Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali,
Diritto processuale penale,
Diritto urbanistico - edilizia
Numero: 3531 |
Data di udienza: 14 Gennaio 2015
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Distruzione o alterazione delle bellezza paesaggistica – Articolo 734 cod. pen. natura di reato di danno – Rilascio autorizzazione amministrativa – Verifica del giudice – Violazione del nulla osta paesaggistico – Esclusine della buona fede – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Distruzione o deturpamento di bellezze naturali – Configurabilità del reato – Accertamento della sussistenza del reato – Mezzi probatori – Parte civile – Principio del libero convincimento del giudice – Elemento psicologico – Art. 44 dPR n. 380/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 – Art. 734 cod. pen. – Artt. 161,191, 192 e 544 cod. proc. pen..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Gennaio 2016
Numero: 3531
Data di udienza: 14 Gennaio 2015
Presidente:
Estensore:
Premassima
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Distruzione o alterazione delle bellezza paesaggistica – Articolo 734 cod. pen. natura di reato di danno – Rilascio autorizzazione amministrativa – Verifica del giudice – Violazione del nulla osta paesaggistico – Esclusine della buona fede – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Distruzione o deturpamento di bellezze naturali – Configurabilità del reato – Accertamento della sussistenza del reato – Mezzi probatori – Parte civile – Principio del libero convincimento del giudice – Elemento psicologico – Art. 44 dPR n. 380/2001 – Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 – Art. 734 cod. pen. – Artt. 161,191, 192 e 544 cod. proc. pen..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 27/01/2016 (Ud. 14/01/2015) Sentenza n.3531
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – Distruzione o alterazione delle bellezza paesaggistica – Articolo 734 cod. pen. natura di reato di danno – Rilascio autorizzazione amministrativa – Verifica del giudice – Art. 44 dPR n. 380/2001 –
Art. 181 d.lgs. n. 42/2004 – Art. 734 cod. pen.
Nei casi di violazione dell’art. 734 del c.p., trattandosi di un reato di danno che ha come proprio evento l’avvenuta distruzione o, comunque, alterazione del bene protetto, la bellezza paesaggistica, il giudice penale deve prescindere, nell’opera di riscontro della sussistenza degli elementi costitutivi del reato, da ogni valutazione in ordine all’eventuale operato della pubblica amministrazione. Sicché, l’eventuale rilascio di autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, potendo assumere, semmai, rilevanza in materia di valutazione dell’elemento psicologico o della gravità del reato, spettando unicamente al giudice penale l’accertamento del verificarsi dell’evento (Cass., Sez.III pen., 30/03/2004, n. 15299).
La circostanza che si abbia un nulla osta paesaggistico rilasciato per la realizzazione di opere esclude che possa invocarsi la buona fede laddove siano state poi eseguite opere diverse da quelle assentite dall’organo preposto alla tutela del bene naturale; ciò tanto più ove si rilevi che, nella specie, la Sovrintendenza aveva fatto presente che il nulla osta non poteva essere rilasciato per opere che avessero comportato, come poi invece avvenuto, un aumento della volumetria riedificata rispetto alla preesistente. Pertanto, nessun rilievo ha il fatto che il ricorrente fosse dotato di nulla osta paesaggistico, rilevato che il rilascio del predetto nulla osta non può dirsi avere efficacia scriminante rispetto al reato in questione (art. 734 c.p.) – il nulla osta concerneva la realizzazione di opere diverse da quelle messe in cantiere. (Corte di cassazione, Sezione III 13 novembre 1992, n. 10956).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Distruzione o deturpamento di bellezze naturali – Configurabilità del reato – Art. 734 cod. pen. – Accertamento della sussistenza del reato – Mezzi probatori – Parte civile – Principio del libero convincimento del giudice – Elemento psicologico.
