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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto degli alimenti, Tutela dei consumatori Numero: 39037 | Data di udienza: 10 Maggio 2018

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione – Pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento – Produzione di un danno alla salute – Necessità – Esclusione – Reato di pericolo presunto – TUTELA DEI CONSUMATORI – Accertamento senza necessità di specifiche analisi di laboratorio – Giurisprudenza – Cattivo stato di conservazione delle vivande – Reato di pericolo – Art. 5, lett. b), L. n. 283/1962 – Fattispecie: confezioni contenenti acqua esposte ai raggi solari – Assoluta igienicità delle sostanze alimentari – Divieto di produrre e porre in commercio alimenti in cattivo stato di conservazione – Necessità di perfezionarsi di un contratto di compravendita – Esclusione – Artt. 5 e 6 L. n. 283/1962 – Divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole – D.M. 20/01/1927.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Agosto 2018
Numero: 39037
Data di udienza: 10 Maggio 2018
Presidente: SAVANI
Estensore: SEMERARO


Premassima

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione – Pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento – Produzione di un danno alla salute – Necessità – Esclusione – Reato di pericolo presunto – TUTELA DEI CONSUMATORI – Accertamento senza necessità di specifiche analisi di laboratorio – Giurisprudenza – Cattivo stato di conservazione delle vivande – Reato di pericolo – Art. 5, lett. b), L. n. 283/1962 – Fattispecie: confezioni contenenti acqua esposte ai raggi solari – Assoluta igienicità delle sostanze alimentari – Divieto di produrre e porre in commercio alimenti in cattivo stato di conservazione – Necessità di perfezionarsi di un contratto di compravendita – Esclusione – Artt. 5 e 6 L. n. 283/1962 – Divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole – D.M. 20/01/1927.



Massima

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 28/08/2018 (Ud. 10/05/2018), Sentenza n.39037

 
DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione – Pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento – Produzione di un danno alla salute – Necessità – Esclusione – Reato di pericolo presunto – TUTELA DEI CONSUMATORI – Accertamento senza necessità di specifiche analisi di laboratorio – Giurisprudenza.
 
Il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione è configurabile quando si accerti che le concrete modalità della condotta siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta). Il cattivo stato di conservazione degli alimenti si verifica in quelle situazioni in cui le sostanze, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentino mal conservate, e cioè preparate, confezionate o messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto (Cass. Sez. 3, n. 33313 del 28.11.2012, Maretto). Tale stato può essere accertato senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, ma sulla base di dati obiettivi, come ad esempio il verbale ispettivo, la documentazione fotografica, o mediante la prova testimoniale; ed è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (per tutte, Sez. 3, n. 12346 del 4/3/2014, Chen). 
 

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Cattivo stato di conservazione delle vivande – Reato di pericolo – Art. 5, lett. b), L. n. 283/1962 – Fattispecie: confezioni contenenti acqua esposte ai raggi solari.
 
La contravvenzione di cui all’art. 5, lett. b), L. n. 283 del 1962 è un reato di pericolo presunto con anticipazione della soglia di punibilità per la rilevanza del bene protetto, la salute, sicchè il reato si concretizza anche senza l’effettivo accertamento del danno al bene protetto (cfr. Cass. Sez. F, n. 36274 del 2016, Calabrò; Cass. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta). Nella specie, le confezioni contenenti l’acqua sono state esposte, quindi conservate, volontariamente ai raggi solari, per altro neanche seguendo le istruzioni presenti sull’etichetta, e non all’interno dello stesso deposito. L’esposizione, di per sé già in violazione di una regola cautelare, è dunque durata un periodo di tempo significativo, quanto meno quello necessario alle operazioni liberazione del deposito e fino all’avvenuto sequestro, senza il rispetto delle garanzie igieniche imposte dalla natura del prodotto e per un lasso di tempo idoneo a generale il pericolo di alterazione del prodotto. Pertanto, l’acqua non può essere considerata in modo significativamente diverso da altri liquidi alimentari, quali l’olio o il vino. 
 
