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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 12553 | Data di udienza: 14 Febbraio 2023

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva – Configurabilità – Inescusabilità dell’ignoranza della legge penale e l’ignoranza inevitabile – Differenza tra comune cittadino da chi esercita una determinata attività professionale – C.d. “culpa levis” – Presupposti – Natura di reato a consumazione alternativa – Responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva – Obbligo di controllo della conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado da parte del giudice d’appello – Rinnovazione istruttoria – Motivazione puntuale e adeguata – Necessità.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Marzo 2023
Numero: 12553
Data di udienza: 14 Febbraio 2023
Presidente: SARNO
Estensore: SCARCELLA


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva – Configurabilità – Inescusabilità dell’ignoranza della legge penale e l’ignoranza inevitabile – Differenza tra comune cittadino da chi esercita una determinata attività professionale – C.d. “culpa levis” – Presupposti – Natura di reato a consumazione alternativa – Responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva – Obbligo di controllo della conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado da parte del giudice d’appello – Rinnovazione istruttoria – Motivazione puntuale e adeguata – Necessità.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 27 marzo 2023 (Ud. 14/02/2023), Sentenza n. 12553

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reato di lottizzazione abusiva – Configurabilità – Inescusabilità dell’ignoranza della legge penale e l’ignoranza inevitabile – Presupposti.

Il reato di lottizzazione abusiva non si configura come una contravvenzione esclusivamente dolosa, atteso che, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare, sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici, la stessa, sia nella forma negoziale che materiale, può essere commessa anche per colpa. Sicché, per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24/03/1988 (con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile), è necessario che dagli atti del processo risulti che l’agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicché nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà. In altri termini, l’esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall’errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi, dal mero errore di interpretazione, che diviene scusabile quando è determinato da un atto della pubblica amministrazione o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante, da cui l’agente tragga la convinzione della correttezza dell’interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta. In conclusione, l’esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo. Ne consegue che in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento, con l’espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia.

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Natura di reato a consumazione alternativa – Responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva – Obbligo di controllo della conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione.

Sul piano del diritto sostanziale, la lottizzazione abusiva è un reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest’ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori grava l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione. È da considerarsi, dunque, pacifica la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti amministrativi abilitanti quando questi siano contrari alle norme di legge statale, regionale, agli strumenti urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione dei medesimi. Sicché, il rilascio della concessione edilizia non esclude l’affermabilità della responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la difformità dell’opera realizzata, o realizzanda, rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una “disapplicazione” dell’atto amministrativo, limitandosi, il giudice, ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché, una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione e la normativa urbanistica, giunge all’accertamento della abusiva realizzazione di opere edilizie prescindendo da qualunque giudizio sull’atto amministrativo.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – L’errore inevitabile – Differenza tra comune cittadino da chi esercita una determinata attività professionale – C.d. “culpa levis”.

In tema di errore inevitabile, devono essere stabiliti i limiti di tale inevitabilità, avendo peraltro riguardo alle caratteristiche del caso concreto. Per il comune cittadino tale condizione è infatti sussistente, ogniqualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado da parte del giudice d’appello – Rinnovazione istruttoria – Motivazione puntuale e adeguata – Necessità.

Quando il giudice d’appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, al di là della rinnovazione istruttoria deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata. In particolare, il giudice di appello non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni.

(annulla con rinvio sentenza dell’11/11/2021 – CORTE DI APPELLO DI PALERMO), Pres. SARNO, Rel. SCARCELLA Ric. P.G. nel proc. Caristia ed altri


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 27/03/2023 (Ud. 14/02/2023), Sentenza n. 12553

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli IlL.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica del Tribunale di Palermo
nel procedimento a carico di P.G. nel proc. Caristia ed altri;

avverso la sentenza dell’11/11/2021 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo in data 11/11/2021, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Agrigento in data 26/07/2018, si è pervenuti:
a) all’assoluzione di CARISTIA G., COMPARATO S. e BARRACO G. F. dal reato di cui al capo A) perché il fatto non costituisce reato;
b) all’assoluzione di TERRANA A. dai reati di cui ai capi A) ed F) perché il fatto non costituisce reato;
c) all’assoluzione di CARISTIA G., COMPARATO S. e BARRACO G. F. dai reati ascritti ai capi B), C), D) perché il fatto non sussiste, con riferimento alle condotte residue loro ascritte diverse da quelle per le quali la Corte d’Appello ha confermato l’impugnata sentenza di condanna del GUP di Agrigento;
d) alla condanna per le residue condotte (e, precisamente, per il capo b), limitatamente alla previsione, nei progetti esecutivi relativi ai singoli lotti, degli edifici da realizzare con altezza di ml. 6,10 invece che 6 ml.; per il capo c) e d), limitatamente alla realizzazione nel lotto 12 degli immobili di altezza superiore a quella consentita, ed alla realizzazione, entro la fascia di rispetto di 170ml. dalla battigia, dell’edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell’edificio 12F, in presenza del vincolo di inedificabilità assoluta ex legge reg. 71/78 gravante sui territori costieri entro i 150 ml. dalla battigia e comunque entro i 170 ml. dalla battigia), per l’effetto rideterminando la pena per CARISTIA G. e COMPARATO S. in mesi 4 di arresto ed euro 12000,00 di ammenda ciascuno;
e) al proscioglimento, per sopravvenuta estinzione dei reati per prescrizione, di BARRACO G. F. in ordine ai reati di cui ai capi b), c), d), relativamente alle condotte c.s. specificate, ed anche in ordine al reato di cui al capo f);
f) alla conferma, infine, dell’ordine di demolizione e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, limitatamente alle opere descritte in precedenza, oggetto di condanna per CARISTIA G. e COMPARATO S., con revoca delle ulteriori statuizioni di demolizione e rimessione in pristino, ordinando ex art. 181, co. 2, d.lgs. 42/2004 la trasmissione della sentenza alla Regione Siciliana ed al Comune di Realmonte, confermando nel resto la sentenza appellata.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 5 c.p., per aver ritenuto scusabile un errore inescusabile della legge extra-penale che incide sulla legge penale, nonché vizio motivazionale nella parte in cui è stato ritenuto sussistente un quadro normativo complesso e un contrasto giurisprudenziale per dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo in relazione al capo A) dell’imputazione. Il ricorso evidenzia come la sentenza impugnata avesse ritenuto di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo sulla base di una serie di presupposti errati.

2.1.1. In primo luogo, si sottolinea come l’esistenza di tutti i necessari pareri favorevoli rilasciati anche dalla Sovrintendenza BB.CC.AA. a tutela dei vincoli paesaggistici esistenti sull’area, non possa essere assunta quale argomento a sostegno dell’incolpevole affidamento e, dunque, della buona fede degli imputati, essendo pacifico che il rilascio dei titoli abilitativi e autorizzativi non esclude l’integrazione dei reati di lottizzazione abusiva e di edificazione abusiva, soprattutto nel caso in cui rilevino profili di illegittimità degli stessi provvedimenti amministrativi. Ancor più quando, come nel caso di specie, i profili di illegittimità risultino macroscopici: a sostegno di tale affermazione si richiamava l’argomento per cui, con decreto n. 85 del 2014, l’Assessorato Regionale, in sede di autotutela, annullava la delibera consiliare n. 37/2008 con la quale era stato approvato il piano di lottizzazione CO.MA.ER. Immobiliare.

2.1.2. In secondo luogo, si sostiene che la disciplina di riferimento non costituirebbe oggetto di un quadro normativo complesso, né di contrasti giurisprudenziali, dato che la natura e la durata del vincolo oggetto di presunto contrasto avrebbero potuto essere agevolmente ricostruiti attraverso la lettura di due disposizioni, segnatamente l’art. 5 della Legge regionale Sicilia n. 15/1991 e l’art. 1-ter della Legge 431/1985, nonché, ulteriormente, l’art. 2 del Decreto Assessoriale n. 5111/1992, che, in attuazione dei richiamati atti normativi di rango primario, aveva disposto l’applicazione del vincolo di inedificabilità assoluta sull’area interessata dalla lottizzazione CO.MA.ER, sino all’approvazione del piano territoriale paesistico, non prevedendo nessun altro termine di decadenza del vincolo.

Pertanto, sebbene la stessa Corte d’Appello avesse riconosciuto l’esistenza del vincolo di cui all’art. 5 Legge regionale n. 15/1991, si sarebbe dovuta escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo in ragione della confusione originatasi dal susseguirsi di una serie di decreti assessoriali incidenti proprio sulla durata del vincolo stesso. In particolare, il D.A. n. 5829/1992 apponeva un limite temporale biennale al provvedimento attuativo del vincolo di immodificabilità temporanea, poi ulteriormente prorogato.

Infine, sempre l’Assessorato Regionale con la nota n. 499/1997 specificava in modo esplicito che non erano ammesse ulteriori proroghe al vincolo e, proprio da quest’ultimo provvedimento, sarebbe discesa la decadenza del vincolo di inedificabilità assoluta fin dal 1996.

Da tale ricostruzione giuridica, dunque, non sarebbe stato possibile desumere l’esistenza di alcun quadro normativo complesso, dovendosi osservare, da un lato, come un atto normativo secondario non potesse in alcun modo modificare una norma di legge primaria e, dall’altro, come la sentenza della Corte Costituzionale n. 417/1995 avesse, in ogni caso, espressamente affrontato il tema dei vincoli di immodificabilità assoluta temporanea, con la specificazione che l’unico termine di efficacia degli stessi dovesse identificarsi nella data di approvazione dei piani paesistici e che non potesse peraltro ritenersi esistente un contrasto giurisprudenziale tra la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 417/1995 e la sentenza del Consiglio di Stato n. 5549/2014 (pronunciamento isolato, peraltro ritenuto espressione di un’errata applicazione dei principi sanciti dal Giudice delle Leggi).

2.1.3. Parimenti privi di pregio risulterebbero gli argomenti tesi ad affermare l’intervenuta decadenza del vincolo, dato che la perizia stessa si incentrava proprio su due circolari dell’Assessorato Regionale (n. 499 del 1997 e n. 186 del 1998), cui si era riconosciuta natura normativa e vincolante e secondo le quali, dal 1997, il territorio comunale di Realmonte non era soggetto a vincoli di inedificabilità assoluta.

