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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 22269 | Data di udienza: 8 Aprile 2016

DIRITTO URBANISTICO – Mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante – Categorie funzionalmente autonome e attitudini funzionali – Artt. 44,  comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1-bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 22 – Nozione di destinazione d’uso – Destinazione d’uso dei suoli e degli edifici – Connotazione dell’immobile – Interesse pubblico perseguito dalla pianificazione – Organizzazione del territorio – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Provvedimenti cautelari reali – Ricorso di legittimità – Limiti – Nozione di “violazione di legge” – Art. 325 cod. proc. pen


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Maggio 2016
Numero: 22269
Data di udienza: 8 Aprile 2016
Presidente: Fiale
Estensore: Mengoni


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – Mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante – Categorie funzionalmente autonome e attitudini funzionali – Artt. 44,  comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1-bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 22 – Nozione di destinazione d’uso – Destinazione d’uso dei suoli e degli edifici – Connotazione dell’immobile – Interesse pubblico perseguito dalla pianificazione – Organizzazione del territorio – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Provvedimenti cautelari reali – Ricorso di legittimità – Limiti – Nozione di “violazione di legge” – Art. 325 cod. proc. pen



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 27/05/2016 (Ud. 08/04/2016) Sentenza n.22269

 

DIRITTO URBANISTICO – Mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante – Categorie funzionalmente autonome e attitudini funzionali – Artt. 44,  comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1-bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 22.
 
 
Il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, da individuarsi tenendo conto della destinazione indicata nell’ultimo titolo abilitativo relativo all’immobile ovvero della sua tipologia, nonché delle attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire in caso di esecuzione di nuovi lavori (Cass. Sez. 3, n. 39897 del 24/6/2014, Filippi)
 

DIRITTO URBANISTICO – Nozione di destinazione d’uso – Destinazione d’uso dei suoli e degli edifici – Connotazione dell’immobile – Interesse pubblico perseguito dalla pianificazione – Organizzazione del territorio.
 
La destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione dell’immobile e risponde agli scopi di interesse pubblico perseguiti dalla pianificazione. Essa, infatti, individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. Soltanto gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi, possono decidere, fra tutte quelle possibili, la destinazione d’uso dei suoli e degli edifici, poiché alle varie e diverse destinazioni, in tutte le loro possibili relazioni, devono essere assegnate – proprio in sede pianificatoria – determinate qualità e quantità di servizi. L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono quindi realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto la possibilità di una gestione ottimale del territorio (Cass. Sez. 3, n. 38005 del 16/5/2013, Farieri).
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Provvedimenti cautelari reali – Ricorso di legittimità – Limiti – Nozione di “violazione di legge” – Art. 325 cod. proc. pen
 
Avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice
 

(conferma ordinanza del 5/2/2015 del Tribunale di Latina) Pres. FIALE, Rel. MENGONI, Ric. Scotti ed altro
 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 27/05/2016 (Ud. 08/04/2016) Sentenza n.22269

SENTENZA

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 27/05/2016 (Ud. 08/04/2016) Sentenza n.22269
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA 
 
sui ricorsi proposti da:
Scotti Luigi, nato a Ponza (Lt) il 10/12/1951
Scotti Silvia, nata a Ponza (Lt) il 9/8/1922
avverso l’ordinanza del 5/2/2015 del Tribunale di Latina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi;

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con ordinanza del 5/2/2015, il Tribunale del riesame di Latina rigettava il ricorso proposto da Luigi Scotti e Silvia Scotti avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 9/1/2015 dal Giudice per le indagini preliminari in sede, così confermando il vincolo reale su una grotta ipogea di proprietà di questi sita sull’isola di Palmarola; agli indagati era contestata la violazione degli artt. 44,  comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1-bis, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 22, per aver effettuato sull’immobile interventi modificativi della destinazione d’uso, in difetto di permesso di costruire ed in zona di notevole interesse pubblico.
 
