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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico Numero: 36626 | Data di udienza: 10 Luglio 2019

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Campionamenti e analisi nel corso di attività ispettive o di vigilanza – Procedura – Art. 137, d.lgs. 152/2006 – Prelievo – Differenza tra attività amministrativa e attività di polizia giudiziaria – Diritti della difesa – Artt. 220, 223 disp. att. cod. proc. pen..


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 29 Agosto 2019
Numero: 36626
Data di udienza: 10 Luglio 2019
Presidente: LAPALORCIA
Estensore: RAMACCI


Premassima

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Campionamenti e analisi nel corso di attività ispettive o di vigilanza – Procedura – Art. 137, d.lgs. 152/2006 – Prelievo – Differenza tra attività amministrativa e attività di polizia giudiziaria – Diritti della difesa – Artt. 220, 223 disp. att. cod. proc. pen..



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 29/08/2019 (Ud. 10/07/2019), Sentenza n.36626

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Campionamenti e analisi nel corso di attività ispettive o di vigilanza – Procedura – Art. 137, d.lgs. n.152/2006.

In tema di campionamenti e analisi, l’avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo di esecuzione delle analisi su campioni prelevati nel corso di attività ispettive o di vigilanza non prescrive la notifica e non prevede particolari modalità, essendo utilizzabile qualunque strumento idoneo a comunicare le informazioni necessarie, anche oralmente, ciò in quanto l’unica garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., che impone il preavviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni. Né alcun termine minimo deve intercorrere tra il prelievo e le successive analisi, essendo richiesto soltanto che detto termine sia comunque sufficiente a consentire all’interessato la possibilità di ottenere l’assistenza eventuale di un consulente tecnico.

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Prelievo di campioni e analisi – Differenza tra attività amministrativa e attività di polizia giudiziaria – Diritti della difesa – Artt. 220, 223 disp. att. cod. proc. pen..

In tema di inquinamento idrico, con specifico riferimento al prelievo di campioni da utilizzare in successive analisi, occorre distinguere tra il prelevamento inerente ad attività amministrativa, disciplinato dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen. e quello relativo ad attività di polizia giudiziaria, anche se precedente all’acquisizione della “notitia criminis”, per il quale è applicabile l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., poiché operano, in tale seconda ipotesi, in via genetica le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, determinandosi una nullità d’ordine generale di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nel caso della loro inosservanza, mentre, per la prima, i diritti della difesa devono essere assicurati solo laddove emergano indizi di reato, nel qual caso l’attività amministrativa non può più definirsi “extra-processum”. Presupposto dell’operatività dell’art. 220 non è l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’art. 192 cod. proc. pen., quanto, piuttosto, la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata.

(conferma sentenza del 16/11/2018 della CORTE APPELLO di MILANO) Pres. LAPALORCIA, Rel. RAMACCI , Ric. Piccirillo


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 29/08/2019 (Ud. 10/07/2019), Sentenza n.36626

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da PICCIRILLO MARIO nato a MOTTA VISCONTI;

avverso la sentenza del 16/11/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA che ha concluso chiedendo per il rigetto;

udito il difensore V. T.;

Il difensore presente chiede l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 16 novembre 2018 ha confermato la decisione con la quale, in data 24 aprile 2018, il Tribunale di quella città aveva affermato la responsabilità penale di Mario PICCIRILLO in ordine al reato di cui all’art. 137, comma 5, primo periodo, d.lgs. 152/2006, per l’effettuazione di uno scarico, con recapito in pubblica fognatura, di acque reflue industriali provenienti dall’attività di fotocomposizione e fotolito, superante il valore limite fissato nella Tabella 3 dell’Allegato 5 alla Parte Terza del d.lgs. 152/2006 in relazione a sostanze comprese tra quelle indicate nella Tabella 5 dell’Allegato 5 della medesima Parte Terza e, segnatamente, solventi clorurati, rame, piombo e zinco (fatto accertato in Rozzano, il 9 febbraio 2015).

