DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Subordine della sospensione condizionale della pena alla demolizione – Formulazione dei giudizio prognostico negativo (Art. 164, 1° c., cod. pen.) – Motivazione adeguata sulla persistente offensività dell’illecito – Limite alla c.d. “motivazione implicita” – Art. 31, c.2, d. P. R. n.380/2001 – Natura permanente del reato urbanistico – Cessazione della permanenza – Calcolo dei termini – Sede di legittimità – Valutazione della presenza di una “doppia conforme” – Esclusione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Controllo di legittimità sui vizi della motivazione – Parametri dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative e dell’assenza di difetti o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Settembre 2022
Numero: 36548
Data di udienza: 14 Settembre 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: LIBERATI
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Subordine della sospensione condizionale della pena alla demolizione – Formulazione dei giudizio prognostico negativo (Art. 164, 1° c., cod. pen.) – Motivazione adeguata sulla persistente offensività dell’illecito – Limite alla c.d. “motivazione implicita” – Art. 31, c.2, d. P. R. n.380/2001 – Natura permanente del reato urbanistico – Cessazione della permanenza – Calcolo dei termini – Sede di legittimità – Valutazione della presenza di una “doppia conforme” – Esclusione – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Controllo di legittimità sui vizi della motivazione – Parametri dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative e dell’assenza di difetti o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 27 settembre 2022 (Ud. 14/09/2022), Sentenza n.36548
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Subordine della sospensione condizionale della pena alla demolizione – Formulazione dei giudizio prognostico negativo (Art. 164, 1° c., cod. pen.) – Motivazione adeguata sulla persistente offensività dell’illecito – Limite alla c.d. “motivazione implicita” – Art. 31, c.2, d. P. R. n.380/2001.
La formulazione dei giudizio prognostico negativo sul conto dell’imputato, comunque necessario per subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla esecuzione della demolizione delle opere abusive, può anche essere desunta dal complesso della motivazione delle sentenze di merito, nelle parti relative al trattamento sanzionatorio (allorquando il giudice abbia giustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche con la capacità a delinquere ovvero con la pericolosità sociale dell’imputato), o in quella relativa alla valutazione di particolare gravità del reato, ovvero dalla persistente inottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal Comune ai sensi dell’art. 31, comma 2, d. P. R. 6 giugno 2001, n. 380. Inoltre, la decisione di subordinare il riconoscimento del beneficio all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, e, dunque, alla demolizione delle opere per le quali è intervenuta condanna, deve essere adeguatamente motivata, dovendosi ritenere insufficiente il generico riferimento alla persistente offensività dell’illecito. Anche, la c.d. “motivazione implicita non deve costituire una facile scappatoia verso inammissibili automatismi sanzionatori”, è comunque necessario che “il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen., sia comunque ricavabile tra le pieghe della motivazione relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Natura permanente del reato urbanistico – Cessazione della permanenza – Calcolo dei termini.
Il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva, cessazione che si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, o con la sospensione dei lavori, volontaria o imposta, o con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio, ultimazione che coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi.
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sede di legittimità – Valutazione della presenza di una “doppia conforme” – Esclusione.
In materia urbanistica, in presenza di una “doppia conforme” si limitano i poteri di rinnovare la valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Corte di Cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Controllo di legittimità sui vizi della motivazione – Parametri dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative e dell’assenza di difetti o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti.
Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione. Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione rimane circoscritto alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Pertanto, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene perciò né alla ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetti o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento
(annulla senza rinvio per prescrizione del reato e revoca l’ordine di demolizione sentenza del 23/4/2021 della CORTE D’APPELLO DI LECCE) Pres. RAMACCI, Rel. LIBERATI, Ric. Di Lauro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 27/09/2022 (Ud. 14/09/2022), Sentenza n.36548SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Di Lauro A., nata a Brindisi;
avverso la sentenza del 23/4/2021 della CORTE D’APPELLO DI LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Valentina Manuali, che ha concluso chiedendo di annullare la sentenza impugnata limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, ferma l’irrevocabilità dell’accertamento della penale responsabilità dell’imputata e della sua condanna.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 aprile 2021 la Corte d’appello di Lecce ha respinto l’impugnazione proposta da A. Di Lauro nei confronti della sentenza del 13 dicembre 2018 del Tribunale di Brindisi, con cui la stessa A. Di Lauro era stata condannata alla pena di sei mesi di arresto e 12.000,00 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 (per avere, quale proprietaria e committente, realizzato in assenza del permesso di costruire una recinzione in mattoni di altezza variabile da 2,30 metri a 2,70 metri, un battuto in cemento della superficie di 292,50 metri quadri, contornato da un muretto dell’altezza di 60 centimetri, e un piccolo vano adibito a servizio igienico delle dimensioni di metri 3 x 2 e altezza di metri 2,40; accertato in Brindisi il 24 novembre 2016), sospendendo condizionalmente tale pena subordinatamente alla demolizione delle opere abusive entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
2. Avverso tale sentenza la Di Lauro ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato l’illogicità della motivazione, nella parte relativa alla valutazione delle risultanze istruttorie, per essere stata desunta la responsabilità della ricorrente esclusivamente sulla base della imputazione e degli esiti del sopralluogo, omettendo di verificare se le opere abusive fossero state realizzate proprio dalla ricorrente, nonché di valutare !a condanna per il reato di lottizzazione abusiva a carico dei denuncianti Giovanni Masi e Anna Miglietta e anche quando deposto dalla dipendente del Comune di Brindisi Giovanna Flores (che aveva affermato che l’area era già stata interamente edificata negli anni precedenti) e dall’agente immobiliare Franco Greco (il quale aveva dichiarato di essersi occupato della compravendita del fondo il cui stato corrispondeva già alla descrizione che ne era stata fatta dalla polizia giudiziaria in sede di sopralluogo).
Ha dunque affermato che il solo accertamento della abusività delle opere non determinava, di per sé, la responsabilità della ricorrente per la loro realizzazione, posto che ne aveva acquistato la proprietà solamente quattro mesi prima del sopralluogo da parte della polizia giudiziaria e dell’accertamento della realizzazione delle opere abusive e che tutta l’area risultava già precedentemente edificata abusivamente, con la conseguente insufficienza e illogicità della motivazione nella parte relativa alla attribuzione della realizzazione delle opere abusive alla ricorrente.
2.2. In secondo luogo, ha denunciato la violazione degli artt. 163 e 165 cod. pen., per l’omessa considerazione dei rilievi sollevati a proposito della indebita subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, che avrebbe dovuto essere oggetto di specifica motivazione (si richiama la sentenza n. 33414 del 2021), come sollecitato con l’atto d’appello, con specifica doglianza, alla quale però la Corte territoriale non aveva dato risposta.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione, evidenziando l’infondatezza del primo motivo, in quanto la Corte d’appello, per confermare la condanna della ricorrente, oltre alla sua veste di proprietaria, aveva desunto la riferibilità all’imputata stessa delle opere sia dal fatto che al momento dell’acquisto del terreno non erano presenti altre opere, sia dalla considerazione che le opere, come affermato dalla teste Flores, erano recenti e non ancora ultimate al momento del sopralluogo.
Quando al secondo motivo, ha evidenziato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale a proposito della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, essendo stata affermata la piena legittimità della sentenza con cui il giudice subordina la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera abusiva, senza procedere a specifica motivazione sul punto, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza, che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto (come affermato dalle sentenze Sez. 3, n. 16157 del 26/02/2019, Rv. 275402; Sez. 3, n. 51014 del 15/06/2018, Rv. 274305; Sez. 3, n. 23189 del 29/03/2018, Rv. 272820; Sez. 3, n. 7283 del 09/01/2018, Rv. 272560; Sez. 7, n. 9847 del 25/11/2016, dep. 2017, Rv. 269208), ma anche che dell’esercizio facoltativo del potere di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, il giudice deve dare conto, ove esercitato nei confronti di persona che non ha mai fruito del beneficio della sospensione condizionale, con specifica motivazione (si richiamando le sentenze Sez. 3 n. 33414 del 04/03/2021 Rv. 282328; Sez. 3, n. 39571 del 18/07/2017, Rv. 272503; Sez. 3, n. 17729 del 10/03/2016, Rv. 267027; Sez. 3, n. 3139 del 03/12/2013 – dep. 2014 – Rv. 258587; Sez. 3, n. 43576 del 2014, non massimata), ritenendo preferibile tale secondo orientamento, in quanto più rispondente alla lettera dell’art. 165 cod. pen. che ammette la possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena concessa per la prima volta alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (e dunque anche alla demolizione dell’immobile abusivamente realizzato), attribuendo al giudice una facoltà (del cui esercizio egli deve dar conto in base al giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen.).
