formulate nell’ordinanza 20636/2014.
Va conseguentemente rilevato, in primo luogo, che la lottizzazione abusiva e le concorrenti violazioni edilizie debbono ritenersi correttamente accertate nel giudizio di merito sotto i profili oggettivo e soggettivo e risultano pertanto infondati i relativi motivi di ricorso (motivi n. 5, 6, 7, 8 del ricorso CICCONE; motivo 3 e 5 del ricorso LORENZI, motivi aggiunti LORENZI e CICCONE). Non può certo affermarsi, come fanno i ricorrenti, che la Corte del merito abbia omesso di motivare sul punto, perché i richiami ai contenuti della decisione di primo grado, unitamente alle valutazioni effettuate dai giudici di appello, richiamate nella precedente ordinanza 20636/2014, indicano nel dettaglio le basi fattuali rispetto alle quali è stata ritenuta la sussistenza del reato, dando conto anche dello sviluppo dell’iter procedimentale attivato per la realizzazione del complesso immobiliare ed analizzando il contenuto ed il rilievo concreto dei vari atti amministrativi. L’accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi finalizzata al rilascio di tali provvedimenti è, peraltro, riservata sostanzialmente al giudice di merito, poiché presuppone necessariamente la verifica dei contenuti degli atti della pubblica amministrazione e non può essere replicata in questa sede, come sostanzialmente prospettato nei motivi di ricorso.
Neppure può ritenersi che la mancanza di motivazione in ordine ai reati contravvenzionali sia desumibile dal fatto che la Corte di appello si è limitata ad affermare che “i reati sub B e C derivano la loro illiceità dalla illegittimità degli atti presupposti, come descritto dianzi e nell’appellata sentenza”, poiché è chiaro il riferimento a quantò precedentemente illustrato circa le condotte poste in essere ed i risultati delle stesse, poi sanzionate ed in tale affermazione non si rileva alcun intimo legame con il concorrente reato di abuso d’ufficio, come sembrano ipotizzare i ricorrenti, poiché ciò che è stato accertato in fatto è una determinata situazione, poi motivatamente ritenuta riconducibile alle diverse fattispecie astratte previste dalle norme che si assumono violate.
13.1. Ritenuto pertanto corretto l’accertamento di responsabilità quanto alla lottizzazione abusiva ed agli abusi edilizi, resta da rilevare, sempre richiamando le condivisibili considerazioni svolte nell’ordinanza 20636/2014, che per ciò che concerne il delitto di abuso di ufficio deve pervenirsi ad analoghe conclusioni quanto all’elemento oggettivo dei reato (dell’abuso di ufficio trattano i motivi 2, 3 e 4 del CICCONE ed i motivi nuovi, nonché il motivo 4 della LORENZO.
La sentenza impugnata resta invece censurabile laddove non ha sufficientemente approfondito la questione della configurabilità o meno dell’elemento psicologico del reato di abuso di ufficio, come evidenziato nella richiamata ordinanza, il che comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto.
13.2. Quanto agli ulteriori motivi di ricorso, si osserva, con riferimento al motivo 1 del CICCONE, che in tema di giudizio di impugnazione, la disposizione di cui all’art. 597, primo comma cod. proc. pen. va interpretata nel senso che esso attribuisce gli stessi poteri del primo giudice al giudice di appello: con la conseguenza che questi – fermo restando il limite posto dal divieto di reformatio in pejus – non è vincolato da quanto prospettato dall’appellante ma, relativamente ai punti della decisione cui i motivi di gravame si riferiscono, può affrontare tutte le questioni enucleabili all’interno dei punti medesimi (Sez. 4, n. 15461 del 14/1/2003 (dep.2004), PG. in proc. Williams ed altri, Rv. 227783. Conf. Sez. 6, n. 40625 del 8/10/2009, B., Rv. 245288).
