231 – Responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento – Qualificazione dell’interesse e del vantaggio – Rilevanza della condotta – SICUREZZA SUL LAVORO – Operazioni di pulitura di un tank container – Violazione della normativa antinfortunistica – Contestazione formulata nei confronti dell’ente – Effetti della separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati – Cognizione giudiziale – Giudice penale – Competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente – Fattispecie – Artt. 5. 36 d.lgs. n. 231/2001.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 26 Maggio 2022
Numero: 20559
Data di udienza: 24 Marzo 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: CORBO
Premassima
231 – Responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento – Qualificazione dell’interesse e del vantaggio – Rilevanza della condotta – SICUREZZA SUL LAVORO – Operazioni di pulitura di un tank container – Violazione della normativa antinfortunistica – Contestazione formulata nei confronti dell’ente – Effetti della separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati – Cognizione giudiziale – Giudice penale – Competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente – Fattispecie – Artt. 5. 36 d.lgs. n. 231/2001.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26 maggio 2022 (ud. 24/03/2022), Sentenza n.20559
231 – Responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento – Qualificazione dell’interesse e del vantaggio – Rilevanza della condotta – SICUREZZA SUL LAVORO – Operazioni di pulitura di un tank container – Violazione della normativa antinfortunistica.
In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, il criterio di imputazione oggettiva del «vantaggio» di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 ha una connotazione essenzialmente oggettiva, ed è integrato dal risparmio di spesa o dalla “massimizzazione della produzione”, che l’indicata responsabilità, quando è determinata dalla violazione della disciplina antinfortunistica, non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio, e che anche una singola trasgressione di regole cautelari da parte di una persona agente per conto dell’ente a norma del medesimo art. 5 può determinare un «vantaggio» ai fini indicati da tale disposizione, se questo è oggettivamente individuabile e la condotta trasgressiva integri gli estremi di un reato sussumibile tra le fattispecie previste dal d.lgs. n. 231 del 2001. Fattispecie, in relazione ai fatti verificatisi in occasione delle operazioni di pulitura di un tank container precedentemente adibito al trasporto di zolfo allo stato fuso, nel corso delle quali hanno perso la vita cinque persone e una sesta ha riportato lesioni personali gravi a causa delle esalazioni.
231 – Contestazione formulata nei confronti dell’ente – Effetti della separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati – Cognizione giudiziale – Giudice penale – Competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente – Artt. 5. 36 d.lgs. n. 231/2001.
In tema di responsabilità da reato degli enti, la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente né riduce l’ambito della cognizione giudiziale. Inoltre, a norma dell’art. 36 d.lgs. n. 231 del 2001, la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono.
(riforma sentenza del 21/12/2020 CORTE D’APPELLO DI BARI), Pres. RAMACCI, Rel. CORBO, Ric. Comune di Molfetta nei conf. di Balestri ed altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 26/05/2022 (ud. 24/03/2022), Sentenza n.20559SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Comune di Molfetta,
nei confronti di:
B. G., nato a Gavorrano;
L. O., nato a Piombino;
M. L., nato ad Amalfi;
P. M., nato a Massa Marittima;
P. G., nato a Livorno;
nonché da:
2. P. C., nato a Bari;
3. La Cinque Biotrans di C. G. & C. s.n.c.
4. Nuova Solmine s.p.a.
5. P. G., nato a Livorno;
6. P. M., nato a Massa Marittima;
avverso la sentenza emessa in data 21/12/2020 dalla CORTE D’APPELLO DI BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente alle parti impugnate dal Comune di Molfetta, per l’inammissibilità dei ricorsi di Campanile Pasquale, della società La Cinque Biotrans di C. G. & C. s.n.c., e della società Nuova Solmine s.p.a., nonché per il rigetto dei ricorsi di P. G. e P. M.;
uditi, per le parti civili costituite, l’avvocato Giuseppe Losappio, difensore della Regione Puglia, e l’avvocato Francesco Logrieco, difensore del Comune di Molfetta, e sostituto dell’avvocato Giuseppe Maniglio, difensore di Mauro Castriotta, i quali hanno concluso per il rigetto o l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati e degli enti e per la liquidazione delle spese processuali, nonché, il secondo, pure per l’accoglimento del ricorso presentato dal Comune di Molfetta;
uditi, per gli altri ricorrenti, l’avvocato Davide Romano, difensore di Campanile Pasquale e della società La Cinque Biotrans di C. G. & C. s.n.c., l’avvocato Tullio Padovani, difensore della società Nuova Solmine s.p.a., e l’avvocato Giulia Padovani, difensore degli imputati P. G. e P. M., che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 21 dicembre 2020, la Corte d’appello di Bari, pronunciando in sede di rinvio, per quanto di interesse in questa sede, ha: -) confermato la dichiarazione di responsabilità penale di P.C. per il reato di omicidio colposo plurimo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e la condanna del medesimo alla pena di quattro anni di reclusione, con diniego delle circostanze attenuanti generiche, ed al risarcimento dei danni; -) confermato la dichiarazione di responsabilità per l’illecito amministrativo nascente dal reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen. della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” e la condanna della medesima alla sanzione pecuniaria di euro 400.000,00 nonché al risarcimento dei danni quale responsabile civile; -) confermato la dichiarazione di responsabilità per l’illecito amministrativo nascente dal reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen. della società “Nuova Solmine s.p.a.” e la condanna della medesima alla sanzione pecuniaria di euro 420.000,00; -) dichiarato la responsabilità ai soli fini civili di M.P. e G.P., già ritenuti anche penalmente responsabili per il reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen., e poi definitivamente assolti agli effetti penali per non aver commesso il fatto; -) confermato la dichiarazione di responsabilità ai fini civili di B.G., O.L. e L.M., previa affermazione di penale responsabilità dei medesimi per effetto di concordato di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen.
2. La sentenza impugnata ha ad oggetto imputazioni relative ai fatti verificatisi in occasione delle operazioni di pulitura di un tank container, precedentemente adibito a trasporto di zolfo allo stato fuso, effettuate il 3 marzo 2008, e nel corso delle quali, per effetto delle esalazioni di acido solfidrico (o idrogeno solforato) liberate dallo zolfo fuso, persero la vita cinque persone tra il 3 ed il 4 marzo 2008, ed una sesta riportò lesioni personali gravi.
2.1. La responsabilità di P.C. è stata affermata per la condotta commessa nella qualità di legale rappresentante della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, in relazione alla svolgimento dell’incarico, ricevuto dalla società “F.S. Logistica-B .U. Cargo Chemical”, di concerto con la società “Nuova Solmine s.p.a.”, di procedere al lavaggio ed alla sostituzione della flangia di attacco (o valvola di scarico) di sette tank container, tra cui quello in cui si era verificato l’incidente, fino ad allora adibiti a trasporto di zolfo allo stato fuso. In particolare, secondo i giudici di merito, P.C., nella qualità descritta, aveva: -) subappaltato la prestazione concernente le operazioni di pulitura e sostituzione della flangia di attacco dei tank container alla società “Truck Center s.a.s.”, cui appartenevano cinque delle sei vittime, sebbene questa non avesse né i titoli prescritti dalla legge, né capacità tecnica e professionale proporzionata; -) omesso di consegnare al subappaltatore la “scheda dati sicurezza”, redatta dal produttore “ENI s.p.a.” relativa all’agente chimico trasportato (zolfo allo stato fuso), e nella quale era indicata anche la situazione di pericolo costituita dalla probabile presenza di idrogeno solforato.
2.2. La responsabilità amministrativa e civile della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” è stata affermata in relazione alla condotta precedentemente descritta del suo legale rappresentante P.C..
Si è infatti ritenuto che la condotta di P.C. sia stata realizzata nell’interesse e a vantaggio della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”.
2.3. La responsabilità amministrativa della società “Nuova Solmine s.p.a.” è stata dichiarata in relazione al reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen., in quanto commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone preposte alle funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione dell’ente e di sue unità organizzative o da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza delle prime.
In particolare, secondo i giudici di merito, i soggetti preposti alla “Nuova Solmine s.p.a.”, pur essendo perfettamente a conoscenza dei rischi derivanti dall’immagazzinamento dello zolfo fuso nei tank containers, per la inevitabile presenza di acido solfidrico liberatosi dallo zolfo durante il trasporto a caldo, avevano omesso di fornire le doverose informazioni sia in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nelle predette cisterne, sia in ordine al pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, ed avevano violato gli obblighi di verifica della capacità tecnica del soggetto cui le cisterne sarebbero state affidate per il lavaggio.
La società “Nuova Solmine s.p.a.”, peraltro, non è stata condannata agli effetti civili, non essendo stata proposta nei suoi confronti alcuna domanda risarcitoria.
2.4. La responsabilità civile di B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P. è stata confermata o dichiarata in relazione al reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen., per le condotte tenute nell’esercizio delle funzioni svolte per conto della “Nuova Solmine s.p.a.”.
Ai cinque imputati, tutti agenti per conto della società “Nuova Solmine s.p.a.”, è addebitata la cooperazione nelle condotte descritte in precedenza al § 2.3., B.G. quale direttore tecnico dello stabilimento di Scarlino, O.L. quale amministratore delegato dell’impresa, L.M. quale presidente del consiglio di amministrazione della medesima, G.P. quale responsabile delle attività tecnico produttive dello stabilimento di Scarlino, e M.P. quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione nonché quale consulente per i trasporti dell’ente. Lo stabilimento di Scarlino era quello nel quale arrivavano e dal quale ripartivano i tank container contenenti lo zolfo fuso prodotto dalla raffineria “ENI s.p.a.” di Taranto, ed utilizzati dalla “F.S. Logistica-B.U. Cargo Chemical” quale impresa affidataria dei servizi di trasporto.
3. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe: -) il Comune di Molfetta, quale parte civile costituita, nei confronti degli imputati B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P., con atto a firma dell’avvocato Francesco Logrieco; -) P.C. e la società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, con unico atto a firma dell’avvocato Davide Romano; -) la società “Nuova Solmine s.p.a.”, con atto a firma dell’avvocato Tullio Padovani; -) G.P. e M.P., con unico atto a firma dell’avvocato Giulia Padovani.
Ha presentato memoria, per la parte civile M.C., l’avvocato Giuseppe Maniglio.
Hanno presentato memoria, con unico atto, gli avvocati Tullio Padovani e Giulia Padovani, il primo per conto della società “Nuova Solmine s.p.a.”, la seconda per conto di G.P. e M.P..
4. Il ricorso proposto dal Comune di Molfetta quale parte civile costituita, nei confronti degli imputati B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P., è articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla omessa pronuncia agli effetti civili nei confronti dei precisati imputati.
Si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulle richieste risarcitorie e di provvisionale presentate dal Comune di Molfetta, perché erroneamente ha ritenuto avvenuto l’integrale risarcimento dei danni per effetto della dichiarazione del difensore di “F.S. Logistica”, ora “Mercitalia Logistic”. Si rappresenta che “F.S. Logistica”, ora “Mercitalia Logistic”, non ha corrisposto alcunché al Comune di Molfetta, né ha stipulato alcun atto di transazione con lo stesso. Si segnala, a conferma di ciò, che il Comune di Molfetta non si è mai costituito parte civile nei confronti di “F.S. Logistica”, ora “Mercitalia Logistic”, e che tutti gli atti di transazione depositati nel giudizio di rinvio sono stati stipulati tra altri soggetti. Si aggiunge che nessuno degli imputati o dei responsabili civili ha contestato le conclusioni scritte depositate dal Comune di Molfetta nel corso del giudizio di rinvio, contenenti la richiesta di condanna al risarcimento dei danni e di provvisionale per un importo non inferiore a 132.000,00 euro.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 541 cod. proc. pen., agli artt. 12 e 16 d.m. 10 marzo 2014, n. 55, come modificato dal d.m. 8 marzo 2018, n. 26, all’art. 13, comma 6, legge n. 247 del 2012, e all’art. 2233 cod. civ., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. a) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla liquidazione delle spese processuali in suo favore, quale parte civile costituita.
Si deduce che la sentenza impugnata ha liquidato le spese processuali per il giudizio di rinvio in euro 600,00, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettarie, e per il precedente giudizio di legittimità in euro 900,00, oltre accessori di legge, sulla base della motivazione apparente «stimasi equo». Si segnala che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile, occorre comunque fare riferimento ai parametri normativamente predeterminati, ossia a quelli di cui al d.m. 10 marzo 2014, n. 55 (si cita, in particolare, Sez. 4, n. 44342 del 30/09/2016), e che vi è divieto di liquidare somme praticamente simboliche (si cita, in particolare Sez. 2 civ., n. 7780 del 10/04/2020). Si evidenzia, poi, che i parametri di cui agli artt. 12 e 16 d.m. 10 marzo 2014, n. 55, come modificato dal d.m. 8 marzo 2018, n. 26, prevedono parametri medi di importo pari a 4.050,00 euro per il giudizio di appello e a 6.030,00 euro per il giudizio di cassazione, e senza tener conto della complessità del procedimento e delle questioni giuridiche, del numero delle imputazioni e dell’attività difensiva svolta. Si aggiunge che la pluralità di parti contro cui è stata proposta l’azione risarcitoria costituisce specifica ragione di maggiorazione del compenso, a norma dell’art. 12, comma 2, d.m. 10 marzo 2014, n. 55, come modificato dal d.m. 8 marzo 2018, n. 26. Si rileva, ancora, che la sentenza impugnata ha omesso di liquidare le spese per il primo giudizio di appello, come pure avrebbe dovuto e come era stato specificamente chiesto nelle conclusioni ritualmente depositate.
4.3. Nelle conclusioni, si chiede che, in accoglimento dei sopra sintetizzati motivi, sia pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio, a norma dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
5. I ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, proposti con unico atto, sono articolati in quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del giudicato sulla dichiarazione di penale responsabilità di P.C..
Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza del giudicato di responsabilità a carico di P.C. solo perché l’originaria sentenza di appello aveva dichiarato la prescrizione ed il ricorso dell’imputato avverso questa formula di proscioglimento per ottenere sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., è stato rigettato.
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, avendo riguardo alla natura meramente apparente della motivazione sull’affermazione di responsabilità di P.C..
Si deduce che la sentenza impugnata ha fatto acriticamente rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, sebbene nei confronti della stessa fossero stati presentati specifici motivi di appello.
5.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, avendo riguardo al difetto totale di motivazione in ordine alla censura concernente la carenza di responsabilità di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, per non aver percepito vantaggi economici dal subappalto alla “Truck Center s.a.s.”.
Si deduce che del tutto tautologicamente la sentenza impugnata ha affermato la responsabilità dell’imputato e della società per aver tratto un vantaggio economico dal subappalto alla “Truck Center s.a.s.”. Si segnala che, come evidenziato anche nell’atto di appello, la società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” non ha tratto alcun vantaggio economico dal subappalto perché si è limitata a chiedere alla “F.S. Logistica” l’esatto importo ad essa richiesto dalla “Truck Center s.a.s.” per l’espletamento del subappalto.
5.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, avendo riguardo al difetto totale di motivazione in ordine alla sussistenza del reato ed alla pena inflitta.
Si deduce che l’affermazione della responsabilità penale di P.C. e la determinazione della pena non sono supportate da alcuna motivazione, e che non è stato compiuto alcun esame neppure con riferimento alle circostanze attenuanti.
6. Il ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.” è articolato in cinque motivi.
6.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 23-bis d.l. n. 46 del 2020 e 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla nullità dell’udienza di discussione del giudizio di rinvio, e, quindi, della sentenza impugnata.
Si deduce che l’udienza di discussione del giudizio di rinvio è nulla perché celebrata nelle forme della trattazione orale in presenza, sebbene nessuna delle parti avesse formulato richiesta di trattazione orale a norma dell’art. 23 d.l. 9 novembre 2020, n. 149, i cui effetti sono stato fatti salvi dall’art. 1, comma 2, legge 18 dicembre 2020, n. 176. Si deduce, inoltre, che la mancata comunicazione della trattazione orale non ha consentito al difensore di fiducia della “Nuova Solmine s.p.a.”, il quale aveva inviato memoria mediante p.e.c. in data 14 dicembre 2020, di partecipare all’udienza, e che questa si è svolta previa sostituzione del difensore di fiducia con il difensore di ufficio. Si segnala che, operando in questo modo, la Corte d’appello ha violato l’art . 23 d.l. n. 149 del 2020, così determinando la nullità dell’udienza e di tutti gli atti successivi, a norma dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
6.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 521 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo al difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
Si premette che la sentenza impugnata ha ravvisato la responsabilità della “Nuova Solmine s.p.a.” per profili di colpa generica relativi alla fase successiva alla decisione di procedere al lavaggio delle cisterne (tank containers), precisando che gli stess i erano da ritenere contestati nell’imputazione attraverso il riferimento all’art. 2050 cod. civ. ed alla disciplina antiinfortunistica e di informazione sui prodotti pericolosi. Si rileva, poi, che la condotta indicata nell’imputazione è costituita dalla immissione in circolazione a Scarlino di una cisterna non bonificata oppure non correttamente etichettata ai sensi della normativa RID/ADR. Si rappresenta, quindi, che l’esame della questione concernente il difetto di correlazione tra accusa e sentenza non è precluso in questa sede perché l’eccezione: -) era stata tempestivamente formulata con l’atto di appello; -) era stata ritenuta fondata dal Giudice di secondo grado (cfr. pagg. 110-111 della sentenza del 19 luglio 2017), seppure non formalmente accolta in ragione della pronuncia di assoluzione nel merito; -) non è stata esaminata dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio della sentenza di appello.
Si deduce, in primo luogo, che la diversità tra la condotta contestata e quella per la quale è stata pronunciata condanna è evidente perché il profilo concernente la circolazione della cisterna non bonificata, pur centrale in entrambe le ricostruzioni, è collocato in contesti fattuali del tutto diversi.
Si precisa che le modalità di gestione della cisterna ritenute rilevanti sono: -) nell’imputazione, quelle della fase in cui avveniva lo scarico dello zolfo a Scarlino; -) nella sentenza, quelle della fase successiva al ritorno della cisterna a Bari da Scarlino, e segnatamente quelle del segmento relativo al trasferimento di questa da Bari a Molfetta per l’effettuazione della pulitura a cura della “Truck Center s.a.s.”. Si sottolinea che i comportamenti rilevanti sono del tutto diversi già soltanto nelle coordinate spaziali e temporali, e che, quindi, i profili di colpa valorizzati ai fini della condanna si pongono in rapporto di eterogeneità, non certo di specificazione, rispetto a quelli oggetto della contestazione.
Si evidenzia che, secondo la giurisprudenza, l’esigenza di una precisa identificazione del quadro fattuale nel quale si colloca l’agente è fondamentale ai fini dell’identificazione della norma dalla quale scaturiscono l’obbligo di attivarsi e la regola cautelare da osservare, e che, di conseguenza, una modifica anche marginale del quadro fattuale può importare lo stravolgimento del quadro nomologico da considerare (si cita Sez. 4, n. 40939 del 07/06/2018).
Si deduce, in secondo luogo, che, ai fini dell’esame della correlazione tra accusa e sentenza, è irrilevante anche il richiamo all’art. 2050 cod. civ. Questo sia perché il quadro fattuale in cui si assume essersi verificata la violazione resta comunque diverso tra imputazione e sentenza, sia perché la disposizione normativa evocata non può comunque estendere la responsabilità anche ad eventi estranei alla sfera di rischio connessa alle specifiche attività dell’ente o, addirittura, ad altrui attività pericolose, quali la scelta dei mezzi idonei al trasporto di acido solforico, rimessa alle esclusive determinazioni di “F.S. Logistica”.
Si aggiunge che, in ogni caso, l’art. 2050 cod. civ. non è previsione idonea a fondare una posizione di garanzia in capo all’esercente attività pericolose, bensì disposizione istitutiva di precise conseguenze di obblighi risarcitori in presenza di dati presupposti di fatto.
6.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 25-septies d.lgs. n. 231 del 2001, e 521 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo sia alla mancanza di motivazione in ordine al reato di cui all’art. 589 cod. pen. quale reato presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente, sia al difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata in tema di responsabilità della società “Nuova Solmine s.p.a.” è estremamente scarna ed assertiva, omette di confrontarsi, almeno da un punto di vista sostanziale, con le censure formulate con l’originario atto di appello e con la memoria depositata nel giudizio di rinvio, e si presenta come mera “esecuzione” della sentenza di annullamento, venendo condizionata dagli errori di fatto di questa.
6.3.1. Si osserva, innanzitutto, che manca qualunque approfondimento in ordine alla sussistenza del reato presupposto.
Si premette che la sentenza impugnata si limita a rappresentare come «accertata incidentalmente» la responsabilità degli amministratori della società “Nuova Solmine s.p.a.”, per avere gli imputati B.G., O.L. e L.M. presentato nel giudizio di rinvio concordato con rinuncia ai motivi. Si osserva che l’ente non ha rinunciato ad alcuno dei suoi motivi e che il concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. configura una scelta processuale inidonea ad incidere sulla posizione sostanziale e processuale di altri soggetti (si cita Sez. 6, n. 28210 del 18/09/2020).
6.3.2. Si rileva, poi, che il giudizio di rinvio si è chiuso con l’assenza di una motivata ricostruzione del fatto.
Si evidenzia che costituisce principio consolidato quello secondo cui il giudice del rinvio conserva piena autonomia di giudizio nella ricostruzione degli accadimenti in relazione ai punti devoluti con gli originari atti di impugnazione ed interessati dalla decisione di annullamento (si cita Sez. 2, n. 51558 del 22/10/2019). Si segnala che il giudice del rinvio, omettendo di procedere ad una motivata ricostruzione del fatto, non ha spiegato se e perché i principi enunciati nella sentenza di annullamento risultino applicabili allo stesso.
6.3.3. Si deduce, quindi, che la sentenza impugnata è condizionata da plurimi errori percettivi nella ricostruzione dei fatti posti a base della decisione di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione.
Si premette che l’unico rimedio esperibile a fronte di tale evenienza è quello dell’annullamento della pronuncia del giudice del rinvio, non essendo proponibile il ricorso straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen., previsto solo per il “condannato” (si cita Sez. 3, n. 19992 del 06/04/2011).
Si segnala, in primo luogo, che la sentenza rescindente della Corte di cassazione ha erroneamente ritenuto la bonifica del tank container in cui si è verificato l’incidente come conseguenza necessitata dei nuovi accordi tra “Nuova Solmine s.p.a.” e “F.S. Logistica”, i quali avevano mutato l’oggetto del trasporto dallo zolfo fuso all’acido solforico.
Si rappresenta che la genesi della decisione di utilizzare per il nuovo contratto le cisterne già adibite al trasporto dello zolfo fuso fu della struttura operativa della “Cargo Chemical”, come evidenziato dalla prima sentenza di appello (pag. 122), e che il contratto appena indicato prevedeva il ricorso non a mezzi «già utilizzati», come affermato dalla sentenza rescindente, bensì a mezzi «già destinati» alla movimentazione dello zolfo fuso. Si sottolinea che, quindi, la scelta di ricorrere a cisterne già utilizzate è autonomamente riferibile alle determinazioni di “F.S. Logistica”».
Si osserva, in secondo luogo, che il tank container in cui avvenne l’incidente, spedito da “Nuova Solmine s.p.a.” per il tramite di “F.S. Logistica” e partito da Campiglia Marittima il 28 dicembre 2007 per Bari, fu messo in movimento «con il codice RIO spuntato sul no», ma ciò non avvenne per eseguire il nuovo contratto di trasporto, come erroneamente assume la Corte di cassazione nella sentenza di annullamento.
Si rappresenta, in proposito, che non vi sono, né sono indicati elementi per ritenere che la cisterna in questione era tra quelle selezionate per il trasporto del nuovo prodotto, e che, anzi, la stessa venne scelta in concreto solo perché casualmente davanti a tutte le altre precedentemente impiegate, come indicato dal teste Tigano.
Si precisa, poi, che, proprio per questa ragione, deve escludersi la qualifica di detentore di rifiuti in capo a “Nuova Solmine s.p.a.”: come riconosciuto anche dalla sentenza di primo grado (pag. 76), fino a quando le cisterne circolavano “ad anello” per il trasporto dello zolfo fuso prodotto dallo stabilimento “E.n.i.” di Taranto a quello della “Nuova Solmine s.p.a.”, i residui di zolfo fuso presenti nelle stesse dopo lo scarico presso la sede aziendale di questa società non costituivano rifiuti perché erano destinati a confondersi con il nuovo carico di zolfo fuso, immesso nei tank container al ritorno degli stessi in Puglia.
Si contesta, in terzo luogo, che la “Nuova Solmine s.p.a.” possa essere qualificata «speditore del rifiuto», e, quindi, responsabile della spuntatura sul no del codice RIO, come afferma la sentenza rescindente.
Si osserva che, secondo quanto rilevato già nella sentenza di primo grado (pag. 72), la lettera di vettura ferroviaria veniva compilata nella parte relativa al RIO dal personale di Trenitalia della stazione di Campiglia Marittima, mentre la “Nuova Solmine s.p.a.” si limitava a segnalare il numero dei carri ferroviari che componevano il convoglio. Si aggiunge che il vettore “F.S. Logistica” era già perfettamente a conoscenza della normale permanenza dell’idrogeno solforato all’interno delle cisterne, come riconosciuto dalla prima sentenza di appello, e, quindi, del rischio specifico connesso alla bonifica delle stesse.
Si rileva, in quarto luogo, che solo erroneamente la sentenza rescindente e poi la sentenza impugnata hanno attribuito alla “Nuova Solmine s.p.a.” la qualifica di datore di lavoro, e, perciò, di responsabile della violazione delle disposizioni in materia di valutazione del rischio aziendale a norma del d.lgs. n. 626 del 1994. Si rappresenta che tale qualità non è indicata nelle contestazioni, ed è stata espressamente esclusa dalla sentenza di primo grado (pag. 92). Si aggiunge che la riferita qualità non può essere ritenuta il risultato dell’accoglimento dell’atto di ricorso per cassazione del Pubblico Ministero, perché questo, in realtà, quando ha richiamato tale qualità, lo ha fatto con riferimento alla “F.S. Logistica”, in quanto avrebbe «sempre conservato la disponibilità giuridica» della cisterna. Si precisa che l’erronea attribuzione a “Nuova Solmine s.p.a.” della posizione di “datore di lavoro” in relazione alla cisterna in cui avvenne l’incidente quale presupposto dell’affermazione di responsabilità dell’ente costituisce difetto di correlazione tra accusa e sentenza a norma dell’art. 522 cod. proc. pen.
Si rappresenta, in quinto luogo, che la sentenza rescindente e poi la sentenza impugnata hanno ritenuto una responsabilità di “Nuova Solmine s.p.a.” quale committente sulla base dell’erroneo presupposto della sua qualità di datore di lavoro.
Si premette che la responsabilità del committente per le violazioni della normativa in materia di rifiuti sussiste a condizione che mantenga il controllo dei lavori, ma non anche quando lasci all’appaltatore autonomia organizzativa e gestionale (si cita Sez. 3, n. 847 del 19/11/2019). Si evidenzia che nessun accertamento è stato effettuato in proposito, e che, anzi, la scelta di utilizzare le cisterne già adoperate per il trasporto dello zolfo fuso per la movimentazione del nuovo prodotto, da cui è derivata la produzione di rifiuti, fu di “F.S. Logistica”.
