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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Sicurezza sul lavoro Numero: 23140 | Data di udienza: 26 Marzo 2019

SICUREZZA SUL LAVORO – Cantieri – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Lavorazioni da eseguire ad altezza superiore ai due metri – Obbligo di parapetti, impalcature, ponteggi o altre opere – Sostituzione con uso di cinture di sicurezza – Impossibilità – Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili – Cantiere e piani di sicurezza (PSC, POS, PSS) – Responsabilità del datore di lavoro o del committente, appaltatore o del concessionario – Responsabile dei lavori e sicurezza – Sussistenza – Giurisprudenza – Comportamento negligente o imprudente del lavoratore – Irrilevanza – Cautele insufficienti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Maggio 2019
Numero: 23140
Data di udienza: 26 Marzo 2019
Presidente: DI NICOLA
Estensore: MENGONI


Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – Cantieri – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Lavorazioni da eseguire ad altezza superiore ai due metri – Obbligo di parapetti, impalcature, ponteggi o altre opere – Sostituzione con uso di cinture di sicurezza – Impossibilità – Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili – Cantiere e piani di sicurezza (PSC, POS, PSS) – Responsabilità del datore di lavoro o del committente, appaltatore o del concessionario – Responsabile dei lavori e sicurezza – Sussistenza – Giurisprudenza – Comportamento negligente o imprudente del lavoratore – Irrilevanza – Cautele insufficienti.



Massima

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/05/2019 (Ud. 26/03/2019), Sentenza n.23140

  

SICUREZZA SUL LAVORO – Cantieri – Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Lavorazioni da eseguire ad altezza superiore ai due metri – Obbligo di parapetti, impalcature, ponteggi o altre opere – Sostituzione con uso di cinture di sicurezza – Impossibilità – Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili – Fattispecie.
 
L’obbligo del datore di lavoro, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali non può essere sostituito dall’uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare. Sicché, in tema di infortuni sul lavoro, l’uso delle cinture di sicurezza – misura di carattere generale e imperativo – deve essere adottato in tutti i casi in cui il lavoratore sia esposto al rischio di caduta dall’alto, con la sola esclusione della ipotesi di presenza di impalcati di protezione e di parapetti idonei a scongiurare del tutto il rischio di caduta: ne consegue che l’esonero dalla protezione delle cinture non è previsto allorché tali parapetti siano idonei soltanto a facilitare il lavoro, o, tutt’al più, ad attenuare soltanto il rischio.
 
 
SICUREZZA SUL LAVORO – Cantiere e piani di sicurezza (PSC, POS, PSS) – Responsabilità del datore di lavoro o del committente, appaltatore o del concessionario – Responsabile dei lavori e sicurezza – Sussistenza – Giurisprudenza.
 
I vari piani di sicurezza (Piano di Sicurezza e Coordinamento (i cui contenuti minimi sono definiti dagli artt. 2, 3 e 4, d.P.R. 222/2003), redatto dal committente o dal responsabile dei lavori; il Piano di Sicurezza Sostitutivo, redatto a cura dell’appaltatore e del concessionario; il Piano Operativo di Sicurezza, redatto da ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici) sono strumenti che non si sostituiscono, ma si integrano, nell’ottica di una sicurezza del cantiere che il legislatore tende a garantire sempre con maggiore rigore. La giurisprudenza ha delineato gli ambiti di responsabilità anche del committente (dal quale, peraltro, non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo; tra le altre, Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016, Vettor, Rv. 270100; Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi, Rv. 264974), senza tuttavia rimuovere alcun profilo di responsabilità in capo al datore di lavoro, primo destinatario della posizione di garanzia nei confronti dei propri dipendenti, allorquando – anche a fronte di competenze altrui – destini gli stessi a mansioni oggettivamente pericolose, in ragione del generale contesto in cui si svolgono.
 

SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Responsabilità del datore di lavoro – Comportamento negligente o imprudente del lavoratore – Irrilevanza – Cautele insufficienti.
 
In tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. (Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014,c Scarselli: fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla configurabilità della responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – "trabattello" – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
 
(conferma sentenza del 17/4/2018 – CORTE DI APPELLO DI SALERNO) Pres. DI NICOLA, Rel. MENGONI, Ric. P.M. nel proc. Visconti

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/05/2019 (Ud. 26/03/2019), Sentenza n.23140

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/05/2019 (Ud. 26/03/2019), Sentenza n.23140

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
  
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sui ricorsi proposti da Visconti Giuseppe;
 
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Salerno nel procedimento nei confronti di
Visconti Giuseppe
 
avverso la sentenza del 17/4/2018 della Corte di appello di Salerno;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
 
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
 
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza;
 
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Carlo Di Casola, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
 
1. Con sentenza del 17/4/2018, la Corte di appello di Salerno, pronunciandosi in sede di rinvio, riformava parzialmente la pronuncia emessa il 19/6/2013 dal Tribunale di Larino e, per l’effetto, rideterminava in sei mesi di reclusione la pena inflitta a Giuseppe Visconti; lo stesso, quale titolare di un’impresa edile, direttore tecnico di cantiere e datore di lavoro, era riconosciuto responsabile dell’omicidio colposo del lavoratore Antonio Limonciello, il cui decesso era addebitato all’imputato per non aver dotato un cantiere di parapetti idonei ad impedire cadute dall’alto.
 
2. Propone ricorso per cassazione il Visconti, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 4 e 389, d.P.R. n. 547 del 1955; vizio motivazionale. La Corte di appello sarebbe pervenuta alla sentenza di condanna con un esame ex novo dell’intero compendio probatorio, così però dichiarando responsabile il ricorrente in relazione ad una noma cautelare specifica – l’art. 16, d.P.R. n. 164 del 1956, in tema di adozione di parapetti – già esclusa dalla stessa Corte con la sentenza poi annullata; in particolare, il Collegio di merito, in sede di rinvio, non avrebbe considerato che la Corte di cassazione aveva annullato la precedente pronuncia con riguardo esclusivo ad un profilo di colpa omissiva generica, in quanto soltanto questo era stato riconosciuto nella prima decisione di appello. Con riguardo alla quale, peraltro, il Procuratore generale non aveva proposto ricorso per cassazione, sì che l’originario profilo di colpa specifico doveva ormai ritenersi coperto da giudicato, non potendo, dunque, esser "recuperato" dal Collegio di appello in sede di rinvio. Ciò, in forza di costante giurisprudenza di legittimità che il ricorso richiama;
– violazione degli artt. 10 e 16, d.P.R. n. 164 del 1956; travisamento della prova; mancanza di motivazione su punto decisivo. La sentenza avrebbe erroneamente affermato che, pur in presenza di regolare dotazione di cinture di sicurezza per gli operai, il cantiere dovesse comunque esser provvisto di parapetti; questa tesi, tuttavia, risulterebbe tutt’altro che pacifica, atteso che le citate cinture – se indossate – avrebbero scongiurato del tutto il pericolo di caduta. Quel che, peraltro, sarebbe stato affermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte. Sul punto, ancora, la sentenza avrebbe travisato la deposizione dell’ispettrice del lavoro Di Lalla circa l’inadeguatezza dell’impalcatura montata lungo una parete dello stabile, che, per emergenza pacifica, nessun ruolo avrebbe avuto nell’incidente mortale; il Limonciello, infatti, sarebbe caduto dal lastrico, non scivolando da una parete;
