Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto processuale penale,
Inquinamento atmosferico,
Pubblica amministrazione,
VIA VAS AIA
Numero: 57958 |
Data di udienza: 28 Settembre 2017
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Aria e molestie olfattive – Emissioni odorigene nauseabonde ed emissioni in atmosfera di composti organici volatili – Getto pericoloso di cose e requisiti del reato – Criterio della "stretta tollerabilità" – Sequestro preventivo – Restituzione dell’intero impianto produttivo (Fonderie) – Abuso d’ufficio – Falsità ideologica e falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – VIA VAS AIA – Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) – Assenza – Articoli 323, 479-476, codice penale – Artt. 29-ter, 137, 256 e 279 d. l.vo n.152/2006 – Sito natura 2000 ZPS – Art. 181 d.lgs. n.42/2004 – Emissioni da un’attività autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali – Presunzione di legittimità del comportamento ed evento del reato di cui all’art. 674 c.p. – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Abuso di ufficio – Prova del dolo intenzionale – Indici fattuali – Verifiche obbligatorie del giudice – Fattispecie: Sequestro preventivo di un impianto industriale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari reali – violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione – Preclusione processuale in materia di procedimenti cautelari – Operatività – Obbligo di una specifica motivazione – Appello cautelare – Natura devolutiva del giudizio – Poteri e limiti del giudice cautelare – Vigenza del fumus e dei pericula – Ruolo di garanzia – Giurisprudenza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 29 Dicembre 2017
Numero: 57958
Data di udienza: 28 Settembre 2017
Presidente: FIALE
Estensore: DI NICOLA
Premassima
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Aria e molestie olfattive – Emissioni odorigene nauseabonde ed emissioni in atmosfera di composti organici volatili – Getto pericoloso di cose e requisiti del reato – Criterio della "stretta tollerabilità" – Sequestro preventivo – Restituzione dell’intero impianto produttivo (Fonderie) – Abuso d’ufficio – Falsità ideologica e falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – VIA VAS AIA – Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) – Assenza – Articoli 323, 479-476, codice penale – Artt. 29-ter, 137, 256 e 279 d. l.vo n.152/2006 – Sito natura 2000 ZPS – Art. 181 d.lgs. n.42/2004 – Emissioni da un’attività autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali – Presunzione di legittimità del comportamento ed evento del reato di cui all’art. 674 c.p. – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Abuso di ufficio – Prova del dolo intenzionale – Indici fattuali – Verifiche obbligatorie del giudice – Fattispecie: Sequestro preventivo di un impianto industriale – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari reali – violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione – Preclusione processuale in materia di procedimenti cautelari – Operatività – Obbligo di una specifica motivazione – Appello cautelare – Natura devolutiva del giudizio – Poteri e limiti del giudice cautelare – Vigenza del fumus e dei pericula – Ruolo di garanzia – Giurisprudenza.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 29/12/2017 (Ud. 28/09/2017) Sentenza n.57958
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Aria e molestie olfattive – Emissioni odorigene nauseabonde ed emissioni in atmosfera di composti organici volatili – Getto pericoloso di cose e requisiti del reato – Criterio della "stretta tollerabilità" – Sequestro preventivo – Restituzione dell’intero impianto produttivo Fonderie – Abuso d’ufficio – Falsità ideologica e falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici – VIA VAS AIA – Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) – Assenza – Articoli 323, 479-476, codice penale – Artt. 29-ter, 137, 256 e 279 decreto legislativo n. 152 del 2006 – Sito natura 2000 ZPS – Art. 181 d.lgs. n.42/2004.
Il reato di cui all’articolo 674 del codice penale è configurabile anche in presenza di "molestie olfattive" promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti), e ciò perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche – e, quindi, valori soglia – in materia di odori (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi; Sez. 3, n. 37037 del 29/5/2012, Guzzo); con conseguente individuazione del criterio della "stretta tollerabilità" quale parametro di legalità dell’emissione. Né vale, in senso contrario, l’assunto, anche contenuto nell’ordinanza impugnata, per il quale, in alcune occasioni, la configurabilità dell’articolo 674 del codice penale è esclusa in presenza di immissioni provenienti da attività autorizzata e contenute nei limiti di legge, o dell’autorizzazione, perché tali pronunce si riferiscono a casi nei quali vi è piena corrispondenza "qualitativa" e "tipologica" tra le immissioni riscontrate e quelle oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate dalla legge ossia tra quelle accertate e quelle che l’agente si era impegnato a contenere entro determinati limiti; situazione nella quale, come in precedenza precisato, il rispetto di questi ultimi implica una presunzione di legittimità del comportamento, concepita dall’ordinamento come necessaria per contemperare le esigenze di tutela pubblica con quelle della produzione economica (Sez. 3, n. 37495 del 13/7/2011, Dradi; Sez. 3, n. 40849 del 21/10/2010, Rocchi; Sez. 3, n. 15707 del 9/1/2009, Abbaneo).