13.3. Per ciò che concerne, poi, il motivo 1 della LORENZI, si osserva che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (così, da ultimo, Sez. 2, n. 14975 del 16/3/2018, Tropea e altri, Rv. 272542), ma è evidente che non può muoversi censura ad una sentenza che, pur non prendendo espressamente in esame una deduzione prospettata, evidenzi comunque una ricostruzione dei fatti che implicitamente, ma in maniera adeguata e logica, ne comporti il rigetto, come più volte ritenuto anche con riferimento ai motivi di impugnazione (Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, (dep. 2014), Cento, Rv. 259643; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, (dep.2014), Maravalli, Rv. 258679; Sez. 2, n. 33577 del 26/5/2009, Bevilacqua, Rv. 245238; Sez. 2, n. 29434 del 19/5/2004, Candiano, Rv. 229220).
13.4. Anche il motivo 2 del ricorso LORENZI è infondato, oltre che generico. Va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che l’istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all’art. 603 cod. proc. pen. costituisce un’eccezione alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d’ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (v. Sez. 2, n. 41808 del 27/9/2013, Monguardo, Rv. 256968 ed altre prec. conf. V. anche Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 (dep. 2016), Ricci, Rv. 26682001), sussistendo tale evenienza unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 6, n. 20095 del 26/2/2013, Ferrara, Rv. 256228). Nel caso di specie, la ricorrente non chiarisce, nel motivo di ricorso, neppure quale tipo di perizia fosse stata richiesta ai giudici e quale rilevo essa avesse nel processo.
13.5. Quanto al motivo 6, si osserva che il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena sono assistite da adeguata motivazione, avendo la Corte di appello posto in evidenza la gravità dei fatti e le modalità dell’azione.
13.6. Quanto al motivo 7 del ricorso LORENZI, la Corte territoriale ha confermato il diritto alle restituzioni alle parti civili, evidentemente sulla scorta, anche in questo caso, delle considerazioni complessivamente sviluppate in sentenza, con la conseguenza che non può dirsi carente la motivazione sul punto, essendo chiaramente esplicitata la condotta che tali restituzioni giustifica.
14. Il ricorso delle parti civili e la questione della confisca nel caso di specie.
Per ciò che concerne, infine, il ricorso delle parti civili, deve anche in questo caso essere richiamato il contenuto dell’ordinanza 20636/2014. Viene infatti rilevato, in detta ordinanza, che “non emergerebbero elementi incontrovertibili da cui possa escludersi che i 15 acquirenti e i restanti promissari acquirenti gli immobili abusivamente lottizzati, costituitisi parti civili nel presente processo, fossero qualificabili come terzi di buona fede (come ben spiegato dalla Corte territoriale nell’impugnata sentenza alle pagg. 28/29 della sentenza impugnata) e, quindi, anche nei confronti di questi ultimi (sicuramente nei confronti dei 15 acquirenti con atto notarile degli immobili) la disposta confisca dovrebbe essere confermata, con innegabile sacrificio patrimoniale del diritto di proprietà, non potendo gli stessi qualificarsi come terzi estranei al reato di lottizzazione abusiva per il solo fatto di non aver mai rivestito la qualità di persona sottoposta ad indagini od imputato, né l’intervenuta costituzione di parte civile è decisiva per affermarne l’estraneità”.
E’ anche sulla base di tale presupposto che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale e la stessa Corte costituzionale ha rilevato, sul punto, che “… è evidente che il giudice a quo, con tali espressioni, non ha affatto dato conto del superamento della presunzione di non colpevolezza del terzo, ma ha adottato un criterio di giudizio esattamente opposto, e perciò inidoneo a sorreggere la confisca. Ai fini della motivazione sulla rilevanza della questione, invece, sarebbe stato necessario argomentare il raggiungimento della prova della responsabilità del terzo acquirente, perché, seguendo il ragionamento del rimettente, solo in tal caso vi sarebbe stata la necessità di applicare la contestata regola di diritto tratta dal caso Varvara.
Nell’ipotesi opposta, al contrario, la confisca non avrebbe potuto essere disposta neppure in applicazione del “diritto vivente” che ha preceduto quest’ultima pronuncia della Corte EDU.”