– violazione degli artt. 1 ss., d. Lgs. n. 494 del 1996, d.P.R. 222 del 2003, 627 cod. proc. pen.; violazione del principio di specialità; mancata motivazione su punto decisivo. La sentenza avrebbe omesso di considerare, nel caso in esame, l’applicabilità di normativa speciale rispetto a quella contestata, ossia del d. Lgs. n. 494 del 1996; questo testo, poi attuato dal d.P.R. n. 222 del 2003, definirebbe in modo diverso obblighi e posizioni di garanzia negli appalti di opere pubbliche (come quello in esame), assegnando al committente il dovere di prevedere e prescrivere all’appaltatore l’adozione di misure di sicurezza, tra le quali l’eventuale installazione di ponteggi o parapetti. Tale materia, quindi, non sarebbe stata di competenza del Visconti, in assenza di apposita previsione da parte della committenza pubblica/stazione appaltante (che nulla aveva imposto in materia).
Peraltro, l’intervenuta assoluzione del coimputato Luigi Borrelli, direttore dei lavori, con riguardo alla mancata installazione di ponteggi o parapetti, avrebbe comportato il medesimo esito anche per il datore di lavoro; esito ormai cristallizzato, in assenza di ricorso da parte del Procuratore generale. Questione – si ribadisce – sulla quale, dunque, la Corte di appello, in sede di rinvio, non si sarebbe potuta pronunciare. E con la precisazione che il Visconti, nel rispetto della normativa allora vigente, avrebbe correttamente delineato ruoli, competenze e poteri, anche con nomina di un preposto per la sicurezza, nella persona di Giovanni Iacolare; al quale solo, dunque, potrebbe esser riferita la responsabilità per un incidente – come quello per cui è processo – originato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa. In sintesi, nessun addebito potrebbe esser mosso al ricorrente, che avrebbe correttamente adempiuto a tutti gli obblighi impostigli, compresa la redazione del POS, la formazione ed informazione dei dipendenti, nonché la dotazione di tutti gli apparati di sicurezza individuali;
– violazione degli artt. 194, 500, 514 cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione. Ribadito quanto censurato con il primo motivo, il ricorso contesta il travisamento della deposizione di Vincenzo Bevilacqua; questi, infatti, non avrebbe detto che, al momento della caduta, il Limonciello stesse arrotolando la guaina spalle al mare, e ciò per la ragione che il teste non lo avrebbe visto. Le sue, pertanto, sarebbero soltanto mere supposizioni sulle modalità dell’incidente. Con la precisazione, peraltro, che le precedenti dichiarazioni rese a s.i.t., che pur il pubblico ministero aveva tentato di introdurre nel dibattimento, non vi avevano fatto ingresso per opposizione del difensore, né il pubblico ministero aveva chiesto di poterne effettuare deposito agli atti. In termini eguali e contrari, peraltro, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto di dichiarazioni invece rese dal teste (motivo n. 5), che avrebbe riferito che l’incidente si era verificato quando tutti i lavoratori erano fermi per la pausa pranzo, e perciò si erano tolti le cinture di sicurezza. La medesima censura, di seguito, è proposta con riguardo alla deposizione di Daniele Marinucci (motivo n. 6), il quale avrebbe dichiarato di aver visto il Limonciello cadere a faccia in giù, con il ventre verso il basso; orbene, la Corte di appello ne avrebbe travisato le parole, affermando che – secondo il ricordo del teste – la vittima avrebbe impattato con il terreno con la parte posteriore del corpo, operando una semi-giravolta verso il suolo dopo l’impatto, non già prima, come invece riferito dal Marinucci. Valutando correttamente questa deposizione, anziché travisandola, la Corte di appello avrebbe dunque potuto accedere alla tesi dell’eccezionalità dell’evento, dovuto ad un improvviso malore in capo al Limonciello, così ulteriormente scagionando il Visconti;
– stesse censure, da ultimo, con riguardo alla motivazione della sentenza in tema di comportamento abnorme tenuto dallo stesso lavoratore, che la Corte di appello avrebbe escluso travisando le dichiarazioni degli operai che stavano eseguendo la lavorazione ed i rilievi fotografici; peraltro, affermare che la vittima stesse svolgendo il rotolo di spalle, così avvicinandosi pericolosamente al bordo del lastrico, varrebbe ammettere un comportamento del tutto anomalo ed inspiegabile, peraltro tenuto – in piena autonomia – durante la pausa pranzo, in assenza degli altri operai e senza allacciare la cintura di sicurezza. 
 
