RIFIUTI – Discarica abusiva – Nozione di gestione abusiva dei rifiuti – Condotte iniziale di trasformazione di un sito – Condotte conseguenziali idonee ad integrare il reato – Contributo sia attivo che passivo – Art. 256 d.lgs n.152/2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso in cassazione – Integrazione delle motivazioni tra le sentenze – Doppia conforme – Unico complesso motivazionale – Motivazione per relationem – Effetti.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Agosto 2019
Numero: 36456
Data di udienza: 5 Giugno 2019
Presidente: ROSI
Estensore: NOVIELLO
Premassima
RIFIUTI – Discarica abusiva – Nozione di gestione abusiva dei rifiuti – Condotte iniziale di trasformazione di un sito – Condotte conseguenziali idonee ad integrare il reato – Contributo sia attivo che passivo – Art. 256 d.lgs n.152/2006 – Giurisprudenza – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso in cassazione – Integrazione delle motivazioni tra le sentenze – Doppia conforme – Unico complesso motivazionale – Motivazione per relationem – Effetti.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/08/2019 (Ud. 05/06/2019), Sentenza n.36456
RIFIUTI – Discarica abusiva – Nozione di gestione abusiva dei rifiuti – Condotte iniziale di trasformazione di un sito – Condotte conseguenziali idonee ad integrare il reato – Contributo sia attivo che passivo – configura – Art. 256 d.lgs n.152/2006 – Giurisprudenza.
In tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di realizzazione di discarica abusiva la condotta di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono. Quanto alle condotte idonee ad integrare in via generale la nozione di gestione di una discarica abusiva, il reato, già previsto dall’art. 25 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e successivamente recepito dall’art. 256, comma terzo, del d. Igs. n. 152 del 2006 e, da ultimo, dall’art. 6, comma primo, lett. e), del D.L. 6 novembre 2008, n. 172, convertito in I. 30 novembre 2008, n. 210, deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso (Cass. Sez. 3, n. 12159 del 15/12/2016 – dep. 14/03/2017).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso in cassazione – Integrazione delle motivazioni tra le sentenze – Doppia conforme – Unico complesso motivazionale – Motivazione per relationem – Effetti.
in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte. Sicché, in caso di “doppia conforme”, le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata. Inoltre, in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione.
(annulla con rinvio sentenza del 03/04/2018 – CORTE DI APPELLO DI NAPOLI) Pres. ROSI, Rel. NOVIELLO, Ric.Santarpia
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/08/2019 (Ud. 05/06/2019), Sentenza n.36456SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 27/08/2019 (Ud. 05/06/2019), Sentenza n.36456
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da, Santarpia Annunziata nata a Pompei;
avverso la sentenza del 03/04/2018 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Bergamo Mariastella quale sostituto processuale dell’avv. Giuseppe Vitiello che si è riportato ai motivi di ricorso, e l’avv. Claudio d’Isa che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 3 aprile 2018 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del 16 aprile 2012 emessa dal Tribunale di Torre Annunziata nei confronti dell’odierna ricorrente, con cui Santarpia Annunziata era stata condannata per il reato di cui all’art. 6 lett. e) L. 201/2008, in quanto realizzava e gestiva una discarica non autorizzata, depositandovi rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi.
2. Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso, mediante un suo difensore, Santarpia Annunziata, deducendo cinque motivi di impugnazione.
3. Con il primo motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 lett. c) e d) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 178 lett. a), 179, 598, 546 lett. e), 604 comma quattro cod. proc. pen., 6 CEDU, 46 e ss. della Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione Europea.
Si lamenta l’omessa motivazione, per la mancata indicazione delle prove della colpevolezza dell’imputata e delle ragioni a supporto nonché l’illogicità della stessa per contraddittorietà, atteso che la ricorrente è definita proprietario del fondo mentre dagli atti depositati dalla difesa emergerebbe un dato di natura opposta.
Si deduce altresì l’illogicità della motivazione per contraddittorietà extra – testuale, siccome non si tiene conto del fatto che il proprietario del fondo non può rispondere a titolo di mera omissione della fattispecie contestata.