6.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza di un interesse di “Nuova Solmine s.p.a.” alla commissione del reato presupposto. Si deduce che l’interesse della società “Nuova Solmine s.p.a.” alla commissione del reato presupposto è individuato, del tutto illogicamente, sulla previsione contrattuale di utilizzare per il trasporto di acido solforico, oggetto del nuovo accordo, cisterne già utilizzate per la vettura di zolfo fuso. Si osserva che non vi è alcun elemento da cui desumere che la scelta di ricorrere, nel nuovo contratto, a cisterne già utilizzate per il trasporto di zolfo fuso abbia procurato un risparmio di costi per la società “Nuova Solmine s.p.a.”. Si segnala, in particolare, che il canone per la fruizione del servizio di vettura non risentiva dei costi di messa a disposizione, manutenzione o adeguamento delle cisterne, a norma dell’art. 2 del contratto di logistica.
6.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 30, comma 5, d.lgs. n. 81 del 2008, nonché 12, comma 2, lett. b), e 11, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla omessa applicazione dell’esimente di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, ovvero dell’attenuante di cui all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001, e alla determinazione del valore della quota di sanzione applicata.
Si deduce che la sentenza impugnata è affetta da vizio di travisamento della prova, perché ha ritenuto mancante l’allegazione, invece effettuata, della documentazione posta a fondamento delle richieste di applicazione dell’esimente di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, ovvero dell’attenuante di cui all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001.
Quanto all’esimente, si rappresenta che la difesa ha prodotto in primo grado, all’udienza del 1° aprile 2014, la certificazione di conformità al British Standard OHSAS 18001:2007 dell’assetto organizzativo aziendale della società. Si osserva che, dal combinato disposto dei commi 1 e 5 dell’art. 30 d.lgs. n. 81 del 2008, si evince come l’ente il quale dispone della certificazione OHSAS beneficia di una presunzione iuris tantum di conformità dell’assetto organizzativo aziendale ai requisiti di cui all’art. 30 cit. Si precisa che l’art. 30 d.lgs. n. 81 del 2008 costituisce disciplina di attuazione dell’art. 6 d.lgs. n. 231 del 2001, e presuppone l’inesistenza di modelli organizzativi ex legge n. 231 del 2001 perché fa testuale riferimento alla «prima applicazione» della normativa.
Quanto all’attenuante, si segnala che la difesa ha prodotto in primo grado, all’udienza del 29 gennaio 2013, il testo del modello di organizzazione e gestione adottato dal Consiglio di amministrazione il 30 luglio 2012, nonché, all’udienza del 1° aprile 2014, copia dei verbali dell’organismo di vigilanza della “Nuova Solmine s.p.a.”, per attestare l’effettività dell’attuazione del modello. Si aggiunge che anche il Procuratore generale, nella sua memoria, aveva riconosciuto l’applicabilità dell’attenuante.
Quanto alla determinazione del valore delle quote della sanzione pecuniaria, si deduce che la sentenza impugnata si è orientata verso il massimo, fondandosi sul mero dato del fatturato della “Nuova Solmine s.p.a.”, senza neppure apprezzarlo in concreto, e senza considerare il patrimonio o il risultato economico dell’ente. Si precisa che l’individuazione delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente cui applicare la sanzione non è rimessa all’allegazione delle parti, ma costituisce autonomo obbligo di accertamento e motivazione per il giudice.
7. I ricorsi di G.P. e di M.P., esposti in un unico atto, sono articolati in quattro motivi.
7.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 23-bis d.l. n. 46 del 2020 e 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla nullità dell’udienza di discussione del giudizio di rinvio, e, quindi, della sentenza impugnata.
Le censure sono identiche a quelle contenute nel primo motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”. Si precisa che anche il difensore di fiducia di M.P. e G.P., come il difensore di fiducia della “Nuova Solmine s.p.a.”, aveva inviato memoria mediante p.e.c. in data 14 dicembre 2020.
7.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 521 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo al difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
Le censure sono identiche a quelle contenute nel secondo motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”.
7.3. Con il terzo motivo, si denuncia mancanza di motivazione, avendo riguardo all’affermazione della responsabilità civile degli imputati M.P. e Pazzag li per i fatti agli stessi ascritti.
Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata anche in ordine alle posizioni di M.P. e G.P. è estremamente scarna ed assertiva, omette di confrontarsi con le censure formulate con l’originario atto di appello e con la memoria depositata nel giudizio di rinvio, si presenta come mera “esecuzione” della sentenza di annullamento, non procede ad alcuna motivata ricostruzione del fatto, e non spiega se e perché i principi enunciati nella sentenza di annullamento risultino applicabili nella concreta vicenda.
7.3.1. Si denuncia, in primo luogo, che la sentenza impugnata non chiarisce quali siano le fonti ed il contenuto della posizione di garanzia dei due imputati.
Si premette che la sentenza di primo grado, pur escludendo con riferimento a M.P. e G.P. una posizione di garanzia discendente dalla legge (pag. 102), ha ritenuto la responsabilità dei medesimi per la prossimità alla fonte di rischio e per la sussistenza di obblighi e poteri in capo ad essi per assicurare il rispetto delle disposizioni violate o di segnalarne l’inosservanza.
Si osserva, poi, che non è stato acquisito nessun testo contrattuale da cui ricostruire le caratteristiche del rapporto intercorrente tra i due imputati e la “Nuova Solmine s.p.a.”, e che, perciò, il collegamento tra gli stessi e l’evento è stato ricostruito in base alla sola «astratta individuazione» di G.P. quale responsabile delle attività tecnico-produttive dello stabilimento di Scarlino, e di M.P. quale consulente dei trasporti di “Nuova Solmine s.p.a.”.
Si rileva che, nell’atto di appello, si era censurato che: -) la posizione di G.P. era tutta interna allo stabilimento e priva di proiezione esterna alla struttura; -) la posizione di M.P. non implicava l’assunzione di responsabilità per un’attività mai svolta dalla “Nuova Solmine s.p.a.”, ossia quella di trasporto di rifiuti, a maggior ragione perché la sentenza di primo grado aveva escluso la responsabilità dell’ente per la fase del trasporto delle merci pericolose (pagg. 65-72); -) G.P. e M.P. non avevano in alcun modo assunto volontariamente il rischio connesso alla gestione dei residui di acido solfidrico derivanti dallo zolfo fuso, anche perché erano rimasti estranei anche agli incontri precedenti la stipulazione del contratto di riconversione delle cisterne adibite al trasporto dello zolfo fuso per il trasporto di acido solforico. Si aggiunge che la sentenza di appello non era stata impugnata dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Bari nella parte relativa all’assoluzione di M.P. e G.P. e che il P.G. presso la Corte di cassazione aveva chiesto il rigetto dei pertinenti ricorsi delle parti civili.
7.3.2. Si evidenzia, in secondo luogo, che la sentenza impugnata è condizionata da plurimi errori percettivi nella ricostruzione dei fatti posti a base della decisione di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione.
Si segnala, in linea generale, che la sentenza rescindente e quella impugnata erroneamente qualificano i residui presenti nella cisterna in cui avvenne l’incidente, nel momento in cui essa fu fatta partire da Scarlino il 28 dicembre 2007, come rifiuti. Si rappresenta, infatti, che detti residui divennero rifiuti solo quando “F.S. Logistica”, avendo ormai la piena disponibilità materiale e giuridica del precisato tank container, decise di utilizzarlo per il trasporto di acido solforico.
Si rileva, poi, con specifico riferimento alla posizione di M.P., che la sentenza rescindente e quella impugnata: a) erroneamente qualificano “Nuova Solmine s.p.a.” come speditore dei rifiuti, quando dalle lettere di vetture emerge come il mittente fosse soltanto “F.S. Logistica”; b) erroneamente attribuiscono a “Nuova Solmine s.p.a.” la spedizione della cisterna con il codice RID spuntato sul no, quando, come rilevato già nella sentenza di primo grado (pag. 72), la lettera di vettura ferroviaria era compilata nella parte relativa al RID dal personale di Trenitalia della stazione di Campiglia Marittima, e la “Nuova Solmine s.p.a.” si limitava a segnalare il numero dei carri ferroviari che componevano il convoglio, e, proprio per effetto della descritta compilazione del RID da parte del personale di Trenitalia, i pannelli recanti i numeri di identificazione della merce e del pericolo furono rinchiusi su se stessi.
7.4. Con il quarto motivo, si denuncia l’illegittimità costituzionale degli artt. 576 e 622 cod. proc. pen., in relazione all’art. 6, par. 2, CEDU, quale parametro interposto dell’art. 117 Cast., e agli artt. 3 e 4 direttiva 2016/UE/343 e all’art. 48 Carta di Nizza, quali parametri interposti degli artt. 11 e 117 Cast., avendo riguardo al ritenuto potere-dovere del giudice del rinvio, anche in caso di già intervenuta assoluzione irrevocabile, di riesaminare tutti gli aspetti della vicenda ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda civile.
Si deduce che il potere-dovere del giudice del rinvio, anche in caso di già intervenuta assoluzione irrevocabile, di riesaminare tutti gli aspetti della vicenda ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda civile si pone in contrasto con il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza.
Si premette che la questione attiene alla legittimità costituzionale dell’art. 576 cod. proc. pen., e non dell’art. 578 cod. proc. pen., nonché dell’ art . 622 cod. proc. pen. Si osserva, poi, che, come costantemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità, in caso di annullamento ai soli effetti civili e di sentenza di assoluzione irrevocabile agli effetti penali, il giudice penale deve riesaminare la vicenda in relazione al medesimo fatto-reato per il quale è stato pronunciato il proscioglimento e al medesimo materiale probatorio già precedentemente valutato.
Si evidenzia, quindi, che: -) la Corte EDU ha desunto dall’art. 6, par. 2, CEDU, la garanzia del rispetto, in ogni procedimento successivo, anche ai fini delle statuizioni civili, della decisione di assoluzione o di archiviazione agli effetti penali (si citano: Corte EDU, 26/06/2019, G.I.E.M. c. Italia, § 314; Corte EDU, GC, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 123; Corte EDU 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino); -) la Corte di Giustizia UE ha ritenuto le garanzie della presunzione di innocenza assicurate dalla direttiva 2016/UE/342 del 9 marzo 2016 applicabili a tutti i procedimenti penali (Corte UE, 13/06/2019, causa C-646/17, Moro), con conseguente operatività del diritto alla presunzione di innocenza di cui all’art. 48 Carta di Nizza a tutti i procedimenti penali. Si segnala, ancora, che l’esigenza di tutela del principio di presunzione di innocenza è particolarmente marcata se sia stata emessa sentenza di assoluzione definitiva.
8. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha presentato due requisitorie scritte da intendersi anche quali memorie di udienza.
Nella prima requisitoria, depositata il 14 febbraio 2022, il Procuratore generale ha concluso: a) per l’accoglimento di tutti e due i motivi di ricorso del Comune di Molfetta, in ragione di un radicale vizio di motivazione in ordine ad entrambi i profili indicati; b) per l’inammissibilità dei ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, il primo, in particolare, per il principio di formazione progressiva del giudicato, e, il secondo, per la completezza e correttezza delle argomentazioni della sentenza del giudice di rinvio; c) per l’inammissibilità del ricorso della società “Nuova Solmine s.a.s.”, in particolare per l’ampia facoltà di interlocuzione riconosciuta alla difesa in ordine all’accusa e per le considerazioni esposte sia nella sentenza di primo grado sia nella sentenza rescindente.
Nella seconda requisitoria, depositata il 24 febbraio 2022, il Procuratore generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi di G.P. e M.P., in particolare richiamando le osservazioni della sentenza di primo grado (pagg.
101-103) quanto all’apporto dei medesimi, consapevolmente prestato, nella gestione del rischio.
9. La parte civile M.C., con atto a firma dell’avvocato Giuseppe Maniglia, ha presentato conclusioni scritte con le quali chiede dichiararsi l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
In particolare, si segnala che il ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.” è inammissibile perché presentato a mezzo p.e.c. Si osserva, inoltre, che le censure esposte nel primo motivo del medesimo ricorso non sono supportate da un effettivo interesse della parte, posto che la stessa ha discusso e concluso in udienza il 22 settembre 2020, depositando anche memoria scritta, e che le censure formulate nel terzo motivo non tengono conto della convenienza per la società “Nuova Solmine s.p.a.” di utilizzare per il trasporto dell’acido solforico cisterne già utilizzate per il trasporto dello zolfo fuso.
10. La società “Nuova Solmine s.p.a .”, G.P. e M.P., con un unico atto a firma degli avvocati Tullio Padovani, difensore dell’ente, e Giulia Padovani, difensore delle due persone fisiche, hanno presentato memoria, replicando alle conclusioni del Procuratore generale del 14 e del 22 febbraio 2022, ed insistendo nella richiesta di accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Si rappresenta, in particolare, che: -) non sono state in alcun modo esaminate le censure formulate nel primo motivo dei ricorsi della “Nuova Solmine s.p.a.”, di G.P. e di M.P.; -) è stato travisato il significato del motivo deducente il difetto di correlazione tra accusa e sentenza; -) non sono state addotte plausibili ragioni a sostegno dell’affermazione della correttezza e completezza della motivazione della sentenza impugnata sia in ordine alla ritenuta sussistenza del reato presupposto, sia in ordine all’imputazione di esso all’ente, sia in tema di esimenti, attenuanti e trattamento sanzionatorio, anche per l’omesso esame delle censure formulate nei ricorsi e per l’improprio richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado; -) non sono state addotte plausibili ragioni a sostegno dell’affermazione della correttezza e completezza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta responsabilità civile di M.P. e G.P., anche per l’omesso esame delle censure formulate nei ricorsi e per l’improprio richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado; -) non sono state in alcun modo esaminate le censure formulate nel quarto motivo dei ricorsi di G.P. e di M.P..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi della società “Nuova Solmine s.p.a.”, di G.P., di M.P. e del Comune di Molfetta sono fondati, per le ragioni e nei limiti di seguito indicati.
I ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” sono invece inammissibili, per quanto si preciserà in prosieguo.
Per ragioni di chiarezza espositiva, si procederà dapprima all’esame dei ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, poi allo scrutinio del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”, quindi all’analisi dei ricorsi di G.P. e di M.P., infine all’approfondimento del ricorso del Comune di Molfetta.