Ulteriore argomento a sostegno dell’intervenuta decadenza del vincolo veniva infatti individuato nel fatto che il D.A. n. 5111/1992 non indicava espressamente, quale limite temporale all’efficacia del vincolo di immodificabilità, l’approvazione del piano paesistico, dato che non si era ritenuto di condividere la tesi relativa al vincolo di inedificabilità assoluta in punto di valutazione circa la sussistenza dell’elemento materiale del reato. Tuttavia, questi stessi argomenti venivano recuperati dalla Corte di Appello al fine di escludere l’elemento psicologico del reato in contestazione.

2.1.4. Si censurava, inoltre, la motivazione in quanto carente e viziata da illogicità per travisamento della prova documentale costituita dal parere dell’Ufficio Legislativo e Legale della Regione Siciliana n. 6826 del 2005, nonché dal Decreto di Approvazione delle Linee Guida del PTPR del 21/05/1999.

La sentenza impugnata, infatti, al fine di dimostrare l’esistenza di un’oggettiva difficoltà interpretativa della disciplina di settore, avrebbe richiamato la perizia collegiale nella parte in cui si riportava il parere dell’Ufficio Legislativo e Legale nella prospettiva di corroborare la tesi dell’inesistenza del vincolo, parere che confermava l’esistenza del vincolo ed aggiungeva che dall’art. 5 della Legge regionale n. 15/1991 sarebbe disceso un termine finale al vincolo di inedificabilità dato dall’approvazione del piano paesistico. Una diversa conclusione avrebbe colliso con la ratio stessa del vincolo, ravvisabile nell’esigenza di prevedere una misura volta ad impedire che, nelle more dell’adozione della pianificazione paesistica, l’interesse paesaggistico fosse compromesso da interventi che potessero pregiudicare l’assetto del territorio tutelato.

La sentenza impugnata richiamava, peraltro, il Decreto di Approvazione delle Linee Guida per la redazione del Piano Paesistico del 21/05/1999 al fine di affermare l’esistenza di una oggettiva difficoltà interpretativa delle disposizioni da applicare.

Le Linee Guida, approvate da parte dell’Assessorato Regionale nel 1999, attestavano espressamente l’esistenza e la persistenza del vincolo senza alcun richiamo né ai decreti di proroga, né all’avvenuta decadenza dello stesso, conseguendone che l’Assessorato Regionale, nel 1999 (ossia al momento dell’approvazione delle Linee Guida), fosse a conoscenza dell’esistenza del vincolo in questione.

2.1.5. Allo stesso modo, la motivazione della decisione impugnata risulterebbe viziata nella parte in cui, pur riconoscendone la sussistenza, riduceva il reato di lottizzazione abusiva alla sola violazione del vincolo di inedificabilità di cui all’art. 5 Legge regionale n. 15/1991. In particolare, i giudici di appello ritenevano che la violazione dell’art. 12 e ss. del D.lgs. n. 152/2006, del D.M. n. 1444/1968 e della disciplina urbanistica riguardassero profili di illegittimità non attinenti alla fase di approvazione del piano, dovendosi concludere che l’illegittimità del piano di lottizzazione per violazione del vincolo di inedificabilità non escludesse a priori la presenza di vizi di legittimità attinenti alla relativa fase di approvazione. Infatti, nel caso di specie, il Capo a) dell’imputazione individuava ulteriori profili di illegittimità, tra cui (i) la violazione degli artt. 12 e 14 della Legge regionale n. 71/1978; (ii) dell’art. 12 e ss. del D.Lgs. n. 152/2006; (iii) del Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte del 1976; (iv) del D.M. n. 1444/1968.

Tali violazioni atterrebbero, infatti, alla fase di approvazione del piano di lottizzazione e non, invece, alla successiva fase esecutiva, tale assunto venendo corroborato anche dal Decreto Dirigenziale n. 85 del 2014, il quale, proprio in forza di tali vizi, annullava la delibera comunale di approvazione del piano in esame.

Sulla base di tali argomentazioni, non sembrerebbe, dunque, possibile escludere la colpevolezza degli imputati in relazione ad una fattispecie contravvenzionale (per la quale è sufficiente la sola condizione soggettiva della colpa, la quale deve ritenersi sussistente qualora l’evento del reato si sia realizzato, oltre che per imprudenza o imperizia, anche a cagione dell’inosservanza da parte del soggetto agente di norme di legge, circostanza questa che sembrerebbe, ad avviso del P.G. ricorrente, riscontrabile nel caso di specie), non essendo possibile parlare di affidamento senza colpa da parte degli imputati Comparato, Caristia e Barraco, che avrebbero dovuto controllare la conformità dell’intera lottizzazione alla normativa urbanistica. Peraltro, proprio la collocazione del fondo oggetto di lottizzazione in un’area notoriamente assoggettata a vincolo avrebbe dovuto indurre gli imputati ad assumere informazioni circa la legittimità del piano di lottizzazione e delle successive concessioni edilizia.

A fortiori, con riferimento all’imputato Terrana, secondo il P.G. ricorrente, si sarebbe dovuta affermare la piena consapevolezza del contributo apportato, proprio in ragione della posizione apicale dallo stesso rivestita in qualità di Dirigente della Sovrintendenza di Agrigento; al contrario, la nota prot. n. 4094 del 2008 di compatibilità paesaggistica risultava determinante ai fini dell’approvazione del piano di lottizzazione, come si evince dall’art. 12 legge regionale n. 71/1978, nonché dalla nota n. 499/1997 dell’Assessorato Regionale. Il provvedimento in commento, infatti, veniva emesso dall’organo preposto alla tutela dei vincoli paesaggistici ed era finalizzato ad accertare la compatibilità dell’intervento con il regime vincolistico gravante sull’area da lottizzare.

Infine, il P.G. ricorrente evidenziava che nella nota n. 4094 del 2008 non vi era alcun riferimento all’art. 1, D.A. n. 5111/1992, relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area, né all’art. 2 D.A. n. 5111/1992 relativo alla dichiarazione di immodificabilità assoluta temporanea della medesima area. Gli unici vincoli citati erano i vincoli paesaggistici riguardanti la fascia di rispetto entro la battigia di cui al D.Lgs. n. 42/2004 e alla L.R. n. 71/1978. Al contrario, un dirigente apicale di media diligenza avrebbe dovuto indicare specificamente i vincoli di cui al D.A. n. 5111/1992, la cui omissione risulterebbe indice della mala fede dell’imputato, quantomeno in termini di colpa cosciente.

Ulteriore elemento anomalo, che però veniva assunto quale prova a discarico dell’imputato da parte dei giudici di appello, sarebbe rappresentato dal fatto che il vincolo in commento veniva citato per la prima volta dall’imputato nel provvedimento con il quale, in sede di autotutela, si erano annullati i pareri e i nullaosta precedentemente rilasciati, a seguito delle denunce delle associazioni ambientaliste.

2.1.6. Parimenti privi di pregio risulterebbero gli ulteriori argomenti citati dalla Corte Territoriale a sostegno dell’assenza dell’elemento psicologico, ossia, da un lato, la piena conformità della condotta dell’imputato alle direttive dell’Assessorato Regionale e, dall’altro, l’assenza di competenze specifiche tali da consentirgli di rilevare eventuali anomalie procedurali attinenti ad una normativa particolarmente complessa oggetto di dibattito giurisprudenziale.

In merito a tale affermazione, si evidenziava in via preliminare l’assenza di qualsivoglia dibattito giurisprudenziale sul punto, osservando unicamente l’esistenza di una prassi assessoriale contra legem e, anche alla luce del ruolo ricoperto dall’imputato, sembrando inverosimile che egli ignorasse il regime vincolistico alla cui tutela era preposto e considerando anche come l’Architetto Terrana fosse a conoscenza del vincolo (in quanto lo stesso aveva fatto parte del comitato scientifico per la redazione del Piano Paesistico d’ambito nelle cui Linee Guida del 1999 si dava già atto della permanenza del vincolo nella fascia costiera di Realmonte).

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 12 e ss. del D.lgs. n. 152/2006, del D.M. n. 1444/1968 e della disciplina urbanistica che impone la conformità del piano di lottizzazione al Programma di Fabbricazione, per aver ritenuto che la violazione di tali norme riguardasse profili di illegittimità non attinenti alla fase di approvazione del piano, bensì alla successiva fase esecutiva e correlato vizio di motivazione per travisamento della prova documentale per non aver considerato che il D.G.G. n. 85 del 2014 aveva annullato il piano di lottizzazione in forza di quei vizi.

Il P.G. ricorrente, richiamando in particolare le argomentazioni già esposte con il primo motivo di ricorso, sottolineava che le violazioni delle citate norme attenessero alla fase di approvazione del piano di lottizzazione e, dunque, l’erroneità della scelta di ridurre le contestazioni del capo a) alla sola contrarietà al vincolo di immodificabilità assoluta di cui all’art. 5 della Legge Regionale n. 15/1991.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli art. 44, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001 e 181 del D.lgs. n. 42/2004, nonché alla violazione delle norme del D.M. n. 1444/1968, e vizio di motivazione nella parte in cui veniva escluso l’elemento oggettivo per gli imputati Caristia, Comparato e Barraco con riguardo ai capi B), C), D) sostenendo la legittimità delle opere edilizie realizzate ad eccezione della previsione nei progetti esecutivi degli edifici da realizzare con altezza diversa da quella prescritta (Capo B), e alla realizzazione all’interno del lotto 12 di alcuni edifici di uno sbancamento in violazione della distanza dalla battigia e degli edifici di altezza superiore a quella consentita (Capi C e D).