La contravvenzione di distruzione o deturpamento di bellezze naturali è reato di danno che può essere integrato da qualunque sostanziale alterazione di bellezze naturali, pure se non di consistente gravità (Cass, Sez. Un. pen., 8/05/1989, n. 6883). Sicché, l’accertamento della sussistenza del reato non è soggetto, come d’altra parte l’accertamento di qualsivoglia altro reato, a specifici vincoli ulteriori rispetto a quelli fissati dagli
artt. 191 e 192 cod. proc. pen., concernenti l’utilizzo di particolari mezzi probatori invece di altri, potendo esso essere raggiunto, in forza del generale principio del libero convincimento del giudicante, attraverso qualunque elemento che abbia la necessaria forza dimostrativa; quindi anche tramite le concordi dichiarazioni dei soggetti che si siano costituiti parte civile nei confronti dell’imputato. Inoltre, nel caso di specie, la divergenza fra il contenuto del nulla osta e la materialità delle opere in programma porta ad escludere, anche sotto il profilo della sussistenza o meno dell’elemento psicologico, la rilevanza del rilascio del predetto nulla osta.
(riforma sentenza n. 2017/13 della Corte di appello di Catania del 3/10/2013) Pres. FIALE, Est. GENTILI, Ric. Testa
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 27/01/2016 (Ud. 14/01/2015) Sentenza n.3531
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 27/01/2016 (Ud. 14/01/2015) Sentenza n.3531
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: TESTA Carmelo, nato a Catania il 20 marzo 1941
– avverso la sentenza n. 2017/13 della Corte di appello di Catania del 3 ottobre 2013;
– letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
– sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
– sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Aldo POLICASTRO, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione e la conferma delle statuizioni civili;
– sentito, altresì, per le costituite parti civili, l’avv. Giovanni GRASSO, del foro di Catania, anche in sostituzione dell’avv. Nicola GIUDICE, del foro di Palermo, il quale ha depositato conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catania – in parziale riforma della sentenza con la quale il locale Tribunale aveva dichiarato Testa Carmelo, in qualità di amministratore de “La Tortuga srl”, e Padalino Vito, funzionario del Comune di Catania, entrambi responsabili del reato di cui all’
art. 44, lettera e), del dPR n. 380 del 2001 ed il solo Testa, nella predetta qualità, anche di altre violazioni edilizie nonché della violazione di altre norme ambientali e paesaggistiche, condannandoli alla pena rispettivamente di giustizia ed al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del Padalino per essersi il reato a lui ascritto estinto per il decesso dell’imputato, mentre ha confermato la sentenza del giudice di prime cure nel resto, condannando, altresì, gli imputati alla rifusione delle spese processuali relative al grado di appello in favore delle costituite parti civili.
Ha proposto ricorso per cassazione il Testa deducendo la nullità della sentenza impugnata per violazione di legge; in particolare, secondo il ricorrente, non sussisteva alcuna illiceità nella realizzazione delle opere a lui addebitate in quanto non rispondeva a verità la circostanza affermata dai giudici del merito che il permesso a costruire di cui egli era portatore fosse illegittimo, ciò in quanto i vincoli edificatori che si affermavano essere in contrasto col suo rilascio erano decaduti.
In via subordinata il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale non aveva considerato che lo spazio ove erano state realizzate le opere di cui all’imputazione non era da considerarsi un’area di terreno, per di più gravato da vincoli, ma uno specchio acqueo, ancorché restituito alla attività edilizia libera a seguito dell’arretramento della costa; trattandosi di specchio acqueo, infatti, non gli si dovevano applicare i vincoli propri delle aree private.
Con particolare riferimento alla imputazione di cui al capo 8) della rubrica il Testa ha osservato che le modifiche apportate alla preesistente costruzione si erano rese necessarie per l’adeguamento di essa alla normativa antisismica, sicché esse non necessitavano di permesso a costruire, rientrando nell’ambito della mera ristrutturazione edilizia.
Quanto al reato di cui al capo C) della rubrica il Testa ha osservato che la impugnata sentenza non aveva tenuto conto che egli in buona fede aveva ritenuto che, trattandosi di opere eseguite su di uno specchio d’acqua, il nullaosta rilasciato dalla competente Sovrintendenza le avesse regolarmente legittimate.
Con riferimento alla violazione di cui al capo D) il ricorrente ha osservato che non vi era in atti alcun elemento che potesse fare ritenere che fosse intervenuta la deturpazione di bellezze naturali, evento necessario ai fini della integrazione del reato, non potendo quest’ultimo essere provato, quanto al suo elemento materiale, solo per mezzo delle dichiarazioni rilasciate da quelli che si erano costituiti parte civile nel processo a suo carico.