 
DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Assoluta igienicità delle sostanze alimentari – Divieto di produrre e porre in commercio alimenti in cattivo stato di conservazione – Necessità di perfezionarsi di un contratto di compravendita – Esclusione – Artt. 5 e 6 L. n. 283/1962.
 
Con le disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 30 aprile 1962 n. 283 si è inteso garantire l’assoluta igienicità delle sostanze alimentari anche mediante il solo divieto di produrre e porre in commercio alimenti in cattivo stato di conservazione, così che, per integrare le ipotesi di reato dagli stessi delineate, non è necessario il perfezionarsi di un contratto di compravendita (Cass. Sez. 3, n. 28355 del 04/07/2006, Sollutrone). In applicazione di tali principi, è stata ritenuta la sussistenza del reato (cfr. Cass. Sez. F, n. 36274 del 2016, Calabrò) nel caso del rinvenimento all’interno di un ristorante di più bottiglie di acqua minerale sigillate, detenute in zona esposta alla luce solare e soggetta alle elevate temperature del periodo (primi giorni di settembre). 
 

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – Divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole – D.M. 20/01/1927 – Acqua quale prodotto alimentare vivo.
 
Configura il reato ex art. 5 legge 283/1982 la detenzione per la vendita, in cattivo stato di conservazione, di più confezioni di acqua (in specie, collocandole nel piazzale antistante l’immobile, esponendole alla luce del sole). Il divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole, già previsto nel decreto ministeriale 20 gennaio 1927 con riferimento a contenitori, come quelli in vetro, non suscettibili di subire modificazioni a seguito del contatto con luce o calore, è una cautela generale che fin da allora aveva sconsigliato di esporre per un tempo significativo le bottiglie (e i contenitori) di acqua alla luce e al calore del sole. Ciò in quanto l’acqua è un prodotto alimentare vivo e come tale è soggetta a subire modificazioni allorché è isolata dal suo ambiente naturale e forzata all’interno di contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono fra l’acqua, l’aria, la luce e le altre forme di energia e che modificano le relazioni che in natura l’acqua conosce allorché viene sottoposta ad aumento di temperatura o ad esposizione continua ai raggi del sole. (Cass. Sez. 3, n. 15491 del 22/02/2002, Giacobbe).

(conferma sentenza del 24/04/2017 – TRIBUNALE di MESSINA) Pres. SAVANI, Rel. SEMERARO, Ric. Malcaus 
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 28/08/2018 (Ud. 10/05/2018), Sentenza n.39037

SENTENZA

 

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 28/08/2018 (Ud. 10/05/2018), Sentenza n.39037
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da MALCAUS ROSARIO nato il 26/03/1965 a MESSINA;
 
avverso la sentenza del 24/04/2017 del TRIBUNALE di MESSINA;
 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
 
udita la relazione svolta dal consigliere LUCA SEMERARO; 
 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli; 
 
il Proc. Gen. conclude per il rigetto;
 
udito il difensore, avv. Pietro Luccisano;
 
il difensore presente si riporta ai motivi.
 
RITENUTO IN FATTO 
 
1. Il difensore di Rosario Malcaus ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Messina del 24/04/2017 con la quale Rosario Malcaus è stato condannato alla pena di € 1.500,00 di ammenda per il reato ex art. 5 legge 283/1982 per avere detenuto per la vendita, in cattivo stato di conservazione, più confezioni di acqua collocandole nel piazzale antistante l’immobile, esponendole alla luce del sole. Il fatto è stato accertato il 23 giugno 2016. 
 
2. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione (artt. 606 c.p.p. lett. b) ed e) cod. proc. pen.) in relazione all’art. 5 L. 283 del 1962. La difesa ha affermato che la motivazione della sentenza è mancante ed illogica. 
 
Afferma la difesa che mediante la prova per testi e documentale nel dibattimento ha dimostrato che l’acqua, indicata nel capo d’imputazione, si trovasse nel piazzale antistante il deposito solo per il tempo necessario a riporla nello stesso deposito che si trova in luogo differente rispetto al punto vendita; ha rappresentato la difesa che nel deposito non avviene la vendita dell’acqua. 
 