2.3.1. Con riferimento al c.d. vincolo archeologico di cui all’art. 142, lett. m) del D.lgs. 42/2004, relativo alla zona di interesse archeologico costituita dall’area denominata “Casa Biondi”, inserita nelle linee guida del piano territoriale paesistico regionale, poiché interessata dalla costante presenza di frammenti ceramici riferibili ad un arco temporale particolarmente ampio (dalla preistoria all’età medioevale), il P.G. ricorrente evidenzia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, recependo le conclusioni della perizia collegiale, da una parte, riconosceva la “temerarietà” del provvedimento di compatibilità paesaggistica del piano di lottizzazione rilasciato in contrasto con le indicazioni del Servizio Archeologico e, dall’altra, affermava che l’area di interesse archeologico risultava limitata e, dunque, inidonea a pregiudicare l’assetto del piano, sottolineandosi ancora una volta come la nota n. 4094/2008 dovesse qualificarsi come un mero parere.

Alla luce di tali argomenti, pertanto, i giudici di appello escludevano la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato sull’argomento per cui l’imputato Terrana, discostandosi dalle direttive del Servizio Archeologico (che condizionavano l’emanazione del provvedimento finale alla previa esecuzione di saggi archeologici) che aveva invece emesso il parere di compatibilità paesaggistica prevedendo quale unica condizione l’effettuazione di saggi archeologici a campione, comunque successivi all’approvazione del piano.

Diversamente, proprio al fine di garantire un’effettiva salvaguardia dell’interesse pubblico, lo stesso avrebbe dovuto condizionare il suo parere favorevole all’effettuazione dei saggi preliminari, così come indicato nella nota prot. n. 1536 del 12/03/2008 del Servizio Archeologico. Invece, i dirigenti del Servizio Paesaggistico, tra cui anche Terrana, avevano chiesto ulteriori delucidazioni al Servizio Archeologico in merito a tale condizione, proprio al fine di accelerare la pratica. Quest’ultimo, con nota n. 3050 del 16/05/2008 precisava che non si trattava di una prescrizione tassativa, bensì di un suggerimento.

A fronte di tale chiarimento, l’Architetto Terrana riteneva opportuno rilasciare il parere positivo al progetto senza richiedere alcuna preventiva verifica, salvo poi lamentare dinnanzi all’Assessorato il fatto che il Comune aveva approvato il progetto senza procedere all’esecuzione di tali saggi. Successivamente all’adozione del primo parere, il Servizio Archeologico nei mesi di maggio e giugno 2009, disponeva alcune verifiche dalle quali emergeva la non utilizzabilità di un’ampia area.

Alla luce di tali circostanze, dunque, sempre più ambiguo sembrerebbe il secondo parere favorevole al progetto di lottizzazione, prot. n. 8095/2009, in quanto, dopo aver dato atto dell’effettuazione di 51 saggi archeologici, nonché dopo aver rilevato l’esito negativo degli stessi ad eccezione dell’area in cui era prevista la realizzazione del campo di calcio, si confermava il contenuto del precedente parere del 2008, omettendo di citare qualsiasi riferimento all’ampia area non utilizzabile rilevata dalle indagini archeologiche svolte.

Con riferimento all’approvazione del piano in assenza della c.d. valutazione ambientale strategica di cui all’art. 12 D.lgs. 152/2006, la Corte Territoriale aveva infatti ritenuto che l’obbligatorietà delle procedure VAS con riferimento a tutti i livelli di pianificazione urbanistica, compresi quelli comunali, sarebbe stata introdotta con il D.lgs. n. 4/2008, di modifica del D.lgs. n. 162/2006. In motivazione veniva poi riportato il passaggio della perizia secondo cui in Sicilia le procedure VAS avrebbero riguardato i programmi di competenza comunale solo dopo l’entrata in vigore della legge regionale n. 6/2009, come confermato dal D.G.G. n. 85 del 2014. In questa parte la sentenza sarebbe stata viziata, oltre che da contraddittorietà, anche da manifesta illogicità sotto il profilo del travisamento della prova per due ragioni: in primo luogo (1), il D.lgs. n. 4/2008 era entrato in vigore nel 2008, risultando pertanto evidente come il piano di lottizzazione CO.MA.ER., approvato nell’ottobre 2008, dovesse essere sottoposto alla procedura VAS; in secondo luogo (2), il richiamato Decreto Dirigenziale n. 85/2014 annoverava tra i vizi di illegittimità del piano di lottizzazione proprio la violazione della procedura VAS.

Infine, la tesi in virtù della quale la disciplina VAS era divenuta efficace e vincolante in Sicilia solo con l’intervento della legge regionale n. 6/2009 veniva confutata proprio dal richiamato decreto regionale, il quale confermava l’esecutività della disciplina nazionale a prescindere dall’approvazione del modello metodologico procedurale da parte della Giunta Regionale ai sensi della L.R. n. 6/2009.

2.3.2. Ulteriore vizio veniva rilevato in relazione alla questione del c.d. dimensionamento del piano di lottizzazione.

In primo luogo, il dimensionamento in violazione dello strumento urbanistico generale e del D.M. n. 1444/1968 configurerebbe plurimi profili di illegittimità.

La tesi secondo la quale sarebbe stato legittimo un unico piano di lottizzazione per le due sottozone “C”, C2 e C4 contrasterebbe con il Programma di Fabbricazione, che, infatti, non destinando alcuna area a zona “F”, aveva previsto che le zone C4 potessero essere assimilate alle zone “F” di cui all’art. 4 del D.M. n. 1444/1968, così come confermato dai due pareri n. 36/1974 e n. 356/1975 del Servizio Tecnico dell’Urbanistica, nonché dalla relazione del progettista del Piano di Fabbricazione del maggio 1973.

Proprio sulla base di tali documenti, il D.G.G. n. 85/2014 di annullamento del piano di lottizzazione, osservava che le zone C4 dovessero essere assimilate alle zone per attrezzature “F” (e non a quelle a destinazione residenziale), non potendosi affermare che l’Assessorato Regionale attraverso due provvedimenti (n. 22210/2009 e n. 29714/2011) avesse espresso parere favorevole alla lottizzazione unitaria, possibilità che era stata, invece, esclusa espressamente dallo stesso con il D.G.G. 85/2014. La redazione di un unico Piano di Fabbricazione a fronte di più zone omogenee era possibile purché i parametri fissati dallo strumento urbanistico venissero soddisfatti e rispettati per le singole zone. Nel caso di specie, era possibile rinvenire una situazione diversa, in quanto scopo finale della lottizzazione unitaria era quello di spostare in zona C4 tutte le superfici da destinare a standard per la zona C2, così da ottimizzare la capacità edificatoria in zona C2.

Parimenti, con riferimento alla strada prevista dal piano di lottizzazione, si evidenziava come, secondo pacifica giurisprudenza, la strada fosse opera pubblica per antonomasia, conseguentemente, non potendosi ritenere che essa ricadesse all’interno della proprietà dei lottizzanti, ricordando peraltro che il Piano di Fabbricazione avesse da tempo perso l’efficacia dei vincoli espropriativi; al contrario, trattandosi di opera pubblica, la strada in commento non poteva essere utilizzata nella lottizzazione (e, infatti, decorso inutilmente il termine per espropriare i suoli e realizzare l’opera pubblica e non essendo stato reiterato il vincolo, la zona C4, comprensiva della strada, era divenuta “zona bianca”).

Con riferimento alla questione della quantità di standard fissati dal Programma di Fabbricazione delle zone territoriali omogenee “C”, la Corte Territoriale poi condivideva le osservazioni dei periti, secondo i quali le prescrizioni in merito ad un eventuale aumento delle quantità di aree pubbliche da destinare a ogni abitante dovevano essere stabilite dal piano generale, in quanto la definizione dei rapporti visuali o della continuità ex art. 4, comma 3, D.M. n. 1444/1968 potevano essere solo il risultato di studi di impatto, di specifiche considerazioni sui geositi, sugli aspetti paesistici e di intervisibilità.

In sostanza, si sosteneva che le disposizioni relative agli standards di cui al D.M. n. 1444/1968 si applicassero solo ai nuovi piani regolatori generali e alle revisioni di quelli esistenti, tale assunto venendo confutato dall’art. 1 dello stesso D.M. n. 1444/1968 (il quale prescrive che le disposizioni in questione si applicano anche ai nuovi regolamenti edilizi con annesso Programma di Fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate); nonché dal Decreto dell’Assessorato Regionale Sviluppo Economico n. 10/1976 di approvazione del Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte (ove si specifica che, con riferimento alle zone “C” e “D”, l’edificazione deve svolgersi sulla base di Piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionati redatti nel rispetto del D.M. n. 1444/1968). Ne conseguirebbe, dunque, che l’affermazione, secondo cui il Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte non conteneva le prescrizioni del DM n. 1444/1968 in materia di standard, non corrispondesse al vero.

Infine, con riferimento al fabbricato denominato “Casa Biondi” (rientrante all’interno della zona C4), la superficie di sedime di tale immobile e il suo volume edificatorio non avrebbero inciso sui calcoli eseguiti ai fini del dimensionamento della volumetria abitativa, che era stata invece basata sulla superficie ricadente nella zona C2, in particolare potendosi affermare che la zona C4 fosse assimilabile alla zona C2 (riconoscendone pertanto la destinazione residenziale), senza riconoscere alla zona in questione alcuna potenzialità edificatoria a fini abitativi. Al contrario, e coerentemente con la riconosciuta destinazione residenziale nella zona C4, l’incidenza volumetrica di “Casa Biondi” avrebbe dovuto essere detratta dalla massima volumetria insediabile per tale zona, facendola rientrare nel computo complessivo del dimensionamento della lottizzazione.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.01.2023 la propria requisitoria scritta con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza, condividendo il ricorso in questa sede presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo.

4. In data 01.02.2023, l’Avv. Giuseppe Scozzari, difensore di fiducia e procuratore speciale di TERRANA A., depositava un’articolata memoria difensiva e relative conclusioni scritte, evidenziando l’infondatezza del ricorso proposto da parte della Procura Generale di Palermo e chiedendone il rigetto, sostenendo che lo stesso si risolvesse nella mera reiterazione delle argomentazioni già sottoposte al vaglio della Corte Territoriale. Segnatamente, per quanto qui rileva, con riferimento al terzo motivo di ricorso, la difesa sottolineava che, in relazione all’Arch. Terrana, il ricorso doveva ritenersi inammissibile poiché questi era stato assolto già in primo grado senza che la Procura Generale avesse mai proposto appello. I relativi capi della sentenza di primo grado, pertanto, sarebbero coperti dal giudicato, con la conseguenza che ogni questione sollevata in Cassazione non può che ritenersi tardiva ed inammissibile.