Riguardo alla imputazione di cui al capo F) il ricorrente ha eccepito la omessa motivazione della sentenza in ordine alla circostanza che le opere in questione fossero state eseguite in ossequio alla decisione assunta dal Tar di Catania con l’ordinanza n. 700 del 2008.
Infine era complessivamente contestata la motivazione della sentenza nella parte in cui non si era ritenuto di concederele attenuanti generiche in favore del ricorrente ed era stata fissata la sanzione inflitta al di sopra del minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è infondato, nondimeno la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in quanto i reati contestati al Testa si sono estinti per effetto della intervenuta prescrizione.
I motivi di impugnazioneafferenti la imputazione di cui al capo A) della rubrica sono infondati o inammissibili.
Premesso, infatti, che appare destituita di fondamento la tesi sostenuta dal ricorrente secondo la quale le opere edilizie di cui alla contestazione elevata nei suoi confronti, in quanto sarebbero state realizzate all’interno di uno specchio acqueo ubicato al di là dell’area vincolata di cui al capo di imputazione, non risentirebbero dei limiti di edificabilità fissati dalla norme tecniche di attuazione del piano regolatore di Catania, in particolare all’art.23, per tali ambiti territoriali, deve concordarsi coi giudici del merito i quali hanno ritenuto la palese illegittimità del permesso a costruire rilasciato in favore, fra l’altro, dell’odierno ricorrente per la demolizione di un edificio preesistente e la ricostruzione di un nuovo manufatto avente dimensioni maggiori di quello demolito.
Il presupposto su cui si fonda la tesi difensiva, cioè che la realizzazione del nuovo manufatto sia intervenuta in un ambito territoriale diverso dalla “area privata vincolata” cui si riferisce il capo di imputazione, in quanto esso sarebbe costituito da un’area residuata per il naturale ritirarsi nel tempo della costa marina ma che, in assenza di un cambio di destinazione, esso avrebbe conservato la originaria qualificazione di specchio acqueo, è, infatti, erroneo.
Va, infatti, chiarito che il territorio che si formi per effetto del ritirarsi delle coste acquista, per lo stesso divenire del fenomeno naturale in questione, la qualità di terreno, mutuando dalla restante parte di territorio cui accede le medesime caratteristiche in tema di regime edilizio ed urbanistico da questo possedute, trattandosi di naturale prosecuzione del preesistente spazio terrestre, non potendo certamente conservare, per ineludibili quanto evidenti ragioni di ordine naturale, la preesistente qualificazione di specchio acqueo laddove questa sia stata oggettivamente persa per effetto, appunto, del ritrarsi delle acque.
Trattandosi, pertanto, di area vincolata all’interno della quale, secondo la espressa previsione dell’art. 23 delle Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale di Catania, non era possibile aumentare la consistenza edilizia già in essere, è evidente la illegittimità del permesso a costruire che, in aperta violazione di tale disposizione, abbia, invece, consentito un aumento delle volumetrie edificate.
Quanto alla asserita violazione di legge derivante dal non avere la Corte territoriale catanese considerato la natura, ritenuta dal ricorrente necessariamente temporanea, del vincolo di inedificabilità derivante dalla applicazione della ricordata disposizione tecnica, osserva la Corte, preliminarmente a qualsiasi considerazione in ordine alla fondatezza o meno
della censura, che la relativa argomentazione è del tutto inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, in fine, cod. proc. pen., in questa sede atteso che la stessa non aveva formato oggetto di motivo di impugnazione in sede di appello.
Passando al secondo motivo di impugnazione, con il quale è dedotta, sempre con riferimento alla imputazione di cui al capo A) della rubrica, il difetto di motivazione della impugnata sentenza, in relazione alla qualificazione del terreno ove le opere sono state realizzate come “area privata vincolata”, osserva questa Corte che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente la Corte territoriale ha fondato il proprio giudizio su svariati parametri, tutti scrupolosamente elencati nella motivazione del provvedimento impugnata, rivenienti, oltre che dalla documentazione (costituita da atti amministrative emessi dal Comune di Catania e da provvedimenti giurisdizionali adottati dai competenti organi della giustizia amministrativa) versati in atti, dallo svolgimento della istruttoria dibattimentale in primo grado, sicché è da ritenersi del tutto infondato il predetto motivo di doglianza.