La ricorrente deduce, in particolare, l’omessa motivazione sulla titolarità, in capo alla medesima, del suolo interessato dai rifiuti e l’insufficienza della motivazione, laddove in merito al contratto di locazione intervenuto tra la società dell’imputata e quella del figlio, la corte oltre a citarlo null’altro ha spiegato circa la ritenuta irrilevanza nè ha evidenziato che la ricorrente non poteva gestire il suolo e i mezzi ivi presenti, siccome non a lei riconducibili.
La Corte non avrebbe tenuto conto delle testimonianze che metterebbero in luce l’estraneità ai fatti della ricorrente, atteso che con esse si illustra la presenza dei rifiuti in contestazione solo lungo tutta la linea sottostante una strada sopraelevata.
In ragione di tali prove invero, oltre che di quelle documentali e fotografiche, i giudici del merito avrebbero dovuto approfondire gli aspetti inerenti la titolarità dell’area ispezionata dagli operanti e interessata dai rifiuti, per delimitare con esattezza la zona su cui essi erano stati rinvenuti, non riconducibile all’imputata.
Ciò in quanto l’area ricondotta alla ricorrente contiene in realtà un’altra porzione di terreno, di proprietà dell’Anas, su cui il predetto Ente costruiva i pilastri di sostegno della strada sopraelevata prima citata. Tanto emergerebbe da un atto di cessione bonaria del 12 dicembre 1986 oltre che dalla lettura del titolo di proprietà del fondo appartenente alla ricorrente.
Atto, quest’ultimo, che, se esaminato, avrebbe consentito di comprendere che la società della ricorrente era divenuta proprietaria del terreno indicato nel 2006 per acquisto ottenuto da tale Bottoni Caterina. Ed invero nel predetto titolo sarebbe specificamente descritta, in sede di indicazione deli confini, l’area di pertinenza dell’ente Anas.
Delimitata quindi l’area su cui erano i rifiuti, la ricorrente osserva che i giudici d’appello li avrebbero ricondotti all’imputata con motivazione apparente e contraddittoria, trascurando elementi probatori invece favorevoli all’imputata, sub specie della preesistenza dei rifiuti prima dell’acquisto del terreno da parte della ricorrente, quali una testimonianza di Gargiulo Michele e una sentenza civile che la Corte di Appello non ha acquisito.
La corte avrebbe altresì erroneamente valutato la testimonianza di un altro teste, Malafronte, nel fondare il suo giudizio di responsabilità, incorrendo al riguardo nel vizio di motivazione illogica oltre che apparente, laddove avrebbe attribuito ad un’affermazione del predetto teste un significato non esplicito ovvero una mera intenzione di rivelare date circostanze.
Alla luce dei predetti dati, del fatto che il fondo era liberamente accessibile e della circostanza per cui l’imputata, al momento dell’accesso degli operanti, non aveva la materiale disponibilità del terreno, perché concesso in locazione dal febbraio 2007 ad una società di costruzioni per il deposito, ivi, di mezzi e materiali, la ricorrente ribadisce i vizi di motivazione, dedotti in termini di illogicità e contraddittorietà.
Si contesta ancora, riguardo alle due sentenze di merito, l’assenza di una ricostruzione della complessiva attività investigativa alla luce dei dati documentali prodotti dalla difesa, in realtà non valutati dai giudici con particolare riferimento alla titolarità del suolo e alla sua estensione. E si osserva che gli operanti non avrebbero mai visto l’imputata mentre compiva attività riconducibili ai rifiuti rinvenuti sul suolo nè avrebbero fatto accertamenti sulla titolarità del terreno e sulla sua estensione. Aggiunge quindi, un rinvio integrale a quanto riportato nella consulenza del perito Fontanella, allegata all’impugnazione, e sostiene l’assenza dell’elemento soggettivo del reato in capo alla ricorrente.
Deduce altresì l’assenza di motivazione in merito al diniego della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ed in ordine alla mancata valutazione di documentazione allegata ai motivi di gravame ed ai motivi nuovi proposti in appello. Con conseguente vizio della decisione anche in relazione alla regola del ragionevole dubbio o con riguardo alla immutata qualificazione giuridica del fatto.
3. Con il secondo motivo deduce l’erronea e falsa applicazione dell’articolo 606 lettere b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’articolo 6 lett. e) L. 201/2008 oltre che il vizio di carenza della motivazione.