5. In data 04.02.2023, ancora, l’Avv. Silvio Aliffi, difensore di fiducia di CARISTIA G., depositava un’articolata memoria difensiva e relative conclusioni scritte, evidenziando l’infondatezza del ricorso proposto dalla Procura Generale e chiedendone anch’egli il rigetto.

6. Ancora, in data 07.02.2023, l’Avv. Paola Croce, difensore d’ufficio di COMPARATO S., depositava memoria di replica e relative conclusioni scritte evidenziando l’infondatezza del ricorso proposto da parte della Procura Generale. In particolare, con riferimento ai Capi A), B), C) e D) dell’imputazione, la difesa riteneva che la Corte di Appello avesse correttamente riformato la sentenza appellata, adeguatamente motivando la relativa decisione.

7. Infine, in data 7.02.2023, le parti civili costituite LEGAMBIENTE SICILIA APS e GIARRIZZO ANNA MARIA hanno depositato telematicamente, a mezzo dei rispettivi difensori, conclusioni scritte e note spese di cui hanno chiesto la liquidazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente a norma dell’art. 23, comma ottavo, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è fondato.

2. In estrema sintesi, anche in considerazione delle plurime censure di vizio motivazionale svolte dal PG ricorrente, è opportuno un inquadramento fattuale della vicenda.

3. In data 15.11.2016 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento avanzava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di CARISTIA G., COMPARATO S., BARRACO G. F. e TERRANA A., imputati di numerose ipotesi di reato relative alla lottizzazione abusiva di un fondo sito in località Canalotto nel Comune di Realmonte. L’articolata contestazione operata dal P.M. si fondava sulla consulenza dell’Architetto Luciano Montalbano, il quale aveva rilevato diverse violazioni di legge nel piano di lottizzazione depositato dalla CO.MA.ER. S.p.A.

Dalla valutazione della documentazione acquisita e dai rilievi in loco emergevano una serie di irregolarità:
a) in primo luogo, l’area su cui era stata operata la lottizzazione della CO.MA.ER, ubicata in prossimità della costa realmontina, a ridosso della falesia della “Scala dei Turchi”, risultava assoggettata al vincolo posto dall’art. 5 della legge regionale n. 15 del 30.04.1991, il quale disponeva l’immodificabilità temporanea dei luoghi fino alla definitiva approvazione del piano paesistico regionale;
b) in secondo luogo, il consulente del P.M. rilevava che il progetto di lottizzazione della CO.MA.ER prevedeva la formazione di 14 lotti, di cui 12 rientranti nella zona “C2” con specifica destinazione residenziale, mentre i restanti due lotti venivano ricavati all’interno della zona classificata “C4”. Oltre a rilevare che la distanza tra i fabbricati costruendi fosse inferiore a quella prevista nel regolamento edilizio, il consulente segnalava la mancata osservanza delle prescrizioni del D.M. 1444/1968, in quanto le opere di urbanizzazione non venivano insediate nelle due zone C2 e C4 in maniera proporzionata. Tale circostanza rendeva del tutto inapprovabile il piano di lottizzazione, in quanto la zona C2 veniva ad essere del tutto depauperata del giusto apporto delle opere necessarie alla vita sociale e delle infrastrutture idonee alle attività di tipo residenziale. Si rilevava, ancora, che i lotti 2, 3, 4 e 6 fossero privi del requisito essenziale della dimensione minima, pari a 1.500 m2; mentre i lotti 2, 3 e 4 avevano una misura inferiore ed il lotto 6 era di 1.330 m2, non potendo pertanto essere approvati. Emergeva, altresì, la mancata indicazione specifica delle opere di urbanizzazione primaria, oltre che della indicazione della viabilità veicolare e pedonale secondaria, nonché la mancanza di previsione delle reti di metanizzazione e della telefonia, e un inadeguato dimensionamento dell’impianto della rete fognaria, rimandata ad un successivo ed inammissibile progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione;
c) altra circostanza che avrebbe dovuto escludere qualsiasi approvazione del piano di lottizzazione doveva identificarsi nella predisposizione di un’unica conduttura mista di acque bianche e nere convogliate unitariamente nel medesimo condotto fognario, con conseguente elevato rischio di invasioni di acqua e fango in caso di alta piovosità.

Ulteriore limite del piano di lottizzazione veniva individuato nella circostanza che non si considerava l’unità immobiliare denominata “Casa Biondi” al fine del necessario aggravio urbanistico. Al contrario, l’area veniva calcolata come fosse libera e non già contenente un fabbricato che determinava cubatura preesistente.

Infine, si rilevava come il 27.05.2008 e 29.05.2008, rispettivamente, gli uffici del Genio Civile e della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento avessero dato parere positivo all’approvazione della lottizzazione, rimettendo, però, alla fase esecutiva tutta una serie di controlli al fine di individuare eventuali reperti archeologici. Tali circostanze venivano ritenute incongrue in ragione del fatto che esse non garantivano la giusta tutela archeologica.

3.1. All’udienza del 28.04.2017, rilevandosi la fondatezza degli argomenti richiamati dalla consulenza di parte in merito ad una serie di errori tecnici della consulenza del P.M., veniva disposta perizia collegiale.

Si procedeva, quindi, alla nomina e al seguente conferimento formale dell’incarico al collegio peritale, a cui veniva rimesso il compito di (a) accertare l’esatta distanza delle opere realizzate dalla CO.MA.ER dalla battigia, (b) verificare l’esistenza del piano paesistico d’ambito, (c) procedere ai calcoli relativi al dimensionamento del piano di lottizzazione e al calcolo del carico abitativo secondo i parametri di cui al D.M. 1444/1968 e, infine, (d) verificare l’incidenza di “Casa Biondi” sul calcolo dei parametri necessari per ottenere il piano di lottizzazione.

Dalla perizia collegiale emergeva che, a seguito di accertamenti effettuati sulla base delle cartografie ufficiali ATA e delle ortofoto aeree, all’atto del rilascio delle autorizzazioni per la lottizzazione, sia lo sbancamento che l’edificio posto a sud dello sbancamento, entrambi in corso di costruzione, ricadevano all’esterno della fascia di rispetto di 150 metri dalla battigia, ma entro i 170 metri dalla stessa, limite ulteriore disposto con ordinanza della Sovrintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento; all’atto di rilascio delle concessioni edilizie (2012) i due manufatti rientravano, invece, all’interno della fascia di rispetto dei 150 metri, in zona di inedificabilità ex art. 15 legge regionale n. 71/1978 e della legge n. 431/1985 (c.d. Legge Galasso). Inoltre, si affermava la piena legittimità del piano di lottizzazione, in quanto l’unificazione delle due sottozone “C” (C2 e C4) con collocazione delle aree destinate ai servizi di uso pubblico previsti dagli standard urbanistici al servizio della zona residenziale, tutti nella zona C4, si spiegava alla luce dell’assenza nel Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte della zona F a cui fare capo per l’insediamento di servizi e infrastrutture. Proprio la mancanza della zona F poteva essere surrogata da altra sottozona C, in virtù di un’attenta lettura degli artt. 4 e 5 del D.M. n. 1444/1968.

La perizia collegiale, ancora, dava esito positivo con riferimento al calcolo del dimensionamento abitativo, in ragione del fatto che la piena utilizzazione fondiaria di tutta la superficie della zona C2 senza la sottrazione di superficie da destinare a standard, ricavata nella zona C4 e con la sola sottrazione di strada pubblica, permetteva di rendere raggiungibili gli standard di abitabilità del D.M. n. 1444/1968, raggiungendo oltre i 12 m2 di spazio per ogni abitante. Si rilevava, inoltre, che spettava alla P.A. chiedere al proprietario le specificazioni ritenute necessarie al momento dell’istruttoria preliminare all’approvazione del piano di lottizzazione e che, se nel caso di specie l’Amministrazione di Realmonte aveva ritenuto esaustivi gli elaborati prodotti dal lottizzante, il procedimento doveva ritenersi concluso favorevolmente. Parimenti, in relazione al quesito dell’incidenza del calcolo della costruzione dell’immobile denominato “Casa Biondi”, veniva rilevato che esso era stato separatamente catastato e perimetrato in propria area di pertinenza, all’interno della ZTO C4 e non incideva, pertanto, sui calcoli eseguiti per il dimensionamento della volumetria abitativa basata sulla superficie ricadente nella zona C2. Infine, si rilevava una parziale difformità dell’altezza dei fabbricati rispetto ai provvedimenti concessori ed autorizzativi.

3.2. All’udienza del 16.02.2018, l’imputato Terrana A., personalmente, nonché gli imputati Caristia G., Comparato S. e Barraco G. F., per il tramite del difensore e procuratore speciale Avv. Luigi Restivo Pantalone, chiedevano di procedere nelle forme del rito abbreviato, cui seguiva ordinanza di ammissione al rito.

In data 28.07.2018, il Gup presso il Tribunale di Agrigento dichiarava Caristia G. e Comparato S. colpevoli dei reati ascritti in rubrica ai capi A), B), C), D), F), in concorso formale ex art. 81 c.p. tra di loro ed, applicata la riduzione per il rito, li condannava alla pena di otto mesi di arresto ed € 18.000,00 di ammenda.

Terrana A. veniva dichiarato colpevole dei reati contestati al Capo A) ed al Capo F) della rubrica, ed in applicazione del cumulo materiale dei reati di cui al Capo A) e del concorso formale ex art. 81, comma 1, c.p. tra gli stessi reati e quello di cui al Capo F), veniva condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed € 13.943,00 di ammenda.

Barraco G. F. veniva dichiarato colpevole dei reati ascritti in rubrica ai capi A), B), C), D), F) ed operato il cumulo materiale tra gli stessi reati e quelli di cui ai capi B), C), D), F), veniva condannato alla pena di mesi sei di arresto ed € 16.000,00 di ammenda. Tutti gli imputati venivano assolti per difetto dell’elemento psicologico quanto al reato di abuso d’ufficio, contestato al capo E).