2. Inammissibili, come si è già precisato, sono i ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, proposti congiuntamente con un unico atto articolato su quattro motivi, dei quali i primi due ed il quarto relativi solo alla persona fisica, il terzo invece comune a questa e all’ente.
Si procederà, per continuità logica di temi, dapprima all’esame del primo, del secondo e del quarto motivo, in quanto riguardanti la sola posizione di P.C., e poi all’approfondimento del terzo motivo, comune anche alla società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”.
3. Prive di specificità sono le censure enunciate nel primo, nel secondo e in parte del quarto motivo, da esaminare congiuntamente, le quali contestano l’affermazione di penale responsabilità di P.C., sia perché fondata sulla sussistenza di un giudicato penale in proposito, erroneamente ipotizzata per la combinazione di sentenza di non doversi procedere per prescrizione in appello e di rigetto del ricorso per cassazione dell’imputato avverso questa statuizione ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., sia perché motivata senza alcun confronto con le censure dedotte in sede di gravame dalla difesa dell’attuale ricorrente, sia perché, più in generale, non sorretta da alcuna reale giustificazione.
3.1. Ai fini dell’esame delle censure in questione occorre muovere dal contenuto della sentenza impugnata.
La Corte d’appello, in sede di rinvio, ha sì affermato l’esistenza di un giudicato parziale interno in ordine alla responsabilità penale di P.C., ma ha illustrato in modo chiaro i fatti ritenuti da essa ritenuti provati e a suo avviso costituenti il fondamento del giudizio di colpevolezza dell’imputato appena indicato.
Precisamente, il Giudice del rinvio ha ravvisato l’esistenza del giudicato parziale in ragione: -) della pronuncia di prescrizione emessa nell’originario giudizio di appello, la quale aveva riformato la sentenza di condanna in primo grado per l’esclusione dell’aggravante determinata dalla violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro; -) del rigetto del ricorso per cassazione di P.C. avverso la pronuncia di prescrizione, nel quale si deduceva violazione di legge per la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., e omessa motivazione in ordine a prove orali decisive; -) dell’accoglimento del ricorso per cassazione della Procura generale presso la Corte d’appello di Bari avverso la pronuncia di prescrizione nei confronti di P.C., laddove questa aveva escluso l’aggravante determinata dalla violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Tuttavia, il medesimo Giudice del rinvio ha espressamente osservato che la responsabilità di P.C. discende dalle modalità di gestione dell’incarico, ricevuto da “F.S. Logistica”, di provvedere alla bonifica delle cisterne recanti residui di zolfo fuso ormai solidificato, all’interno di una delle quali avvenne il tragico incidente. Ha precisato, a tal fine, che l’incarico: -) era stato affidato a P.C. quale legale rappresentante della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, direttamente da A.B., responsabile per la “F.S. Logistica” della esecuzione del contratto per il trasporto ferroviario dello zolfo fuso dalla raffineria “E.N.I.” di Taranto allo stabilimento di Scarlino della “Nuova Solmine s.p.a.”; -) aveva ad oggetto la ricerca di una struttura cui affidare l’opera di bonifica; -) fu eseguito direttamente da P.C. mediante affidamento dell’opera di bonifica alla “Truck Center s.a.s.”, ditta sprovvista delle necessarie autorizzazioni e del tutto inidonea al compimento delle operazioni necessarie.
Ancora, il precisato Giudice del rinvio ha spiegato perché l’aggravante della violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro deve ritenersi integrata a carico di P.C.. Ha infatti evidenziato che P.C., quale mandatario di “F.S. Logistica” per la gestione della bonifica delle cisterne recanti residui di zolfo fuso ormai solidificato, era, così come i suoi mandanti, «primario destinatario degli obblighi di salvaguardia dei lavoratori e di gestione della sicurezza sul luogo di lavoro, obblighi in primo luogo di informazione, di segnalazione dei rischi specifici inerenti all’attività di pulitura della cisterna dai residui di zolfo ed acido solfidrico nonché di vigilanza sulla scelta e sulla capacità tecnico-professionale dell’impresa cui erano affidate le operazioni di bonifica delle cisterne che avevano trasportato zolfo liquido». Ha pure espressamente richiamato parti della sentenza di primo grado.
3.2. Le motivazioni della sentenza impugnata appena sintetizzate risultano, per il loro concreto contenuto, corrette e i rilievi formulati nel ricorso non si confrontano in alcun modo con la sostanza delle medesime.
In effetti, la Corte d’appello, giudicando in sede di rinvio, ha sì fatto riferimento alla categoria del giudicato parziale, ma ha poi compiutamente indicato i fatti da cui discende l’affermazione di responsabilità di P.C. per reati di cui agli artt. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen. al medesimo contestati nell’imputazione.
Né può rilevarsi un vizio della motivazione della sentenza di rinvio, in particolare per il richiamo alla sentenza di primo grado. A tal fine, infatti, occorre considerare che il ricorrente non ha precisato quali siano, nella sentenza impugnata, i profili della ricostruzione del fatto che risultano sorretti da argomentazione incongrua o lacunosa, o le prove travisate, o le deduzioni difensive non valutate; in particolare, con riguardo a quest’ultimo aspetto, il ricorso, pur contestando la mancata considerazione dei motivi di appello, non ha nemmeno concretamente specificato il loro contenuto.
4. Del tutto prive di specificità sono le censure esposte nella residua parte del quarto motivo, laddove contestano la commisurazione della pena nei confronti di P.C. ed il diniego di concessione delle attenuanti generiche, deducendo l’assenza di qualunque motivazione.
Occorre infatti rilevare che la sentenza impugnata ha escluso la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche e ritenuto congrua la pena irrogata nella sentenza di primo grado in ragione della gravità del fatto e della «assoluta leggerezza [di P.C.] di aver individuato la Truck Center per la bonifica, avendo contatti detti con l’Alternare [ossia il legale rappresentante della Truck Center] e portandosi anche presso l’impianto per un sopralluogo».
Si tratta di una motivazione congrua, perché fondata su circostanze precise, apprezzate sulla base di criteri non arbitrari, per di più in difetto di indicazioni relative all’omessa valutazione di precisi elementi favorevoli all’imputato.
5. In parte prive di specificità e in parte manifestamente infondate sono le censure formulate nel terzo motivo, le quali contestano l’affermazione di responsabilità di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, per l’assertività della motivazione sulla percezione di un vantaggio economico conseguito dall’affidamento del subappalto per la bonifica delle cisterne recanti residui di zolfo fuso alla ditta “Truck Center”.
5.1. Per quanto concerne l’affermazione di responsabilità penale di P.C., la critica è priva di specificità.
Invero, la sentenza impugnata non ha in alcun modo collegato l’affermazione di penale responsabilità di P.C. ai vantaggi economici derivati dall’affidamento del subappalto per la bonifica delle cisterne recanti residui di zolfo fuso alla società “Truck Center”. Diversamente, la sentenza impugnata ha ritenuto di affermare la penale responsabilità di P.C. perché lo stesso: -) affidò, quale mandatario della “F.S. Logistica”, il subappalto per la bonifica delle cisterne recanti residui di zolfo fuso alla società “Truck Center”, sebbene questa fosse priva sia dei titoli abilitativi prescritti dalla legge, sia di capacità tecnica e professionale proporzionata per lo svolgimento della indicata attività; -) omise di omesso di consegnare al subappaltatore la “scheda dati sicurezza”, redatta dal produttore “ENI s.p.a.” relativa all’agente chimico trasportato (zolfo allo stato fuso), e nella quale era indicata anche la situazione di pericolo costituita dalla probabile presenza di idrogeno solforato.
Di conseguenza, la censura in ordine alla assertività della motivazione sulla percezione di un vantaggio economico conseguito da P.C., o dalla sua impresa, in conseguenza dell’affidamento del subappalto per la bonifica delle cisterne recanti residui di zolfo fuso alla ditta “Truck Center”, attiene ad un profilo completamente estraneo a quelli sulla cui base è stata affermata la penale responsabilità del medesimo. Di qui, la carenza di c.d. “specificità estrinseca” della censura con riferimento alla dichiarazione di responsabilità penale di P.C.. Come infatti precisato anche nella elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite, «la cosiddetta “specificità estrinseca”, […] può essere definita come la esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata» (così Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì, Rv. 268822-01, in motivazione § 6.2.).
5.2. Relativamente all’affermazione di responsabilità per l’illecito amministrativo derivante da reato della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, la censura è manifestamente infondata.
5.2.1. Per lo scrutinio della censura appare utile una precisazione, all’esito di un sintetico esame della consolidata elaborazione giurisprudenziale in materia.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 all’«interesse» o al «vantaggio», sono: -) alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito; -) da valutare entrambi avendo come termine di riferimento la condotta e non l’evento (così Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261114-01 e 261115-01).
Successive decisioni hanno precisato che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (Sez. 4, n. 38363 del 23/052018, Consorzio Melinda s.p.a., Rv. 274320-01, ma anche Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015, dep. 2016, Gastoldi, Rv. 268065-01).
Altra pronuncia ha osservato che la responsabilità amministrativa dell’ente derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi (Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzetti, Rv. 268066-01). Una ulteriore decisione, ancora, ha rilevato che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva dell’interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un’iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 280777-01).
Sviluppando queste indicazioni, sembra ragionevole affermare che il criterio di imputazione del «vantaggio» può sussistere anche in relazione ad una singola condotta, quando il «vantaggio» è oggettivamente apprezzabile ed eziologicamente collegato a questa, e la medesima integra la realizzazione di una delle fattispecie di reato previste dal d.lgs. n. 231 del 2001 ed è riferibile ad una persona agente per conto dell’ente a norma dell’art. 5 del medesimo d.lgs. Invero, si può rilevare che:-) il «vantaggio» deve discendere dalla commissione del reato, in quanto, a norma dell’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 231 del 2001, «[l]’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio», ovviamente se rientranti nell’elenco di quelli specificamente previsti come idonei a fondare la responsabilità amministrativa di cui al d.lgs. cit.; -) la responsabilità dell’ente è ricollegata al singolo reato, come si desume dal dato testuale di numerose disposizioni del sistema di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, quali, ad esempio, l’art. 6, comma 1, e l’art. 7, comma 1; -) non vi sono preclusioni normative od ontologiche di carattere generale alla possibilità di individuare un «vantaggio» per l’ente che derivi da un singolo reato tra quelli espressamente previsti dal d.lgs. n. 231 del 2001, sempre che lo stesso sia oggettivamente apprezzabile.
5.2.2. La sentenza impugnata afferma la responsabilità amministrativa della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” per gli illeciti derivanti dai reati di omicidio colposo plurimo e di lesioni personali aggravati dalla violazione della disciplina antinfortunistica in ragione del criterio del «vantaggio».
Precisamente, si osserva che la predetta società, «individuando in maniera del tutto inadeguata la Truck Center e così sconfinando dalle proprie competenze in un settore prima mai battuto, ottenne un vantaggio economico, rappresentato dal corrispettivo conseguito per il trasporto delle cisterne dallo scalo ferroviario fino all’impianto della Truck Center, nonché per il viaggio di ritorno». Si sottolinea, a tal fine, che le voci fatturate dalla società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” furono «tenute distinte per il costo del viaggio e per il rimborso della bonifica». Si precisa che queste conclusioni non sono affatto scalfite dalla prospettazione difensiva secondo cui la società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” agì per meri fini di strategia commerciale, e cioè per non compromettere la possibilità di conseguire commesse future dal «potente fornitore» “F.S. Logistica”.
5.2.3. Le conclusioni della sentenza impugnata risultano immuni da vizi.
Si è detto che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, il criterio di imputazione oggettiva del «vantaggio» di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 ha una connotazione essenzialmente oggettiva, ed è integrato dal risparmio di spesa o dalla “massimizzazione della produzione”, che l’indicata responsabilità, quando è determinata dalla violazione della disciplina antinfortunistica, non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio, e che anche una singola trasgressione di regole cautelari da parte di una persona agente per conto dell’ente a norma del medesimo art. 5 può determinare un «vantaggio» ai fini indicati da tale disposizione, se questo è oggettivamente individuabile e la condotta trasgressiva integri gli estremi di un reato sussumibile tra le fattispecie previste dal d.lgs. n. 231 del 2001. Ciò posto, nella specie, la prova dell’esistenza del vantaggio economico obiettivamente ottenuto dalla società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” mediante il subappalto, è stata puntualmente evidenziata dalla Corte d’appello, con il riferimento alla ricezione del compenso per il trasporto della cisterna, e solo assertivamente contestata nel ricorso.
Il precisato vantaggio economico, poi, deve essere messo in correlazione con il complessivo comportamento del legale rappresentante della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, P.C.. In particolare, è emerso che P.C. nella sua qualità di legale rappresentante della precisata società: -) assunse l’incarico di gestire l’incarico di gestire la bonifica di cisterne precedentemente utilizzate per il trasporto di zolfo allo stato fuso, pur non avendo la sua società alcuna competenza ed esperienza in materia, in quanto l’oggetto sociale di essa concerneva l’autotrasporto su gomma e piccole manutenzioni; -) scelse, quale ditta subappaltatrice, una impresa priva sia dei titoli prescritti dalla legge, sia della capacità tecnica e professionale proporzionate all’attività da svolgere; -) omise di consegnare alla medesima ditta subappaltatrice la “scheda dati sicurezza”, redatta dal produttore “ENI s.p.a.” relativa all’agente chimico trasportato (zolfo allo stato fuso), e nella quale era indicata anche la situazione di pericolo costituita dalla probabile presenza di idrogeno solforato; -) aveva interesse a gestire la bonifica delle cisterne, tra cui quella al cui interno è avvenuto il tragico incidente, per compiacere “F.S. Logistica” anche al fine di ottenere commesse future. Si può rilevare, precisamente, che la prima evenienza fattuale, espressamente indicata nella sentenza impugnata, non è stata in alcun modo contestato nel ricorso, così come la seconda e la terza, pure tutte specificamente indicate sia nelle imputazioni sia nella sentenza rescindente pronunciata dalla Corte di cassazione (cfr. Sez. 4, n. 12876 del 08/02/2019, spec. pagg. 19-20), mentre la quarta circostanza costituisce l’esplicito presupposto dell’argomentazione difensiva esaminata dalla sentenza impugnata.