La corte avrebbe omesso di motivare la decisione di respingere la richiesta di riqualificazione del fatto nell’ambito della fattispecie di cui all’articolo 6 lett. b) ed e) della legge 201 del 2008, oltre ad omettere l’indicazione delle prove sulla base delle quali ha ritenuto di configurare il reato in contestazione.
In particolare, la corte avrebbe desunto la responsabilità dell’imputata solo presumendo che la stessa si occupasse attivamente della gestione della società di cui ella è legale rappresentante, così da dover essere necessariamente a conoscenza della discarica presente nell’area di cui è proprietaria la predetta società.
Senza tuttavia considerare come l’imputata non avesse la materiale disponibilità del fondo alla luce del già citato contratto di locazione e del fatto che la condotta contestata risale al 26 maggio 2009, ossia dopo la predetta locazione. Nè vi sarebbe traccia dell’iter logico seguito dal giudice per escludere la ricostruzione difensiva, a partire dalla questione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata anche in considerazione del dato per cui non è rinvenibile in capo alla stessa alcun obbligo giuridico di intervenire sulla situazione in atto e a lei non riconducibile.
4. Con il terzo motivo deduce l’erronea e falsa applicazione dell’articolo 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione di articoli 133 del codice penale, 598 546 lett. e) cod. proc. pen. oltre che il vizio di omessa motivazione.
Con riferimento alle denegate circostanze attenuanti generiche, la corte di appello non avrebbe adeguatamente giustificato tale scelta, pur avendone l’obbligo, ricorrendo a formule di stile e frasi apodittiche. Nello svolgere tale valutazione, la corte non avrebbe tenuto conto dell’intervenuta bonifica del fondo da parte dell’imputata.
5. Con il quarto motivo deduce l’erronea e falsa applicazione dell’articolo 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 6 lett. e) L. 201/2008 oltre che la carenza e illogicità della motivazione.
Si rappresenta come la ricorrente avesse criticato in grado di appello l’applicazione della confisca, atteso il già citato contratto di locazione, l’assenza sull’area di rifiuti, e la non attribuibilità del reato alla stessa.
6. Sono stati altresì presentati motivi aggiunti dal secondo difensore dell’imputata. Si osserva, riguardo al primo motivo di impugnazione, che alla stessa è stato contestato il reato di cui all’articolo 6 lett. e) L. 201/2008 in quanto proprietaria del fondo e non perché ne avesse la materiale disponibilità e che in nessuna parte delle sentenze di merito si fa riferimento ad una specifica attività materiale della ricorrente in ordine ai rifiuti in contestazione.
Si osserva, quanto al luogo ove erano depositati rifiuti, che esso corrispondeva all’area posta al di sotto del viadotto dell’Anas e quindi in zona di proprietà dell’ente citato, mentre invece nella sentenza di primo grado essi vengono collocati nel terreno di proprietà dell’imputata, laddove poi la zona ove erano presenti i rifiuti sarebbe stata individuata solo sulla base della parola dei verbalizzanti e senza alcun riferimento a dati catastali, facendosi riferimento solo, genericamente, al titolo di proprietà del fondo facente capo alla società amministrata dalla ricorrente.
Con i motivi di appello poi, chiedendosi la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale si sono allegati documenti volti ad accertare la reale proprietà dell’area dove erano presenti i rifiuti, costituiti da una consulenza tecnica dimostrativa della riconducibilità della proprietà della zona in capo all’Anas e da una sentenza della corte di appello civile.
A fronte di tale istanza la motivazione delle ordinanze di rigetto è di mero stile, mentre il ricorrente deduce la mancata assunzione di prove decisive quale effetto dell’immotivato diniego opposto alla istanza di rinnovazione, deducendo “un evidente travisamento del fatto più che della prova in quanto il dato acquisito in sentenza non risponde a quello reale”.
L’individuazione corretta dell’area interessata dai rifiuti rileva anche ai fini della confisca, atteso che quantunque considerata responsabile della discarica, quest’ultima comunque ricadrebbe in un terreno non di proprietà della società di cui ella è rappresentante per cui, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 240 del codice penale, non si sarebbe potuto disporre in ogni caso la confisca.