3.3. In data 26.07.2018, avverso la sentenza di primo grado proponevano appello gli imputati.

In data 06.09.2022, la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata pronunciata in data 26.07.2018 dal Gup presso il Tribunale di Agrigento, assolveva gli imputati Caristia G., Comparato S. e Barraco G. F. dal reato di cui al Capo A) perché il fatto non costituisce reato e Terrana A. dai reati di cui ai Capi A) ed F) perché il fatto non costituisce reato, confermando la sentenza impugnata per Caristia G. e Comparato S. in relazione ai reati di cui: (i) al Capo B) limitatamente alla previsione, nei progetti esecutivi relativi ai singoli lotti, degli edifici da realizzare con altezza 6,10 m., invece che 6 m.; (ii) al Capo C) limitatamente alla realizzazione nel lotto 12 di immobili di altezza superiore rispetto a quella consentita, alla realizzazione dell’edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell’edificio 12F entro la fascia di rispetto di 170 m. dalla battigia; (iii) al Capo D) limitatamente alla realizzazione dell’edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell’edificio 12F, in presenza del vincolo di inedificabilità assoluta ex legge regionale n. 71/1978 gravante sui territori costieri entro i 150 m. dalla battigia e, comunque, entro i 170 m. dalla battigia; (iv) al Capo F). La pena per Caristia e Comparato veniva, pertanto, rideterminata in mesi quattro di arresto ed € 12.000,00 di ammenda. Con riferimento a Barraco, invece, si dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di cui ai Capi B), C), D).

4. Premesso che i soli imputati CARISTIA e COMPARATO hanno rinunciato alla prescrizione, sempre ai fini di una migliore intelligibilità dell’approdo cui è pervenuta questa Corte, si evidenzia come le imputazioni contestate e sui cui si sono pronunciate le decisioni di merito, riguardano, per quanto qui rileva:
1) capo a), reato di lottizzazione abusiva, contestato in concorso a:
– COMPARATO S. e CARISTIA G., nelle qualità, rispettivamente, di l.r. e socio maggioritario e presidente della COMAER spa, proprietaria di un appezzamento di terreno sito in loc. Canalotto, perché, avanzando richiesta di autorizzazione alla lottizzazione del predetto fondo (suddivisione in 14 lotti di varia dimensione) ed ottenendo con delibera del Consiglio Comunale di Realmonte n. 37/2008 l’approvazione del piano di lottizzazione per effetto della quale stipulava con l’UTC del predetto Comune in data 10.12.2008 la convenzione di lottizzazione, operando materialmente il frazionamento dei lotti, realizzando, previo ottenimento dei necessari titoli autorizzatori, parte delle opere di urbanizzazione primaria, realizzando nel lotto 12 due fabbricati (12G e 12E), allo stato di scheletro, con struttura in c.a. e lo scavo di sbancamento relativamente ad un terzo fabbricato (12F), realizzando nel lotto 11 ingenti e diffuse opere di sbancamento e movimento terra ed un piano seminterrato di uno dei costruendi edifici, all’interno di uno scavo di sbancamento di altezza variabile tra 2,50 ml. e 3 ml., realizzando opere di ristrutturazione con modifica del volume originario del preesistente fabbricato rurale denominato “Casa Biondi” insistente nell’area oggetto della lottizzazione;
– BARRACO G. F., redigendo i progetti esecutivi relativi alle opere edilizie da realizzare all’interno dei singoli lotti e dirigendo i relativi lavori;
– TERRANA A., in servizio presso la Sovrintendenza BB.CC.AA. di Agrigento, quale dirigente dell’UOV, rilasciando i pareri prof. n. 4094 del 29.05.2008 e n. 8095 del 26.10.2009 favorevoli al piano di lottizzazione COMAER ai fini della compatibilità paesistico-urbanistica ex art. 14, legge reg. 71/78 nonché il parere prof. N. 9088 del 5.12.2012 di compatibilità paesaggistica ex art. 167, d. lgs. 42/04 per interventi di modifica al prospetto del fabbricato rurale denominato “Casa Biondi” in difformità dall’autorizzazione paesaggistica n. 7564 del 7.10.2009 e l’autorizzazione paesaggistica n. 9536 del 20.12.2021 ex art. 146, d. lgs. 42/04 per la sistemazione esterna e per la realizzazione di una piscina nell’area di pertinenza del predetto fabbricato rurale; tutti, realizzavano una lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio avendo proceduto al frazionamento del fondo sito nella loc. Canalotto ed ivi eseguito le opere relative alla lottizzazione COMAER con conseguente trasformazione urbanistica dell’assetto del territorio (v. amplius, il Capo di imputazione).
2) capo b), reato di realizzazione di costruzione abusiva, contestata in concorso ai predetti (riguardante, la realizzazione, nel lotto 12 dei fabbricati 12G e 12E e lo scavo di sbancamento del terzo fabbricato 12F, oltre che nel lotto 11 le richiamate opere di sbancamento e scavo e di urbanizzazione primaria, oltre a lavori di ristrutturazione con modifica dell’originario volume del fabbricato rurale denominato “Casa Biondi” con tre titoli abilitativi, meglio descritti in rubrica, illegittimi ed inefficaci per le ragioni descritte nell’imputazione);
3) capo c), reato di realizzazione di costruzione abusiva, contestata in concorso ai predetti (modifica sagoma e prospetto edificio 12G; cfr. pag. 47 sentenza appello);
4) capo d), reato di abuso paesaggistico, contestato in concorso ai predetti (riguardante, le predette attività edilizie sopra descritte, in zona vincolata, da ritenersi abusive per le ragioni meglio descritte nell’imputazione: presenza di vincolo di inedificabilità assoluta temporanea, sino all’adozione del piano territoriale paesistico regionale ex art. 5, legge reg. Sicilia 15/1991; senza il n.o. rilasciato dall’Assessorato regionale ambiente e territorio prescritto dalla legge reg. Sicilia 71/1978, in deroga ai numerosi vincoli di inedificabilità gravanti sull’area di particolare interesse ambientale e storico; veniva altresì contestata, in presenza di vincolo di inedificabilità assoluta ex legge reg. Sicilia 71/78 gravante sui territori costieri entro i 150 ml. dalla battigia, la realizzazione di alcune opere edilizie meglio descritte nell’imputazione);
5) capo e), reato di abuso d’ufficio, contestata in concorso ai predetti (riguardante, in particolare, TERRANA A., per i fatti sub a), per aver procurato intenzionalmente a COMPARATO S. e CARISTIA G., e ad altri soggetti separatamente giudicati, un ingiusto vantaggio patrimoniale nei termini di cui all’imputazione);
6) capo f), reato di distruzione e deturpamento di bellezze naturali, contestata in concorso ai predetti (nei termini di cui all’imputazione, trattandosi di luoghi soggetti a speciale protezione dell’autorità, essendo divenuta in data 7.06.2021 l’area sito di interesse comunitario).

5. Tanto premesso in fatto, il ricorso, come anticipato, è fondato, sussistendo i denunciati vizi di violazione della legge penale e difetto di motivazione, anche in relazione alla più persuasiva sentenza di primo grado.

A quest’ultimo proposito, si osserva che quando il giudice d’appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, al di là della rinnovazione istruttoria – il cui obbligo non viene neppure astrattamente in rilievo nella fattispecie qui in esame – deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 03/04/2018, Rv. 272430). In particolare, il giudice di appello non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 – dep. 20/09/2005, Rv. 231679 – 01; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016 – dep. 14/02/2017, Rv. 269523 – 01; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013 – dep. 14/01/2014, Rv. 258005 – 01; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013 – dep. 22/11/2013, Rv. 257332 – 01).

6. Ciò premesso, attesa l’omogeneità dei profili di censura dedotti con i primi due motivi di ricorso (concernenti, in particolare, violazione di legge in relazione all’art. 5 c.p., per aver ritenuto scusabile un errore inescusabile della legge extra-penale che incide sulla legge penale, nonché vizio motivazionale nella parte in cui è stato ritenuto sussistente un quadro normativo complesso e un contrasto giurisprudenziale per dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo; violazione di legge in relazione all’art. 12 e ss. del D.lgs. n. 152/2006, del D.M. n. 1444/1968 e della disciplina urbanistica che impone la conformità del piano di lottizzazione al Programma di Fabbricazione), è possibile la loro trattazione congiunta.

7. Come correttamente osservato dal P.G. ricorrente, nella sentenza impugnata, pur ritenuta sussistente la condotta materiale del reato di lottizzazione abusiva contestata ai ricorrenti (anche se limitata alla sola contrarietà del piano di lottizzazione della CO.MA.ER S.p.A.), la Corte d’appello ha ritenuto di escludere l’elemento soggettivo del reato riconoscendo, invece, la condizione soggettiva dell’affidamento incolpevole circa l’esistenza del vincolo di inedificabilità assoluta ex art. 5 l.r. n. 15/1991.

In sostanza, richiamando la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, secondo le quali ai fini della scusabilità dell’errore è necessario che “da un comportamento positivo da parte degli organi amministrativi, ovvero un pacifico orientamento giurisprudenziale, il soggetto agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto”, ha ritenuto scusabile l’errore verificatosi nel caso di specie sulla base dell’apprezzamento di due determinanti circostanze.

In primis, si evidenziava come l’iter relativo alla pratica di lottizzazione fosse corredato di tutti i necessari provvedimenti autorizzativi tra cui, i pareri favorevoli rilasciati dalla Soprintendenza dei Beni Culturali ed ambientali di Agrigento (nota prot. n. 4094 del 29.05.2008) ai fini della compatibilità paesistico-urbanistica e dell’Ufficio del Genio Civile di Agrigento (nota prot. n. 1502 del 27.05.2008), nonché la delibera del Consiglio Comunale di Realmonte (n. 37 del 23.10.2008) che approvava il piano di lottizzazione, le autorizzazioni paesaggistiche successivamente rilasciate dalla Soprintendenza di Agrigento (n. 7564 del 2009, n. 708 del 2010, n. 3895 del 2010 e n. 725 del 2013) e, infine, le concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Realmonte (nn. 18, 19 e 27 del 2012 e nn. 1 e 3 del 2013).

