DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo – Principio di proporzionalità e diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 C.E.D.U. – Insussistenza di un diritto “assoluto” a occupare un immobile (abusivo) – Lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e/o ripristino dell’equilibrio urbanistico-edilizio violato – Giurisprudenza CEDU.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 28 Maggio 2024
Numero: 20857
Data di udienza: 9 Maggio 2024
Presidente: RAMACCI
Estensore: GALANTI
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo – Principio di proporzionalità e diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 C.E.D.U. – Insussistenza di un diritto “assoluto” a occupare un immobile (abusivo) – Lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e/o ripristino dell’equilibrio urbanistico-edilizio violato – Giurisprudenza CEDU.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 28 maggio 2024 (Ud. 09/05/2024), Sentenza n. 20857
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Reati edilizi – Esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo – Principio di proporzionalità e diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 C.E.D.U. – Insussistenza di un diritto “assoluto” a occupare un immobile (abusivo) – Lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e/o ripristino dell’equilibrio urbanistico-edilizio violato – Giurisprudenza CEDU.
In tema di reati edilizi, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato. Pertanto, il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità – enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, – valutando la disponibilità, da parte dell’interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l’eventuale consapevolezza della natura abusiva dell’attività edificatoria, consapevolezza nel caso di specie è stata ritenuta sussistente dal giudice dell’esecuzione all’esito di un percorso argomentativo non manifestamente illogico e dunque non sindacabile in sede di legittimità.
(dich. inamm. il ricorso avverso ordinanza del 30/06/202 – TRIBUNALE DI NAPOLI), Pres. RAMACCI, Rel. GALANTI, Ric. Capasso
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 28/05/2024 (Ud. 09/05/2024), Sentenza n. 20857SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso presentato da C. L, nata a Napoli il –/–/—-;
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE DI NAPOLI del 30/06/2023.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Luigi Orsi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30/06/2023, il Tribunale di Napoli, giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da L. C. per la declaratoria di inesistenza giuridica o di nullità o inefficacia della ingiunzione a demolire n. 830/2008, con conseguente inammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa dal pubblico ministero.
2. Avverso il provvedimento ricorre la Capasso, lamentando, con un unico motivo, la violazione del principio di proporzionalità nella confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il profilo di censura invocato è infatti manifestamente infondato.
Come chiarito più volte da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368 e Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Rv. 267024), in tema di reati edilizi, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio urbanisticoedilizio violato. Più di recente, è stato altresì affermato (cfr. Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 282950 e Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270) che il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilità, da parte dell’interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l’eventuale consapevolezza della natura abusiva dell’attività edificatoria, consapevolezza nel caso di specie è stata ritenuta sussistente dal giudice dell’esecuzione all’esito di un percorso argomentativo non manifestamente illogico e dunque non sindacabile in sede di legittimità.
Ed infatti, l’ordinanza precisa in proposito che «il soggetto istante ha dimostrato di essere altamente e pienamente consapevole dell’illiceità del proprio agire ben prima della condanna penale. Capasso Lucia ha commesso abusi edilizi e violazioni di sigilli realizzando due appartamenti (rispettivamente di circa 120 mq e 100 mq) pressoché completi. Né può sostenersi seriamente che ella non abbia avuto tempo sufficiente, essendo trascorsi 13 anni dall’emissione dell’ordine di demolizione, per adeguarsi alle normative ed agli ordini dell’autorità, reinserendo il proprio agire in un percorso di legalità e promuovendo azioni finalizzate a trovare una soluzione alternativa è lecita alle proprie esigenze abitative».
Il provvedimento pertanto fa buon governo dei principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio ribadisce.
4. Il ricorso non può dunque che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/05/2024.