DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio ex artt. 33 e 34 del d.P.R. 380/2001 – Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire ex art. 34, comma 2, T.U. Edilizia – Impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi – Unicum strutturale con la porzione legittima – Salvaguardia della stabilità dell’immobile – Deroga di fatto alla demolizione – Applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria – Sanatoria dell’abuso edilizio – Esclusione – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Esclusione – Qualificazione giuridica e individuazione della sanzione penale applicabile – Totale difformità o variazioni essenziali – Inapplicabilità della procedura di “fiscalizzazione” – Art. 32, c.3, d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancato invito al teste ex art. 497, c.2°, cod. proc. pen. – Effetti – Nullità relativa se eccepita nei termini dell’art. 182 c.2°, cod. proc. pen.. (Massima a cura di Giuseppina Lofaro)
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Gennaio 2021
Numero: 3579
Data di udienza: 20 Novembre 2020
Presidente: MARINI
Estensore: CERRONI
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio ex artt. 33 e 34 del d.P.R. 380/2001 – Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire ex art. 34, comma 2, T.U. Edilizia – Impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi – Unicum strutturale con la porzione legittima – Salvaguardia della stabilità dell’immobile – Deroga di fatto alla demolizione – Applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria – Sanatoria dell’abuso edilizio – Esclusione – BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Esclusione – Qualificazione giuridica e individuazione della sanzione penale applicabile – Totale difformità o variazioni essenziali – Inapplicabilità della procedura di “fiscalizzazione” – Art. 32, c.3, d.P.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancato invito al teste ex art. 497, c.2°, cod. proc. pen. – Effetti – Nullità relativa se eccepita nei termini dell’art. 182 c.2°, cod. proc. pen.. (Massima a cura di Giuseppina Lofaro)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 28 gennaio 2021 (Ud. 20/11/2020), Sentenza n.3579
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio ex artt. 33 e 34 del d.P.R. 380/2001 – Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire ex art. 34, comma 2, T.U. Edilizia – Impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi – Unicum strutturale con la porzione legittima – Salvaguardia della stabilità dell’immobile – Deroga di fatto alla demolizione – Applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria – Sanatoria dell’abuso edilizio – Esclusione. (Massima a cura di Giuseppina Lofaro)
In tema di fiscalizzazione dell’abuso edilizio, in relazione agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, l’imposizione della sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 34, comma 2 del Testo Unico Edilizia, applicabile solo nei casi in cui risulti oggettivamente impossibile procedere alla demolizione delle parti difformi, rispetto al permesso di costruire, senza incidere sulla stabilità dell’immobile, deroga di fatto alla regola generale di demolizione. Tuttavia, l’applicazione della sanzione de qua, in via esclusiva, non equivale ad una “sanatoria” dell’abuso edilizio, poiché non integra una regolarizzazione dell’illecito e non autorizza il completamento delle opere in parte realizzate.
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Fiscalizzazione dell’abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Esclusione – Qualificazione giuridica e individuazione della sanzione penale applicabile – Totale difformità o variazioni essenziali – Inapplicabilità della procedura di “fiscalizzazione” – Art. 32, c.3, d.P.R. n. 380/2001.
In tema di fiscalizzazione di opere abusivamente realizzate in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali. In conclusione, la procedura di “fiscalizzazione” di cui all’art. 34, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non è mai applicabile alle opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto queste non possono essere mai ritenute «in parziale difformità».
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Mancato invito al teste ex art. 497, c.2°, cod. proc. pen. – Effetti – Nullità relativa se eccepita nei termini dell’art. 182 c.2°, cod. proc. pen.
Il mancato invito al teste a rendere la dichiarazione sacramentale di cui all’art. 497, comma secondo, cod. proc. pen., configura una nullità relativa che, ai sensi dell’art. 182, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere eccepita dalla parte che vi assiste, prima che l’esame abbia inizio.
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 27/11/2019 – TRIBUNALE DI VELLETRI) Pres. MARINI, Rel. CERRONI, Ric. Di Vincenzo
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 28/01/2021 (Ud. 20/11/2020), Sentenza n.3579SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Di Vincenzo Walter, nato a Marino;
avverso l’ordinanza del 27/11/2019 del TRIBUNALE DI VELLETRI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27 novembre 2019 il Tribunale di Velletri, quale Giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta, formulata nell’interesse di Walter Di Vincenzo, di sospendere ovvero comunque di annullare o revocare l’ordine di demolizione emesso in esecuzione della sentenza di applicazione della pena del 19 dicembre 2001, irrevocabile, emessa nei confronti di Clerice Miele da parte della sezione distaccata di Frascati dell’ufficio giudiziario veliterno.