Anche il terzo motivo di impugnazione è destituito di fondamento; con esso, in sostanza il ricorrente lamenta il fatto che la Corte territoriale, con riferimento alla contestazione sub B) del complesso capo di imputazione, avrebbe errato nel non rilevare che le opere in questione, in quanto finalizzate al rispetto della sopravvenuta normativa antisismica, dovevano necessariamente determinare, comportando il rispetto della predetta normativa un innalzamento della altezza complessiva del manufatto, una maggiorazione della volumetria del manufatto riedificato rispetto a quella dell’edificio preesistente.
L’argomento è destituito di fondamento, posto che la Corte di merito ha motivato il proprio provvedimento – in disparte ogni altra argomentazione sulla singolarità della tesi che ad ogni ricostruzione che comporti un aumento di altezza debba necessariamente corrispondere una maggiore volumetria atteso che quest’ultima è il frutto della risultante del calcolo di due valori sicché, onde conservarne la invarianza sarebbe sufficiente (e, se del caso, necessario) ridurre il restante valore – non solo sulla maggiore altezza dell’immobile di nuova realizzazione rispetto a quello demolito, ma anche in funzione della difformità, in senso maggiorativo, della lunghezza di quello rispetto a quest’ultimo.
Il quarto motivo di censura ha ad oggetto l’avvenuta condanna del Testa relativamente alla violazione dell’
art. 181 del dlgs n. 42 del 2004, per avere egli realizzato le opere in questione in assenza del prescritto nulla osta rilasciato dalla competente Soprintendenza ai beni ambientali; sostiene il ricorrente che trattandosi di opere realizzate su di uno specchio acqueo, nonché il fatto che l’art. 15 della legge regionale siciliana n. 78 del 76, il quale disciplina l’uso delle aree prospicienti il mare, consenta la realizzazione di opere ed impianti destinati alla diretta fruizione del mare, egli aveva legittimamente ritenuto che il nulla osta del quale egli era in possesso fosse idoneo a rendere, sotto il profilo paesaggistico, legittima la realizzazione dei manufatti per cui è causa, dovendosi in tal senso escludere la ricorrenza a suo carico dell’elemento soggettivo del reato a lui contestato.
La tesi svolta dal ricorrente non è condivisibile in quanto la circostanza che lo stesso aveva ritenuto doveroso dotarsi di nulla osta paesaggistico, il quale era stato rilasciato, come sottolinea il giudice del merito, per la realizzazione di opere diverse rispetto a quelle di cui al capo di imputazione, esclude che possa invocarsi la buona fede laddove siano state poi eseguite opere diverse da quelle assentite dall’organo preposto alla tutela del bene naturale; ciò tanto più ove si rilevi, come ancora segnalato nella sentenza impugnata, che la Sovrintendenza aveva fatto presente al Testa, nella sua qualità di amministratore de “La Tortuga srl”, che il nulla osta non poteva essere rilasciato per opere che avessero comportato, come poi invece avvenuto, un aumento della volumetria riedificata rispetto alla preesistente.
Relativamente al capo D) della contestazione il ricorrente lamenta, reiterando un motivo di impugnazione già formulato in sede di appello, che la prova della esistenza del reato di cui all’art. 734 cod. pen. non può essere fornita tramite dichiarazioni testimoniali, dovendo esso trovare un preciso riscontro fattuale negli accertamenti eseguiti dagli organi competenti in materia ed a tutela dello specifico bene in ipotesi violato preposti.
Al riguardo, precisato che, come da lungo tempo chiarito nella giurisprudenza di questa Corte, la contravvenzione di distruzione o deturpamento di bellezze naturali è reato di danno che può essere integrato da qualunque sostanziale alterazione di bellezze naturali, pure se non di consistente gravità (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 8 maggio 1989, n. 6883), va segnalato che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l’accertamento della sussistenza del reato non è soggetto, come d’altra parte l’accertamento di qualsivoglia altro reato, a specifici vincoli, ulteriori rispetto a quelli fissati dagli
artt. 191 e 192 cod. proc. pen., concernenti l’utilizzo di particolari mezzi probatori invece di altri, potendo esso essere raggiunto, in forza del generale principio del libero convincimento del giudicante, attraverso qualunque elemento che abbia la necessaria forza dimostrativa; quindi anche tramite le concordi dichiarazioni dei soggetti che si siano costituiti parte civile nei confronti dell’imputato.