La difesa ha citato la deposizione del teste Rubino ed ha affermato che l’acqua non è stata conservata in cattivo stato di conservazione ma è solo avvenuto lo scarico dell’acqua, il cambio di posizione dell’acqua già collocata nel deposito e subito dopo l’acqua sarebbe stata ricollocata nel deposito. 
 
Rileva la difesa che il Tribunale di Messina non ha contestato tale ricostruzione ma ha affermato che non può escludersi il pericolo di contaminazione dovuto all’esposizione all’aria ed alla luce del sole, indipendentemente dalla durata dell’esposizione. 
 
Per la difesa, per la sussistenza del reato, occorre dimostrare che l’acqua sia rimasta in contatto con la luce solare per un periodo di tempo utile ad ingenerare la cattiva conservazione. 
 
Per la difesa, il termine di «cattivo stato di conservazione» fa ritenere che la merce debba subire un deterioramento temporale, laddove proprio il decorso del tempo conduce al cattivo stato; altrimenti, qualunque esposizione al sole sarebbe nociva. Per la difesa, se così non fosse, la norma sarebbe generica, dando rilevanza penale anche ad una esposizione anche breve al sole. 
 
La difesa ha quindi chiesto l’annullamento della sentenza impugnata. 
 
3. Con i motivi nuovi, la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e della motivazione rilevando che l’acqua, ancora imballata, era stata consegnata al ricorrente il 23 giugno 2014, cioè nello stesso giorno in cui poi avvenne l’accertamento. La difesa ha riportato la deposizione del teste Renzo Rubino in base alla quale l’acqua «vecchia» era stata portata fuori al deposito per far spazio a quella appena arrivata. La difesa ha poi allegato le bolle di consegna dell’acqua e richiamato la deposizione dell’autotrasportatore che procedette alla consegna. 
 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 
 
1.1. Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, la contravvenzione di cui all’art. 5, lett. b), I. n. 283 del 1962 è un reato di pericolo presunto con anticipazione della soglia di punibilità per la rilevanza del bene protetto, la salute, sicchè il reato si concretizza anche senza l’effettivo accertamento del danno al bene protetto (cfr. Cass. Sez. F, n. 36274 del 2016, Calabrò; Cass. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990). 
 
Il reato di detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione è configurabile quando si accerti che le concrete modalità della condotta siano idonee a determinare il pericolo di un danno o deterioramento dell’alimento, senza che rilevi a tal fine la produzione di un danno alla salute, attesa la sua natura di reato a tutela del c.d. ordine alimentare, volto ad assicurare che il prodotto giunga al consumo con le garanzie igieniche imposte dalla sua natura (Cass. Sez. 3, n. 40772 del 5/5/2015, Torcetta, Rv. 264990). 
 
Il cattivo stato di conservazione degli alimenti si verifica in quelle situazioni in cui le sostanze, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentino mal conservate, e cioè preparate, confezionate o messe in vendita senza l’osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto (cfr. Cass. Sez. 3, n. 33313 del 28.11.2012, Maretto, Rv. 257130). 
 
Tale stato può essere accertato senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, ma sulla base di dati obiettivi, come ad esempio il verbale ispettivo, la documentazione fotografica, o mediante la prova testimoniale; ed è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (per tutte, Sez. 3, n. 12346 del 4/3/2014, Chen, Rv. 258705). 
 
1.2. Come già affermato da Cass. Sez. 3, n. 15491 del 22/02/2002, Rv. 221566, Giacobbe, citata anche nella sentenza impugnata), il divieto di esporre le bottiglie di acqua alla luce o al calore del sole, già previsto nel decreto ministeriale 20 gennaio 1927 con riferimento a contenitori, come quelli in vetro, non suscettibili di subire modificazioni a seguito del contatto con luce o calore, è una cautela generale che fin da allora aveva sconsigliato di esporre per un tempo significativo le bottiglie (e i contenitori) di acqua alla luce e al calore del sole. 
 