4. Propone ricorso per cassazione anche il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Salerno, sostenendo gli argomenti di cui al primo ed all’ultimo motivo del ricorso Visconti.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
3. Ritiene il Collegio che entrambi i ricorsi debbano essere rigettati, perché infondati.
 
4. Al riguardo, è necessario affrontare per prima la questione processuale sollevata dai ricorrenti, in forza della quale la Corte di appello, pronunciandosi in sede di rinvio, non avrebbe potuto esaminare nuovamente quei profili di colpa (specifica) esclusi nella precedente decisione di secondo grado, perché ormai coperti da giudicato in assenza di ricorso da parte del pubblico ministero, ma si sarebbe dovuta limitare a verificare l’unico profilo di colpa (generica) per il quale il Visconti aveva proposto ricorso per cassazione e sul quale la quarta Sezione di questa Corte si era pronunciata.
 
Ebbene, questo assunto non può essere condiviso, al riguardo dovendo muovere dalla lettera dell’art. 627, comma 2, cod. proc. pen. (che stabilisce che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge) e dall’interpretazione operatane dal Collegio di appello nell’incipit proprio della sentenza qui in esame. 
 
5. La Corte di merito, in particolare, ha richiamato la pacifica e condivisa giurisprudenza di legittimità in forza della quale, a seguito di annullamento per vizio di motivazione (come nel caso di specie), il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio, con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata – salve le sole limitazioni previste dalla legge e consistenti nel non fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato ed il valore delle relative fonti di prova (tra le molte, Sez. 3, n. 34794 del 19/5/2017, F., Rv. 271345 e Sez. 2, n. 27116 del 22/5/2014, Grande Aracri, Rv. 259811; Sez. 5, n. 34016 del 22/6/2010, Rv. 248413. Si veda, sul punto, anche Sez. 5, n. 42814 del 19/6/2014, Cataldo, Rv. 261760, in forza della quale i poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, come nel caso in esame. Nella prima ipotesi, resta ferma la valutazione dei fatti come accertati dal provvedimento annullato; nella seconda, invece, "l’annullamento travolge gli accertamenti e le valutazioni già operate e, dunque, i poteri del giudice di rinvio hanno la massima latitudine" (corsivo dell’estensore), imponendo – si ribadisce – un nuovo ed esaustivo esame del materiale probatorio, con l’unico limite negativo già sopra richiamato).
 
6. Quanto precede, peraltro, con la precisazione che, qualora l’annullamento con rinvio avvenga – sempre per vizio di motivazione – mediante l’indicazione dei punti specifici di carenza o contraddittorietà, come nel caso di specie, il potere del giudice di rinvio non è limitato all’esame dei singoli punti specificati, come se essi fossero isolati dal restante materiale probatorio, essendo il giudice stesso tenuto a compiere anche eventuali atti istruttori necessari per la decisione (tra le altre, Sez. 5, n. 33847 del 19/4/2018, Cesarano, Rv. 273628). E con l’ulteriore corollario in forza del quale, in tali casi, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando a lui solo il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali tutte e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (tra le molte, Sez. 5, n. 36080 del 27/3/2015, Knox, Rv. 264861).
 
7. Ne consegue – conclusivamente sul punto, e con particolare rilievo per la vicenda in esame – che non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità (per tutte, Sez. 2, n. 1726 del 5/12/2017, Liverani, Rv. 271696; Sez. 4, n. 2044 del 17/3/2015, S., Rv. 263864). 
 
8. I principi appena richiamati, dei quali la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, trovano poi un unico limite nell’avvenuta formazione del giudicato progressivo, il cui effetto – che l’art. 627, comma 2, cit. trasforma in obiettivo – è quello di delimitare sempre più l’oggetto del giudizio e non consentire una protrazione "ad libitum" del processo (così Sez. 5, n. 36080 del 27/3/2015, Knox, Rv. 264860); effetto che, peraltro, può conseguire sia alla sentenza di appello poi annullata, sia a quella di legittimità che abbia pronunciato un annullamento parziale. Proprio a tale ultimo riguardo, questa Corte ha costantemente affermato, ad esempio, che l’annullamento con rinvio disposto ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la definitività dell’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, sicché la formazione del giudicato progressivo impedisce, in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (tra le molte, Sez. 2, n. 4109 del 12/1/2016, Serafino, Rv. 265792. A tale riguardo, si veda anche Sez. 3, n. 54357 del 3/10/2018, C, Rv. 274129, in forza della quale in caso di annullamento parziale della sentenza, la rimessione al giudice del rinvio della sola verifica circa la sussistenza o meno dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, determina il formarsi del giudicato sull’accertamento del "fatto-reato", con conseguente preclusione per il giudice del rinvio di dichiarare la prescrizione dello stesso, non solo quando la causa estintiva sia sopravvenuta, ma anche qualora la prescrizione, preesistente al giudizio rescindente, non sia stata valutata dalla Corte di cassazione). Analogamente, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sopravvenuta alla pronuncia di annullamento (Sez. 1, n. 43710 del 24/9/2015, Catanese, Rv. 264815. Con la conseguenza – di cui a Sez. 6, n. 18061 del 15/3/2018, Cerra, Rv. 272974 – che, nel caso di annullamento con rinvio limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, al giudice del rinvio è preclusa la possibilità di dichiarare la non punibilità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. non rilevata nel giudizio rescindente, essendosi formato il giudicato sull’insussistenza della causa di non punibilità. Specularmente – come da Sez. 3, n. 38380 del 15/7/2015, Ferraiuolo, Rv. 264796 – qualora la Corte di cassazione annulli con rinvio ‘limitatamente all’accertamento dell’esistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio è tenuto a verificare esclusivamente l’applicabilità in fatto di tale causa di esclusione della punibilità, ma non può rilevare l’eventuale decorso del termine di prescrizione, stante la formazione del giudicato progressivo in punto di accertamento del reato e affermazione di responsabilità dell’imputato).
 