4. Con memoria del 25 agosto 2022 la ricorrente ha ribadito la fondatezza di entrambi i motivi del proprio ricorso, evidenziando anch’essa l’esistenza del contrasto giurisprudenziale segnalato dal Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il secondo motivo di ricorso non è manifestamente infondato e, determinando la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione, impone il rilievo della estinzione per prescrizione del reato contestato alla ricorrente.
2. Il primo motivo, mediante il quale sono stati lamentati l’insufficiente e illogica considerazione delle risultanze istruttorie, sostenendo che la responsabilità della ricorrente sarebbe stata affermata esclusivamente sulla base degli esiti del sopralluogo compiuto dalla polizia giudiziaria, omettendo di considerare che il fondo oggetto degli interventi abusivi era stato acquistato dalla ricorrente solamente quattro mesi prima nel medesimo stato, ossia con gli interventi giudicati abusivi già realizzati, è inammissibile, sia perché è volto, come si ricava dalla stessa lettura del motivo di ricorso, a conseguire una indebita e non consentita rivisitazione degli elementi di prova, onde giungere a una loro diversa considerazione, da contrappore a quella, concorde e non manifestamente illogica, dei giudici di merito; sia perché è manifestamente infondato, essendo i giudici di merito pervenuti alla conferma della affermazione di responsabilità sulla base di un esame adeguato e non manifestamente illogico di tutte le risultanze istruttorie, comprese le prove a discarico di cui la ricorrente lamenta l’omessa considerazione.
3. In premessa, vale osservare che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione di responsabilità, il che limita i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Corte di Cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non è questo però il caso: il ricorrente, infatti, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura degli elementi probatori, laddove censura le risultanze del sopralluogo e la valutazione delle prove testimoniali, che, invece, come si dirà, sono state oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede.
Va, poi, ulteriormente precisato che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).
Va poi ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione rimane circoscritto alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte, in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
Il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene perciò né alla ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetti o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
4. Nel caso in esame la Corte d’appello, nel disattendere il primo motivo d’impugnazione, sostanzialmente replicato con il primo motivo di ricorso per cassazione, ha, innanzitutto, escluso che la teste Flores, dipendente dell’Ufficio tecnico del Comune di Brindisi, avesse affermato che le opere abusive presenti nel fondo di proprietà della ricorrente fossero preesistenti al suo acquisto, avendo la stessa solamente riferito che tale fondo si trovava all’interno di un’area interessata da una lottizzazione abusiva (la zona censita al N.C.T. del Comune di Brindisi al f. 75), che però non aveva riguardato anche la particella (censita al n. 985) di proprietà della Di Lauro e nella quale era stata accertata la realizzazione delle opere abusive, giudicate recenti dalla stessa teste.
La Corte territoriale ha adeguatamente e logicamente considerato anche le dichiarazioni del teste Greco, che si occupò come mediatore della vendita del fondo alla Di Lauro, evidenziando come tale vendita si riferisse solo al terreno senza alcun riferimento alle opere in esso esistenti, che quelle di cui era stata accertata la realizzazione in occasione del sopralluogo del 26 novembre 2016 e oggetto della contestazione erano recenti e, soprattutto, non completate, ritenendo, così, in modo pienamente logico, l’illecito ancora in corso e, dunque, come tale ascrivibile alla ricorrente.
Di tali considerazioni, non manifestamente illogiche e coerenti con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il reato urbanistico ha natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell’attività edificatoria abusiva (Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, Cavallaro, Rv. 221399; Sez. 3, n. 14501 del 07/12/2016, dep. 2017, Rocchio, Rv. 269325; Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Martina, Rv. 275900), cessazione che si ha con l’ultimazione dei lavori per completamento dell’opera, o con la sospensione dei lavori, volontaria o imposta, o con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 38136, 24/10/2001; Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Sullo, Rv. 260498; Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri, Rv. 265626; Sez. 3, n. 14501 del 07/12/2016, dep. 24/03/2017, Rocchio, Rv. 269325), ultimazione che coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 5480 del 12/12/2013, Manzo, Rv. 258930; Sez. 3, n. 11646 del 16/10/2014, Barbuzzi, Rv. 262977), la ricorrente ha proposto una rivisitazione fondata esclusivamente su una nuova e diversa lettura delle risultanze istruttorie, in particolare delle dichiarazioni dei testi Flores e Greco, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che non è manifestamente illogica né risulta fondata sul travisamento dei dati probatori, e dunque non è suscettibile di rivisitazione in questa sede di legittimità.