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Emissioni da un’attività autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali – Presunzione di legittimità del comportamento ed evento del reato di cui all’art. 674 c.p..
In linea generale, il reato di cui all’articolo 674 del codice penale, capo d) della rubrica, non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da un’attività autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali perché l’osservanza delle leggi di settore e la presenza di specifici provvedimenti amministrativi che disciplinano l’attività produttiva, regolamentando le emissioni, implicano una presunzione di legittimità del comportamento. Tuttavia, l’evento del reato di cui all’art. 674 c.p. consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità, pertanto, qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Abuso di ufficio – Prova del dolo intenzionale – Indici fattuali – Verifiche obbligatorie del giudice – Fattispecie: Sequestro preventivo di un impianto industriale.
In tema di abuso di ufficio, la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, può essere desunta anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assumono rilievo l’evidenza, la reiterazione e la gravità delle violazioni, la competenza dell’agente, i rapporti tra l’agente e il soggetto favorito, l’intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge cosicché, in tema di sequestro preventivo, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti del reato proprio contestato anche a soggetti che non rivestono la qualifica tipica, è necessario che il giudice motivi anche sull’elemento psicologico dell’autore del reato proprio, atteso che la mancanza del dolo intenzionale impedisce la stessa astratta configurabilità del predetto reato. Pertanto, il giudice penale, anche nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo (autorizzazione, concessione, permesso), non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo, ma deve esclusivamente verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela", interesse che nell’abuso d’ufficio è costituito dal buon andamento e dall’imparzialità della pubblica amministrazione, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo (Sez. U., n. 11635 del 12/11/1993, Borgia). Fattispecie: riferita ad un impianto industriale la cui dimensione "cartolare" risultava del tutto diversa da quella reale, in quanto l’autorizzazione integrata ambientale avrebbe assentito un impianto che solo dal punto di vista "documentale" era più piccolo e diverso di quello reale, giacché nella cartografia era stata omessa la presenza di uno dei manufatti destinati alle attività industriali, con la conseguenza che non sarebbe stato evidenziato un immobile che rappresentava circa il 50% dell’intero impianto, determinando ciò sia l’illiceità connessa al reato di falso e sia l’illiceità della procedura, con conseguente integrazione della violazione di legge fondante, in uno ad altri elementi, il reato di abuso di ufficio, perché si sarebbe dovuto tenere conto, in primo luogo, che la presenza di tale consistente manufatto, coincidente con circa la metà degli impianti (e, quindi, la reale consistenza), non era stata valutata ai fini dell’impatto ambientale e della complessiva autorizzabilità dell’intera attività industriale; che, in secondo luogo, l’impianto industriale era collocato all’interno del centro urbano della città di Salerno, al confine con l’area del parco urbano Valle dell’Imo, di interesse regionale, ai sensi della legge n. 394 del 1991, cosicché l’insediamento industriale, pur risalente nel tempo, era da ritenersi del tutto incompatibile con l’area nella quale era allocato, se ed in quanto l’attività industriale svolta fosse di tipo inquinante.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari reali – violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione.
In tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, perché, nei "gravami" sollevati nei confronti delle ordinanze emesse dal tribunale della libertà a seguito di riesame o appello sui provvedimenti che decidono i ricorsi in materia di cautele reali, l’articolo 325, comma 1, del codice di procedura penale espressamente ammette (a differenza dell’articolo 311, comma 1, del codice di procedura penale in materia di impugnazioni avverso le ordinanze cautelari personali) la ricorribilità per cassazione esclusivamente per "violazione di legge", dovendo intendersi con tale locuzione gli "errores in iudicando" o quelli "in procedendo", con esclusione, quindi, dei vizi della motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale), fatta eccezione per il vizio di mancanza assoluta della motivazione e cioè di quel vizio così radicale da comportare la nullità del provvedimento impugnato, vizio che ricorre quando l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento gravato sia del tutto mancante o comunque apparente perché assolutamente privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov), così da rientrare nel vizio di violazione di legge di cui all’articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale sotto il profilo dell’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 125, comma 3, del codice di procedura penale) e siffatta situazione ricorre anche quando il tribunale della libertà abbia omesso di esaminare punti decisivi per l’accertamento dei fatti, sui quali è stata fondata l’emissione, la revoca o la modifica di un provvedimento cautelare, traducendosi anche tale omissione in una violazione di legge per mancanza di motivazione allorquando il provvedimento impugnato non contenga l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la decisione su un punto decisivo del giudizio cautelare ed il cui necessario esame sia stato erroneamente pretermesso dal giudice dell’impugnazione (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronia).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Preclusione processuale in materia di procedimenti cautelari – Operatività – Obbligo di una specifica motivazione.