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., rilevando come, nella fattispecie, all’atto del controllo, fossero presenti indizi di reato – rappresentati dal colore rossastro dell’acqua e dalla presenza di un tubo nei pressi del pozzetto – tali da rendere necessaria l’applicazione delle garanzie difensive di cui all’art. 220 delle medesime disposizioni di attuazione.

Aggiunge che l’osservanza della disposizione che si assume violata gli avrebbe consentito, tramite il difensore o un consulente, di verificare la correttezza formale del prelievo effettuato e della conservazione dei campioni fino alla loro analisi.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando come l’imputato sia stato privato anche della possibilità di partecipare attivamente alla fase delle analisi di laboratorio mediante un consulente tecnico appositamente nominato, stante l’esiguo lasso di tempo intercorso tra l’avviso delle analisi e l’inizio delle operazioni, dal momento che tale avviso era stato dato alle ore 11,20 ed il campionamento era stato programmato nella mattinata del giorno successivo, alle ore 8,30. Insiste, pertanto, per raccoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Occorre ribadire, con riferimento al primo motivo di ricorso, quanto affermato in una recente decisione (Sez. 3, n. 16044 del 28/2/2019, Rossi, Rv. 275397), rammentando come l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. stabilisce che «quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice» ed osservando come, dalla semplice lettura, emerga che la norma presuppone, per la sua applicazione, un’attività di vigilanza o ispettiva in corso di esecuzione specificamente prevista da disposizioni normative e la sussistenza di indizi di reato emersi nel corso dell’attività medesima. Solo in tal caso è richiesta l’osservanza delle disposizioni del codice di rito, ma soltanto per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quanto altro necessario per l’applicazione della legge penale.

Si ricordava, in quell’occasione, che la disposizione – la quale va letta in relazione anche al successivo art. 223, relativo alle analisi di campioni da effettuare sempre nel corso di attività ispettive o di vigilanza ed alle garanzie dovute all’interessato – ha lo scopo evidente di assicurare l’osservanza delle disposizioni generali del codice di rito dal momento in cui, in occasione di controlli di natura amministrativa, emergano indizi di reato. L’art. 223 citato stabilisce che “qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate. L’interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’articolo 230 del codice”.

Si aggiungeva, conseguentemente, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, presupposto dell’operatività dell’art. 220 non è l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’art. 192 cod. proc. pen., quanto, piuttosto, la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005 (dep. 2006), Cacace, Rv. 233330; Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291. Conf. Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014 (dep. 2015), Calabrese, Rv. 262010).

Con specifico riferimento al prelievo di campioni da utilizzare in successive analisi, si è chiarito che occorre distinguere tra il prelevamento inerente ad attività amministrativa, disciplinato dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen. e quello relativo ad attività di polizia giudiziaria, anche se precedente all’acquisizione della “notitia criminis“, per il quale è applicabile l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., poiché operano, in tale seconda ipotesi, in via genetica le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, determinandosi una nullità d’ordine generale di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nel caso della loro inosservanza, mentre, per la prima, i diritti della difesa devono essere assicurati solo laddove emergano indizi di reato, nel qual caso l’attività amministrativa non può più definirsi “extra-processum“(Sez. 3, n. 5235 del 24/5/2016 (dep. 2017), Lo Verde, Rv. 269213. Conf. Sez. 2, n. 52793 del 24/11/2016, Ballaera, Rv. 268766; Sez. 3, n. 10484 del 12/11/2014 (dep. 2015), Grue, Rv. 262698; Sez. 3, n. 15372 del 10/2/2010, Fiorillo, Rv. 246597; Sez. 3, n. 23369 del 14/5/2002, PM in proc. Scarpa, Rv. 221627).

Si osservava, pertanto, che se si tiene conto del dato letterale dell’art. 220 citato, emerge chiaramente come lo stesso si riferisca ad indizi di reato che emergono nel corso delle attività ispettive o di vigilanza, il che porta ad affermare che la cognizione circa la sussistenza di indizi di reità, ancorché non riferibili ad un soggetto specifico, deve risultare oggettivamente evidente a chi opera mentre effettua tale attività e non deve essere soltanto ipotizzata sulla base di mere congetture, né può ritenersi possibile, dopo che un reato è stato accertato, sostenere che chi effettuava il controllo avrebbe dovuto prefigurarsi quale ne sarebbe stato l’esito.