5. Il secondo motivo, relativo alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, è fondato, in quanto la Corte d’appello di Lecce ha disatteso il terzo motivo d’impugnazione, mediante il quale era stata lamentata la mancanza di motivazione riguardo alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla esecuzione della demolizione delle opere abusive, limitandosi a richiamare l’orientamento interpretativo di cui, tra le ultime, alla sentenza n. 16157 del 2019, secondo cui la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva non richiede specifica motivazione, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza, che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base della persistente offensività dell’esistenza dell’opera nei confronti dell’interesse protetto.
6. Va, tuttavia, osservato che, come sottolineato dal Procuratore Generale nelle sue richieste e anche dalla ricorrente, sia nel ricorso sia nelle sue conclusioni scritte, vi è un potenziale contrasto interpretativo su tale punto, di cui si dà atto, da ultimo, nella sentenza Riillo di questa Sezione (Sez. 3, n. 33414 del 04/03/2021, Riillo, Rv. 282328, richiamata diffusamente anche dalla ricorrente), nella quale è stato affermato che “In tema di reati edilizi, il giudice ha la facoltà, e non l’obbligo, di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso per la prima volta, alla demolizione dell’opera abusiva al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, dovendo, tuttavia, indicare le ragioni per le quali, nel formulare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen., ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio”.
In tale sentenza sono stati illustrati i due diversi orientamenti esistenti in ordine all’onere motivazionale richiesto per l’adozione del provvedimento di subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla esecuzione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, evidenziando come in plurime occasioni questa Corte abbia affermato che il giudice può condizionare il godimento del beneficio all’effettiva rimozione dell’opera illecitamente edificata senza dover fornire alcuna specifica motivazione su! punto, essendo questa implicita nell’irrogazione dell’ordine di demolizione; mentre in altre pronunce si è, al contrario, ritenuto che il giudice deve indicare le ragioni per le quali, nel formulare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen., ritenga necessario porre l’esecuzione dell’ordine di demolizione come condizione per la fruizione della sospensione condizionale della pena, soprattutto quando l’imputato non abbia mai precedentemente goduto del beneficio.
7. Il primo orientamento è stato sostenuto, da ultimo, da Sez. 3, n. 16157 del 26/02/2019, Arcabascio, Rv. 275402 (richiamata anche dalla Corte d’appello nel disattendere il terzo motivo d’appello), secondo cui “è legittima la sentenza con cui il giudice subordina la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera abusiva, senza procedere a specifica motivazione sul punto, essendo questa implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza, che, in quanto accessorio alla condanna del responsabile, è emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera stessa nei confronti dell’interesse protetto”.
Analogo principio era già stato, in precedenza, affermato da Sez. 3, n. 23189 del 29/03/2018, Ferrante, Rv. 272820, da Sez. 3, n. 7283 del 09/02/2018, Mistretta, Rv. 272560, da Sez. 3, n. 9847 del 25/11/2016, dep. 2017, Palma, Rv. 269208, nonché da Sez. 3, n. 51014 del 15/06/2018, Pecoraro, Rv. 274305, nelle cui motivazioni si è sottolineato che “il giudizio prognostico, che attiene alla meritevolezza del beneficio e dunque all’an dell’applicabilità dell’istituto, si colloca a monte della condizione ad esso eventualmente apposta. Al contrario la sua subordinazione agli obblighi contestualmente imposti al condannato non interferisce con il riconoscimento della sospensione condizionale, dato per presupposto, ma assolve a tutt’altra funzione, e cioè a rendere effettivo il contenuto delle statuizioni accessorie e a rafforzare contemporaneamente la funzione sottesa alla ratio dell’articolo 165 cod. pen. finalizzata all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, persistenti nel caso di ostinata inottemperanza all’esecuzione dell’ordine impartito: tanto è vero che mentre il giudizio sulla probabilità di futura commissione di ulteriori reati si configura come una prognosi ex ante, coniugata alla funzione social preventiva cui è sotteso l’istituto, la valutazione dell’inadempimento alle statuizioni accessorie che importa la decadenza del condannato dalla sospensione condizionale della pena si traduce in un apprezzamento ex post all’esito dell’accertata non meritevolezza del beneficio accordatogli.