14.1. Ciò premesso, devono effettuarsi le seguenti considerazioni.
Riguardo alla disposta confisca, occorre preliminarmente verificarne la compatibilità con i principi delineati dalla sentenza della Grande Camera in precedenza richiamati, considerando, quanto ai ricorrenti CICCONE e LORENZI, che gli stessi sono stati condannati per il reato di lottizzazione, reato per il quale sono stati processati nelle rispettive qualità personali, Carmen LORENZI di amministratore unico della Petrarca Costruzioni S.r.l., proprietaria dei terreni e Carmine CICCONE, quale procuratore speciale e amministratore di fatto della predetta società, committente e direttore dei lavori.
Entrambi hanno agito nell’esclusivo interesse della società, essendo tutte le condotte loro attribuite nell’ambiento dell’illecita lottizzazione, riferite all’attività medesima e non anche a condotte autonome individuali, che non risultano neppure contestate.
Un palese riscontro a tale evenienza, peraltro desumibile dalla semplice lettura dell’imputazione e dallo svolgimento dei fatti ricostruito nel giudizio di merito, è dato dal contenuto della memoria della LORENZI in data 11/4/2014, ove essa stessa si definisce proprietaria dei terreni “per il tramite della società Petrarca Costruzioni S.r.l.” le cui quote sono suddivise, si apprende sempre dalla memoria, in misura pari al 98% per il CICCONE ed al 2% per la LORENZI (che sono madre e figlio, come pure specificato).
Vi è dunque un intima connessione tra le persone fisiche e la società per conto della quale hanno agito, che non può pertanto definirsi estranea al reato e che ha evidentemente svolto il ruolo di mero strumento operativo attraversò il quale gli associati hanno posto in essere l’attività lottizzatoria. Non risulta, infine, che la confisca sia riferita ad edifici o terreni non interessati dall’intervento lottizzatorio.
14.2. Quanto alle parti civili, come si è detto, la sentenza non ne pone in evidenza con certezza la mala fede, facendo ricorso ad espressioni che non chiariscono in modo certo la posizione dei singoli soggetti.
Tutte hanno, in ogni caso, partecipato al processo per l’intero suo corso, con possibilità di interloquire ed esercitare i propri diritti al pari degli imputati. Va peraltro osservato, per quel che riguarda la questione della non meglio definita buona o mala fede, che ciò vale, esclusivamente, per coloro che sono divenuti proprietari degli immobili oggetto di confisca, rispetto ai quali deve essere peraltro essere considerata anche la data di acquisto della proprietà, ponendola in relazione ai tempi dei principali eventi che hanno caratterizzato la vicenda processuale e che rendevano evidente l’illiceità della realizzazione del complesso immobiliare.
Tale valutazione andrà effettuata tenendo conto dei richiamati principi giurisprudenziali relativi alla posizione dei terzi acquirenti e tenendo conto del fatto che, nel caso in esame, costoro hanno partecipato al processo ed hanno potuto interloquire ed esercitare i propri diritti nell’intero suo corso. I promissari acquirenti, invece, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, non subiscono gli effetti della confisca, non essendo proprietari dei beni confiscati, ma soltanto le conseguenze della risoluzione di diritto dei contratti.
15. Conclusioni
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, nei confronti dei ricorrenti CICCONE e LORENZIN, limitatamente al reato di abuso di ufficio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma affinché colmi la lacuna motivazionale rilevata in punto di elemento soggettivo del suddetto reato.
I ricorsi di entrambi vanno rigettati nel resto, dichiarando irrevocabile l’impugnata decisione nei loro confronti quanto alla condanna per le contravvenzioni urbanistiche e la disposta confisca.
La sentenza impugnata va altresì annullata nei confronti delle parti civili ricorrenti, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Roma,
Vanno rigettati, come si è detto, anche i ricorsi degli altri ricorrenti, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di CICCONE Carmine e LORENZI Carmen con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma limitatamente al reato di abuso di ufficio.
Rigetta i ricorsi di entrambi nel resto.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti delle parti civili ricorrenti con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Rigetta i ricorsi di D’ARCANGELO Vincenzo e GURGONE Carlo che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 23/1/2019