Competerà evidentemente, al giudice del merito sottoporre al necessario vaglio di attendibilità, oggettiva e soggettiva, le dichiarazioni rilasciate dai testi, vaglio che sarà tanto più stringente quanto più diretto ed evidente potrà essere l’interesse dei testi ad un tipo di definizione del processo rispetto che ad un altro, ma non per questo l’accertamento della verità processuale in un caso come il presente incontra peculiari limiti metodologici in relazione al tipo di prove concretamente utilizzabili al fine di cui sopra.
Nel caso ora in esame la Corte territoriale ha desunto l’attendibilità di quanto riferito dai testi dalla concorde coerenza di tutte le dichiarazioni assunte, argomento che, in assenza di indicazioni che possano indurre a ritenere l’esistenza di un previo concerto fra i dichiaranti volto a dare un unico e convergente contenuto alla loro diverse dichiarazioni dibattimentali, costituisce elemento di reciproco riscontro della loro corrispondenza al vero.
Relativamente alla sussistenza dell’elemento obbiettivo del reato, con motivazione del tutto plausibile, la Corte lo ha ritenuto sussistere in ragione della stessa indiscussa alterazione di un sito, un tratto di costa e la parallela scogliera, indubbiamente costituente bellezza naturale soggetta, per la sua ubicazione prossima al mare, a protezione ambientale.
Nessun rilievo ha il fatto che il ricorrente fosse dotato di nulla osta paesaggistico, rilevato che il rilascio del predetto nulla osta – anche in questo caso a prescindere dal rilievo, dianzi già esaminato, che il nulla osta concerneva la realizzazione di opere diverse da quelle messe in cantiere – non può dirsi avere efficacia scriminante rispetto al reato in questione (Corte di cassazione, Sezione III 13 novembre 1992, n. 10956).
Trattandosi, infatti, di un reato di danno che ha come proprio evento l’avvenuta distruzione o, comunque, alterazione del bene protetto, la bellezza paesaggistica, il giudice penale deve prescindere, nell’opera di riscontro della sussistenza degli elementi costitutivi del reato, da ogni valutazione in ordine all’eventuale operato della pubblica amministrazione.
Sicché l’eventuale rilascio di autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, potendo assumere, semmai, rilevanza in materia di valutazione dell’elemento psicologico o della gravità del reato, spettando unicamente al giudice penale l’accertamento del verificarsi dell’evento (Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 marzo 2004, n. 15299).
Ma come abbiano dianzi visto, nel caso di specie la divergenza fra il contenuto del nulla osta e la materialità delle opere in programma porta ad escludere, anche sotto il profilo della sussistenza o meno dell’elemento psicologico, la rilevanza del rilascio del predetto nulla osta.
La censura avente ad oggetto la condanna del Testa con riferimento al reato di cui al capo F) della rubrica, con la quale si contesta che il giudice del merito non abbia rilevato il fatto che le opere di cui al predetto capo di imputazioni, lungi dall’essere state realizzate in difformità dai provvedimenti autorizzatori per esse rilasciati, anche in sede cautelare dall’autorità giurisdizionale amministrativa, erano, invece, conformi ad essi, è chiaramente inammissibile in quanto concerne valutazioni di merito, appunto la predetta conformità, non deducibili di fronte a questa Corte di legittimità.
Infine quanto all’ultimo motivo di impugnazione, concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche e la dosimetria della pena, rileva la Corte, quanto alla contestazione del quantum della pena inflitta, che la censura è del tutto generica e, comunque, la circostanza che la pena in questione si sia attestata, quanto alla pena base, nella porzione decisamente più bassa della forchetta edittale rende adeguata una motivazione della sua determinazione che faccia espresso, ancorché sintetico, riferimento al criterio della adeguatezza e congruità della pena, tenuto conto di gravità del reato e personalità del reo.
Riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, rileva il Collegio che anche in questo caso i giudici del merito hanno giustificato il rigore da loro manifestato nel non concedere il detto beneficio in ragione della pertinace volontà del Testa di violare le disposizioni penali indicate in rubrica mentre il ricorrente stesso non ha saputo indicare, quali fossero le ragioni che avrebbero dovuto, invece, giustificare il loro riconoscimento, richiamando questi solamente la propria condizione di incensuratezza, omettendo, però, di considerare che questo è, oramai anche per espresso disposto legislativo, elemento di per sé non sufficiente per la concessione del beneficio.
I motivi di ricorso formulati dall’imputato non appaiono pertanto tali da condurre all’accoglimento della impugnazione da quello proposta.
Tenuto conto tuttavia, per un verso dell’avvenuta costituzione del rapporto processuale, stante la non inammissibilità del presente ricorso, e, per altro verso, del lungo tempo trascorso rispetto al dies commissi delicti rilevante per ciascuna della imputazioni contestate, si impone, a questo punto, la verifica della perdurante rilevanza delle condotte ascritte al Testa ovvero del fatto che, per effetto del tempo, i reati in questione si siano estinti per effetto della prescrizione.
A tale proposito osserva questa Corte che tutte le contestazioni mosse nei confronti del Testa concernono contravvenzioni per le quali non è prevista pena detentiva massima superiore a quattro anni di arresto; pertanto il termine prescrizionale massimo per ciascuna delle imputazione mosse al Testa è pari ad anni quattro.
Tale termine va maggiorato, ai sensi dell’
art. 161, comma 2, cod. proc. pen., per effetto del sicuro verificarsi di eventi interruttivi, di un quarto, fino al termine di anni cinque; lo stesso deve essere ulteriormente prorogato per altri 180 giorni, pari a sei mesi, atteso che sia il giudice di I grado che il giudice di appello si sono riservati, ai sensi dell’
art. 544 comma 3, cod. proc. pen., il termine di 90 giorni per depositare la motivazione della decisione rispettivamente assunta e considerato che durante tale termine il corso della prescrizione deve intendersi sospeso (Corte di cassazione, Sezione II penale, 12 gennaio 2015, n. 677).
Computata, pertanto, la decorrenza del termine de quo a partire dal momento in cui i reati risultano essere stati contestati, cioè, rispettivamente per i reati di cui ai capi A) e B), dal 31 maggio 2008 e dal 9 settembre 2008 e 13 novembre 2008 per i restanti capi C), D) ed F), deve rilevarsi che il termine prescrizionale è per gli illeciti de quibus maturato il 30 novembre 2013 ed il 9 marzo 2014 relativamente ai reati di cui ai capi A) e B) ed in data 13 maggio 2014 per i restanti reati.
Aderendo, pertanto, al principio secondo il quale va dichiarata la prescrizione, in caso di ricorso per cassazione ammissibile sebbene infondato, pur nel caso in cui questa sia maturata successivamente alla pronunzia della sentenza di appello ma anteriormente alla pronunzia della decisione di questa Corte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essersi i reati contestati a Testa Carmelo estinti per prescrizione.
La rilevata infondatezza delle censure alla sentenza della Corte di appello di Catania sollevate in sede di ricorso per cassazione dal Testa, da un lato fa sì che dagli effetti dell’annullamento della sentenza siano esentati i capi concernenti il risarcimento del danno civile che, pertanto, restano saldi e, d’altro canto, impone la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di difesa nel grado, liquidate come da dispositivo, nei confronti delle parti civili concludenti.
Analoga previsione, quanto alle spese di giudizio, non può disporsi in favore della parte civile Comune di Catania che non ha partecipato al giudizio di fronte a questa Corte di cassazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Testa Carmelo per essersi i reati estinti per prescrizione.
Revoca gli ordini di demolizione e di rimessione in pristino.
Conferma le statuizioni civili e condanna il Testa alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti civili Finocchiaro Armando, Arena Natalina, Capizzi Edoardo e Di Paola Anna, che liquida complessivamente in euro 5.000,00 per onorario ed euro 390 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, nonché in favore della costituita parte civile Legambiente Crs, con attribuzione allo Stato, che liquida in euro 1.707 ,00, comprensivi di oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2015