D’altra parte, le stesse sentenze che ritengono obbligatoria una motivazione al riguardo non offrono elementi per individuare entro quale ambito argomentativo possa formularsi un’ulteriore prognosi positiva di non recidività rispetto a quella già formulata”.
Si inscrivono in questo filone interpretativo, tra le più recenti pronunce non massimate, Sez. 3, n. 2509 del 09/11/2021, dep. 2022, Barraco; Sez. 7, n. 25458 del 07/05/2021, Franco; Sez. 3, n. 23934 del 25/03/2021, Materia; Sez. 3, n. 28671 del 24/09/2020, Avitabile; Sez. 3, n. 15929 del 08/01/2020, Di Casola; Sez. 3, n. 17802 del 05/11/2019, dep. 2020, Latronico; Sez. 3, n. 1575 del 08/10/2019, dep. 2020, Rammaro; Sez. 3, n. 39339 del 09/07/2018, Ribezzo e altri; Sez. 3, n. 31388 del 27/04/2018, Serio.
8. Il secondo orientamento è stato sostenuto, in epoca recente, da Sez. 3, n. 39471 del 18/07/2017, Pellerito, Rv. 272503 e da Sez. 3, n. 17729 del 10/03/2016, Abbate, Rv. 267027, nelle cui motivazioni si è concordemente argomentato che, ove l’imputato non abbia mai fruito del beneficio della sospensione condizionale, il giudice deve indicare le ragioni che lo hanno spinto a subordinare l’effettiva fruizione del beneficio alla esecuzione della demolizione delle opere abusivamente edificate: “l’esercizio discrezionale di tale facoltà deve essere effettuato (e necessariamente motivato) alla luce del giudizio prognostico di cui all’art. 164, cod. pen. e coniugarsi con la funzione special-preventiva dell’istituto.
Non è dunque sufficiente affermare che l’ordine di demolizione ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ma è necessario spiegare perché, sul piano prognostico di cui all’art. 164, comma 1, cod. pen., si ritenga necessario porre l’esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Altrimenti ragionando si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi, facoltativa, di cui all’art. 165, comma 1, cod. pen. e quella, obbligatoria, di cui all’art. 165, comma 2, cod. pen.”.
Negli stessi termini si sono espresse Sez. 3, n. 3139 del 03/12/2013 (dep. 2014), Domingo e altro, Rv. 258587, e, tra le più recenti pronunce non massimate, Sez. 3, n. 30123 del 20/12/2016, dep. 2017, Tuttoilmondo, Sez. 3, n. 50767 del 08/11/2016, Schettino, e Sez. 3, n. 43576 del 30/09/2014, Principalli, nonché Sez. 3, n. 11626 del 18/11/2020, dep. 2021, Gallo, che ha annullato in parte qua la sentenza di condanna, censurando che la subordinazione del beneficio fosse stata motivata solo apparentemente, mediante il “ricorso ad una mera clausola di stile”, e Sez. 7, n. 14336 del 20/1/2017, Como, che, ribadendo la necessità di una espressa motivazione sul punto, ha ritenuto sufficiente il riferimento, contenuto nell’impugnata sentenza, alla “esigenza di assicurare una efficace tutela al bene protetto e di incentivare la acquisizione della consapevolezza della illiceità delle condotte, anche allo scopo di dissipare ogni dubbio in ordine alla indispensabile prognosi positiva circa le future condotte dell’imputato”.
9. La sentenza Riillo, nella consapevolezza dell’esistenza del descritto contrasto giurisprudenziale, ha dato continuità al secondo orientamento, statuendo che, in caso di condanna per reato edilizio, il giudice debba spiegare le ragioni per le quali abbia deciso di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso per la prima volta, alla rimozione dell’opera abusiva.