In sintesi, secondo ciò che emerge dalla sentenza impugnata, anche alla luce di quanto evidenziato in quella rescindente e non specificamente contestato nel ricorso, la società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, attraverso l’azione del suo legale rappresentante P.C., ottenne un documentato aumento di fatturato ed un ampliamento dei settori di operatività per effetto della gestione di un’attività in violazione di regole cautelari in materia di tutela di salute e sicurezza sul lavoro, stante l’affidamento in subappalto di tale attività ad una impresa sprovvista di qualunque idonea competenza, ed alla quale non fornì neppure le informazioni sui rischi di cui specificamente disponeva.
Può allora concludersi che la società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” conseguì, per effetto della condotta colpevole e penalmente illecita del suo legale rappresentante, siccome trasgressiva di regole cautelari e causale rispetto alla verificazione del reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen., un «vantaggio» quanto meno in termini di fatturato e di ampliamento dei settori di operatività dell’impresa, e quindi di “massimizzazione della produzione”, come tale rilevante a norma dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001.
6. Il ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.” è infondato con riguardo alle censure formulate nel primo e nel secondo motivo, mentre è fondato in relazione alle doglianze proposte con il terzo ed il quarto motivo.
La fondatezza dei rilievi enunciati nel terzo e nel quarto motivo determina l’assorbimento, in questa sede, del giudizio in ordine alle deduzioni esposte nel quinto motivo. Ciò posto, è opportuno precisare espressamente che il ricorso in questione deve ritenersi ammissibile con riguardo alle sue modalità di presentazione, contrariamente alle deduzioni della parte civile M.C.. In proposito, va innanzitutto rilevato che la parte civile non è legittimata ad interloquire sulla partecipazione al processo della società “Nuova Solmine s.p.a.”, in quanto quest’ultima non è stata citata quale responsabile civile, né è intervenuta nel processo a tale titolo, ma vi partecipa perché chiamata a rispondere della contestazione relativa ad un illecito amministrativo dipendente da reato, a norma del d.lgs. n. 231 del 2001. Va poi comunque osservato che la proposizione del ricorso per cassazione della società “Nuova Solmine s.p.a.” deve ritenersi correttamente avvenuta a mezzo di posta elettronica certificata, atteso quanto previsto dall’art. 24 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, nel testo vigente per effetto della legge di conversione del 18 dicembre 2020, n. 176.
7. Infondate sono le censure formulate nel primo motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”, le quali contestano la validità della sentenza impugnata, deducendo che la stessa è nulla perché l’ultima udienza si è tenuta nelle forme della trattazione orale, in assenza di richiesta delle parti o comunque di comunicazione alle stesse da parte dell’ufficio giudiziario procedente, e, quindi, con violazione dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
7.1. Per individuare la soluzione della questione, occorre muovere dall’esposizione delle vicende processuali del giudizio di rinvio, come documentate nei verbali di udienza.
Precisamente, in data 22 settembre 2020, si è proceduto alla rinnovazione del dibattimento, per il sopravvenuto mutamento della composizione del Collegio. In quella occasione, erano presenti in udienza tutte le parti processuali, e, in particolare, per la “Nuova Solmine s.p.a.”, l’avvocato Tullio Padovani, difensore di fiducia dell’ente, per M.P. e G.P., l’avvocato Giulia Padovani, difensore di fiducia dei due imputati appena indicati, e per O.L., B.G. e L.M., l’avvocato Isabella Nuzzolese, sostituto processuale dei difensori di fiducia di questi ulteriori tre imputati. Nell’udienza precisata, hanno innanzitutto formulato le loro conclusioni sia il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Bari, sia i difensori delle parti civili. Hanno poi presentato richiesta di concordato di pena i difensori di vari imputati, tra i quali O.L., B.G. e L.M.. Hanno inoltre concluso l’avvocato Tullio Padovani per la “Nuova Solmine s.p.a.”, e l’avvocato Isabella Nuzzolese, in sostituzione dell’avvocato Giulia Padovani, per gli imputati M.P. e G.P., entrambi depositando memoria e conclusioni scritte. L’udienza si è conclusa con rinvio al 21 dicembre 2020 per terminare le discussioni, ormai da svolgere solo da parte della difesa di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, e per eventuali repliche.
In data 21 dicembre 2020, “Nuova Solmine s.p.a.”, M.P., G.P., O.L., B.G. e L.M. sono stati difesi dall’avvocato Isabella Nuzzolese, quale sostituto dei difensori di fiducia ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen. Nel corso dell’udienza, si è proceduto esclusivamente alla discussione dell’avvocato Michele Oronzo, in sostituzione dell’avvocato Davide Romano, nell’interesse di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, mentre non vi sono state repliche. Terminata la discussione, la Corte d’appello, dichiarato chiuso il dibattimento, si è ritirata in camera di consiglio, e, all’esito di questa, ha deliberato il dispositivo letto in udienza dal Presidente ed allegato al verbale.
7.2. Ciò posto, va dato atto che prima dell’udienza del 21 dicembre 2020, il legislatore è intervenuto con il d.l. 9 novembre 2020, n. 149, il quale, all’art. 23, conteneva «[d]isposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19».
Secondo questa disciplina, in particolare, «fuori dei casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire» (art. 23, comma 1, d.l. cit.). Si prevede, poi, nel regolare la trattazione in camera di consiglio non partecipata, che, entro dieci giorni prima dell’udienza il pubblico ministero formuli le sue richieste con atto trasmesso alla cancelleria per via telematica, che questa comunichi tale atto alle altre parti, e che dette parti, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, «possono» a loro volta presentare le conclusioni con atto scritto. Ora, risulta del tutto irragionevole ritenere che la disciplina appena richiamata, anche a reputarla applicabile ai giudizi di appello in corso alla data della sua entrata in vigore, implichi la caducazione di tutte le attività compiute. Si tratterebbe, infatti, di una conclusione in palese contrasto con il principio di ragionevole durata del processo, e del tutto sproporzionata rispetto alle finalità perseguite dalla medesima disciplina, volta semplicemente a ridurre contatti interpersonali e, quindi, di ulteriore diffusione della pandemia. Di conseguenza, nella vicenda in esame, il solo profilo controvertibile attiene alla legittimità della discussione in forma orale da parte della difesa degli imputati P.C. e società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, in quanto unica attività processuale compiuta nella vigenza della disciplina di cui all’art. 23 d.l. n. 149 del 2020. Ne discende, ulteriormente, che, nel caso di specie, non viene in alcun modo in rilievo una violazione del diritto di difesa in pregiudizio della “Nuova Solmine s.p.a.”, o di M.P., G.P., O.L., B.G. e L.M., a norma dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. Ed infatti, da un lato, le parti appena indicate hanno potuto far valere ampiamente le loro difese nel corso del giudizio di appello; dall’altro, il pubblico ministero e le parti civili non hanno presentato conclusioni o depositato atti, note scritte o memorie dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 149 del 2020, sì da determinare la possibile esigenza di controdeduzioni o repliche. Inoltre, le difese di “Nuova Solmine s.p.a.”, M.P., G.P., O.L., B.G. e L.M. non hanno neppure ipotizzato l’esigenza di propri ulteriori interventi in conseguenza della discussione orale della difesa degli imputati P.C. e società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, né emerge o è segnalato un conflitto tra queste due posizioni processuali e quelle precedentemente indicate. Ancora, si può aggiungere che, se la procedura si fosse svolta in forma camerale non partecipata con riferimento all’intervento delle difese di P.C. e società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.”, le eventuali conclusioni da queste presentate in forma scritta non sarebbero state comunque comunicate alle difese di “Nuova Solmine s.p.a.”, M.P., G.P., O.L., B.G. e L.M.: l’art. 23 d.l. n. 149 del 2020 prevede la comunicazione, da parte della cancelleria, delle sole conclusioni del pubblico ministero.
8. Infondate sono anche le censure esposte nel secondo motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”, le quali contestano la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, deducendo che la condotta rilevante, costituita dall’omessa bonifica delle cisterne, nell’imputazione è collocata nella fase dello scarico dello zolfo a Scarlino, mentre nella decisione è posta nella fase del trasferimento della cisterna in avvenne il tragico incidente da Bari a Molfetta, quindi in un luogo ed in un segmento temporale del tutto diversi.
8.1. Secondo quanto si evince dalla sentenza impugnata, la quale richiama testualmente quella di primo grado, la società “Nuova Solmine s.p.a.” deve essere ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo dipendente da reato contestatole perché i soggetti ad essa preposti, pur essendo perfettamente a conoscenza dei rischi derivanti dall’immagazzinamento dello zolfo fuso nei tank containers, per la inevitabile presenza di acido solfidrico liberatosi dallo zolfo durante il trasporto a caldo, avrebbero omesso di fornire le doverose informazioni sia in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nelle predette cisterne, sia in ordine al pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, ed avrebbero violato gli obblighi di verifica della capacità tecnica del soggetto cui le cisterne sarebbero state affidate per il lavaggio.
La sentenza impugnata, inoltre, sempre richiamando testualmente quella di primo grado, precisa che gli obblighi in questione «costituiscono la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento senza dubbio formulabili dall’homo eiusdem professionis et condicionis e di cui la società [“Nuova Solmine s.p.a.”] non può liberarsi invocando il principio dell’affidamento, essendosi in presenza di attività di alta specializzazione[…]». Il Giudice del rinvio, ancora, osserva che i soggetti preposti alle attività di “Nuova Solmine s.p.a.” sono da ritenere responsabili sia a titolo di colpa generica, per quanto appena detto, sia a titolo di colpa specifica, a norma del d.lgs. n. 152 del 2006. Precisa, che, a titolo di colpa specifica, rilevano, in particolare, sia l’omessa idonea classificazione dei rifiuti avviati a smaltimento presso la Truck Center, utile a segnalare il rischio per le persone derivante dall’ingresso nelle cisterne, sia il consenso a far effettuare le operazioni di smaltimento alla Truck Center, sebbene questa fosse sprovvista delle necessarie autorizzazioni e del tutto inidonea a compiere tale attività.
8.2. Se si prende l’imputazione formulata a carico della “Nuova Solmine s.p.a.”, si può immediatamente rilevare che la stessa, costituente il capo n. 2, fa espresso richiamo ai reati di cui al precedente capo n. 1, contestati ai soggetti preposti alla indicata società. Ciò premesso, l’imputazione di cui al capo n. 1, nella parte relativa a B.G., O.L., L.M., G.P. e M.P. contesta la violazione degli obblighi di informazione in ordine ai pericoli per la salute umana connessi alle cisterne non bonificate non solo in relazione alle ripartenze di queste da Scarlino, ma anche con riguardo alla fase successiva, ossia a quella in cui avvenne l’incidente. Invero, nell’ultima parte della contestazione ascritta a B.G., O.L., L.M., G.P. e M.P., si legge: «Tutti, inoltre, nelle sopra precisate qualità, avendo la società Nuova Solmine deciso, di concerto con la società FS Logistica BU Cargo Chemical, la utilizzazione del tank container SGCU 900527/5 per il trasporto di acido solforico (in luogo dello zolfo liquido in precedenza trasportato), omettevano (pur avendo l’obbligo giuridico, ricoprendo la società Nuova Solmine il ruolo di “speditore” di quel tank container ai sensi e per gli effetti della normativa dettata dall’ADR 2007) di attivarsi e garantire affinché quel tank container – vuoto ma non ripulito né degassificato – fosse marchiato ed etichettato conformemente alle prescrizioni 1.4 .2.1. 1. lett. e) e 1.4 . 2.1. 2. dell’ADR 2007 prima del suo trasporto su gomma, dal luogo di deposito (Bari, scalo intermodale “Ferruccio”) a Molfetta (presso l’autolavaggio della società Truck Center), commissionato da Nuova Solmine alla FS Logistica e da questa affidato alla società La Cinque Biotrans».
8.3. Dal raffronto tra il contenuto della decisione e l’imputazione risulta la corrispondenza delle coordinate spaziali e temporali di riferimento.
Se, infatti, la sentenza impugnata afferma la responsabilità amministrativa della “Nuova Solmine s.p.a.” valorizzando l’omesso adempimento degli obblighi di informazione in relazione alla fase finale del trasporto della cisterna in cui avvenne il tragico incidente dallo scalo di Bari sino a Molfetta, luogo in cui la ditta “Truck Center s.a.s.” avrebbe dovuto compiere le operazioni di bonifica, anche l’imputazione contesta alla “Nuova Solmine s.p.a.” di aver omesso, attraverso i suoi rappresentanti ed agenti, di assicurare le doverose informazioni in ordine alla pericolosità del trasporto della cisterna nella fase da Bari a Molfetta.
9. Fondate, invece, sono le censure formulate nel terzo motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”, le quali contestano, in sintesi, l’affermazione della ascrivibilità del reato presupposto agli agenti dell’ente, deducendo che nessun vincolo inderogabile deriva dal concordato di pena cui hanno aderito B.G., O.L. e L.M., e che la sentenza impugnata ha omesso una motivata ricostruzione del fatto, in particolare per non essersi confrontata con le censure e le osservazioni evidenziate nell’originario atto di appello e nella memoria depositata nel giudizio di rinvio, e per essere rimasta condizionata da plurimi errori percettivi risultanti dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione.
10. Stante l’equivoca indicazione della sentenza impugnata, è necessario innanzitutto precisare che la sentenza pronunciata nei confronti di B.G., O.L. e L.M., all’esito di concordato di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen., non esplica efficacia di giudicato nei confronti della società “Nuova Solmine s.p.a.”, ma rileva solo a norma dell’art. 238-bis cod. proc. pen.