3. Tale affermazione deve essere ribadita anche con riferimento alla fattispecie in esame, riconoscendo la piena correttezza e logicità dell’affermazione della Corte territoriale, secondo cui la presenza di un tubo ed il colore rossastro del liquido presente nel pozzetto di prelievo non potevano ritenersi elementi univocamente indicativi della possibile sussistenza del reato, perché riferibili anche ad altre evenienze o imputabili a diversi fattori, come altrettanto correttamente aveva ritenuto il Tribunale.

Mancava, dunque, nella fattispecie la obiettiva sussistenza dei presupposti che rendono operante l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. Il motivo di ricorso è pertanto infondato ed a conclusioni analoghe deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo.

4. Invero, la giurisprudenza di questa Corte ha pure precisato che l’avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo di esecuzione delle analisi su campioni prelevati nel corso di attività ispettive o di vigilanza non prescrive la notifica e non prevede particolari modalità, essendo utilizzabile qualunque strumento idoneo a comunicare le informazioni necessarie (Sez. 3, n. 9790 del 19/12/2014 (dep. 2015), Arsena, Rv. 262750), anche oralmente (Sez. 3, n. 3331 8 del 28/11/2012 (dep. 2013), Favaccio, Rv. 257131), ciò in quanto l’unica garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., che impone il preavviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni (Sez. 3, n. 15170 del 29/1/2003, Piropan M, Rv. 224456). Esso, inoltre, non deve essere necessariamente consegnato al titolare dello scarico, essendo sufficiente che venga dato a persona operante nell’insediamento e presente sul posto. (Sez. 3, n. 17419 del 3/3/2016, Bezzi, Rv. 266835).

Occorre precisare che le richiamate disposizioni non prevedono alcun termine minimo tra l’avviso e l’effettuazione delle analisi. Si tratta, peraltro, di questione che si era posta sotto la vigenza delle previgenti disposizioni normative in tema di inquinamento idrico ed era stata esaminata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, allorché si era posta la questione della previsione, per l’avviso all’interessato della data e dell’ora in cui avranno inizio le operazioni di analisi delle acque da parte del laboratorio di igiene e profilassi, di un termine non inferiore a ventiquattro ore, come disposto dall’art. 304-ter del previgente codice di rito.

Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 8752 del 18/6/1991, Tallia, Rv. 187929) hanno escluso una tale possibilità, precisando, tuttavia, come ciò non significhi comunque che, tra il momento dell’avviso e quello dell’espletamento dell’analisi possa intercorrere un termine talmente ridotto da renderlo fittizio, apparente o, comunque, non produttivo perché inidoneo all’apprestamento di quel minimo di difesa previsto dalla legge nella lettura corretta della norma allora vigente effettuata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 248 del 1983 ed altre successive, perché ciò vanificherebbe in concreto la stessa ragione dell’avviso.

5. Si tratta, ad avviso del Collegio, di osservazioni che meritano di essere valorizzate anche con riferimento alla vigente disciplina, affermandosi che a norma del comma 1 dell’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., l’avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo ove le analisi saranno effettuate può essere dato anche oralmente e per tale avviso non è prescritta alcuna forma specifica, né alcun termine minimo deve intercorrere tra il prelievo e le successive analisi, essendo richiesto soltanto che detto termine sia comunque sufficiente a consentire all’interessato la possibilità di ottenere l’assistenza eventuale di un consulente tecnico.

E’ peraltro di tutta evidenza che l’eventuale inadeguatezza del termine alle suindicate finalità deve essere obiettiva e dimostrata in concreto.

Nel caso di specie il ricorrente ha limitato la propria censura all’apodittica affermazione secondo cui la fissazione dell’orario indicatogli per l’inizio delle operazioni di analisi da coloro che avevano effettuato il prelievo dei campioni non gli avrebbe consentito di munirsi di un tecnico qualificato che lo rappresentasse. Si versa pertanto in ipotesi di argomentazione del tutto generica e, come tale, non ammissibile.

6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in data 10/7/2019

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