Quanto al secondo motivo di impugnazione, si sottolinea la contraddittorietà e incongruità della motivazione circa la consapevolezza da parte della ricorrente di ciò che avveniva sul fondo sono perché amministratrice della società che ne era proprietaria, con conseguente insussistenza dell’elemento soggettivo, come indicato nel ricorso principale.
Può in sintesi osservarsi come alla luce del compendio probatorio la Santarpia avrebbe avuto la detenzione del fondo solo formalmente, non essendo stata adeguatamente considerata la concreta operatività del contratto di locazione stipulato a favore della ditta del figlio dell’imputata, come emerge da fatture di cui alla consulenza tecnica allegata e dalla circostanza per cui nel verbale di sequestro del maggio 2009 compariva anche un autocarro di proprietà della ditta beneficiaria del contratto di locazione.
Inoltre, va considerato come la sede della ditta dell’imputata è comunque collocata in luogo diverso da quello del fondo interessato. I giudici sarebbero incorsi in un travisamento del fatto facendo coincidere il luogo ove l’imputata esercita l’attività di vendita di materiali edili della società della ricorrente, con quello dove è stata accertata la discarica.
Con travisamento del fatto anche con riferimento alla ritenuta gestione di fatto del terreno da parte della ricorrente.
Si aggiunge che comunque, a fronte di rifiuti depositati da terzi, la ricorrente non aveva alcun obbligo di intervenire per l’interruzione dell’evento lesivo e per il ripristino dello stato dei luoghi.
Quanto alla qualifica della natura dei rifiuti rinvenuti, dopo aver premesso che gli unici rifiuti definiti pericolosi sono gli automezzi, si osserva che il carattere pericoloso non è stato accertato atteso che il teste dell’ARPAC avrebbe riferito di non aver verificato se le pale meccaniche ed il camion fossero funzionanti.
Cosicché anche in tal caso i giudici hanno dato per scontato un dato non acquisito. Non si è verificato nè se fossero dunque presenti veicoli in disuso né veicoli fuori uso, di cui al codice 160106, che non sono qualificati come pericolosi.
Consegue l’insussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 6 citato, secondo periodo della lettera e).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ opportuno preliminarmente osservare, per meglio analizzare il ricorso, che in caso di “doppia conforme” «le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (cfr. Sez.3, n. 13926 del 01/12/2011 Rv.252615 Valeri; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Argentieri).
1.2. Deve altresì aggiungersi che «in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 Santapaola e altri).
1.3. Di rilievo, in tema di valutazione delle censure proposte in presenza di una cd. “doppia conforme”, è anche il principio per cui «in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988 Reggio.; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 M e altri). Tanto precisato, anche nel caso in esame ricorre la fattispecie di “doppia conforme”, atteso che i giudici di appello non si sono limitati a richiamare immotivatamente la prima sentenza bensì, nell’illustrare e valutare i fatti, quanto al rinvenimento dei rifiuti, alla loro collocazione, alla indicazione del ruolo dell’imputata, hanno chiaramente ripercorso le medesime argomentazioni del primo giudice, condividendole.
2. Passando all’esame dei motivi di impugnazione, occorre preliminarmente esaminare la censura – di cui al primo motivo – inerente la carenza di motivazione in ordine alla omessa rinnovazione dell’istruttoria, come richiesta con i motivi di appello. Occorre innanzitutto evidenziare la natura eccezionale dell’istituto della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen., atteso che esso segna il superamento della presunzione di completezza dell’istruttoria probatoria dibattimentale di primo grado.
A tale istituto infatti, il giudice può fare ricorso solo quando ritenga incompleta l’istruttoria già svolta ed impossibile la decisione allo stato degli atti, come può accadere non solo quando il giudice ritenga che i dati probatori già acquisiti siano incerti, ma anche quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze, ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (cfr. Sez.6, n. 20095 del 26/02/2013 Rv. 256228 Ferrara; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Rv. 237410 Panozzo).
Per tali motivi il Legislatore non riconosce all’esercizio del predetto potere di rinnovazione un carattere obbligatorio assoluto né tantomeno una natura puramente discrezionale e, piuttosto, lo collega all’accertamento dell’impossibilità di decidere allo stato degli atti.
2.1. La peculiare natura dell’esercizio di questo potere assume una portata determinante sul piano della motivazione delle decisioni assunte al riguardo.