10.1. Occorre muovere da un riferimento di carattere generale: come già affermato in giurisprudenza, in tema di responsabilità da reato degli enti, la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente né riduce l’ambito della cognizione giudiziale (così Sez. 6, n. 49056 del 25/07/2017, Brambilla, Rv. 271563-01).
A fondamento di questo principio, si premette che l’illecito da cui deriva la responsabilità a norma del d.lgs. n. 231 del 2001 costituisce una fattispecie complessa, in cui il reato è solo uno degli elementi, in concorso necessario con quelli costituiti dalla qualifica soggettiva della persona fisica che lo commette, siccome soggetto apicale o subordinato dell’ente, e dall’interesse o dal vantaggio per quest’ultimo. Si osserva quindi: «In ragione del carattere articolato e composito di tale fattispecie ascrittiva, nel processo nei confronti dell’ente la commissione del delitto presupposto dovrà essere verificata dal giudice di merito alla stregua della integrale contestazione dell’illecito dipendente da reato formulata nei confronti dell’ente e, pertanto, indipendentemente dalle legittime scelte processuali degli imputati che possano aver precluso la celebrazione del simultaneus processus nei confronti dei responsabili del reato e dell’ente per l’illecito ad esso collegato». Si sottolinea anzi: «La separazione delle posizioni di alcuni degli imputati originari per effetto della scelta di riti alternativi non incide, infatti, in alcun modo sulla originaria contestazione formulata nei confronti dell’ente, né tanto meno riduce l’ambito della cognizione giudiziale».
10.2. Il principio dell’autonomia della cognizione giudiziale, affermato per escludere che l’assoluzione di uno degli imputati del reato presupposto determini automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente, deve ritenersi applicabile anche quando uno o più imputati del reato presupposto vengano separatamente condannati nelle more del procedimento per l’irrogazione delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231 del 2001. In questo senso, infatti, importanti indicazioni sono desumibili dalle disposizioni in materia di efficacia di giudicato delle sentenze emesse dal giudice penale, cui spetta anche la cognizione della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Da un lato, in effetti, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231 del 2001 mira ad assicurare il più possibile il c.d. simultaneus processus nei confronti dell’ente e dell’autore del reato di riferimento, ma nulla prevede con riguardo alla efficacia delle sentenze irrevocabili pronunciate nei confronti di uno solo dei due soggetti. Dall’altro, le disposizioni del codice di rito sul giudicato, applicabili anche al processo nei confronti degli enti, a norma dell’art. 34 d.lgs. n. 231 del 2001, attribuiscono alla sentenza penale irrevocabile di condanna una efficacia vincolante irretrattabile solo con riguardo a vicende diverse da quelle in esame, ed a soggetti che abbiano potuto esercitare pienamente il diritto di difesa all’interno del processo nel quale si è formato il giudicato. Precisamente, l’art. 651 cod. proc. pen. prevede che la sentenza penale irrevocabile abbia efficacia di giudicato «nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale». L’art. 653 cod. proc. pen. riconosce l’efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile di condanna nel giudizio di responsabilità disciplinare, tra l’altro facendo implicitamente, ma inequivocabilmente riferimento solo a quello nei confronti del condannato in sede penale. L’art. 654 cod . proc. pen., pur di portata più generale, infine, contempla l’efficacia di giudicato della sentenza irrevocabile di condanna «[n]ei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale». Ai fini della individuazione del significato dell’intervento indicato dagli artt. 651 e 654 cod. proc. pen., poi, non va trascurato che l’art. 575 cod. proc. pen. riconosce al responsabile civile la possibilità di proporre autonomamente impugnazione con i «mezzi» attribuiti dalla legge all’imputato.
A fondamento del principio dell’autonomia della cognizione giudiziale, in aggiunta alle indicazioni desumibili dal complesso delle disposizioni normative sopra citate, va anche richiamata una più generale ragione di ordine sistematico. Precisamente, la soluzione che esclude l’efficacia di giudicato nei confronti dell’ente alla pronuncia irrevocabile di condanna emessa separatamente a carico dell’autore del reato è suggerita anche dalla necessità di assicurare tanto all’ente quanto alla persona fisica la possibilità di esercitare tutte le facoltà rientranti nel loro diritto di difesa, senza subire ingiustificate limitazioni derivanti dalle scelte processuali dell’altro soggetto.
10.3. Dato il principio dell’autonomia della cognizione giudiziale, nell’ipotesi in cui i due procedimenti siano trattati ab origine o proseguano separatamente, come segnalato anche in dottrina, dovrà essere osservato il regime previsto dagli artt. 238 e 238-bis cod. proc. pen.
Ne discende che la sentenza pronunciata in diverso procedimento e passata in giudicato nei confronti dell’autore del reato sarà utilizzabile ai fini della prova dei fatti in essa accertati, nel distinto giudizio nei confronti dell’ente, solo a norma degli artt . 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. Ovviamente, a corrispondente conclusione deve pervenirsi quando la sentenza irrevocabile è pronunciata nei confronti dell’ente ed il giudizio prosegue a carico dell’autore del reato.
10.4. La conclusione appena indicata non muta certo quando il processo nei confronti di uno dei due soggetti è definito, in sede di giudizio di impugnazione, con il concordato di cui all’art. 599-bis cod. proc. pen.
In proposito, anzi, appare utile richiamare l’elaborazione della giurisprudenza che esclude l’effetto estensivo del concordato in appello ai coimputati, sottolineando il profilo marcatamente personale dell’istituto previsto dall’art. 599- bis cod. proc. pen. Si è infatti osservato che il concordato in appello non può produrre alcun effetto estensivo a vantaggio degli altri coimputati, perché non può comportare nemmeno in astratto un contrasto con altri giudicati, in quanto è istituto che si fonda sull’accordo e configura una scelta «esclusivamente personale», caratterizzata dalla necessaria rinuncia ad alcuni motivi di gravame (così Sez. 2, n. 47844 del 13/09/2019, Recca, Rv. 277684-01).
11. Precisato che la sentenza pronunciata nei confronti B.G., O.L. e L.M., all’esito di concordato di pena ex art. 599-bis cod. proc. pen., non esplica efficacia di giudicato nei confronti della società “Nuova Solmine s.p.a.”, deve poi darsi atto che la sentenza impugnata è affetta da vizio di motivazione quando afferma la sussistenza del reato a carico degli agenti dell’impresa, anche perché ha operato una ricostruzione del fatto senza confrontarsi in alcun modo con le censure e le osservazioni evidenziate dalla precisata società ricorrente nell’originario atto di appello e nella memoria depositata nel giudizio di rinvio.
11.1. Va premesso che la compiutezza degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di rinvio non può essere affermata solo perché si fonda su corrispondenti affermazioni della precedente pronuncia rescindente emessa dalla Corte di cassazione.
Costituisce principio ampiamente consolidato quello secondo cui, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (così, per tutte, Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629-02, e Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264861-01).
11.2. La sentenza impugnata, nell’esaminare il tema della correlazione tra accusa e sentenza, dà per acquisite le conclusioni della sentenza di primo grado.
Precisamente, la Corte d’appello, richiamando la decisione di primo grado, ritiene che la società “Nuova Solmine s.p.a. ” deve essere giudicata responsabile dell’illecito amministrativo dipendente da reato contestatole perché i soggetti ad essa preposti, pur essendo perfettamente a conoscenza dei rischi derivanti dall’immagazzinamento dello zolfo fuso nei tank containers, per la inevitabile presenza di acido solfidrico liberatosi dallo zolfo durante il trasporto a caldo, avevano omesso di fornire le doverose informazioni sia in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nelle predette cisterne, sia in ordine al pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, ed avevano violato gli obblighi di verifica della capacità tecnica del soggetto cui le cisterne sarebbero state affidate per il lavaggio. La sentenza impugnata, inoltre, sempre richiamando testualmente quella di primo grado, precisa che gli obblighi in questione «costituiscono la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento senza dubbio formulabili dall’homo eiusdem professionis et condicionis e di cui la società [“Nuova Solmine s.p.a.”] non può liberarsi invocando il principio dell’affidamento, essendosi in presenza di attività di alta specializzazione [ …]».
Aggiunge, ancora, che i soggetti preposti alle attività di “Nuova Solmine s.p.a.” sono da ritenere responsabili non solo a titolo di colpa generica, per quanto appena detto, ma anche a titolo di colpa specifica, a norma del d.lgs. n. 152 del 2006. Rappresenta, che, a titolo di colpa specifica, rilevano, in particolare, sia l’omessa idonea classificazione dei rifiuti avviati a smaltimento presso la Truck Center, utile a segnalare il rischio per le persone derivante dall’ingresso nelle cisterne, sia il consenso a far effettuare le operazioni di smaltimento alla Truck Center, sebbene questa fosse sprovvista delle necessarie autorizzazioni e del tutto inidonea a compiere tale attività. La sentenza impugnata, infine, afferma che: -) le conclusioni raggiunte in primo grado debbono ritenersi implicitamente avallate dalla sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione, perché questa ha fondato la posizione di garanzia degli amministratori della società “Nuova Solmine s.p.a.” non solo su profili di colpa generica, ma anche su profili di colpa specifica in materia di rifiuti; -) il nesso di causalità tra le condotte colpose ritenute a carico degli amministratori della “Nuova Solmine s.p.a.” e l’evento mortale risulta «diffusamente argomentato dal primo giudice».
11.3. Il discorso giustificativo della Corte d’appello, sviluppato nei termini appena sintetizzati, si caratterizza per una acritica adesione al contenuto della sentenza di primo grado, che non si confronta con le specifiche argomentazioni proposte dalla difesa con l’atto di appello nonché in sede di rinvio, e puntualmente richiamate nel ricorso in esame.
In particolare, la sentenza impugnata non ha risposto alle obiezioni difensive concernenti: -) la non riferibilità alla “Nuova Solmine s.p.a.” della scelta di ricorrere a cisterne già utilizzate per il trasporto di zolfo fuso per nuove operazioni di trasporto aventi ad oggetto, questa volta, l’acido solforico; -) la inclusione del viaggio della cisterna in cui avvenne l’incidente dagli stabilimenti della “Nuova Solmine s.p.a.” a Bari il 28 dicembre 2007 ancora nel contesto della circolazione “ad anello” per il trasporto di zolfo fuso, con conseguente non necessità di procedere a lavaggio; -) l’attribuzione alla “Nuova Solmine s.p.a.” della qualifica di «speditore del rifiuto», quando la compilazione del RIO di accompagnamento della cisterna avveniva ad opera del personale di Trenitalia ed il vettore di questa era perfettamente a conoscenza della presenza di acido solfidrico; -) l’attribuzione alla “Nuova Solmine s.p.a.” della qualifica di «datore di lavoro», e, perciò, di responsabile della violazione delle disposizioni in materia di valutazione del rischio aziendale a norma del d.lgs. n. 626 del 1994, sebbene si tratti di qualifica mai indicata nelle imputazioni; -) la mancata considerazione, in ogni caso dell’autonomia organizzativa e gestionale di “F.S. Logistica” nel decidere quali cisterne utilizzare per il trasporto di un prodotto diverso dallo zolfo fuso, e precisamente, nella specie, per la movimentazione di acido solforico.
Si tratta di rilievi critici che, complessivamente considerati, assumono un’importanza decisiva ai fini della correttezza del giudizio in ordine all’attribuzione del reato ad una delle persone agenti per la società “Nuova Solmine s.p.a.” a norma delle lett. a) e b) dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001. Invero, secondo le convergenti acquisizioni processuali, se la cisterna in cui avvenne l’incidente rientrava ancora nell’ambito del circuito “ad anello” per il trasporto di zolfo fuso, non vi era alcuna necessità, né utilità di ripulire la stessa. Risulta quindi dirimente accertare, ai fini dell’individuazione della penale responsabilità degli agenti della “Nuova Solmine s.p.a.”, se questi dovessero ragionevolmente ritenere che, nel momento in cui fu consegnata al vettore ed inviata a Bari, la cisterna era ancora destinata ad essere utilizzata nel sistema del circuito “ad anello” per il trasporto di zolfo fuso, o, invece, poteva essere dismessa o destinata ad altri usi, e, quindi, doveva essere “bonificata”. In effetti, solo qualora si accerti che fosse ragionevolmente prevedibile dai preposti della “Nuova Solmine s.p.a.”, che la cisterna in cui avvenne l’incidente, nel momento in cui fu consegnata al vettore, poteva essere destinata ad un uso diverso da quello del trasporto dello zolfo fuso, o dismessa, si pone il problema di verificare se i medesimi soggetti agirono in violazione degli obblighi di informazione in ordine al materiale trasportato, ed alla sua pericolosità, nonché degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia ai fini della valutazione della capacità tecnica del soggetto cui la cisterna sarebbe stata affidata per il lavaggio. Come si osserva infatti in dottrina, il contenuto del dovere di diligenza deve essere determinato sulla base di regole di condotta con finalità preventive, le quali siano “appropriate” in funzione della situazione concreta.
12. Fondate, ancora, sono le censure formulate nel quarto motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”, le quali criticano l’affermazione della sussistenza di un «interesse» dell’ente alla commissione del reato, deducendo che non vi è alcun elemento dal quale inferire un risparmio di costi o un vantaggio economico per il medesimo derivante dalla previsione contrattuale di utilizzare per le nuove operazioni di trasporto, concernenti l’acido solforico, le cisterne già utilizzate per la vettura di zolfo fuso.
12.1. Si sono già indicati, in precedenza, al § 5.2.1., i principi giuridici applicabili in tema di criteri di imputazione oggettiva del reato agli enti nel sistema del d.lgs. n. 231 del 2001.
In particolare, si è rilevato che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica: -) il criterio di imputazione oggettiva dell’«interesse», da riferire alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorre quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento; -) la responsabilità amministrativa non può essere esclusa in considerazione della esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi; -) il criterio di imputazione oggettiva dell’«interesse» può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un’iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente. Il Collegio ritiene di dover evidenziare che, come conferma l’elaborazione giurisprudenziale appena sintetizzata, vi è un preciso presupposto per l’applicabilità dei criteri oggettivi di imputazione all’ente dei reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica: !’«interesse», come anche il «vantaggio», deve essere apprezzato con specifico riguardo alla condotta realizzata in violazione delle regole cautelari. In altri termini, l’«interesse» dell’ente alla commissione del reato, che rileva a norma dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, è quello alla commissione di una condotta in violazione delle regole cautelari, in ragione della finalizzazione della stessa a procurargli un vantaggio.