In secundis, si dava atto dell’esistenza di un quadro normativo particolarmente complesso denotato dalla successione di leggi statali e regionali, non sempre di agevole interpretazione. In particolare, il disorientamento derivava da una serie di interventi dell’Assessorato Regionale, il quale a più riprese aveva espressamente riconosciuto la temporaneità del vincolo di immodificabilità del territorio, il quale non poteva superare il limite temporale quinquennale. Orientamento, quest’ultimo, mai messo in discussione dagli organi amministrativi, confermato dal parere n. 6826/1991 dell’Ufficio Legislativo e Legale e, anzi, condiviso anche dalla perizia collegiale, la quale si schierava a favore dell’intervenuta decadenza del vincolo a partire dal 1997. Sulla base di tali premesse e richiamando la giurisprudenza di legittimità, si evidenziava come la scriminante della buona fede fosse sempre riconosciuta in presenza di un comportamento che, seppur penalmente rilevante, è indotto dalla P.A.

Parimenti, l’elemento soggettivo veniva escluso con riferimento all’imputato Terrana, dirigente dell’U.O.V. presso la Soprintendenza di Agrigento, il quale aveva rilasciato un parere (n. 4094 del 2008), peraltro condizionato all’esecuzione obbligatoria di saggi archeologici a campione, in relazione al vincolo archeologico insistente sull’area ove sorge l’immobile denominato “Casa Biondi”, in assoluta conformità alle direttive impartite dal Servizio Archeologico con nota n. 3050 del 2008. Inoltre, sotto il profilo soggettivo, si evidenziava come, da un lato, l’imputato si fosse conformato alle direttive impartite dall’Assessorato Regionale; e, dall’altro, come lo stesso fosse privo dell’autonomia discrezionale, nonché delle competenze specifiche per discostarsi da tali direttive o, comunque, per eccepire anomalie procedurali attinenti ad una normativa particolarmente complessa.

8. Gli argomenti spesi nella sentenza d’appello non sono sufficienti a superare il vaglio del giudice di legittimità.

Pacifico ormai l’orientamento per cui il reato di lottizzazione abusiva non si configura come una contravvenzione esclusivamente dolosa, atteso che, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare, sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici, la stessa, sia nella forma negoziale che materiale, può essere commessa anche per colpa (Sez. 3, n. 39916 del 01/07/2004 – dep. 13/10/2004, Rv. 230084 – 01), questa Corte ha affermato che, per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24/03/1988 (con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile), è necessario che dagli atti del processo risulti che l’agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicché nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà (Sez. 3, n. 2698 del 18/01/1991 – dep. 01/03/1991, Rv. 186513 – 01).
In altri termini, la esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall’errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi, dal mero errore di interpretazione, che diviene scusabile quando è determinato da un atto della pubblica amministrazione o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante, da cui l’agente tragga la convinzione della correttezza dell’interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta (Sez. 3, n. 4951 del 17/12/1999, dep. 21/04/2000, Rv. 216561 – 01).
Deve pertanto ribadirsi il principio di diritto, secondo cui l’esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo. Ne consegue che in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento, con l’espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia (Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011 – dep. 23/02/2011, Rv. 249451 – 01; Sez. 3, n. 28397 del 16/04/2004 – dep. 24/06/2004, Rv. 229060 – 01; Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016 – dep. 18/01/2017, Rv. 269074 – 01).

9. A ciò si aggiunga la circostanza – ricordata anche dalla Procura Generale ricorrente – per cui, in merito all’esistenza dell’elemento soggettivo per i fatti intercorsi e, di conseguenza, della sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta ex art. 5 l.r. n. 51/1991, questa stessa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi sui ricorsi proposti da Comparato S. e Caristia G. nella fase cautelare del procedimento R.G. 48792/2014 con sentenza n. 1151 del 26/05/2015 – dep. 14/01/2016, in cui si afferma chiaramente come “procedendosi nel caso in esame in relazione ad ipotesi di reato aventi il carattere della contravvenzione (…) è noto (che) in relazione a tale tipo di illecito penale l’elemento soggettivo sufficiente ai fini della colpevolezza della condotta è già quello della mera colpa; condizione soggettiva che, per espresso dettato legislativo è riscontrabile laddove l’evento proprio del reato per cui si procede si sia verificato a cagione, oltre che della imprudenza e negligenza (elementi questi ultimi peraltro autonomamente riscontrabili nell’avere i ricorrenti provveduto nel senso della lottizzazione pur in presenza dei plurimi vincoli gravanti sul terreno interessato dalle opere in questione), della inosservanza da parte dell’agente di disposizioni legislative, inosservanza in questo caso certamente ravvisabile, quanto meno ai limitati fini della ritenuta legittimità del provvedimento cautelare, nella realizzazione delle imponenti opere contestate ai due ricorrenti in assenza dei validi titoli abilitativi”. Affermazione, questa, che sebbene operata nella fase cautelare, alla luce delle argomentazioni sviluppate dal Procuratore Generale ben può essere riaffermata all’esito del giudizio di legittimità che ha avuto modo di analizzare le contrapposte argomentazioni sviluppate dalle due sentenze di merito.

10. Peraltro, al fine di poter qualificare un errore come scusabile, giova richiamare un risalente, ma mai superato, orientamento del Supremo Consesso pronunciato alla luce della sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa senza alcun dubbio l’autore dell’illecito.

Devono, infatti, affermarono le Sezioni Unite, essere stabiliti i limiti di tale inevitabilità, avendo peraltro riguardo alle caratteristiche del caso concreto. Per il comune cittadino tale condizione è infatti sussistente, ogniqualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, Rv. 197885 – 01).

Nel caso di specie, al momento dell’integrazione dei reati in contestazione, gli imputati non appartenevano soltanto alla categoria di comune cittadino, atteso che tutti ricoprivano ruoli qualificati (anche se diversificati), motivo per cui il grado di conoscenza ed esperienza in materia edilizia/urbanistica e paesaggistica non può integrare gli estremi di scusabilità sulla legge extra-penale (in tal caso, amministrativa), oltre che penale. Sul piano del diritto sostanziale, deve poi osservarsi che la lottizzazione abusiva è un reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest’ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori grava l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001 – dep. 08/02/2002, Rv. 220708 – 01; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015 – dep. 24/09/2015, Rv. 264718 – 01; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017 – dep. 07/07/2017, Rv. 270645 – 01).

Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva non è infatti escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi in questa sede ribadire il risalente ma condiviso e consolidato indirizzo secondo cui l’impegno del privato ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio non può surrogare la mancanza di un piano di lottizzazione, poiché l’urbanizzazione dei terreni deve essere programmata per zona e non, invece, avvenire in occasione dell’edificazione dei singoli lotti, sicché costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione del terreno a scopo di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di costruire ovvero siano rilasciati una pluralità di permessi nella zona interessata dal nuovo insediamento, tanto più che il permesso di costruire non ha la funzione di pianificare l’uso del territorio (Sez. 3, n. 302 del 26/01/1998 – dep. 25/03/1998, Rv. 210400 – 01, che, ovviamente, si riferiva non già al permesso di costruire ma all’identico titolo all’epoca denominato concessione edilizia; più di recente, Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019 – dep. 26/08/2019, Rv. 277169 – 01).

È da considerarsi, dunque, pacifica la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti amministrativi abilitanti quando questi siano contrari alle norme di legge statale, regionale, agli strumenti urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione dei medesimi. E infatti, secondo l’orientamento che può dirsi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il rilascio della concessione edilizia non esclude l’affermabilità della responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la difformità dell’opera realizzata, o realizzanda, rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una “disapplicazione” dell’atto amministrativo, limitandosi, il giudice, ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché, una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione e la normativa urbanistica, giunge all’accertamento della abusiva realizzazione di opere edilizie prescindendo da qualunque giudizio sull’atto amministrativo (in tema, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993 – dep. 21/12/1993, Rv. 195359 – 01, nonché, più recente, Sez. 3, n. 55003 del 16/06/2016 – dep. 28/12/2016, Rv 269288 – 01; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015 – dep. 09/09/2015, Rv. 265034 – 01, e Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012 – dep. 03/09/2012, Rv. 253426 – 01).

11. Tanto premesso in diritto, privo di pregio è l’argomento usato dalla Corte d’appello (pagg. 13 e ss.) per giustificare l’affidamento incolpevole in cui sarebbero versati in particolare Comparato S., Caristia G. e Barraco G. F. a fronte della delibera del Consiglio comunale di Realmonte n. 37 del 23.10.2008 (con la quale si approvava il piano di lottizzazione denominato “Borgo Scala dei Turchi”), atteso che le specifiche competenze tecniche non potevano indurre i predetti a fare affidamento sulla legittimità degli atti autorizzativi rilasciati e, dall’altro, che il piano, presentato dai privati, conteneva una pluralità di violazioni delle prescrizioni.

Per quanto poi riguarda la posizione dell’Arch. Terrana, dirigente della Soprintendenza di Agrigento, si tratta di un tecnico che ha partecipato alla stessa procedura di redazione del piano paesistico d’ambito nelle cui Linee Guida si dava atto della permanenza del vincolo, che ha effettivamente visto la luce solo nel 2013. La motivazione fornita dalla Corte di Appello per cui lo stesso non si sarebbe potuto discostare dalle direttive dell’Assessorato e per eccepire anomalie procedurali non può trovare accoglimento al fine di escluderne anche il minimo coefficiente di colpevolezza, non deponendo in suo favore nemmeno il successivo annullamento in autotutela dei pareri rilasciati alla CO.MA.ER. a seguito della denuncia presentata dalla associazione ambientalista Marevivo e dalla segnalazione di Legambiente.

