MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – Esercizio di caccia con mezzi non consentiti – DIRITTO VENATORIO – C.d. “furto venatorio” – Differenza tra caccia con licenza e caccia di frodo – Reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Gennaio 2015
Numero: 3930
Data di udienza: 11 Dicembre 2015
Presidente: TERESI
Estensore: MENGONI
Premassima
MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – Esercizio di caccia con mezzi non consentiti – DIRITTO VENATORIO – C.d. “furto venatorio” – Differenza tra caccia con licenza e caccia di frodo – Reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 28/01/2015 (Ud. 11/12/2014), Sentenza n. 3930
MALTRATTAMENTO DI ANIMALI – Esercizio di caccia con mezzi non consentiti – DIRITTO VENATORIO – C.d. “furto venatorio” – Differenza tra caccia con licenza e caccia di frodo – Reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato.
La L. n. 157 del 1992 non esclude in via assoluta l’applicabilità del cosiddetto “furto venatorio”, prevedendo, al contrario, tale esclusione soltanto in relazione ai casi specificamente previsti dagli artt. 30 e 31, che però non esauriscono tutte le ipotesi di apprensione della fauna vietate da altri precetti contenuti nella legge stessa. Ed invero, la norma che proibisce l’applicazione del “furto venatorio” è l’art. 30, comma 1, n. 3, il quale recita: “Nei casi di cui al comma 1 (dell’art. 30, n.d.r.) non si applicano gli artt. 624, 625 e 626 c.p.”; analoga previsione è poi contenuta nell’art. 31, con riguardo alle sanzioni amministrative. Se ne deduce, quindi, che il reato di furto è stato espressamente escluso soltanto nei casi circoscritti dalla prima parte dell’art. 30 e da tutto l’art. 31 in questione, e cioè quelli riguardanti il cacciatore munito di licenza che viola la stessa e caccia di frodo; per contro, il bracconiere senza licenza – non rientra nelle citate previsioni, né in altre specifiche, si che il furto venatorio appare ancora applicabile a suo carico, atteso che la fauna resta pur sempre patrimonio indisponibile dello Stato (citata Legge, art. 1) e permangono intatti, dunque, i presupposti giuridici del “furto venatorio”. Ne consegue, quindi, che il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato è ancora oggi configurabile, pur nel regime della L. n. 157 del 1992, con riferimento al caso in cui l’apprensione o il semplice abbattimento della stessa siano opera di persona non munita della licenza medesima. Nel caso in esame, il Tribunale di Brescia ha erroneamente ritenuto il delitto di furto aggravato (e la fattispecie di cui all’art. 544 ter c.p.) assorbite nelle contravvenzioni di cui al capo a), così disattendendo il principio di diritto appena menzionato. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza, con restituzione degli atti allo stesso Tribunale. Fattispecie: esercizio di caccia con mezzi non consentiti – in particolare, con archetti in legno e metallo a scatto – su specie protette, quali due pettirossi, così uccisi.
(annulla senza rinvio sentenza del 12/3/2014 – TRIBUNALE DI BRESCIA) Pres. TERESI, Rel. MENGONI, Ric. P.G. nei confr. di Mensi
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 28/01/2015 (Ud. 11/12/2014), Sentenza n. 3930SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia;
nel procedimento nei confronti di;
Mensi G., nato a Collio (Bs) il xxx;
avverso la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE DI BRESCIA in data 12/3/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. De Augustinis Umberto, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12/3/2014, il Tribunale di Brescia applicava a Mensi Giuseppe – ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – la pena di un mese e venti giorni di arresto in ordine ai reati di cui alla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. b) e h), in essi assorbite le contestazioni di cui all’art. 544 ter c.p. e art. 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 2 e 7; allo stesso, in particolare, era contestato di aver esercitato la caccia con mezzi non consentiti – in particolare, con archetti in legno e metallo a scatto – su specie protette, quali due pettirossi, così uccisi.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, deducendo – con unico motivo – l’erronea applicazione delle norme contestate, in uno con la L. n. 152 del 1997, art. 21, comma 1, lett. u), con conseguente applicazione di sanzione non conforme a legge.
Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto il “furto venatorio” assorbito nella fattispecie di cui alla L. n. 152 del 1997, mentre avrebbe dovuto procedere in senso contrario, atteso che l’imputato era privo di licenza di caccia e, pertanto, non destinatario della legge in oggetto; ancora, l’illecita apprensione degli uccelli sarebbe avvenuta con modalità tali da provocare loro maltrattamenti ex art. 544 ter c.p., reato anch’esso erroneamente ritenuto assorbito nella contravvenzione sub a).
Il Giudice, quindi, avallando la proposta di patteggiamento, avrebbe applicato una pena non conforme a legge; avrebbe, cioè, assorbito le fattispecie più gravi di cui ai capi b) e c) in quella contravvenzionale, anziché ritenere più grave il furto aggravato e, in esso, se del caso, assorbire il duplice reato ex capo a).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Sez. 4, n. 34352 del 24/5/2004, Peano, Rv. 229083) che la L. n. 157 del 1992 non esclude in via assoluta l’applicabilità del cosiddetto “furto venatorio”, prevedendo, al contrario, tale esclusione soltanto in relazione ai casi specificamente previsti dagli artt. 30 e 31, che però non esauriscono tutte le ipotesi di apprensione della fauna vietate da altri precetti contenuti nella legge stessa. Ed invero, la norma che proibisce l’applicazione del “furto venatorio” è l’art. 30, comma 1, n. 3, il quale recita: “Nei casi di cui al comma 1 (dell’art. 30, n.d.r.) non si applicano gli artt. 624, 625 e 626 c.p.”; analoga previsione è poi contenuta nell’art. 31, con riguardo alle sanzioni amministrative.
Se ne deduce, quindi, che il reato di furto è stato espressamente escluso soltanto nei casi circoscritti dalla prima parte dell’art. 30 e da tutto l’art. 31 in questione, e cioè quelli riguardanti il cacciatore munito di licenza che viola la stessa e caccia di frodo; per contro, il bracconiere senza licenza – come risulterebbe il Mensi, giusta capo c) – non rientra nelle citate previsioni, ne’ in altre specifiche, si che il furto venatorio appare ancora applicabile a suo carico, atteso che la fauna resta pur sempre patrimonio indisponibile dello Stato (citata Legge, art. 1) e permangono intatti, dunque, i presupposti giuridici del “furto venatorio”.
Questa conclusione, peraltro, risulta avvalorata anche da ulteriori previsioni contenute nella stessa L. n. 152 del 1997. L’art. 12, in primo luogo, afferma (comma 1) che “l’attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti dalla presente legge”; di tal che (comma 6), “la fauna selvatica abbattuta durante l’esercizio venatorio nel rispetto delle disposizioni della presente legge appartiene a colui che l’ha cacciata”. Ancora, l’art. 32, nello stabilire le sanzioni accessorie alla sentenza di condanna definitiva (o decreto penale di condanna esecutivo) per una delle violazioni di cui all’art. 30, comma 1, prevede – tra le altre – la sospensione, la revoca o la esclusione definitiva dalla concessione della licenza di porto di fucile per uso di caccia.
Ne consegue, quindi, che il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato è ancora oggi configurabile, pur nel regime della L. n. 157 del 1992, con riferimento al caso in cui l’apprensione o il semplice abbattimento della stessa siano opera di persona non munita della licenza medesima.
Ciò premesso, il Tribunale di Brescia ha erroneamente ritenuto il delitto di furto aggravato (e la fattispecie di cui all’art. 544 ter c.p.) assorbite nelle contravvenzioni di cui al capo a), così disattendendo il principio di diritto appena menzionato. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza, con restituzione degli atti allo stesso Tribunale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Brescia.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2015