12.2. La sentenza impugnata ha ravvisato l’interesse della società «Nuova Solmine s.p.a.” avendo riguardo alla determinazione del contenuto del contratto tra detta impresa e “F.S. Logistica”.
Precisamente, in proposito, la Corte d’appello di Bari, anche rispondendo alle osservazioni della difesa della società, ha così argomentato: «Ed invero è innegabile che prevedere contrattualmente l’impiego per il trasporto di acido solforico delle cisterne previamente utilizzate per il trasporto di zolfo, previa modifica e bonifica e non invece mediante nuove cisterne, ha comportato che il canone onnicomprensivo pattuito tra Nuova Solmine e FS Logistica nel contratto suindicato, fosse obiettivamente più contenuto rispetto ad un rinnovo totale del “parco” cisterne, che avrebbe certamente ridotto al minimo se non addirittura eliminato il pericolo di commistione tra residui di zolfo ed acido ed evitato l’evento».
12.3. La conclusione della sentenza impugnata è viziata, perché si fonda su una valutazione dell’interesse che omette di correlare lo stesso alla violazione di una congrua regola cautelare.
Si è detto che l’«interesse» dell’ente alla commissione del reato, rilevante a norma dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, è quello alla commissione di una condotta in violazione delle regole cautelari, in ragione della finalizzazione di tale condotta a procurare al soggetto sopraindividuale un risparmio di spesa o, almeno, un effetto di “massimizzazione della produzione”. La sentenza impugnata ritiene che la condotta in violazione delle regole cautelari, alla commissione quale deve essere apprezzato l’«interesse» dell’ente, è quella consistita nel «prevedere contrattualmente l’impiego per il trasporto di acido solforico delle cisterne previamente utilizzate per il trasporto di zolfo, previa modifica e bonifica e non invece mediante nuove cisterne». La sentenza, però, non espone alcun elemento utile per spiegare perché, nella specie, fosse rilevabile una regola cautelare che impediva in assoluto l’impiego delle cisterne già utilizzate per il trasporto dello zolfo allo stato fuso anche per la vettura di acido solforico. Inoltre, la sentenza impugnata, nell’affermare l’«interesse» della società “Nuova Solmine s.p.a.” alla commissione del reato, non ha tenuto conto della condotta che essa ha posto a fondamento della responsabilità dei suoi esponenti. La Corte d’appello, infatti, come ampiamente detto in precedenza, quando ha individuato la condotta colposa degli agenti della società “Nuova Solmine s.p.a.”, non ha mai fatto riferimento al comportamento costituito dalla stipulazione del contratto prevedente il riutilizzo delle cisterne, ma, invece, e del tutto diversamente, ha avuto riguardo al comportamento integrato dall’invio del tank container senza la prestazione delle informazioni in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nei precisati veicoli, ed al conseguente pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, nonché al comportamento integrato dal consenso all’affidamento delle operazioni di pulizia di tali mezzi di trasporto ad un soggetto senza verificarne l’abilitazione e la capacità tecnica. Di conseguenza, la sentenza impugnata è gravemente lacunosa per un duplice ordine di motivi. Da un lato, non ha spiegato perché era ravvisabile una regola cautelare la quale inibiva in assoluto il riutilizzo delle cisterne già adoperate per il trasporto dello zolfo allo stato fuso, così da evidenziare una specifica condotta colposa, che, per di più, sembrerebbe estranea anche alla imputazione del pubblico ministero. Dall’altro, non ha valutato la sussistenza dell’«interesse» della “Nuova Solmine s.p.a.” alla commissione, da parte dei suoi agenti, di quelle condotte contrastanti con gli obblighi di informazione e di verifica poste a fondamento dell’affermazione della sussistenza del reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen., e, quindi, non ha nemmeno spiegato perché dovrebbe ritenersi sussistente un interesse di questo contenuto.
13. L’accoglimento delle censure enunciate nel terzo e nel quarto motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.” rende, allo stato assorbite le questioni poste nel quinto motivo, le quali attengono alla omessa applicazione dell’esimente di cui all’art. 30, comma 5, d.lgs. n. 81 del 2008, ovvero dell’attenuante di cui all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001, e alla determinazione del valore della quota di sanzione applicata.
Invero, l’esame dei profili concernenti le cause di non punibilità, le attenuanti ed il trattamento sanzionatorio presuppongono l’accertamento del reato commesso dagli agenti dell’ente e la sua imputazione oggettiva all’ente, sulla base dei criteri dell’«interesse» o del «vantaggio», nella loro concreta conformazione.
14. I ricorsi di G.P. e di M.P., esposti con un unico atto, sono infondati o comunque da disattendere con riguardo alle censure formulate nel primo, nel secondo e nel quarto motivo, mentre sono fondati in relazione alle doglianze proposte con il terzo motivo.
15. Le censure formulate nel primo e nel secondo motivo dei ricorsi di G.P. e di M.P. sono esattamente corrispondenti a quelle enunciate nel primo e nel secondo motivo del ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.”.
Precisamente, le doglianze contenute nel primo motivo contestano la validità della sentenza impugnata, deducendo che la stessa è nulla perché l’ultima udienza si è tenuta nelle forme della trattazione orale, in assenza di richiesta delle parti o comunque di comunicazione alle stesse da parte dell’ufficio giudiziario procedente, e, quindi, con violazione dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. Le doglianze proposte con il secondo motivo contestano la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, deducendo che la condotta rilevante, costituita dall’omessa bonifica delle cisterne, nell’imputazione è collocata nella fase dello scarico dello zolfo a Scarlino, mentre nella decisione è posta nella fase del trasferimento della cisterna in avvenne il tragico incidente da Bari a Molfetta, quindi in un luogo ed in un segmento temporale del tutto diversi.
Le stesse sono infondate per le ragioni indicate in precedenza, precisamente nei §§ 7., 7.1. e 7.2. con riguardo alla questione della invalidità della sentenza impugnata in quanto pronunciata all’esito di trattazione orale non richiesta dalle parti, e nei §§ 8., 8.1., 8.2. e 8.3., in relazione alla questione della violazione del ;1 principio di correlazione tra accusa e sentenza.
16. Da disattendere sono anche le censure esposte nel quarto motivo dei ricorsi di G.P. e di M.P., il cui esame è logicamente preliminare a quelle enunciate nel quarto motivo.
Nel quarto motivo, precisamente, si denuncia l’illegittimità costituzionale degli artt. 576 e 622 cod. proc. pen., in relazione all’art. 6, par. 2, CEDU, quale parametro interposto dell’art. 117 Cast., e agli artt. 3 e 4 direttiva 2016/UE/343 e all’art. 48 Carta di Nizza, quali parametri interposti degli artt. 11 e 117 Cast., avendo riguardo al ritenuto potere-dovere del giudice del rinvio, anche in caso di già intervenuta assoluzione irrevocabile, di riesaminare tutti gli aspetti della vicenda ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda civile, in contrasto con il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza.
La questione è manifestamente infondata.
16.1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 182 del 2021, depositata il 30 luglio 2021, ha già esaminato la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 578 cod. proc. pen., proposta in riferimento agli stessi parametri evocati in questa sede. Precisamente, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale – promosse in riferimento all’art. 117, primo comma, Cast., in relazione all’art. 6, par. 2, CEDU, nonché in riferimento allo stesso art. 117, primo comma, e all’art. 11 Cast., in relazione agli artt. 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343, e all’art. 48 CDFUE – dell’art. 578 cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che, quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
A fondamento della sua decisione, come efficacemente sintetizzato nella massima ufficiale, il Giudice delle Leggi ha innanzitutto osservato: «La disposizione censurata – che mira a soddisfare un’esigenza di tutela della parte civile: quella che, quando il processo penale ha superato il primo grado ed è nella fase dell’impugnazione, una risposta di giustizia sia assicurata, in quella stessa sede, alle sue pretese risarcitorie o restitutorie, anche quando non possa più esserci un accertamento della responsabilità penale dell’imputato – non viola il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza come declinato nell’ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell’ordinamento dell’Unione europea, perché nella situazione processuale che vede il reato estinto per prescrizione e quindi l’imputato prosciolto dall’accusa, il giudice non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili; giudizio che non è richiesto dal tenore testuale della disposizione censurata, né dal diritto vivente risultante dalla giurisprudenza di legittimità.
Ha poi rappresentato: «Può pertanto accedersi all’interpretazione conforme agli indicati parametri interposti, per cui il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, anziché verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, deve accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). La mancanza di un accertamento incidentale della responsabilità penale in ordine al reato estinto per prescrizione non preclude la possibilità per il danneggiato di ottenere l’accertamento giudiziale del suo diritto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, la cui tutela deve essere assicurata, nella valutazione sistemica e bilanciata dei valori di rilevanza costituzionale al pari di quella, per l’imputato, derivante dalla presunzione di innocenza. In tal modo – se, dichiarata la sopravvenuta causa estintiva del reato, l’imputato avrà diritto a che la sua responsabilità penale non sia più rimessa in discussione, mentre la parte civile avrà diritto al pieno accertamento dell’obbligazione risarcitoria – il legislatore ha operato un bilanciamento tra le esigenze sottese all’operatività del principio generale di accessorietà dell’azione civile rispetto all’azione penale (che esclude la decisione sul capo civile nell’ipotesi di proscioglimento) e le esigenze di tutela dell’interesse del danneggiato, costituito parte civile».
16.2. Gli argomenti svolti dal Giudice delle Leggi nella pronuncia appena indicata, per i parametri di costituzionalità venuti in rilievo in quel giudizio, consentono di approdare ai medesimi risultati anche con riguardo agli artt. 576 e 622 cod. proc. pen., oggetto di scrutinio in questa sede.
Invero, anche nel caso di giudizio conseguente ad impugnazione proposta dalla parte civile avverso sentenza di assoluzione, a norma dell’ art . 576 cod. proc. pen., il giudice penale non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione sui capi della sentenza impugnata che concernono gli effetti civili. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 182 del 2021, sembra dare conferma di questa conclusione con affermazioni di carattere generale, ad esempio laddove afferma: «Il giudice dell’impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)» (cfr. diffusamente§ 14). E, anzi, a conferma della conclusione accolta in questa sede, non può non considerarsi anche l’argomento letterale, desumibile dal testo dell’art. 576 cod. proc. pen., ossia proprio dal testo della disposizione che prevede e disciplina l’impugnazione della parte civile: a norma dell’art. 576, comma 1, cod. proc. pen., l’impugnazione proposta dalla parte civile, quando si dirige contro una sentenza di proscioglimento, attiene «ai soli effetti della responsabilità civile ».
Può concludersi, quindi, che anche l’art. 576 cod. proc. pen. non viola il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza come declinato nell’ordinamento convenzionale dalla giurisprudenza della Corte EDU e come riconosciuto nell’ordinamento dell’Unione europea, perché, anche nella situazione processuale che vede l’imputato prosciolto dall’accusa e il processo di impugnazione attivato esclusivamente dall’iniziativa della parte civile, il giudice non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili.
17. Fondate, invece, sono le censure formulate nel terzo motivo dei ricorsi di G.P. e di M.P., le quali contestano, in sintesi, l’affermazione della ascrivibilità del fatto illecito ai medesimi, deducendo che la sentenza impugnata ha omesso una motivata ricostruzione del fatto, in particolare per non essersi confrontata con le censure e le osservazioni evidenziate nell’originario atto di appello e nella memoria depositata nel giudizio di rinvio, e per essere rimasta condizionata da plurimi errori percettivi risultanti dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione, sia con riferimento alla individuazione della posizione di garanzia dei ricorrenti, sia, più in generale, con riferimento all’attribuzione del fatto ad agenti della società “Nuova Solmine s.p.a. “.
17 .1. Ai fini dell’esame delle censure appena sintetizzate, sono utili due premesse concernenti i principi giuridici applicabili.
17 .1.1. Innanzitutto, risulta necessario distinguere se la responsabilità ipotizzata a carico dei due ricorrenti sia di tipo commissivo o, invece, di tipo omissivo, per trarne le doverose conseguenze. Nel primo caso, infatti, è sufficiente verificare se la concreta condotta tenuta dall’imputato sia stata compiuta in violazione, o meno, di regole cautelari. Nel secondo caso, invece, occorre anche preliminarmente verificare se sussiste in capo all’imputato una posizione di garanzia.
Invero, secondo l’insegnamento giurisprudenziale assolutamente consolidato, in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata o da investitura formale, ossia da una fonte normativa, di diritto pubblico o di natura privatistica, o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante purché l’agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento concludente, consistente nella presa in carico del bene protetto (cfr., tra le tantissime, Sez. 4, n. 19558 del 14/01/2021, Mussano, Rv. 281171- 01, e Sez. 4, n. 24372 del 09/04/2019, Molfese, Rv. 276292-01).
Le medesime categorie garantistiche, inoltre, trovano applicazione anche ai fini dell’accertamento della responsabilità civile. Anche nella giurisprudenza civile, infatti, si afferma che, in tema di responsabilità civile, la condotta attiva colposa, caratterizzata dall’omesso rispetto di regole cautelari proprie (cd. “omissione nell’azione”), va distinta dalla condotta omissiva propria (omissione in senso stretto), in quanto, mentre quest’ultima postula, ai fini del risarcimento del danno ad essa conseguente, la violazione di uno specifico obbligo di agire per impedire la lesione di un diritto altrui, la prima presuppone semplicemente il mancato rispetto di regole di prudenza, perizia o diligenza volte a prevenire il danno medesimo (cfr., per tutte, Sez. 3 civ., n. 7362 del 15/03/2019, Rv. 653259-01, e Sez. 3, n. 20328 del 20/09/2006, Rv. 593318-01).