1.1. In specie, all’imputata erano state contestate le contravvenzioni di cui all’art. 20, lett. b) della legge 47 del 1985 stante la realizzazione, senza la prescritta concessione, di un manufatto su due livelli di m. 10×16 in blocchetti di tufo; di cui agli artt. 2 e 13 nonché 4 e 14 della legge 1086 del 1971, per avere eseguito opere in cemento armato senza presentazione di progetto da parte di tecnico abilitato e senza preventiva denuncia al competente Ufficio del Genio civile; di cui agli artt. 17, 18 e 20 della legge 64 del 1974; di cui all’art. 163 t.u. 490 del 1999, attesa la realizzazione dell’opera in zona sottoposta a vincolo paesistico previsto dalla legge 1497 del 1939; nonché del delitto di cui all’art. 349, ultimo comma, cod. pen..
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo è stata eccepita nullità ovvero inutilizzabilità della testimonianza del geometra Dello Iacono, tecnico del Comune di Montecompatri, per mancata lettura della formula di impegno. In ogni caso non risultava emessa dall’Amministrazione competente alcuna decisione di inammissibilità dell’istanza formulata, ancora un anno prima, a norma dell’art. 34 del d.P.R. 380 del 2001.
2.2. Col secondo motivo, quanto alla violazione dell’art. 34 cit., il ricorrente ha osservato che il manufatto non poteva essere demolito in quanto rappresentava corpo unico con la parte legittima, trattandosi di sopraelevazione di manufatto in regola.
Al riguardo, il ricorrente ha altresì segnalato la pendenza di duplice istanza amministrativa, di cd. fiscalizzazione dell’illecito e di condono edilizio (quest’ultima proposta ancora nel 2004), senza che l’Amministrazione comunale avesse provveduto a rispondere. Oltre a ciò, era stato depositato ricorso al Tribunale amministrativo competente nei confronti della nota tecnica depositata dal geometra Dello Iacono nel procedimento di esecuzione, laddove la stessa istanza di fiscalizzazione avrebbe dovuto essere oggetto di apposito procedimento amministrativo, circostanza che non era stata compiutamente valutata dal provvedimento impugnato.
2.3. Col terzo motivo è stata ricordata l’ordinanza del Tribunale amministrativo per il Lazio, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale Lazio n. 12 del 2004, stante l’irragionevole sacrificio così arrecato dalla norma agli interessi degli istanti.
Oltre a ciò, il ricorrente – lamentando la mancata interlocuzione sul punto da parte del Giudice – ha dedotto la propria impossibilità a lavorare, sì che l’unica fonte di reddito era tratta dalla locazione dell’immobile da demolire, per il quale erano pagate le imposte ed erano stati corrisposti oneri concessori per oltre 30 mila euro.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
3.1. Il procedimento, atteso il grande numero di affari penali assegnati all’udienza del 20 novembre 2020, è stato deciso in prosecuzione nella camera di consiglio del 23 novembre 2020, celebrata secondo le modalità della trattazione da remoto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Per quanto concerne il motivo processuale oggetto del primo profilo di censura, è nozione del tutto risalente che in ogni caso il mancato invito al teste a rendere la dichiarazione sacramentale di cui all’art. 497, comma secondo, cod. proc. pen., configura una nullità relativa che, ai sensi dell’art. 182, comma secondo, cod. proc. pen., deve essere eccepita dalla parte che vi assiste, prima che l’esame abbia inizio (Sez. 5, n. 44860 del 07/09/2015, Piccinini, Rv. 265686; Sez. 6, n. 45696 del 27/11/2008, Verderame, Rv. 241661; Sez. 6, n. 8656 del 11/07/1996, Dato, Rv. 205961).
4.1.1. In specie, l’ordinanza impugnata nulla dice circa l’eventuale formulazione di eccezione siffatta avanti al Tribunale, né il ricorso d’altra parte ha inteso dolersi dell’eventuale mancato esame, da parte del Giudice dell’esecuzione, di una contestazione del genere.
D’altronde il verbale dell’udienza relativa all’incidente di esecuzione e all’esame del tecnico comunale, prodotto dallo stesso ricorrente, non dà conto di alcunché in proposito.
La doglianza è pertanto manifestamente infondata, trattandosi di questione comunque tardivamente proposta.
4.2. In ordine al secondo motivo di censura, il ricorrente appare dolersi delle mancate risposte dell’Autorità amministrativa alle proprie istanze di cd. fiscalizzazione dell’illecito e di condono.
4.2.1. Al riguardo, è nozione comune che la sanzione dell’ordine di demolizione, prevista dall’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sfugge alla regola del giudicato penale ed è sempre riesaminabile in sede esecutiva al fine di una eventuale revoca, che è consentita solo in presenza di determinazioni della P.A. o del giudice amministrativo incompatibili con l’abbattimento del manufatto, ovvero quando sia ragionevolmente prevedibile, in base ad elementi concreti e specifici, che tali provvedimenti saranno adottati in breve tempo, non potendo la tutela del territorio essere rinviata indefinitamente (Sez. 3, n. 25212 del 18/01/2012, Maffia, Rv. 253050).
Ancor più risalente è così il principio secondo cui l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso con la sentenza passata in giudicato può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione (Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007, Parisi, Rv. 238145). Né siffatto ordine può essere revocato o sospeso sulla base della mera pendenza di un ricorso in sede giurisdizionale avverso il rigetto della domanda di condono edilizio (Sez. 3, n. 35201 del 03/05/2016, Citarella e altro, Rv. 268032).