9. Tanto premesso in termini generali, i ricorrenti – come già richiamato – lamentano che la Corte di merito, in sede di rinvio, non avrebbe potuto "recuperare" quegli addebiti di colpa specifica (tra i quali quello attinente alla mancata adozione dei ponteggi) ormai coperti proprio dal giudicato progressivo (successivo alla sentenza di appello), dovendo limitare il proprio esame all’unico profilo di colpa generica riconosciuto dalla pronuncia di legittimità ed oggetto dell’annullamento con rinvio.
 
10. Orbene, questo assunto, seppur suggestivo, non risulta tuttavia corretto, dovendosi al riguardo valorizzare il concetto di "capo" della sentenza – suscettibile di passare in giudicato (anche progressivo) – per come definito dalla più autorevole giurisprudenza di questa Corte, da ultimo ampiamente richiamata nella significativa sentenza a Sezioni Unite Aiello del 2016 (n. 6093 del 27/5/2016, Rv. 268966).
 
11. Il Supremo Collegio, in particolare, ha evidenziato che già la pronuncia Tuzzolino (Sez. U, n. 1 del 28/6/2000, Rv. 216329) aveva chiarito che il giudicato parziale può formarsi soltanto con riguardo ai "capi" e non con riguardo ai "punti" della decisione. Per "capo" della sentenza deve intendersi «ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato» e tale nozione ha rilievo in particolare per la sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, «tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza». Il concetto di "punto della decisione", cui fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ha invece una portata più ristretta, riguardando «tutte le statuizioni – ma non le relative argomentazioni svolte a sostegno – suscettibili di autonoma considerazione e necessarie per ottenere una decisione completa su un capo». I punti della decisione, in particolare, vengono a coincidere con le parti della sentenza relative alle «statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato» e, nell’ambito di ogni capo, segnano un "passaggio obbligato" per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato (ad esempio, l’accertamento del fatto, l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza). Le Sezioni Unite Tuzzolino, dunque, avevano definito il capo come «un atto giuridico completo, tanto che la sentenza che conclude una fase o un grado del processo può assumere struttura monolitica o composita, a seconda che l’imputato sia stato chiamato a rispondere di un solo reato o di più reati, nel senso che, nel primo caso, nel processo è dedotta un’unica regiudicanda, mentre, nel secondo, la regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è stata esercitata l’azione penale. Nell’ipotesi di processo cumulativo o complesso, la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall’impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di giudicato parziale»
 
12. Il principio dell’autonomia dei singoli capi della sentenza – già affermato, anche nella vigenza del codice del 1930, dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7 del 26/02/1955, Zoccola, Rv. 097507 – è stato poi ribadito dallo stesso Supremo Collegio, successivamente alla sentenza Tuzzolino, nella decisione n. 10251 del 9/3/2007, Michaeler, Rv. 235699, in cui si è condivisa la definizione del capo come atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza. 
 
13. Sì da doversi concludere, ancora con la fondamentale pronuncia Tuzzolino (ripresa ripetutamente dalla successiva giurisprudenza di legittimità; tra le molte, Sez. 5, n. 46513 del 14/7/2014, Lamkja, Rv. 261036), che, poiché la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza – nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli -, e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell’imputato fa sorgere la preclusione su tale punto, ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l’autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l’impugnante abbia devoluto al giudice l’indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicché la "res iudicata" si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame. Con la conseguenza – significativa – che l’eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce Così come, nella medesima ratio, il principio per cui, nel caso di ricorso per cassazione articolato in più motivi avverso una sentenza avente ad oggetto un solo reato, la fondatezza del motivo concernente la pena accessoria, da ritenere a tutti gli effetti "punto" della decisione, comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al "capo" di imputazione cui si riferisce e consente di rilevare l’eventuale estinzione del reato per prescrizione (tra le altre, Sez. 6, n. 58095 del 30/11/2017, Tornei, Rv. 271965). 
 
