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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti, VIA VAS AIA Numero: 9614 | Data di udienza: 27 Novembre 2013

RIFIUTI – VIA – Autorizzazioni integrate ambientali (AIA) – Reato di cui all’art. 29-quattuordecies, c.2, d.lgs. n. 152/2006 e art. 16, c.2, d.lgs. n. 59/2005 – Continuità normativa fra le due fattispecie di reato – Verifiche delle prescrizioni imposte nell’autorizzazione – Ruolo e responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione di un ente consortile. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Febbraio 2014
Numero: 9614
Data di udienza: 27 Novembre 2013
Presidente: Teresi
Estensore: Andronio


Premassima

RIFIUTI – VIA – Autorizzazioni integrate ambientali (AIA) – Reato di cui all’art. 29-quattuordecies, c.2, d.lgs. n. 152/2006 e art. 16, c.2, d.lgs. n. 59/2005 – Continuità normativa fra le due fattispecie di reato – Verifiche delle prescrizioni imposte nell’autorizzazione – Ruolo e responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione di un ente consortile. 



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 27 Febbraio 2014  (Ud. 27/11/2013), Sentenza n. 9614

RIFIUTI – VIA – Autorizzazioni integrate ambientali (AIA) – Reato di cui all’art. 29-quattuordecies, c.2, d.lgs. n. 152/2006 e art. 16, c.2, d.lgs. n. 59/2005 – Continuità normativa fra le due fattispecie di reato.
 
Sussiste una continuità normativa tra la fattispecie prevista per il reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 e il reato di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2005, giacché dalla semplice lettura delle due disposizioni emerge che le stesse hanno identica formulazione letterale, perché entrambe sanzionano «colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente». Né la nuova disciplina prevede alcuna esclusione dall’ambito della propria applicazione per le autorizzazioni integrate rilasciate nella vigenza della vecchia disciplina. La rilevata continuità fra le due fattispecie di reato, trova ulteriore conferma nel dato sistematico, rappresentato dalla sostanziale identità del complesso della nuova regolamentazione dell’autorizzazione integrata ambientale rispetto al previgente. Diversamente opinando, la violazione di autorizzazioni integrate ambientali rilasciate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del 2010 resterebbe del tutto priva di sanzione, così configurandosi un inadempimento dell’obbligo degli Stati membri di adottare sanzioni, quali «misure necessarie affinché le condizioni di autorizzazione siano rispettate» (attualmente previsto dall’art. 8 della direttiva 24 novembre 2010, n. 2010/75/UE, che ha sostituito analoghe previsioni delle previgenti direttive).
 
(conferma sentenza del Tribunale di Mondovì dell’11 dicembre 2012) Pres. Teresi, Est. Andronio, Ric. Ballauri
 
 
RIFIUTI – VIA – Autorizzazioni integrate ambientali (AIA) – Verifiche delle prescrizioni imposte nell’autorizzazione – Ruolo e responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione di un ente consortile.
 
Non vale ad escludere la responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione la presenza in atti di un contratto di concessione, che affidava al concessionario gli oneri relativi alla realizzazione e alla gestione dell’impianto e le relative responsabilità e riservava all’azienda consortile di cui l’imputato è legale rappresentante il controllo sulla fase di costruzione e gestione. Nella specie, il soggetto titolare dell’autorizzazione ambientale era proprio l’azienda consortile, che era dunque tenuta a verificare l’osservanza di tutte le prescrizioni imposte nell’autorizzazione medesima. Né può sostenersi che il presidente del consiglio di amministrazione di un ente consortile sia una figura essenzialmente politica, equiparabile al sindaco di un Comune, e dunque priva di poteri di gestione. Una tale equiparazione non emerge, infatti, dalla normativa vigente.
 
(conferma sentenza del Tribunale di Mondovì dell’11/12/2012) Pres. Teresi, Est. Andronio, Ric. Ballauri

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 27 Febbraio 2014 (Ud. 27/11/2013), Sentenza n. 9614

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta da
 
Alfredo Teresi              – Presidente
Luigi Marini
Chiara Graziosi 
Alessio Scarcella
Alessandro M. Andronio – Relatore
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
– sul ricorso proposto da Ballauri Giuseppe, nato il 28 settembre 1950
– avverso la sentenza del Tribunale di Mondovì dell’11 dicembre 2012;
– visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
– udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
– udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. – Con sentenza dell’11 dicembre 2012, il Tribunale di Mondovì ha condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (così modificata l’originaria imputazione ex art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2005) per non avere, nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione dell’Azienda consortile ecologica territoriale osservato, in un impianto di trattamento di rifiuti, le prescrizioni indicate nella determinazione provinciale del responsabile del Settore tutela ambiente del 31 marzo 2008, con la quale era stata rilasciata a tale azienda consortile l’autorizzazione integrata ambientale. Le contestate violazioni delle prescrizioni (più analiticamente descritte nell’imputazione) consistono, in particolare: nel mancato rispetto delle temperature minime per la combustione del biogas; nella mancata protezione dei settori della discarica non interessati dalla coltivazione; nell’incompletezza delle analisi effettuate sui campioni; nel mancato rispetto delle scadenze relative ai monitoraggi delle matrici ambientali.
 