I giudici di merito hanno infatti accertato con una motivazione sufficientemente logica ed immune da censure di motivazione, che CO.MA.ER. aveva iniziato opere comportanti una trasformazione urbanistica di terreni in forza di un piano di lottizzazione che presentava plurime violazioni di prescrizioni fornite dalla legge regionale e dagli strumenti urbanistici, sicché correttamente la sentenza di primo grado ha ritenuto sussistente il reato contestato dopo la verifica della non conformità dell’intera lottizzazione alle previsioni della legge regionale e della pianificazione urbanistica, già viziata ab origine, in particolare, potendosi integrare la fattispecie di lottizzazione materiale di cui al capo A) di imputazione e rilevandosi che, sebbene approvato, il piano di lottizzazione fosse in evidente contrasto con gli strumenti urbanistici sovraordinati e con la legge preposta alla disciplina dell’assetto del territorio. Nel caso di specie, infatti, risultavano numerosi vincoli di diversa natura, quale il vincolo di interesse pubblico di cui alla legge n. 1497/1939, quello previsto dalla legge di tutela ambientale di cui all’art. 142 del D.lgs. n. 42/2004 e, soprattutto, come del resto riconosciuto anche dai giudici territoriali, il vincolo di inedificabilità assoluta temporanea di cui all’art. 5 della Legge regionale siciliana n. 15 del 1991 gravante su tutta l’area oggetto, invece, di lottizzazione.

12. Quanto poi al secondo profilo di denuncia, ovvero la complessità della questione in termini di interpretazione della presenza del vincolo di inedificabilità, è condivisibile il rilievo della Procura Generale per cui, tanto il giudice di primo grado, che la Corte d’appello, ne hanno confermato la presenza al fine di escluderne la ricorrenza.

In particolare, il giudice di secondo grado, riportandosi integralmente alle argomentazioni del Gup del Tribunale di Agrigento, ne ha condiviso l’iter argomentativo come ivi ricostruito e, segnatamente, la circostanza che in data 16.05.1992 entrava in vigore un primo decreto assessoriale, il quale dava concretamente e correttamente attuazione al suddetto vincolo, provvedendo ad attivare la redazione del piano paesistico regionale. Successivamente veniva emanato il D.A. n. 5829/1992, il quale apponeva un limite temporale pari a due anni al provvedimento attuativo del vincolo di immodificabilità temporanea e con decreto 07.04.1994, pubblicato il 14.05.1994, venivano disposti altri due anni di proroga, fino al 14.05.1996; il 18/05/1996 un ulteriore decreto fissava un’ultima proroga. Con nota n. 499 del 1997, l’Assessorato Regionale specificava che il vincolo in commento, non potendo essere assoggettato ad ulteriori proroghe, risultava decaduto a partire dal 1996.

Il Gup presso il Tribunale di Agrigento evidenziava, inoltre, come la Legge regionale n. 15/1991 non avesse natura primaria regionale rispetto alla legge n. 431/1985 (c.d. Legge Galasso), che prevaleva in quanto legge di grande riforma economico sociale. Ne seguiva che la Legge regionale in commento fosse preposta a sviluppare su scala regionale alcuni dei vincoli generali posti a livello nazionale dalla Legge n. 431/1985, essendo evidente, pertanto, che il vincolo posto dalle leggi sopra richiamate individuasse quale termine finale proprio l’approvazione dei piani paesistici, termine peraltro poi modificato per mano di una serie di decreti assessoriali. Sulla base di tali premesse, si affermava l’illegittimità dei citati decreti assessoriali, che, qualificandosi quali atti di normazione secondaria, non erano in grado di modificare una norma di legge, atto invece sovraordinato, dovendo gli stessi essere disapplicati e ritenuti tamquam non essent, peraltro ricordando come la Corte Costituzionale avesse confermato (Corte cost., n. 417/1995) la legittimità costituzionale dell’art. 1-quinquies della legge n. 431/1985 (il quale prevedeva vincoli di immodificabilità posti nelle zone di rispetto ambientale fino al termine cronologico individuato dalla legge stessa nell’approvazione dei piani paesistici).

Quanto poi al rispetto dei limiti di distanza dalla battigia, si evidenziava come lo stesso accertamento peritale confermasse che gli edifici di cui al lotto 12 fossero collocati entro i limiti di inedificabilità posti dalla legge in 150 metri e integrati con provvedimento della Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento a 170 metri, in piena violazione di legge.

Per la Corte territoriale, in merito alla natura e alla durata del vincolo di inedificabilità assoluta temporanea, erano condivisibili le considerazioni del Giudice di primo grado circa l’esistenza e la perduranza del vincolo stesso, in particolare rilevandosi che, alla luce del principio di prevalenza della norma di legge sulle disposizioni di natura regolamentare, un atto di normazione secondaria (quale, nel caso di specie, un decreto assessoriale) non risultasse idoneo a modificare un atto di normazione primaria, quale una legge dello Stato: dunque, dovevano considerarsi illegittime le plurime modifiche di rango secondario che avevano inciso sull’individuazione del dies ad quem del vincolo stesso.

I giudici di appello, peraltro, osservavano come la questione avesse costituito, in generale, oggetto di numerose pronunce della giurisprudenza, richiamandosi, da un lato, la sentenza della Corte Costituzionale n. 417 del 1995 e, dall’altro, la sentenza TAR Sicilia n. 810 del 2019, entrambe nel senso di identificare il dies ad quem del vincolo in commento nell’adozione del piano paesistico. Al contrario, si riteneva che la sentenza del Consiglio di Stato n. 4449 del 2014, richiamata dalla difesa a sostegno della diversa tesi dell’intervenuta decadenza del vincolo, fosse espressione di un isolato orientamento.

13. Vi è, peraltro, e ciò assume valenza dirimente, che avverso il relativo punto della sentenza (ossia sul punto relativo alla accertata sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta nell’area e sulla sua persistenza all’epoca della lottizzazione, nessuno degli imputati ha interposto ricorso per cassazione, come sarebbe invece stato loro interesse, essendo stata adottata la pronuncia assolutoria con la formula “perché il fatto non costituisce reato” (tra le tante: Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019 – dep. 04/07/2019, Rv. 276524), né ricorrono le condizioni indicate dall’art. 609, cod. proc. pen. per un esame ex officio da parte di questa Corte della relativa questione. Ne consegue, pertanto, che in assenza di impugnazione in questa sede sul punto, l’accertamento dell’illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo è divenuto irrevocabile, restando quindi assorbite le ulteriori doglianze del Procuratore Generale (sviluppate in parte nel primo e nel secondo motivo), quanto al fatto che i giudici territoriali avrebbero ridotto il reato di lottizzazione abusiva alla sola violazione del vincolo di inedificabilità di cui all’art. 5 legge regionale n. 15/1991, avendo lo stesso PG individuato ulteriori profili di illegittimità, tra cui (i) la violazione degli artt. 12 e 14 della Legge regionale n. 71/1978; (ii) dell’art. 12 e ss. del D.Lgs. n. 152/2006; (iii) del Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte del 1976; (iv) del D.M. n. 1444/1968.

Atteso infatti l’intervenuto accertamento irrevocabile, per le ragioni predette, dell’illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo, non vi è ragione di soffermarsi su tali ulteriori e diversi asseriti profili di illegittimità, peraltro all’evidenza apprezzabili affermativamente, in quanto, accertato comunque oggettivamente il reato di lottizzazione abusiva per esistenza del vincolo di inedificabilità assoluta sull’area, la pronuncia in ordine agli ulteriori profili di illegittimità non avrebbe, sotto tale profilo, alcun rilievo, nemmeno sotto il profilo soggettivo, una volta acclarata la (assorbente) inescusabilità dell’errore degli imputati in ordine alla macroscopica illegittimità degli atti amministrativi in esame in forza dell’esistente (e persistente) vincolo di inedificabilità assoluta sull’area.

14. Nonostante, peraltro, la generale condivisibilità dell’impianto motivazionale, ricostruito in termini chiari e lineari già nella prima pronuncia, la Corte di appello ha però equivocamente ritenuto di dover escludere l’elemento soggettivo anche tenendo conto della pronuncia di annullamento operato dalla sentenza del TAR per la Sicilia n. 1181 del 15.06.2020 (confermata, successivamente, alla decisione di primo grado, dalla sentenza n. 1149 del 07.11.2022 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, prodotta dalla difesa in sede di memorie conclusive dinanzi a questa Corte), del decreto dirigenziale impugnato n. 85 del 09.04.2014 (con il quale era stata annullata la delibera comunale di approvazione del piano di lottizzazione), posto che la ratio della decisione era stata ravvisata nella sola carenza di motivazione in ordine all’interesse specifico dell’Amministrazione regionale alla conservazione dell’esistente e sulle ragioni per le quali lo stesso prevaleva su quello del Comune di Realmonte e della società al mantenimento degli effetti della lottizzazione.

Nel caso di specie, il Dirigente Generale dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, Dipartimento Regionale Urbanistica, della Regione Siciliana, con provvedimento n. 85 in data 9 novembre 2014, ai sensi dell’art. 53 della legge regionale n. 71 del 27 dicembre 1978, in conformità al parere del Consiglio Regionale dell’Urbanistica reso con il voto n. 177 del 19 febbraio 2014, aveva annullato la delibera consiliare del Comune di Realmonte n. 37 del 23 ottobre 2008 di approvazione del Piano di lottizzazione in località Scala dei Turchi della ditta CO.MA.ER. e le concessioni edilizie n. 18 dell’11/07/2012, n. 19 dell’11/07/2012, n. 27 del 26/09/2012, n. 1 dell’08/01/2013 e n. 3 del 18/03/2013. In particolare, l’Amministrazione regionale ha “ritenuto di dover condividere il superiore parere espresso dal Consiglio Regionale dell’Urbanistica con il voto n. 177 del 19/02/2014 assunto con riferimento alla proposta resa dal (…) Servizio 2/DRU n. 3 del 27/01/2014”. Tuttavia, nonostante il parere reso sia molto analitico con riferimento alle contestazioni, alle controdeduzioni presentate dal Comune di Realmonte, dalla CO.MA.ER. Immobiliare e dall’ing. Giuseppe Farruggia ed alle conseguenti considerazioni svolte, e, quindi, nonostante il provvedimento dia analiticamente conto delle violazioni edilizie ed urbanistiche riscontrate, dal decreto dirigenziale del 09/11/2014 non emerge la necessaria comparazione di interessi, né la compiuta specificazione di un interesse pubblico concreto ed attuale, idoneo a determinare che l’interesse tutelato dalla Regione prevalga sugli altri interessi, pubblici e privati, in gioco.