14. In forza di tutto quanto precede – e sottolineato che, nel caso di specie, la Corte di appello non aveva formalmente assolto l’imputato dai profili di colpa specifica concernenti l’unico reato (capo) contestato ex art. 589 cod. pen., rimasti dunque senza alcuna espressa pronuncia, in fase di merito come in quella di legittimità – ecco allora che la prima sentenza di appello, così come l’annullamento con rinvio disposto da questa Corte, non ha coperto di definitività gli stessi addebiti di colpa specifica, poiché evidentemente meri "punti" – e non "capi" – della condanna di primo grado, concernenti soltanto una porzione dell’unico ed ampio profilo di addebito soggettivo, la "colpa", come tali inscindibili sotto il profilo in esame e, dunque, insuscettibili – ex se – di passare in giudicato; sicché – per riprendere ancora la sentenza Tuzzolino – non sono divenute irretratta bili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli. 
 
15. In sintesi, sull’unico capo della sentenza in oggetto – da intendere quale esclusivo ed integrale profilo di contestazione, nei termini sopra citati – non si è ancora formato alcun giudicato, comé invece dedotto dai ricorrenti, neppure in esito alla prima sentenza di appello impugnata parzialmente dal solo imputato, sicché la stessa Corte di merito, in sede di rinvio, è stata nuovamente investita dell’intero giudizio per come delineato nell’atto di gravame, dovendosi quindi pronunciare – come correttamente ha fatto – su tutte le questioni in allora proposte – id est: sull’intero addebito di responsabilità per colpa – e sull’integrale motivazione per come redatta dal primo Giudice, e con l’unico limite di non poter ripetere il percorso logico censurato dalla Corte rescindente.
 
16. E senza che, da ultimo sul tema, possa ritenersi di contrario avviso la sentenza a più riprese citata nel ricorso dell’imputato (Sez. 6, n. 11641 del 20/2/2018, Ranzi, Rv. 272641), a mente della quale il giudice del rinvio è tenuto ad uniformarsi non solo al principio di diritto, ma anche alle premesse logico-giuridico-fattuali poste a base dell’annullamento, non potendo nuovamente valutare questioni che, anche se non esaminate nel giudizio rescindente, costituiscono i presupposti della pronuncia sui quali si è formato il giudicato implicito interno. Questo assunto, infatti, è stato sostenuto con riguardo ad un caso di annullamento con rinvio per violazione di legge (non, dunque, per vizio di motivazione), nel quale il principio di diritto vincolante era stato affermato sulla base di presupposti fattuali convalidati dalla Corte di legittimità, e premessa della regula iurís dettata; un contesto, quindi, del tutto diverso da quello in esame, nel quale i profili di colpa specifica contestati al Visconti non erano mai stati esaminati dal Giudice di legittimità, né avevano costituito premessa alcuna della decisione assunta, alla quale non erano in alcun modo legati da un vincolo di consequenzialità.
 
Il primo motivo proposto dai ricorrenti, pertanto, deve ritenersi infondato.
 
17. Con riguardo, poi, ai successivi, gli stessi risultano in parte inammissibili, in parte da rigettare.
 
18. Inammissibile, in primo luogo, è la seconda censura, in forza della quale l’adozione dei parapetti non sarebbe stata necessaria sul cantiere, attesa la (pacifica) dotazione agli operai della cintura di sicurezza. Osserva la Corte, infatti, che la questione è posta in termini palesemente fattuali – quindi, irricevibili in questa sede – muovendo dall’asserzione secondo la quale non sarebbe "affatto pacifica, come sembra far credere la Corte Salernitana…, la tesi dell’obbligatorietà dei parapetti in aggiunta all’obbligatorietà delle cinture di sicurezza". A ciò si aggiunga, peraltro, che la giurisprudenza di legittimità ha già rilevato – in senso contrario a quanto dedotto nel ricorso – che in tema di infortuni sul lavoro, l’uso delle cinture di sicurezza – misura di carattere generale e imperativo – deve essere adottato in tutti i casi in cui il lavoratore sia esposto al rischio di caduta dall’alto, con la sola esclusione della ipotesi di presenza di impalcati di protezione e di parapetti idonei a scongiurare del tutto il rischio di caduta: ne consegue che l’esonero dalla protezione delle cinture non è previsto allorché tali parapetti siano idonei soltanto a facilitare il lavoro, o, tutt’al più, ad attenuare soltanto il rischio (Sez. 4, n. 10213 del 13/1/2005, Vecchiato, Rv. 231249). Quel che si concilia con lo speculare e condivisibile principio – richiamato anche nella sentenza impugnata – per il quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’obbligo del datore di lavoro, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali non può essere sostituito dall’uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare (per tutte, Sez. 4, n. 25134 del 19/4/2013, Urso, Rv. 256525). 
 