Ciò in quanto l’acqua è un prodotto alimentare vivo e come tale è soggetta a subire modificazioni allorché è isolata dal suo ambiente naturale e forzata all’interno di contenitori stagni che impediscono i normali interscambi che avvengono fra l’acqua, l’aria, la luce e le altre forme di energia e che modificano le relazioni che in natura l’acqua conosce allorché viene sottoposta ad aumento di temperatura o ad esposizione continua ai raggi del sole. 
 
Sin dalla sentenza Giacobbe la Corte di Cassazione ha affermato che l’acqua non può essere considerata in modo significativamente diverso da altri liquidi alimentari, quali l’olio o il vino, cui sono applicabili i principi contenuti nella sentenza delle Sezioni Unite, Butti, che espressamente afferma, fra l’altro, la correttezza del richiamo alla regola di esperienza per definire cattivo uno stato di conservazione delle vivande. 
 
Si è pertanto affermato che la conservazione di bottiglie di acqua minerale in contenitore PET all’aperto ed esposto al sole configura la contravvenzione prevista dall’art. 5, lett. b), della legge 30 aprile 1962 n. 283, atteso che l’esposizione, anche parziale, di prodotti destinati al consumo umano alle condizioni atmosferiche esterne, tra cui l’impatto con i raggi solari, può costituire potenziale pericolo per la salute dei consumatori, in quanto sono possibili fenomeni chimici di alterazione dei contenitori e di conseguenza del loro contenuto. 
 
In applicazione di tali principi, è stata ritenuta la sussistenza del reato (cfr. Cass. Sez. F, n. 36274 del 2016, Calabrò) nel caso del rinvenimento all’interno di un ristorante di più bottiglie di acqua minerale sigillate, detenute in zona esposta alla luce solare e soggetta alle elevate temperature del periodo (primi giorni di settembre). 
 
Cfr. anche Cass. Sez. 3, n. 28355 del 04/07/2006, Rv. 234948, Sollutrone, che ha affermato che con le disposizioni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 30 aprile 1962 n. 283 si è inteso garantire l’assoluta igienicità delle sostanze alimentari anche mediante il solo divieto di produrre e porre in commercio alimenti in cattivo stato di conservazione, così che, per integrare le ipotesi di reato dagli stessi delineate, non è necessario il perfezionarsi di un contratto di compravendita. 
 
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione il reato è stato ritenuto integrato per avere collocato confezioni di acqua minerale e di bibite all’aperto, esposte all’aria, alla luce solare ed agli agenti atmosferici. 
 
2. Orbene, deve rilevarsi che dalla sentenza emerge in punto di fatto che le confezioni di acqua minerale erano accatastate alla rinfusa all’esterno del deposito ed esposte alla luce nel sole, in periodo estivo, essendo avvenuti i fatti il 23 giugno 2014, in pieno giorno (dal verbale prodotto dalla difesa risulta che il sequestro è avvenuto alle ore 11.10), in una zona notoriamente calda come la Sicilia. 
 
Dunque, il Tribunale di Messina ha fatto buon governo dei principi di diritto ora esposti, per altro in parte riportati anche nella sentenza. 
 
In ogni caso, anche seguendo la ricostruzione del fatto operata dalla difesa, il reato è ugualmente sussistente; la difesa sostiene infatti che l’acqua sia stata portata fuori dal deposito per far posto ai prodotti da poco giunti. Il che però implica che le confezioni contenenti l’acqua sono state esposte, quindi conservate, volontariamente ai raggi solari, per altro neanche seguendo le istruzioni presenti sull’etichetta come notato dal Tribunale di Messina, e non all’interno dello stesso deposito. 
 
L’esposizione, di per sé già in violazione di una regola cautelare, è dunque durata un periodo di tempo significativo, quanto meno quello necessario alle operazioni liberazione del deposito e fino all’avvenuto sequestro, senza il rispetto delle garanzie igieniche imposte dalla natura del prodotto e per un lasso di tempo idoneo a generale il pericolo di alterazione del prodotto. 
 
3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. 
 
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si  condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. 
 
P.Q.M. 
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso il 10/05/2018. 

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