La preclusione processuale, in materia di procedimenti cautelari, opera su due piani: il primo, più immediato, consiste nell’impedire in radice la mera rivalutazione degli stessi elementi probatori già compiutamente valutati in senso diverso; il secondo, rispondente ad un’esigenza sistematica intrinsecamente connessa alla struttura ed al senso stesso del concetto del cosiddetto «giudicato cautelare», comporta che, in presenza di uno o più asseriti elementi di «novità», sul giudice incombe l’obbligo di una specifica motivazione sull’idoneità intrinseca del nuovo elemento ad essere apprezzato sul piano cautelare e, quindi, sulle ragioni per cui quell’elemento nuovo sia o meno idoneo a consentire la complessiva rivalutazione del materiale probatorio anche già valutato (Sez. 6, n. 18199 del 27/04/2012, Gerbino) ma con la sottolineatura, quanto al primo aspetto, che il richiamato «effetto preclusivo viene ad essere determinato solo dall’esistenza di un provvedimento decisorio non più impugnabile», in riferimento al quale siano stati esauriti i previsti mezzi di impugnazione, «e non anche nell’ipotesi della mancata attivazione degli strumenti processuali di controllo» (Sez. U., n. 29952 del 24/05/2004, Romagnoli).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Appello cautelare – Natura devolutiva del giudizio – Poteri e limiti del giudice cautelare.
In tema di appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal "decisum" del provvedimento gravato, nel cui ambito rientrano tutte le questioni che, in quanto non precluse, siano state esplicitamente o implicitamente risolte dal giudice cautelare con il provvedimento pronunciato sull’istanza di revoca, sicché al giudice "ad quem" è attribuito il potere di estendere, se ritualmente investito con i motivi di impugnazione, la sua cognizione a dette questioni.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Misure cautelari reali – Sequestro – Vigenza del fumus e dei pericula – Ruolo di garanzia – Giurisprudenza.
In materia di cautele reali, ai fini della sussistenza e perdurante vigenza tanto del fumus quanto dei pericula, i giudici cautelari devono tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti (Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli), senza tuttavia la necessità di instaurare un "processo nel processo" ma svolgendo l’indispensabile ruolo di garanzia in quale si risolve nel tenere conto, da un lato, della prospettazione accusatoria al fine di verificare se gli elementi rappresentati dal pubblico ministero consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica e tenendo conto, dall’altro, delle contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta in maniera da esaminare l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro o consentono di mantenerlo in vita (Sez. U., n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi).
(annulla con rinvio ordinanza del 12/12/2016, TRIBUNALE DELLA LIBERTÀ DI SALERNO) Pres. FIALE, Rel. DI NICOLA, Ric. P.R. c. Pisano ed altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 29/12/2017 (Ud. 28/09/2017) Sentenza n.57958
SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 29/12/2017 (Ud. 28/09/2017) Sentenza n.57958
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Salerno nei confronti di:
Pisano Mario, nato a Baronissi il 08-04-1930;
Pisano Guido, nato a Baronissi il 28-01-1931;
Pisano Renato, nato a Salerno il 11-09-1939;
Pisano Ciro, nato a Salerno il 24-01-1956:
Pisano Ugo nato a Salerno in data 02-05-1940;
avverso la ordinanza del 12-12-2016 del tribunale della libertà di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
lette le conclusioni del Procuratore Generale che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario di Salerno ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello cautelare proposto dagli interessati, ha disposto la restituzione dell’intero impianto produttivo della società Fonderie Pisano & C. S.p.A., che era stato assoggettato a sequestro preventivo con decreto emesso in data 5 luglio 2016 dal giudice per le indagini preliminari presso tribunale di Salerno.