2. Propongono comune ricorso per cassazione negli Scotti, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 158 cod. pen.. Il Tribunale avrebbe individuato il termine di ultimazione dei lavori in modo irragionevole, incerto (almeno due momenti diversi) e privo di apprezzabile motivazione; in particolare, l’avrebbe legato prima alla realizzazione di una tettoia, invero avvenuta diversi anni dopo l’ultimazione medesima ed in termini del tutto autonomi rispetto al resto dell’intervento, quindi all’accatastamento dell’immobile ad uso abitativo, al quale invece non si dovrebbe assegnare alcuna valenza nella valutazione in esame;
– violazione dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004 e, conseguentemente, dell’art. 157 cod. pen. (motivi nn. 2 e 3) Il Tribunale, ancora, avrebbe riconosciuto il fumus di questo delitto pur difettandone i presupposti; ed invero, non sussisterebbe alcun provvedimento che abbia dichiarato l’isola di Palmarola luogo di notevole interesse pubblico, emergendo soltanto un generale vincolo paesaggistico e l’inserimento dell’area tra i siti di importanza comunitaria e nella zona speciale di protezione; quel che risulterebbe insufficiente nel caso di specie. In ogni caso, il delitto sarebbe ormai prescritto, quantomeno dalla fine del 2014, in difetto di atti interruttivi;
– violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.. Il Collegio avrebbe omesso ogni motivazione in ordine al dedotto mutamento di destinazione d’uso, facendolo derivare – in modo illogico ed apodittico – dalla pacifica realizzazione di opere di mera manutenzione ordinaria nel corso del 2008; le quali – sempre, ed anche in questo caso – seguono, e non precedono, interventi di maggiore rilievo, allo scopo di adeguare, ammodernare, abbellire quel che già esiste. Peraltro (motivo n. 5) il Collegio ha disatteso plurimi elementi oggettivi e documentali – prodotti dalla difesa – che confermerebbero che le opere contestate erano state interamente realizzate molti anni prima di quanto contestato, ovvero negli anni precedenti al 2008;
– nullità per violazione degli artt. 125, 321 cod. proc. pen.. L’ordinanza avrebbe affermato un inaccettabile nesso consequenziale tra mutamento di destinazione d’uso ed aggravamento del carico urbanistico; quest’ultimo – da valutare in termini oggettivi – non sarebbe peraltro ravvisabile nel caso di specie, atteso che l’isola di Palmarola è priva di qualsiasi opera di urbanizzazione (illuminazione pubblica, strade, parchi, edifici pubblici, infrastrutture), sì che non sarebbe possibile alcun intervento di aggravio del carico. 
 
3. Con requisitoria scritta del 22/1/2016, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, che conterrebbero doglianze di carattere motivazionale (specie in punto di prescrizione) non consentite in sede di legittimità.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
4. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l‘art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611); ciò premesso – e come rileva il Procuratore generale – le doglianze mosse dai ricorrenti si muovono proprio lungo quest’ultima linea, poiché solo in apparenza censurano le dedotte violazioni di legge, in realtà invocando una diversa lettura delle emergenze investigative e, pertanto, contestandola motivazione adottata dal Tribunale.
 
La quale, per contro, risulta tutt’altro che assente o meramente apparente, come tale non sindacabile.
 