Posto infatti che la rinnovazione in parola segna il superamento della citata presunzione di completezza, mentre il rigetto di domande proposte in tal senso, radicando tale presunzione, segna la persistenza della struttura ordinaria del giudizio di secondo grado, consegue che in quest’ultimo caso la motivazione della decisione negativa potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti all’affermazione o negazione di responsabilità, mentre il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sia in caso di accoglimento della richiesta di rinnovazione del dibattimento (art. 603 co. 1 cod. proc. pen. ) sia nel caso in cui disponga d’ufficio la rinnovazione (art. 603 co. 3 cod. proc. pen.).
Venendo in questi casi a distinguersi solo l’ambito di riferimento della motivazione: nel primo caso concentrata sull’impossibilità di decidere allo stato degli atti, nel secondo caso sulla assoluta necessarietà della rinnovazione (cfr. Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 Rv. 266818 Ricci.; Sez. 5, n. 23580 del 19/02/2018 Rv. 273326 Campion).
2.2. Per la suddetta, peculiare natura dell’istituto, si è anche ritenuto che il giudice di legittimità può sindacare la correttezza della motivazione sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento entro l’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato e non anche sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire (cfr. Sez. 3, n. 7680 del 13/01/2017 Rv. 269373, Loda; Sez. 4, n. 37624 del 19/9/2007, Giovannetti, Rv. 237689; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, (dep. 1996), Fachini, Rv. 203764).
2.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha chiaramente specificato la superfluità delle prove richieste anche attraverso una precisa, logica e coerente ricostruzione dei fatti, come di seguito evidenziato, così illustrando, in maniera più che adeguata ai fini in parola, la sussistenza di elementi sufficienti alla ricostruzione della vicenda fattuale in punto di localizzazione dei rifiuti e titolarità dell’area di riferimento.
Non può peraltro ritenersi, come sembra accennarsi nei motivi aggiunti depositati, che la richiesta di rinnovazione fosse stata avanzata con riferimento alla acquisizione di prova decisiva, nulla emergendo in tal senso dalla lettura delle corrispondenti istanze.
Che, comunque, sotto tale profilo sarebbero da qualificarsi come inammissibili già in sede di gravame – come è facoltà di questa Corte stabilire – in quanto – diversamente da quanto rinvenibile nel caso concreto -, in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, la parte che solleciti l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen. in relazione a prove già conosciute o, comunque, già esistenti all’epoca della decisione di primo grado, ha l’onere di evidenziare analiticamente le ragioni dell’assoluta necessità del mezzo di prova da assumere in relazione al compendio istruttorio già formatosi nel caso concreto (cfr. Sez. 3, n. 5441 del 19/09/2017 (dep. 06/02/2018) Rv. 272573 – 01 G).
Neppure ricorre un caso di rinnovazione inerente prove nuove o sopravvenute, emergendo essenzialmente aspetti documentali preesistenti ed in assenza, anche in tal caso, di specifiche indicazioni in tal senso, in sede di gravame.
3. Operate tali opportune precisazioni e riprendendo quanto poco prima anticipato circa la deducibilità in sentenza della motivazione di rigetto della domanda di rinnovazione, si osserva che la corte di appello, richiamando il verbale di sequestro dei Carabinieri e il successivo sopralluogo dei tecnici dell’Arpac del 10 agosto 2009, oltre che le testimonianze dei testi di PG, ha sottolineato che – diversamente dagli assunti difensivi diretti a circoscrivere la collocazione dei rifiuti in uno spazio sottostante la strada sopraelevata, di proprietà dell’Anas – questi ultimi erano presenti, in notevole quantità, in un’area ben individuata, specificata dai giudici di merito come un terreno “recintato perchè chiuso con un cancello”, documentalmente di proprietà della Gargiulo s.a.s., di cui era amministratrice l’imputata e la cui ragione sociale riguardava il campo dell’attività di costruzioni edili e del commercio di immobili.
Che si trattasse di un’area delimitata e distinta da quella di pertinenza dell’Anas, i giudici lo evidenziano anche rappresentando che quest’ultima superficie era confinante – limitatamente alla parte sottostante i pilastri ove poggia la superstrada – con il terreno sopra indicato dell’imputata, ove erano invece collocati i rifiuti.