1.1. Il decreto di sequestro preventivo fu disposto in relazione alle seguenti notizie di reato iscritte nei confronti degli indagati, così come appresso indicati:
1) nei confronti di Antonio Setaro e Luca Fossati, per il reato di cui agli articoli 81-110 e 323 del codice penale nonché degli articoli 479-476, comma 2, stesso codice perché, agendo Luca Fossati quale tecnico di parte redattore della relazione allegata all’istanza di rilascio dell’AIA del 01/08/2011, Antonio Setaro quale dirigente del Settore Provinciale Salerno-Ecologia, Tutela dell’Ambiente, Disinquinamento, Protezione Civile della Regione Campania, sottoscrittore del decreto dirigenziale n. 149 del 26/07/2012 di rilascio dell’AIA alla ditta Fonderie Pisano & C. S.p.A., in concorso fra loro (e con Pisano Luigi, poi deceduto, quale proponente) ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in violazione delle norme di legge e di regolamento dettagliatamente specificate nell’imputazione provvisoria, intenzionalmente procuravano ai titolari delle Fonderie Pisano un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel rilascio del predetto Decreto AIA n. 149 del 2012, sia perché illegittimo, sia perché fondato su documenti contenenti false attestazioni, rilevabili come tali dall’autorità
regionale competente al rilascio che, invece, consapevolmente e volontariamente ometteva di rilevarle, procedendo, invece, ad emanare il predetto decreto AIA n. 149 del 2012, nel quale tali false attestazioni implicitamente si ripetevano;
2) nei confronti di Mario, Guido, Renato, Ciro ed Ugo Pisano:
2.a) per il reato di cui agli articoli 81, 110 del codice penale, 137, commi 1 e 5, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, perché, agendo nelle qualità sopra indicate ed in concorso fra loro, in sostanziale assenza della prescritta Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), attesa l’illegittimità ed inefficacia di quella ottenuta con il decreto dirigenziale regionale n. 149 del 2012 (della quale, comunque, violavano le prescrizioni) superavano i valori limite di emissione ed effettuavano illecitamente scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette, in particolare:
i) effettuavano uno scarico di acque reflue industriali che confluivano in acque superficiali (fiume Irno) ricomprese in un’area protetta del Parco Urbano dell’Imo SIC-ZPS in assenza di autorizzazione, sia per l’illegittimità e inefficacia dell’AIA, sia perché si accertava l’immissione – nella griglia di raccolta delle acque meteoriche confluente nello scarico S2 in Fiume Irno, contemplato in AIA come scarico di acque di prima pioggia – di acque, invece, di natura industriale ovvero provenienti dalla bagnatura delle materozze (accertamento del 12/11/2015) e dal sistema di abbattimento delle polveri al tamburo disterratore (di cui al report Arpac Salerno del 26/04/2016) e provenienti, altresì, dal dilavamento dei piazzali sui quali erano presenti, senza copertura né confinamento materie prime e rifiuti;
ii) effettuavano uno scarico industriale nelle acque superficiali del fiume Irno, ricompreso nel Parco Urbano dell’Imo e ricadente nei confini della Zona di Protezione Speciale (ZPS) e Sito di Importanza Comunitaria (SIC), in violazione delle tabelle 3, 4 e 5 dell’allegato V alla parte 3A del decreto legislativo 152 del 2006, venendo rilevati:
– rame in misura superiore al valore consentito (accertamento ARPAC Caserta del novembre 2015);
– idrocarburi totali pari a 8 mg/1 ed a 19 mg/1 maggiori del limite massimo pari a mg/l 5 (come si rileva dal prelievo ARPACdel 16.3.2016 e del prelievo del 21.3.2016 n.20160005418 – rapporto del 29.3.2016 n. 20160005127 COl AI, A2, A3); in Salerno dal 2013, e con violazioni del superamento dei limiti accertato nel novembre 2015 ed il 16.3.2016, il 21.3.16 e condotta in atto, 2.b) per il reato di cui agli articoli 81 e 110 del codice penale, e 256 decreto legislativo n. 152 del 2006 perché, agendo nelle qualità sopra indicate ed in concorso fra loro, gestivano e smaltivano illecitamente rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, non risultando tracciabili gli smaltimenti di emulsioni oleose prodotte dal trattamento di dilavamento dei piazzali, dischi abrasivi, polveri e particolato, limatura e trucioli di materiali ferrosi derivati dalla sbavatura dei getti, soluzioni esauste dell’impianto scrubber, fanghi da trattamento da acque reflue, inoltre gestivano e smaltivano illecitamente rifiuti costituiti da terre e anime di fonderia usate, utilizzandole, quale materiale dì riempimento, ai fini della realizzazione di un basamento in calcestruzzo armato delle dimensioni di circa 80 mq ed ancora gestivano illecitamente i rifiuti prodotti, in violazione dei requisiti prescritti per il deposito temporaneo, omettendo di indicarne il codice CER, lo stato fisico e le caratteristiche di pericolosità. In Salerno dal 2013 ed ulteriormente accertato nel novembre 2015 e nel marzo 2016;