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, impugnazione qualificata come appello (trasmessa a questa Corte dalla Corte d’appello di Torino con ordinanza del 22 maggio 2013), chiedendone l’annullamento.
 
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce l’inosservanza dell’art. 4 del d.lgs. n. 128 del 2010. Si sostiene, in particolare, che non vi è continuità fra il reato di cui all’art. 29-quatuordecies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, per il quale vi è stata condanna e il reato di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2005 originariamente contestato. Secondo la difesa le nuove norme sanzionatorie non possono trovare applicazione ai fatti per i quali si procede, perché tali fatti attengono ad un’asserita inosservanza di prescrizioni concernenti l’autorizzazione rilasciata in forza della vecchia disciplina, ormai abrogata; e ciò in mancanza di una norma transitoria.
 
2.2. – Si denuncia, in secondo luogo, l’inosservanza degli artt. 520, comma 2, 519, comma 2, 429, comma 4, 172, comma 5, cod. proc. pen. e si impugnano congiuntamente la sentenza e l’ordinanza emesse all’udienza del 20 novembre 2012.
 
Con tale ordinanza, a seguito della modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero, il giudice aveva fissato una nuova udienza per il giorno 11 dicembre 2012, disponendo la notifica di copia del verbale con l’imputazione modificata all’imputato contumace. Detto verbale era stato notificato all’imputato presso il difensore domiciliatario il 27 novembre 2012 e, dunque, non erano stati rispettati i termini di cui all’art. 429, comma 4, cod. proc. pen., essendo intercorsi tra il 27 novembre 2012 e l’11 dicembre 2012 sono 13 giorni liberi e tra il 20 novembre 2012 e l’11 dicembre 2012 solo 20 giorni liberi.
 
2.3. – Si deducono, in terzo luogo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione degli artt. 29-decies e 29- quattuordecies del d.lgs. n. 128 del 2010, nonché dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 36 del 2003, dell’art. 11 della legge della Regione Piemonte n. 24 del 2002, degli artt. 107 e 113 del d.lgs. n. 267 del 2000. La difesa evidenzia che il reato per il quale è intervenuta condanna punisce l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale ed attiene, perciò, alla fase operativa della gestione dell’attività di recupero e smaltimento di rifiuti. Tale attività di gestione non è svolta dall’azienda consortile dell’imputato, essendo stata integralmente trasferita ad altra società. L’azienda consortile dell’imputato sarebbe dunque, solo il richiedente dell’autorizzazione integrata ambientale e non il gestore dell’attività; attività che stata svolta mediante espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, a seguito della quale è stato stipulato un contratto di concessione in cui si prevede che il concessionario è, a tutti gli effetti, l’unico responsabile della realizzazione e gestione, del servizio affidatogli. Non si sarebbe tenuto conto, del resto, della separazione delle funzioni di governo da quelle di gestione operativa prevista dall’art. 11, comma 15, della legge regionale n. 24 del 2002. Non si sarebbe considerato, inoltre, che l’azienda consortile aveva un ufficio tecnico che eseguiva periodiche visite di controllo nella sede dell’impianto, assicurando un’adeguata vigilanza sull’attività del concessionario gestore dell’impianto stesso.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. – L’impugnazione – che deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non appellabile in quanto recante condanna alla sola pena dell’ammenda, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. – è infondata.
 
3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si sostiene che non vi è continuità fra il reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, per il quale vi è stata condanna e il reato di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2005, originariamente contestato – è manifestamente infondato.
 
Dalla semplice lettura delle due disposizioni emerge, infatti, che le stesse hanno identica formulazione letterale, perché entrambe sanzionano «colui che pur essendo in possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall’autorità competente». Né la nuova disciplina prevede alcuna esclusione dall’ambito della propria applicazione per le autorizzazioni integrate rilasciate nella vigenza della vecchia disciplina. La rilevata continuità fra le due fattispecie di reato, trova ulteriore conferma nel dato sistematico, rappresentato dalla sostanziale identità del complesso della nuova regolamentazione dell’autorizzazione integrata ambientale rispetto al previgente.
 
A ciò deve aggiungersi la più generale considerazione che, diversamente opinando, la violazione di autorizzazioni integrate ambientali rilasciate – come quella oggetto della presente fattispecie – prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del 2010 resterebbe del tutto priva di sanzione, così configurandosi un inadempimento dell’obbligo degli Stati membri di adottare sanzioni, quali «misure necessarie affinché le condizioni di autorizzazione siano rispettate» (attualmente previsto dall’art. 8 della direttiva 24 novembre 2010, n. 2010/75/UE, che ha sostituito analoghe previsioni delle previgenti direttive).
 
3.2. – Il secondo motivo di ricorso – con cui si denuncia l’inosservanza degli artt. 520, comma 2, 519, comma 2, 429, comma 4, 172, comma 5, cod. proc. pen. sul rilievo il verbale contenente la modificazione dell’imputazione è stato notificato all’imputato contumace con l’indicazione di una nuova udienza senza il rispetto dei termini di cui all’art. 429, comma 4, cod. proc. pen. – è infondato.
 