Tale indirizzo valorizza il tenore letterale dell’art. 165 cod. pen., che, dopo aver stabilito, nel primo comma, che il beneficio “può” essere subordinato all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o a titolo di provvisionale, alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno, alla prestazione di attività retribuita in favore della collettività, ovvero infine all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, prevede, nel comma successivo, che, quando intenda concedere il beneficio a chi ne abbia già fruito, il giudice “deve” subordinarne il riconoscimento “all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente”, individuando infine, nel quarto, nel quinto e nel settimo comma, alcuni delitti in relazione ai quali la sospensione condizionale della pena “è comunque subordinata” a determinate prestazioni.
Dunque, quando il legislatore ha inteso subordinare in modo automatico la sospensione condizionale della pena, concessa per la prima volta, all’adempimento di obblighi specificamente previsti, lo ha fatto in modo espresso, tipizzando i relativi casi e privando il giudice di ogni facoltà sul punto: tra detti casi non rientrano i reati edilizi, così come non vi rientrano neppure i reati ambientali (cfr. artt. 255, comma 3, e 257, comma 3, d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), che, al pari dei primi, arrecano una lesione persistente al bene giuridico protetto.
Si deve, pertanto, necessariamente ritenere che, in relazione ai reati edilizi, il legislatore abbia affidato al giudice il potere di valutare se il riconoscimento del beneficio in oggetto necessiti di una concreta manifestazione di ravvedimento da parte del reo, e, dunque, dell’effettivo adempimento di un obbligo di “facere” direttamente funzionale al ripristino del bene offeso.
A ciò consegue che la decisione di subordinare il riconoscimento del beneficio all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, e, dunque, alla demolizione delle opere per le quali è intervenuta condanna, debba essere adeguatamente motivata, dovendosi ritenere insufficiente il generico riferimento alla persistente offensività dell’illecito: la risalente, ma ancora attuale, statuizione di Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep. 1997), Luongo, Rv. 206659, secondo cui “l’esercizio del potere-dovere di ordinare la demolizione trova la propria condizione applicativa solo nella permanenza dell’opera abusiva, che rappresenta e definisce l’offesa al bene tutelato, cioè al territorio”, va intesa, ad avviso della sentenza Riillo, nel senso che l’esistenza del manufatto è il necessario presupposto logico-fattuale dell’eventuale subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione, e non certo nel senso che la persistente offensività dell’opera abusiva legittimi – sempre e comunque – il condizionamento del beneficio, in difetto di qualsiasi giudizio prognostico e senza alcuna motivazione sul punto, poiché, così opinando, si finirebbe per elidere ogni differenza tra l’ipotesi facoltativa di cui all’art. 165, comma primo, cod. pen., e quella obbligatoria di cui all’art. 165, comma secondo, cod. pen., riconoscendo l’esistenza di un automatismo non voluto dal legislatore, di un obbligo non previsto né dal Testo Unico sull’edilizia (che, nel disporre – all’art. 31, comma 9 – che il giudice, contestualmente alla sentenza di condanna, emetta l’ordine di demolizione dell’opera abusiva, “si limita a contemplare una misura amministrativa obbligatoria in caso di condanna, ma nulla dispone con riferimento alla concessione della sospensione condizionale della pena ed agli obblighi cui tale beneficio può essere subordinato”: cfr. Sez. 3, n. 38476 del 31/05/2019, PG C/ Santoro, Rv. 276889), né dall’art. 165 cod. pen. (il cui primo comma, seguendo l’opposto orientamento, verrebbe di fatto abrogato).
10. La sentenza Riillo ha, tuttavia, ammesso che il giudizio in questione possa anche essere implicitamente ricavato dalla complessiva motivazione della sentenza: ma, poiché “la motivazione implicita non deve costituire una facile scappatoia verso inammissibili automatismi sanzionatori”, è comunque necessario che “il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen., sia comunque ricavabile tra le pieghe della motivazione relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio”, come, ad esempio, accade quando il giudice abbia motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche con la capacità a delinquere ovvero con la pericolosità sociale dell’imputato.