17.1.2. In secondo luogo, va richiamato quanto già indicato in precedenza al § 11.1., sull’efficacia delle valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento.
Precisamente, risulta utile ribadire che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova.
17.2. La sentenza impugnata ha dedicato brevi osservazioni all’affermazione di responsabilità civile di G.P. e di M.P..
Precisamente, la Corte d’appello si è limitata a richiamare un punto della sentenza di annullamento della Corte di cassazione, ed a trarne automatiche conclusioni. Il punto della sentenza rescindente, trascritto dalla Corte d’appello, è il seguente: «Infatti, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini della individuazione del garante nelle strutture complesse occorre far riferimento al soggetto deputato alla gestione del rischio essendo comunque riconosciuto come riconducibile alla sfera del preposto il rischio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa, al datore di lavoro l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo». Sulla base di questa premessa, la sentenza impugnata ha concluso: «non possono che confermarsi le statuizioni civili adottate dal primo giudice, nei confronti del G.P. e del M.P., fondate sostanzialmente sui medesimi principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte». Peraltro, presupposto implicito di tutto il ragionamento è quello, precedentemente esaminato, costituito dalla riferibilità del tragico incidente (anche) agli agenti della società “Nuova Solmine s.p.a.”, perché questi, pur essendo perfettamente a conoscenza dei rischi derivanti dall’immagazzinamento dello zolfo fuso nei tank containers, per la inevitabile presenza di acido solfidrico liberatosi dallo zolfo durante il trasporto a caldo, avevano omesso di fornire le doverose informazioni sia in ordine alla tipologia del prodotto contenuto nelle predette cisterne, sia in ordine al pericolo per le persone di venire in contatto con lo stesso, ed avevano violato gli obblighi di verifica della capacità tecnica del soggetto cui le cisterne sarebbero state affidate per il lavaggio.
17.3. Il discorso giustificativo della Corte d’appello, sviluppato nei termini appena sintetizzati, si caratterizza per una assertiva adesione al contenuto della sentenza di primo grado, che non si confronta con le specifiche argomentazioni proposte dalla difesa con l’atto di appello nonché in sede di rinvio, e puntualmente richiamate nel ricorso in esame.
In particolare, la sentenza impugnata non ha risposto alle obiezioni difensive concernenti:-) la non riferibilità alla “Nuova Solmine s.p.a.” della scelta di ricorrere a cisterne già utilizzate per il trasporto di zolfo fuso per nuove operazioni di trasporto aventi ad oggetto, questa volta, l’acido solforico; -) la inclusione del viaggio della cisterna in cui avvenne l’incidente dagli stabilimenti della “Nuova Solmine s.p.a.” a Bari il 28 dicembre 2007 ancora nel contesto della circolazione “ad anello” per il trasporto di zolfo fuso, con conseguente non necessità di procedere a lavaggio; -) l’attribuzione alla “Nuova Solmine s.p.a.” della qualifica di «speditore del rifiuto», quando la compilazione del RID di accompagnamento della cisterna avveniva ad opera del personale di Trenitalia ed il vettore di questa era perfettamente a conoscenza della presenza di acido solfidrico; -) l’assenza di elementi da cui inferire una posizione di garanzia di M.P. e G.P. rispetto all’evento, sia in relazione a fonti formali, neppure acquisite agli atti del processo, sia con riguardo ad una eventuale assunzione volontaria del rischio connesso alla gestione dei residui di acido solforico derivanti dal trasporto dello zolfo fuso.
Si tratta di rilievi critici che, complessivamente considerati, assumono un’importanza decisiva ai fini della correttezza del giudizio in ordine all’attribuzione del fatto illecito ai due imputati. Innanzitutto, come si è rilevato in precedenza, al § 11.3, solo qualora si accerti che preposti della “Nuova Solmine s.p.a.” avrebbero dovuto ragionevolmente prevedere che la cisterna in cui avvenne l’incidente, nel momento in cui fu consegnata al vettore, poteva essere destinata ad un uso diverso da quello del trasporto dello zolfo fuso, o dismessa, si pone il problema di verificare se i medesimi soggetti agirono in violazione degli obblighi di informazione in ordine al materiale trasportato, ed alla sua pericolosità, nonché degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia ai fini della valutazione della capacità tecnica del soggetto cui la cisterna sarebbe stata affidata per il lavaggio.
In secondo luogo, poi, nel caso di accerti che era ragionevolmente prevedibile, da parte dei preposti della “Nuova Solmine s.p.a.”, che la cisterna in cui avvenne l’incidente, nel momento in cui fu consegnata al vettore, poteva essere destinata ad un uso diverso da quello del trasporto dello zolfo fuso, o dismessa, occorrerà comunque verificare specificamente se M.P. e G.P. intervennero attivamente in questa operazione o comunque erano titolari di una posizione di garanzia, derivante da una fonte normativa, anche di tipo privatistico, o dall’assunzione in gestione dello specifico rischio mediante un comportamento concludente, e, quindi, se, con la loro condotta, agirono in violazione degli obblighi di informazione, diligenza, prudenza e perizia sopra indicati.
18. Il ricorso della parte civile Comune di Molfetta è fondato con riguardo a tutte le censure, e, quindi, sia a quelle formulate nel primo motivo, sia a quelle esposte nel secondo motivo.
18.1. Le censure enunciate nel primo motivo contestano il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni proposta dalla parte civile Comune di Molfetta nei confronti degli imputati B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P.. Invero, la sentenza impugnata, dopo aver dato atto che la parte civile Comune di Molfetta ha formulato le sue conclusioni e si è riportata ai motivi di impugnazione in relazione alle posizioni di M.P. e G.P., si è limitata, in motivazione, a rigettare la richiesta di provvisionale sul presupposto dell’avvenuto risarcimento da parte di “Mercitalia Logistic”, già “F.S. Logistica”, e, in dispositivo, a “dichiarare” questi due imputati responsabili, ai fini civili, dell’imputazione loro ascritta.
Risulta quindi evidente l’assenza di qualunque risposta alla domanda di risarcimento dei danni avanzata dal Comune di Molfetta nei confronti degli imputati B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P..
18.2. Le censure proposte con il secondo motivo contestano l’illegittimità della liquidazione delle spese processuali in favore di essa parte civile, sia perché queste sono state fissate in misura abnormemente inferiore rispetto ai parametri normativamente predeterminati e senza alcuna motivazione, sia perché non è stato riconosciuto alcunché con riferimento al primo giudizio di appello.
Occorre premettere che, come già precisato in giurisprudenza, deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso il capo della sentenza di condanna relativo alla rifusione delle spese in suo favore quando sia dedotta la mancanza assoluta di motivazione della statuizione per l’omessa indicazione, anche in modo sommario, dei criteri di determinazione adottati per la liquidazione, con riferimento ai limiti tariffari previsti dal d.m. n. 155 del 2014, per le attività difensive svolte (così Sez. 1, n. 7900 del 12/12/2019, dep. 2020, Lomma, Rv. 278474-01, relativa a fattispecie in cui il giudice di appello aveva provveduto alla liquidazione delle spese processuali solo nella parte dispositiva della sentenza di condanna, in riforma di quella di assoluzione di primo grado).
Ciò posto, la sentenza impugnata si è limitata a liquidare a ciascuna parte civile, e quindi anche al Comune di Molfetta, la somma di euro 600,00, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettarie per il giudizio di rinvio, e di euro 900,00, oltre accessori di legge, per il precedente giudizio di legittimità, sulla base della motivazione «stimasi equo», e nulla ha disposto con riferimento al primo giudizio di appello.
Risulta quindi evidente che la sentenza impugnata è incorsa in violazione di legge, perché, con riguardo alla parte civile ricorrente, ha sì liquidato le spese processuali per il giudizio di rinvio e per il precedente giudizio di cassazione, ma riconoscendo un importo enormemente inferiore rispetto ai valori medi previsti dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55, senza fornire alcuna effettiva motivazione, ed ha inoltre omesso di liquidare le spese per il primo giudizio di appello, senza spiegare le ragioni di tale scelta.
19. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere in parte annullata con rinvio per nuovo giudizio, per la fondatezza dei motivi di ricorso della parte civile Comune di Molfetta, e di alcuni dei motivi di ricorso della società “Nuova Solmine s.p.a.” e degli imputati M.P. e G.P.. Le restanti censure della società “Nuova Solmine s.p.a.” e degli imputati M.P. e G.P. debbono essere rigettate, mente i ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” sono da dichiarare inammissibili.
19.1. Precisamente, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio: -) nei confronti dell’ente società “Nuova Solmine s.p.a.”, sia nella parte relativa all’affermazione della commissione del reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen. da parte di persone agenti per conto della stessa, a norma dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, sia nella parte relativa alla sussistenza di un suo «interesse» alla commissione di detto reato; -) nei confronti degli imputati M.P. e G.P., nella parte relativa all’affermazione della commissione da parte dei medesimi di un fatto illecito agli effetti della responsabilità civile; -) nei confronti della parte civile Comune di Molfetta sia nella parte relativa alla omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni da essa proposta nei confronti degli imputati B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P., sia nella parte relativa alla liquidazione delle spese processuali in suo favore per il giudizio di rinvio, per il precedente giudizio di cassazione e per il primo giudizio di appello.
L’infondatezza dei ricorsi della società “Nuova Solmine s.p.a.” e degli imputati M.P. e G.P. nelle parti relative alla nullità della sentenza impugnata per ragioni determinare dalle forme di svolgimento dell’udienza ed alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, tuttavia, rende non più contestabili le corrispondenti statuizioni. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi di P.C. e della società “La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c.” segue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Detti ricorrenti, peraltro, nono debbono essere condannati alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, perché né il Comune di Molfetta, né la Regione Puglia ha presentato domanda risarcitoria nei loro confronti: in particolare, la Regione Puglia, nelle conclusioni depositate nel giudizio di rinvio il 22 settembre 2020, risulta aver formulato richieste esclusivamente nei confronti di O.L., L.M., M.P. e G.P..
19.2. Il Giudice del rinvio si individua in altra Sezione della Corte d’appello di Bari, diversa da quella che ha emesso la sentenza impugnata, anche ai fini della decisione su tutte le statuizioni civili.
Costituisce infatti principio più volte enunciato, e mai contrastato, in giurisprudenza, quello in forza del quale, in tema di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza impugnata ai solo effetti civili, il rinvio al giudice civile, di cui alla seconda parte dell’art. 622 cod. proc. pen., è limitato all’ipotesi in cui la sentenza di proscioglimento venga caducata esclusivamente in accoglimento del ricorso della parte civile, mancando o venendo rigettati altri ricorsi rilevanti agli effetti penali (così Sez. 4, n. 2242 del 22/10/2019, dep. 2020, D. Rv. 278029-01, e Sez. 5, n. 10097 del 15/01/2015, Cassaniti, Rv. 262633-01).
Questo principio, il cui fondamento è individuato sia nella lettera dell’art. 622 cod. proc. pen. («se annulla “solamente” le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile»), sia nella sua ratio di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non vi sia più nulla da accertare agli effetti penali, deve trovare applicazione anche quando l’annullamento ad effetti diversi da quelli civili riguardi esclusivamente la responsabilità di un ente a norma del d.lgs. n. 231 del 2001.
Invero, a norma dell’art. 36 d.lgs. n. 231 del 2001, «[l]a competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono». Di conseguenza, anche in questa ipotesi non vi è annullamento che riguardi «solamente» le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile, e non vi è necessità di evitare ulteriori interventi del giudice penale. Piuttosto, la concentrazione del processo davanti al medesimo giudice, quando le diverse questioni siano tra loro collegate, risponde anche alle esigenze di assicurare una maggiore efficienza delle attività processuali, di evitare una duplicazione di attività non necessaria, e di ridurre i rischi di giudicati almeno potenzialmente contrastanti.
19.3. Il Giudice del rinvio appena indicato, precisamente, accerterà: -) nei confronti della società “Nuova Solmine s.p.a.”, se agenti della stessa, muniti delle qualifiche di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, abbiano commesso il reato di cui all’art. 589, primo, secondo e quarto comma, cod. pen. oggetto del presente processo, e se detto ente avesse «interesse» alla commissione del medesimo. A tal fine, in particolare, si atterrà ai principi indicati in precedenza, in particolare nel § 12.1, ed eviterà di incorrere nei vizi logico-giudici evidenziati in particolare nei§§ 11.3. e 12.3. Inoltre, qualora ravvisi la sussistenza degli indicati presupposti di responsabilità dell’ente, esaminerà le questioni oggetto del quinto motivo di ricorso dello stesso, e considerate in questa sede assorbite; -) nei confronti degli imputati M.P. e G.P., se gli stessi abbiano commesso un fatto illecito agli effetti della responsabilità civile in danno delle parti civili ancora costituite. A tal fine, in particolare, si atterrà ai principi indicati in precedenza, in particolare nel § 17.1, ed eviterà di incorrere nei vizi logico-giudici evidenziati in particolare nel§ 17.3; -) nei confronti della parte civile Comune di Molfetta, se sia o meno fondata la domanda di risarcimento danni da essa proposta nei confronti degli imputati B.G., O.L., L.M., M.P. e G.P., e quale sia la corretta liquidazione delle spese processuali in suo favore per il giudizio di rinvio, per il precedente giudizio di cassazione e per il primo giudizio di appello. A tal fine, in particolare, fornirà specifica motivazione, evitando di incorrere nei vizi logico-giudici evidenziati in particolare nei§§ 18.1. e 18.2.
Il Giudice del rinvio, inoltre, liquiderà, ove ne sussistano i presupposti, anche le spese processuali per le parti civili ancora costituite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Nuova Solmine s.p.a., M.P. e G.P. nonché relativamente alle statuizioni in favore del Comune di Molfetta con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bari per nuovo giudizio.
Dichiara inammissibili i ricorsi di P.C. e La Cinque Biotrans di C. Giuseppe & C. s.n.c. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 24/03/2022