5. In particolare, e con riguardo alla eccepita estinzione per prescrizione di entrambi i reati, l’ordinanza l’ha esclusa, quantomeno per la fase cautelare, rilevando che alla data del 6/11/2008 – giusta comunicazione depositata da Silvia Scotti al Comune – dovevano ancora essere eseguiti lavori asseritamente di manutenzione ordinaria, ma in realtà consistiti nel rifacimento della pavimentazione (con sottostante massetto) e degli intonaci interni, nonché nell’adeguamento dell’impianto idrico ed elettrico; opere che – con argomento non certo illogico – il Collegio ha quindi valutato quali interventi di completamento di quanto abusivamente già eseguito per trasformare una grotta ipogea in una civile abitazione di 53mq.. Quel che ha condotto il Tribunale a ritenere verosimilmente non ancora prescritte le contravvenzioni di cui all’art. 44, cit., e certamente non prescritto il delitto di cui all’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42 del 2004 (peraltro ad oggi forse non più configurabile come tale, ma solo quale contravvenzione, previa verifica della volumetria, alla luce della sentenza Corte cost. n. 56 del 23/3/2016, che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, in esame, nella parte in cui prevede«: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed»”.), reati entrambi di natura permanente. Conclusione, poi, ulteriormente sostenuta dall’accertamento della realizzazione – nell’anno 2011 – di una tettoia esterna, «che ampliando la materiale fruizione dell’immobile e raccordandosi ad un’opera originariamente illegittima, vale a proseguire l’attività illegittima originaria di cui detti lavori costituiscono prosecuzione e completamento»; tettoia, peraltro, in ordine alla quale non possono esser valutate le considerazioni espresse nel ricorso quanto ad autonomia temporale e funzionale, poiché attinenti ad elementi eminentemente fattuali che questa Corte non è chiamata a valutare. Da ultimo, ed a carattere indiziario, l’ordinanza ha richiamato anche un dato documentale – l’accatastamento del 28/6/2011 – al quale ulteriormente collegare la completa e definitiva trasformazione dell’immobile.
 
Una motivazione – si ribadisce – nient’affatto mancante od apparente, quindi, ma congrua perché basata su una logica lettura delle risultanze investigative; ed a fronte della quale non sono poi opponibili le numerose indicazioni (ancora) di cui al motivo n. 5, che intenderebbero provare il completamento delle opere ben prima del 2008, poiché fondate nuovamente su riscontri fattuali che non sono ammissibili in sede di legittimità.
 
6. Con riguardo, poi, al mutamento di destinazione d’uso, il gravame denuncia una sovrapposizione che il Tribunale avrebbe effettuato tra questo ed i lavori di manutenzione ordinaria di cui alla comunicazione del 6/11/2008; orbene, la tesi non può essere accolta. Premesso che, anche in questo caso, la doglianza si risolve in un inammissibile vizio di motivazione, osserva comunque il Collegio che lo stesso non trova fondamento; l’ordinanza, infatti, ha prima rilevato che i lavori, denunciati come di manutenzione ordinaria, tali non erano attesa la loro portata (già richiamata e, peraltro, non contestata), quindi ha sottolineato che i medesimi interventi costituivano – almeno in termini di fumus – un ulteriore momento di quella trasformazione d’uso che i ricorrenti stavano ponendo in essere. Trasformazione che poi gli stessi contestano, in questa sede, sul presupposto che l’isola di Palmarola sarebbe priva di ogni opera di urbanizzazione, sì da rendere impossibile ogni aggravio del carico urbanistico; tesi palesemente inammissibile, poiché – ancora – fondata su elementi di fatto che questa Corte non è chiamata a valutare.
 
Al riguardo, peraltro, occorre ribadire che, per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, «la destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione dell’immobile e risponde agli scopi di interesse pubblico perseguiti dalla pianificazione. Essa, infatti, individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissate dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona. Soltanto gli strumenti di pianificazione, generali ed attuativi, possono decidere, fra tutte quelle possibili, la destinazione d’uso dei suoli e degli edifici, poiché alle varie e diverse destinazioni, in tutte le loro possibili relazioni, devono essere assegnate – proprio in sede pianificatoria – determinate qualità e quantità di servizi. L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono quindi realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso e le modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto la possibilità di una gestione ottimale del territorio» (Sez. 3, n. 38005 del 16/5/2013, Farieri, Rv. 257689).
 
Ciò dato, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, da individuarsi tenendo conto della destinazione indicata nell’ultimo titolo abilitativo relativo all’immobile ovvero della sua tipologia, nonché delle attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire in caso di esecuzione di nuovi lavori (Sez. 3, n. 39897 del 24/6/2014, Filippi, Rv. 260422); esattamente quel che è dato ravvisare – quantomeno in questa fase cautelare – nella trasformazione di un locale da grotta ipogea ad immobile abitabile, come ben evidenziato ancora nell’ordinanza impugnata.
 
7. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00.
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in Roma, 1’8 aprile 2016
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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