4.2.2. Alla stregua dei rilievi che precedono, alcun provvedimento favorevole appare ragionevolmente ipotizzabile in sede amministrativa, ed in tempi contenuti, in favore del ricorrente, tenuto conto che l’istanza di condono pende ormai da sedici anni e che l’Amministrazione ha inviato un preavviso di diniego (cfr. pag. 5 del ricorso), mentre parimenti non è stata fornita risposta alcuna alla richiesta di cd. fiscalizzazione, in ordine alla quale l’Area urbanistica del Comune di Montecompatri – come da documentazione dimessa dallo stesso ricorrente – ha già evidenziato la propria contrarietà, osservando, da un lato, che gli ordini di demolizione a suo tempo emessi dall’Amministrazione comunale non erano stati fatti oggetto di impugnativa giurisdizionale, ei dall’altro, che le opere realizzate abusivamente non rappresentavano un unicum strutturale con la porzione legittima, bensì erano state eseguite in assenza di permesso di costruire, in totale difformità e con variazioni essenziali (altresì osservando, peraltro, che la demolizione della struttura edilizia abusiva poteva avvenire senza intaccare la stabilità strutturale della restante parte del fabbricato).
4.2.3. Ciò posto, per completezza e coerenza sistematica rispetto alla stessa contestazione giudiziale (v. supra), va comunque ricordato che l’art. 34, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, recita: «Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale».
Questa disposizione è inserita in un articolo rubricato «Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire», ed in un contesto di disciplina in cui è reiteratamente indicato come presupposto di tale procedura, denominata di “fiscalizzazione” dell’illecito edilizio, l’essere state le opere realizzate «in parziale difformità» (cfr. commi 1, 2-bis e 2-ter). Di conseguenza, costituisce principio consolidato quello secondo cui la disciplina prevista dall’art. 34, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, e non equivale ad una “sanatoria” dell’abuso edilizio, in quanto non integra una regolarizzazione dell’illecito e non autorizza il completamento delle opere realizzate (così, Sez. 3, n. 28747 del 11/05/2018, Pellegrino, Rv. 273291; Sez. 3, n. 19538 del 22/04/2010, Alborino, Rv. 247187).
Con riferimento ad opere realizzate – come in specie – in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, l’art. 32, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che le stesse sono da ritenere sempre o «in totale difformità» o «variazioni essenziali».
In questo senso è chiaramente orientata anche la giurisprudenza, secondo la quale, infatti, in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali (cfr., Sez. 3, n. 37169 del 06/05/2014, Longo, Rv. 260181; Sez. 3, n. 1486 del 03/12/2013, dep. 2014, Aragosa, Rv. 258297).
Ne discende, in conclusione, che la procedura di “fiscalizzazione” di cui all’art. 34, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non è mai applicabile alle opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, siccome queste non possono essere mai ritenute «in parziale difformità» (così, complessivamente, Sez. 3, n. 1443 del 18/11/2019, dep. 2020, Bellocco, Rv. 277724).
4.2.4. In esito pertanto anche a siffatta integrazione motivazionale, il provvedimento impugnato non soffre censura sul punto.
4.3. Per quanto poi riguarda la questione di legittimità costituzionale siccome avanzata dal Giudice amministrativo laziale nei riguardi dell’art. 3, comma 1 lett. b) della legge Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12, nel presente procedimento il vincolo paesistico preesisteva all’abuso edilizio oggetto della sentenza del 19 dicembre 2001, ormai irrevocabile, pronunciata a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. dal Tribunale di Velletri.
L’incidente di legittimità colà sollevato, invece, ha ad oggetto – a tacer d’altro – l’influenza di vincoli sopravvenuti, quanto alla possibilità di condono degli immobili edificati in precedenza.
Trattasi pertanto di fattispecie del tutto differente, e non rilevante in questa sede.
4.3.1. In relazione infine i alla pretesa carenza di proporzionalità tra l’ordine di demolizione, il ripristino dell’ordine edilizio violato e la tutela del diritto all’abitazione, il ricorrente, lamentandosi della mancata interlocuzione in merito da parte del Giudice, che non avrebbe palesato necessità di integrazione della domanda, si è limitato a ribadire le proprie patologie ostative al lavoro, la presenza di figlia disabile e il godimento, quale unico reddito, del canone di locazione dell’immobile oggetto di demolizione.
In proposito, peraltro, lo stesso ricorrente – riproponendo la propria condizione personale già posta all’esame del Tribunale – ha omesso di prendere posizione sulle analitiche considerazioni e sui rilievi svolti al riguardo dall’ordinanza impugnata, in tal modo non formulando specifica censura nei confronti del provvedimento.
4.4. In definitiva, pertanto, l’impugnazione, in sé manifestamente infondata, in parte neppure si confronta con la motivazione addotta dal provvedimento censurato.
Atteso ciò, non può che essere complessivamente dichiarata l’inammissibilità del ricorso (cfr. ades., Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611).
5. Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23/11/2020