Non vi è dubbio che nel caso di specie il termine dilatorio di 20 giorni previsto dall’art. 429, comma 4 – richiamato, quanto alla modificazione dell’imputazione, dagli articoli 519, comma 2, e 520, comma 2 – non sia stato rispettato.
 
Nondimeno, deve rilevarsi che l’inosservanza di tale disposizione, sanzionata dal successivo art. 522, comma 1, genera una nullità a regime intermedio, non trattandosi di un caso riconducibile all’omessa conoscenza della modificazione dell’imputazione da parte dell’imputato. Tale nullità avrebbe dovuto essere eccepita, a pena di decadenza, dal difensore dell’imputato, ai sensi dell’art. 182, comma 2, nel primo momento utile e, cioè, all’udienza dell’11 dicembre 2012, fissata per la prosecuzione. Ciò non è avvenuto nel caso di specie, con la conseguenza che la relativa doglianza proposta in sede di legittimità risulta ormai preclusa.
 
3.3. – Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si sostiene, in sostanza, che l’imputato non sarebbe punibile perché egli è il legale rappresentante dell’azienda consortile che non era il gestore dell’impianto, avendo affidato la gestione in concessione ad una diversa società.
 
Come correttamente osservato dal Tribunale, la presenza in atti di un contratto di concessione, che affidava al concessionario gli oneri relativi alla realizzazione e alla gestione dell’impianto e le relative responsabilità e riservava all’azienda consortile di cui l’imputato è legale rappresentante il controllo sulla fase di costruzione e gestione, non vale ad escludere la responsabilità dell’imputato stesso. Non deve dimenticarsi, infatti, che il soggetto titolare dell’autorizzazione ambientale era proprio l’azienda consortile, che era dunque tenuta a verificare l’osservanza di tutte le prescrizioni imposte nell’autorizzazione medesima.
 
Né può sostenersi – come ha tentato di fare la difesa sia nel giudizio di merito sia in questa sede – che il presidente del consiglio di amministrazione di un ente consortile sia una figura essenzialmente politica, equiparabile al sindaco di un Comune, e dunque priva di poteri di gestione. Una tale equiparazione non emerge, infatti, dalla normativa vigente richiamata dall’imputato.
 
In particolare, gli artt. 29-decies e 29-quattuordecies del d.lgs. n. 128 del 2010 [rectius: artt. 29-decies e 29-quattuordecies del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dal d.lgs. n. 128 del 2010] si riferiscono, il primo, al gestore dell’impianto, da intendersi, con tutta evidenza, come il titolare dell’autorizzazione, e il secondo espressamente al soggetto titolare dell’autorizzazione. L’art. 2, comma 1, lettera o), del d.lgs. n. 36 del 2003 – che definisce come “gestore della discarica” «il soggetto responsabile di una qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa» deve anch’esso intendersi nel senso di ricomprendere in tale categoria il titolare dell’autorizzazione, anche ove questo abbia concretamente affidato ad altri una o più fasi della gestione. L’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, anch’esso richiamato dal ricorrente, si riferisce in generale alle funzioni e alle responsabilità dei dirigenti degli enti locali e non ha, dunque, alcun rilievo con riferimento all’ambito della responsabilità per la violazione di un’autorizzazione ambientale da parte degli organi di un consorzio, oggetto del presente procedimento. L’art. 11 della legge della Regione Piemonte n. 24 del 2002 – il quale prevede, al comma 15, che, «In conformità con il principio della separazione delle funzioni di governo da quelle di gestione operativa, l’attività di gestione operativa dei servizi da effettuare nel bacino è svolta nelle forme previste dal d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modificazioni» – si riferisce, appunto, alle previsioni del testo unico sugli enti locali quanto alla gestione dei servizi pubblici e, in particolare all’art. 113 di tale d.lgs., il quale nulla prevede circa eventuali esclusioni di responsabilità del legale rappresentante dell’azienda consortile titolare dell’autorizzazione integrata ambientale, soggetto meramente tecnico, distinto dall’ente locale e, dunque, del tutto privo di rappresentatività politica.
 
Più in generale può osservarsi che nessuna delle disposizioni richiamate dal ricorrente è volta ad escludere la responsabilità dell’ente sostituendo ad esso un altro e diverso ente, ma solo ad escludere che nell’ambito di un ente possano essere chiamati a rispondere per le attività di gestione gli organi politici, laddove questi diversamente dal caso di specie – siano presenti.
 
Del tutto generiche risultano, infine, le doglianze difensive relative all’asserita adozione di tutte le misure necessarie volte a garantire l’effettività dei controlli sulla regolarità della gestione dell’impianto da parte della società concessionaria.
 
Come rilevato dal Tribunale sul punto, il teste escusso non ha infatti precisato nulla di decisivo, limitandosi a riferire dell’espletamento dei controlli periodici, senza alcuno specifico riferimento alla verifica dell’adempimento delle prescrizioni imposte dall’autorizzazione integrata.
 
4. – Il ricorso deve perciò essere rigettato.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.
 

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