19. Ancora, la stessa doglianza richiama stralci di alcune deposizioni (Di Lalla, Bevilacqua, Marinucci) in tema di adeguatezza di un’impalcatura montata lungo una parete, evocando sì il travisamento della prova, ma di fatto chiedendo una diversa valutazione delle stesse dichiarazioni, pacificamente non consentita; al riguardo, infatti, occorre ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla  coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). 
 
20. Infondata, di seguito, risulta la terza censura del ricorso Visconti, con la quale si deduce la violazione del d. Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili) e del d.P.R. 222 del 3 luglio 2003, con mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia; la tesi difensiva – per la quale questa disciplina avrebbe posto integralmente in capo al committente, non al datore di lavoro quale il Visconti, l’eventuale obbligo di adottare i parapetti nell’ambito del PSC (Piano Sicurezza e Coordinamento) – non può esser infatti accolta. 
 
21. Osserva il Collegio, al riguardo, che la normativa richiamata è stata introdotta per ampliare – non certo per restringere – la sfera di tutela del lavoratore e dei luoghi di lavoro, espandendo – non certo limitando – le figure di garanzia e gli obblighi ad esse relativi, particolarmente avvertiti qualora i lavori da eseguire siano complessi o prevedano interferenze tra i vari soggetti coinvolti. Ecco dunque il Piano di Sicurezza e Coordinamento (i cui contenuti minimi sono definiti dagli artt. 2, 3 e 4, d.P.R. n. 223), redatto dal committente o dal responsabile dei lavori; il Piano di Sicurezza Sostitutivo, redatto a cura dell’appaltatore e del concessionario; il Piano Operativo di Sicurezza, redatto da ciascun datore di lavoro delle imprese esecutrici (il Visconti, nel caso di specie); strumenti che, all’evidenza, non si sostituiscono, ma si integrano, nell’ottica di
una messa in sicurezza del cantiere che il legislatore tende a garantire sempre con maggiore rigore. Come confermato, del resto, dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha delineato gli ambiti di responsabilità anche del committente (dal quale, peraltro, non può esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo; tra le altre, Sez. 4, n. 27296 del 2/12/2016, Vettor, Rv. 270100; Sez. 4, n. 44131 del 15/7/2015, Heqimi, Rv. 264974), senza tuttavia rimuovere alcun profilo di responsabilità in capo al datore di lavoro, primo destinatario della posizione di garanzia nei confronti dei propri dipendenti, allorquando – anche a fronte di competenze altrui – destini gli stessi a mansioni oggettivamente pericolose, in ragione del generale contesto in cui si svolgono.
 
22. Responsabilità che, nel caso di specie, è stata individuata dalla Corte di appello con adeguato argomento, fondato su oggettive emergenze istruttorie e privo di illogicità manifeste; in forza del quale, in particolare, "nonostante i lavori dovessero essere effettuati su una terrazzina all’altezza di circa otto metri dal suolo, il cantiere veniva allestito senza apprestare impalcature, ponteggi e le altre opere provvisionali. g Nel POS, infatti, non era stata prevista l’installazione di parapetti o di opere similari, essendo stato previsto come unico presidio di sicurezza la sola dotazione delle cinture con le relative imbracature", avendo colposamente ritenuto – la stazione appaltante ed il datore di lavoro – che questi presidi potessero efficacemente assicurare gli operai da rischi di cadute pericolose o addirittura mortali, come nel caso di specie. Quel che, all’evidenza, costituisce un profilo di responsabilità proprio ed esclusivo del datore di lavoro Visconti, anche nella qualità di redattore del POS, e senza che, pertanto, possa essere richiamata – come invece nel ricorso – la diversa figura di Giovanni Iacolare, nominato responsabile dei lavoratori per la sicurezza quanto alla fase operativa.
 
23. Inammissibili, di seguito, risultano anche i motivi nn. 4, 5 e 6 del ricorso VIsconti, con i quali, ancora, le dedotte violazione di legge ed illogicità manifesta della motivazione appaiono coprire una reiterata richiesta – o sollecitazione – di una diversa lettura delle medesime emergenze istruttorie (deposizioni Bevilacqua e Marinucci) già esaminate dai Giudici del merito; quel che non è ammesso alla Corte di legittimità, come già in precedenza evidenziato. 
 