L’insussistenza di ragioni di accoglimento dell’istanza di rinnovazione è rimarcata dall’ulteriore rilievo per cui, rigettata la predetta istanza con apposita ordinanza, la difesa presentò successivamente documentazione allegata «alle memorie prodotte anche con motivi aggiunti», che fu esaminata dai giudici di appello, tanto che gli stessi hanno dato atto in sentenza del titolo di acquisto del terreno, comprato nel 2006 dalla società della ricorrente, ed hanno evidenziato altresì – perspicuamente in ordine anche alla censura della preesistenza dei rifiuti – che dalla lettura dell’atto di acquisto emergeva che sul terreno medesimo, a fronte della preesistenza di un fabbricato, le parti avevano dato atto della insussistenza di altro da rilevare e, quindi, di «alcun materiale di risulta già presente, come invece ipotizzato dalla difesa in relazione a ‘vecchi lavori Anas’». Quanto ai rifiuti ed alla loro tipologia, appare ampia e precisa la motivazione, sia in ragione di un’articolata descrizione dei diversi materiali corrispondenti a quelli indicati in contestazione, sia attraverso la specificazione della inerenza ad attività edilizia, sia mediante l’indicazione delle quantità (pari a circa 120 mc. di esiti di demolizioni oltre a notevoli quantità di altri rifiuti espresse in peso), sia attraverso il rilievo per cui la parziale pericolosità degli stessi era stata appositamente accertata dai tecnici dell’Arpac, in occasione del loro accesso in loco.
Si tratta di un’illustrazione che anche in ordine ai rifiuti e ai profili di pericolosità dà conto della completezza dell’istruttoria svolta, che si consolida del resto ancor più alla luce della sentenza di primo grado.
Invero il giudice di prime cure, cui in via preliminare ha fatto espresso rinvio la corte di appello, per quanto qui interessa in ordine al motivo in esame, da una parte ha specificato che i rifiuti furono trovati a seguito di un controllo operato su “un terreno di vaste dimensioni”, ove si rinvenne “una notevole quantità di rifiuti” di vario genere che erano stati sversati “in vari punti del vasto appezzamento di terra” (ancora una volta sconfessandosi la tesi della riconduzione degli stessi nell’ambito della sola striscia di terra sottostante la strada sopraelevata), dall’altra ha precisato la presenza, tra l’altro, di “un autocarro e due pale meccaniche in disuso” ovvero di “automezzi e mezzi meccanici abbandonati” di tipo “pericoloso”, aggiungendo che una precisa verifica della qualità dei medesimi fu effettata dai tecnici dell’Arpac.
Al riguardo ha richiamato documentazione fotografica, accompagnandola sia con l’osservazione circa lo stato di abbandono ovvero il pessimo stato delle pale e di un autocarro, sia citando dichiarazioni del Gargiulo Michele, marito dell’imputata, sulla circostanza per cui il veicolo citato era un vecchio autocarro “in disuso”, sia richiamando infine lo stesso verbale di sopralluogo dei tecnici dell’Arpac.
Consegue la manifesta infondatezza delle censure esaminate e dedotte nell’ambito del primo motivo di impugnazione e relative al rigetto della istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Va aggiunto che la sentenza civile che pure si assume oggetto della istanza di rinnovazione, risulta in realtà presentata all’udienza del 3 aprile 2018, dopo il termine della discussione e quindi per tale motivo non è stata acquisita, correttamente, dalla torte. Cosicchè ogni questione su tale ultimo atto esula del tutto dal presente tema inerente la tempestiva richiesta di rinnovazione.
4. Quanto ai vizi motivazionali della sentenza impugnata, sempre dedotti nel primo motivo di impugnazione, alle sopra illustrate argomentazioni riguardanti la collocazione dei rifiuti, la tipologia e qualità, anche pericolosa, dei medesimi, l’appartenenza del terreno all’imputata, deve aggiungersi la disamina delle due sentenze conformi anche in ordine agli ulteriori aspetti relativi ai fatti in contestazione.
Quanto, invero, alla qualificazione giuridica del fatto, sub specie di discarica, i giudici di merito hanno fatto buon uso dei principi in materia, evidenziando come si trattasse non solo di notevoli quantità di rifiuti, di diversa tipologia, ma anche che gli stessi erano disseminati sull’ampio terreno, accumulati in maniera non occasionale e presenti da tempo in zona (citandosi il marito dell’imputata secondo il quale erano ivi presenti da alcuni anni), con conseguente degrado del fondo.