15. Sul punto è sufficiente rilevare quanto segue.

15.1. Anzitutto, va ribadito che come il giudicato amministrativo intervenuto non riveste alcun effetto vincolante rispetto al presente procedimento penale, posto che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di prova documentale, le sentenze irrevocabili pronunciate in un giudizio civile o amministrativo non sono vincolanti per il giudice penale che, pertanto, deve valutarle a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. ai fini della prova del fatto in esse accertato (Sez. 3, n. 17855 del 19/03/2019 – dep. 30/04/2019, Rv. 275702 – 01 che, in motivazione, ha osservato che, secondo il principio generale fissato dall’art. 2 cod. proc. pen., al giudice penale spetta il potere di risolvere autonomamente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito e che l’unica disposizione che attribuisce espressamente “efficacia di giudicato” nel processo penale a sentenze extra-penali è l’art. 3, comma 4, cod. proc. pen. con riferimento alla “sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza”).

15.2. In secondo luogo, si osserva come la doppia decisione dei giudici amministrativi riguardava un profilo del tutto diverso da quello oggetto di esame da parte di questa Corte, atteso che, mentre il giudizio del Giudice di legittimità si è soffermato sulle censure della parte pubblica ricorrente (e diversamente non avrebbe potuto essere, proprio in considerazione della natura di giudizio a critica vincolata di questa Corte: Sez. 4, n. 46486 del 20/11/2012 – dep. 30/11/2012, Rv. 253952), ed ha riguardato in particolare il profilo della sussistenza della ritenuta buona fede degli imputati a fronte della (irrevocabile, come già anticipato) accertata esistenza ab origine dell’illegittimità degli atti e dei provvedimenti amministrativi che hanno consentito la realizzazione della lottizzazione in esame perché eseguita in area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, diversamente il giudizio svoltosi davanti al TAR ed al CGARS ha riguardato la (il)legittimità dell’esercizio del potere di annullamento del Dirigente generale dell’Assessorato regionale territorio e ambiente, Dipartimento regionale dell’urbanistica della Regione siciliana (provvedimento n. 85 del 9.11.2014), di annullamento della delibera consiliare del Comune di Realmonte n. 37 del 23.10.2008 e le cinque concessioni edilizie successivamente rilasciate. In quest’ultimo, in particolare, la ratio della decisione era stata ravvisata nella sola carenza di motivazione in ordine all’interesse specifico dell’Amministrazione regionale alla conservazione dell’esistente e sulle ragioni per le quali lo stesso prevalesse su quello del Comune di Realmonte e della società al mantenimento degli effetti della lottizzazione.

Dunque, l’attenzione dei giudici amministrativi non ha riguardato l’illegittimità degli atti e dei provvedimenti amministrativi oggetto di annullamento d’ufficio da parte del Dirigente generale della Regione Sicilia quanto, piuttosto, la verifica dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte dell’Autorità amministrativa.

Diversamente, la verifica operata da questa Corte ha riguardato l’illegittimità ab origine dei provvedimenti amministrativi oggetto dell’annullamento d’ufficio, illegittimità, si ribadisce, sulla quale i giudici amministrativi non si sono pronunciati, arrestando la loro verifica alla ritenuta esistenza di un vizio motivazionale che avrebbe inficiato il provvedimento di annullamento d’ufficio, ex artt. 53 della l.r. n. 71 del 1978 (ora abrogato dall’articolo 55 della L.R. 13 agosto 2020, n. 19 a decorrere dal 21 agosto 2020) e 39, D.P.R. n. 380/2001 che hanno sostituito la disciplina prima contenuta nell’art. 27 della legge generale urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, disposizioni che prefigurano il potere regionale di annullare, entro il termine di dieci anni dalla loro adozione, atti comunali che si pongano in difformità o contrasto rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente.

Non è del resto questa la sede per discutere della legittimità del provvedimento in questione, rientrante nella giurisdizione del G.A., pur potendosi rilevare che l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione nel caso di annullamento in autotutela di un titolo in precedenza adottato (come chiarito dal Consiglio di Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8), deve ritenersi attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati: e la pluralità e la macroscopicità delle violazioni riscontrate escluderebbe la sussistenza di un qualsivoglia legittimo affidamento al mantenimento delle utilità illegittimamente acquisite. Come già chiarito, infatti, all’epoca dell’approvazione del progetto lottizzatorio, l’area in questione risultava assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta nonché inserita nella rete Natura 2000, quale Sito di Interesse Comunitario (SIC), identificato secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat con il codice ITA040015), ciò che rendeva all’evidenza recessivo l’interesse del privato rispetto a quello pubblicistico volto alla tutela di beni riferibili al patrimonio della collettività, anche per la loro rilevanza “europea”.

16. Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, con cui il P.G. ricorrente ha chiesto a questa Corte di vagliare la legittimità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver confermato il giudizio di responsabilità penale emesso in primo grado nei confronti di Caristia G., Comparato S. e Barraco G. F. rispetto alle violazioni urbanistiche e paesaggistiche (capi B, C e D), ha escluso la configurabilità materiale delle contravvenzioni edilizie, come anticipato, si tratta di motivo di doglianza la cui rilevanza è del tutto assorbita dall’accertata fondatezza del primo motivo e dall’intervenuta irrevocabilità, per difetto di impugnazione degli imputati, della sentenza di condanna per tali reati, sebbene per abusi più limitati, ossia:
1) per il capo b), relativamente alla previsione, nei progetti esecutivi relativi ai singoli lotti, degli edifici da realizzare con altezza di ml. 6,10 invece che 6 ml.;
2) per il capo c) e per il capo d), limitatamente alla realizzazione nel lotto 12 degli immobili di altezza superiore a quella consentita, ed alla realizzazione, entro la fascia di rispetto di 170ml. dalla battigia, dell’edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell’edificio 12F, alla modifica di sagoma e prospetto dell’edificio 12G, in presenza del vincolo di inedificabilità assoluta ex legge reg. 71/78 gravante sui territori costieri entro i 150 ml. dalla battigia e comunque entro i 170 ml. dalla battigia.

Ed invero, premesso che l’impugnazione del PG riguarda soltanto l’intervenuta assoluzione dagli interventi edilizi integranti gli illeciti contravvenzionali contestati ai capi b), c) e d), diversi da quelli per i quali è stata confermata la statuizione di condanna in primo grado, l’intervenuta definitività della condanna per tali capi, sebbene relativamente agli interventi edilizi non oggetto di pronuncia liberatoria, assume ex se valenza satisfattiva per la parte pubblica ricorrente, soprattutto alla luce dell’intervenuto accoglimento dell’impugnazione sul reato più grave, ossia quello lottizzatorio, che, come è noto, comporta la confisca ex art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sanzione ablatoria più grave e nel contempo assorbente rispetto all’ordine demolitorio (previsto dall’art. 31, comma ottavo, del medesimo d.P.R.) ed alla rimessione in pristino stato dei luoghi a spese del condannato (prevista dall’art. 181, D.lgs. n. 42 del 2004).

Né rileva la circostanza che detti abusi edilizi siano stati oggetto di sequestro preventivo, atteso che, nelle more del giudizio di rinvio, deve escludersi l’esecutività immediata dei provvedimenti restitutori, disposti con la sentenza di appello oggetto di annullamento, dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell’ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, dovendo quest’ultima – che ha per oggetto tanto i terreni lottizzati tanto le opere su di essi costruite – intervenire nel successivo giudizio di rinvio.

17. La necessità di consentire a tutti gli attori del presente procedimento di interloquire sulla misura ablatoria obbliga, infine, il Collegio a non adottare per gli imputati non rinuncianti alla prescrizione – ma ancora potenzialmente attinti, in sede di annullamento con rinvio, dalla possibile adozione del provvedimento di confisca urbanistica (essendo stato il reato lottizzatorio sub a) contestato a tutti gli imputati) – una pronuncia di annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione dell’illecito lottizzatorio nei confronti di BARRACO G. F. e TERRANA A. (e, per quest’ultimo, anche in relazione alle contravvenzioni di cui ai capi b), c), d) ed f), ferma restando, ovviamente, la definitività della statuizione di proscioglimento per BARRACO G. F. in ordine ai reati di cui ai capi b), c), d), relativamente agli interventi edilizi e paesaggistici diversi da quelli per cui non è intervenuta condanna ed anche in ordine al reato di cui al capo f).

E’ devoluta, pertanto, al giudice di rinvio – giusta il disposto dell’art. 578-bis, cod. proc. pen. – provvedere anche nel contraddittorio con BARRACO G. F. e TERRANA A., all’assunzione delle determinazioni in materia di confisca urbanistica nonché a quelle relative sia agli ordini di demolizione che di rimessione in pristino stato dei luoghi, che, come è noto, conseguono ex lege all’intervenuto proscioglimento per prescrizione, fermo restando l’autonomo potere-dovere dell’autorità amministrativa (v. da ultimo: Sez. 3, n. 38104 del 09/06/2022 – dep. 10/10/2022, Rv. 283907).

18. L’impugnata sentenza dev’essere, conclusivamente, annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo giudizio che tenga conto dei principi dianzi affermati in tema di elemento psicologico del reato con riferimento all’abuso lottizzatorio nonché per provvedere sulla declaratoria di proscioglimento per intervenuta prescrizione, quanto agli imputati non rinuncianti alla prescrizione, relativamente a tutti gli illeciti in contestazione, nonché sulle relative statuizioni accessorie (confisca urbanistica; ordine demolizione; ordine di rimessione in pristino), devolvendosi al giudice del rinvio anche la liquidazione delle spese di costituzione e difesa, sostenute in sede di legittimità, dalle parti civili costituite LEGAMBIENTE SICILIA APS e GIARRIZZO ANNA MARIA.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, cui demanda altresì la liquidazione delle spese sostenute dalle parti civili per il presente grado di giudizio.

Così deciso, il 14 febbraio 2023

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