24. A ciò si aggiunga che la sentenza impugnata – rispondendo proprio alle censure relative alle modalità dell’infortunio mortale – ha sviluppato un più che adeguato percorso motivazionale, sottolineando che il dibattimento (deposizioni De Marino, Marinucci e Bevilacqua) aveva provato che: a) il Limonciello stava srotolando la guaina di coibentazione del lastrico – attività di sua competenza – di spalle all’esterno, così via via avvicinandosi sempre più al margine, dal quale era infine purtroppo precipitato; b) l’eventuale pausa-lavoro che gli altri operai stessero osservando, quand’anche provata, non escluderebbe di per sé il nesso eziologico tra la condotta colposa riscontrata ed il comportamento del lavoratore (che, in tale ottica, sarebbe tornato alle proprie mansioni prima degli altri, fuori da una certa "ufficialità"), atteso che – come da giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 4, n. 42510 del 25/6/2013, Dall’Olio, Rv. 258239) – "il cantiere deve essere sempre in sicurezza e i lavoratori debbono essere sempre protetti dai rischi che le norme a contenuto cautelare tendono a scongiurare, anche nei momenti di sospensione, pausa o interruzione dell’attività di lavoro"; c) non era  risultata provata alcuna ipotesi alternativa alla caduta per assenza di parapetti, quale un malore o lo stato di ebbrezza, come da analitica motivazione sul punto che i ricorsi neppure menzionano; d) le modalità di quanto occorso deponevano, oltre ogni ragionevole dubbio, per una caduta avvenuta di spalle (per l’appunto, durante la fase di srotolamento della guaina), come confermato dalle deposizioni richiamate al riguardo e dall’esame autoptico, che aveva concluso per un impatto al suolo avvenuto con la parte occipitale della testa, non già con la zona frontale. 
 
Conclusioni – queste che precedono – che il ricorso del Visconti intenderebbe superare con una nuova lettura delle citate deposizioni, su plurimi profili palesemente fattuali, all’evidenza non consentita nei termini già a più riprese citati; al riguardo, peraltro, evocando numerosi travisamenti della prova che, tuttavia, non emergono dal testo della sentenza impugnata, risolvendosi in una diversa interpretazione delle stesse prove dichiarative.
 
24. Da ultimo, il settimo motivo, con il quale – invero in termini appena accennati – sembra riproporsi la tesi della condotta abnorme tenuta dal lavoratore; consistita, nell’ottica proposta dai ricorrenti, proprio nel fatto che questi stesse srotolando la guaina andando verso il bordo, il che "equivale ad ammettere che egli abbia deciso autonomamente ed inspiegabilmente di compiere un’azione del tutto anomala rispetto alla normale pratica della lavorazione richiesta."
 
25. Argomento con il quale, tuttavia, i ricorsi (anche quello proposto dal Procuratore generale) non si confrontano affatto con l’ampia motivazione stesa sul punto dalla Corte di appello, la quale – anche a fronte di una condotta di certo colposa del lavoratore – non ha escluso il nesso causale con l’omissione riconosciuta al Visconti. In particolare, con argomento che si sottrae alla censura avanzata, il Collegio di merito ha richiamato il costante indirizzo – ben riferibile al caso di specie – in forza del quale in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. (Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014,c Scarselli, Rv. 259321: fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un’idonea impalcatura – "trabattello" – nonostante il lavoratore avesse concorso all’evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
 
26. Nei medesimi termini, ancora, la censura in esame non si misura con l’ulteriore parte motiva sul tema, con riguardo al presunto comportamento sigliere estensore abnorme che avrebbe tenuto il Limonciello. Argomento sul quale, in particolare, la Corte di appello – alla luce delle risultanze istruttorie tutte – ha escluso una simile ipotesi (il lavoratore stava eseguendo la mansione che gli era stata assegnata), facendo buon governo del principio secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (tra le molte, Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014, Bonelli, Rv. 261946). 
 
Ipotesi esclusa dalla Corte di appello con adeguati argomenti, in forza delle considerazioni che precedono.
 
27. Entrambi i ricorsi debbono pertanto essere rigettati, con condanna del Visconti al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso del Procuratore generale, nonché il ricorso di Visconti Giuseppe, che condanna al pagamento delle spese processuali.
 
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019

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