Si tratta, peraltro, di considerazioni che erano già state sviluppate nelle motivazioni di alcune delle pronunce che hanno sostenuto l’opposto orientamento: ed invero, le già citate sentenze Ferrante, Mistretta e Palma avevano concordemente ritenuto che le ragioni della sottoposizione a condizione del beneficio, oltre a potersi dedurre dalla stessa irrogazione dell’ordine di demolizione, potessero “anche ricavarsi aliunde nella complessiva motivazione effettuata dal giudice del merito, laddove questi abbia comunque espresso un giudizio di gravità del reato e di capacità a delinquere dell’imputato desunta attraverso i criteri specificati dall’art. 133 cod. pen. che l’art. 164 cod. pen. richiama”.
La sentenza Riillo ha, infine, ribadito che, mentre l’inottemperanza all’ordine di demolizione disposto con la sentenza di primo grado è elemento del tutto neutro, non potendo essere valorizzata l’inosservanza di una statuizione imposta da una pronuncia non ancora irrevocabile, la persistente inottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal Comune ai sensi dell’art. 31, comma 2, d. P. R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere valutata negativamente a fini prognostici: ed invero, pur dovendosi ritenere che “il beneficio della sospensione condizionale della pena non costituisce strumento per rafforzare o implementare l’ordine di demolizione dell’immobile abusivamente realizzato”, l’assenza di uno spontaneo adempimento all’obbligo demolitorio impartito dal Comune può essere ritenuto comportamento tale da giustificare l’esercizio del potere discrezionale in parola.
11. Tale, potenziale, contrasto può, tuttavia, ad avviso del Collegio, essere riconciliato proprio alla luce delle precisazioni contenute nella sentenza Riillo, secondo cui la formulazione dei giudizio prognostico negativo sul conto dell’imputato, comunque necessario per subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla esecuzione della demolizione delle opere abusive, può anche essere desunta dal complesso della motivazione delle sentenze di merito, nelle parti relative al trattamento sanzionatorio (allorquando il giudice abbia giustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche con la capacità a delinquere ovvero con la pericolosità sociale dell’imputato), o in quella relativa alla valutazione di particolare gravità del reato (come sostenuto nelle già citate sentenze Ferrante, Mistretta e Palma), ovvero dalla persistente inottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal Comune ai sensi dell’art. 31, comma 2, d. P. R. 6 giugno 2001, n. 380.
Ferma restando, dunque, la necessità della formulazione del suddetto giudizio prognostico negativo, questo, ove non esplicitato, può essere desunto da altre parti della motivazione delle sentenze di merito, come già affermato in alcune delle sentenze ritenute espressive del primo orientamento, affermazioni che consentono di superare, nel senso esplicitato al par. 10, il prospettato contrasto interpretativo.
12. Ciò, tuttavia, non è dato di rinvenire nel caso in esame, nel quale la Corte d’appello, investita di una specifica doglianza su tale punto, si è limitata a ribadire la non necessarietà di una specifica motivazione in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla esecuzione della demolizione delle opere abusive, per essere la relativa giustificazione implicita nell’emanazione dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza, emesso sulla base della persistente offensività dell’opera nei confronti dell’interesse protetto (così a pag. 5 la sentenza impugnata).
Poiché nella motivazione della sentenza impugnata non si rinviene alcun elemento dal quale desumere la, sia pure implicita, formulazione del suddetto necessario giudizio prognostico negativo sul conto dell’imputata, non essendovi riferimenti alla sua personalità negativa, o alla gravità della condotta o alla inottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal Comune, essendo, anzi, stata espressamente esclusa la necessità di formulare un tale giudizio, che, invece, come ricordato, è necessario per poter subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla esecuzione della demolizione delle opere abusive, devono ritenersi sussistenti i vizi di violazione di legge penale e di carenza di motivazione denunciati con il secondo motivo di ricorso in relazione a tale aspetto.
Ciò imporrebbe un nuovo giudizio da parte dei giudici di merito su tale punto, allo scopo di consentire l’illustrazione delle ragioni di detta subordinazione, che, però, è precluso dall’intervenuto decorso del termine massimo di prescrizione del reato contestato alla ricorrente.
13. La fondatezza del secondo motivo di ricorso, consentendo la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione, impone dunque il rilievo della estinzione per prescrizione del reato contestato, accertato il 24 novembre 2016, essendo decorso il relativo termine quinquennale, in assenza di sospensioni, il 24 novembre 2021. Ne conseguono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la revoca dell’ordine di demolizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Revoca l’ordine di demolizione.
Così deciso il 14/9/2022