Tale ricostruzione è conforme al principio per cui, in tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di realizzazione di discarica abusiva la condotta di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono. (cfr. Sez. 3, n. 41351 del 18/09/2008 Rv. 241533 – 01 Fulgori). E su tale base la corte ha correttamente escluso una diversa qualificazione giuridica del fatto conformemente a quanto già rilevato dal primo giudice. Consegue l’inammissibilità anche delle restanti censure sollevate con il primo motivo di impugnazione – al di fuori di quella sull’attribuibilità dell’illecito all’ imputata, che viene di seguito esaminata – oltre a quella dedotta con il secondo motivo in punto di non corretta qualificazione giuridica dei fatti.
5. Riguardo dunque alla questione – sollevata con il primo e secondo motivo di impugnazione – relativa alla attribuibilità del reato alla ricorrente, certamente è corretto – quanto alle condotte idonee ad integrare in via generale la nozione di gestione di una discarica abusiva -, il richiamo alla sentenza di questa Corte con cui è stato sottolineato che il predetto reato – già previsto dall’art. 25 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e successivamente recepito dall’art. 256, comma terzo, del d. Igs. n. 152 del 2006 e, da ultimo, dall’art. 6, comma primo, lett. e), del D.L. 6 novembre 2008, n. 172, convertito in I. 30 novembre 2008, n. 210 – deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso (cfr. Sez. 3, n. 12159 del 15/12/2016 (dep. 14/03/2017) Rv. 270354 – 01 Messina).
Tuttavia, non appare adeguatamente formulata la motivazione con cui i giudici hanno ritenuto di calare nel caso concreto, con riferimento alla ricorrente, il predetto indirizzo giurisprudenziale. I giudici invero, dopo avere valorizzato la titolarità in capo alla ricorrente del terreno in questione, quale proprietaria, la riconducibilità dei rifiuti all’attività tipica della società dell’imputata ed il ruolo di amministratrice ricoperto dalla medesima in tale società, nonché la partecipazione attiva della stessa nella relativa gestione – attraverso il richiamo a specifica testimonianza che ha collocato l’imputata presso il punto vendita della società, così interpretando in maniera tutt’altro che illogica la testimonianza del teste Malafronte -, non hanno adeguatamente chiarito la ritenuta irrilevanza, in punto di attribuibilità alla ricorrente del reato, del rapporto di locazione riguardante il terreno in parola e intercorrente tra la società della Santarpia e quella del figlio, denominata Italcostruzioni S.r.l. Posto che si tratta di un rapporto giuridico che almeno formalmente implica la detenzione del suo oggetto in capo al locatario ossia, nel caso di specie, al figlio della ricorrente e che nel caso in esame emerge l’effettiva disponibilità del terreno da parte di costui – tanto da essere scorto all’interno mentre era alla guida di un autocarro oltre ad essere stati rinvenuti ivi automezzi dismessi di sua proprietà -, non si rinviene alcuna adeguata analisi di tale situazione fattuale e giuridica.
Invero, appare poco conferente al tema in esame il rilievo per cui, posto il contratto di locazione e le circostanze fattuali sopra citate e riguardanti il figlio dell’imputata, doveva ritenersi che quest’ultimo – anche in ragione di documentazione contabile rinvenuta ma non meglio specificata – depositasse anche egli in loco materiale e automezzi dismessi, “essendo chiaramente collegato in ogni caso alla gestione della Gargiulo S.A.S. per le attività di costruzioni e simili”.
Si tratta di affermazioni che paiono al più funzionali ad una estensione del reato a carico del figlio dell’imputata, ma certamente prive di ogni portata illustrativa del ruolo di gestione della discarica attribuito alla ricorrente, secondo le linee giurisprudenziali sopra citate e nel contesto del descritto rapporto di locazione.
Con conseguente motivazione apparente e quindi mancante.
Pertanto il primo e secondo motivo di impugnazione risulta sul punto fondato.
Come tale altresì assorbente in ordine al terzo e quarto motivo di impugnazione residuanti.
6. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla attribuibilità del reato alla ricorrente, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per nuovo esame.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Napoli.
Così deciso il 5/06/2019.