2.c) del reato di cui agli articoli 110 del codice penale e 279 d.lgs. 152 del 2006 perché, agendo nelle qualità sopra indicate ed in concorso fra loro, effettuavano emissioni in atmosfera in sostanziale assenza della prescritta Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), attesa l’illegittimità ed inefficacia di quella ottenuta con il decreto dirigenziale regionale n. 149 del 2012 e, comunque, in violazione delle prescrizioni stabilite nel citato provvedimento e nell’allegato V parte V d.lgs. n. 152 del 2006; emettevano, inoltre, S02 e CO in misura superiore al limiti di legge (S02 risultato, in data 22/4/2016, pari a 880+/-72 mg/Nmc a fronte del limite nazionale di 500 mg/Nm3; CO, risultato, nelle date del 12/4/2016, del 19/4/2016 e del 22/4/2016 rispettivamente pari a 4217+347, 3180+/-41mg/Nm3 e 12.844+/-181mg/Nm3, a fronte del limite previsto in AIA pari a 1.000 mg/Nm3). In Salerno dal 2013 accertato più volte sino all’aprile 2016 e condotta in atto;
2.d) del reato di cui agli articoli 110 e 674 del codice penale perché, agendo nelle qualità sopra indicate ed in concorso fra loro, determinavano diffuse emissioni odorigene nauseabonde ed acri nonché emissioni in atmosfera di composti organici volatili, CO, idrocarburi aromatici (benzene toluene e xylene) e idrocarburi non metanici (NMIC) derivanti dalla combustione delle sostanze utilizzate dalla FONDERIA PISANO e la diffusione in atmosfera di polveri sottili PMIO in misura superiori al limite previsto di 50mcg/mc, inoltre immettevano nel fiume Irno acque contenenti sostanze inquinanti, atte ad imbrattare e molestare le persone (nella zona circostante l’impianto, zona Fratte di Salerno, Parco Urbano dell’Imo e sino a Pellezzano). In Salerno dal 2013 accertato più volte e condotta in atto;
2.e) del reato di cui agli articoli 110 e 635, comma 2, del codice penale perché, agendo nelle qualità sopra indicate ed in concorso fra loro, con le condotte descritte ai capi che precedono determinavano un danneggiamento di beni pubblici, ovvero le matrici ambientali acqua (Fiume Irno) ed aria (nella zona circostante l’impianto, zona Fratte di Salerno, Parco Urbano dell’Imo e sino a Pellezzano), e, fra l’altro, rendevano l’acqua del fiume inidonea all’uso umano ed all’uso irriguo. In Salerno dal 2013 accertato più volte e condotta in atto;
2.f) del reato di cui agli articoli 110 del codice penale e 181 decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 perché, agendo nelle qualità sopra indicate ed in concorso fra loro, in assenza e/o in violazione dell’autorizzazione, con le condotte descritte ai capi che precedono, eseguivano lavori ed effettuavano attività sui beni protetti per legge, effettuando, in particolare, nel fiume Imo scarichi di inquinanti anche pericolosi (rame, idrocarburi, metalli pesanti). In Salerno dal 2013 accertato più volte e condotta in atto.
1.2. Per quanto qui interessa, nel rigettare l’istanza di dissequestro, il giudice per le indagini preliminari – dopo aver avvertito che alcuni rilievi sollevati dagli indagati erano stati già esaminati e risolti con il provvedimento di applicazione della misura cautelare, cosicché, in ordine ad essi, era maturata la preclusione processuale in ordine al loro richiesto scrutinio – osservò, quanto ai fatti nuovi evidenziati con l’istanza di revoca della misura, che detta istanza, pur autorevolmente sostenuta da due pareri resi agli indagati da esperti in diritto costituzionale e amministrativo, fosse infondata, posto che, in relazione al primo aspetto ex novo proposto, gli indagati, alla data del 10/11/1999, non erano muniti di valida autorizzazione alle emissioni in atmosfera in quanto la delibera n. 9983 del 31/12/1998 aveva natura e validità provvisoria, e ad essa avrebbe dovuto far seguito un provvedimento definitivo mai rilasciato. Al contrario, il relativo procedimento amministrativo era stato sospeso dalla P.A. (Regione Campania – Settore Provinciale Ecologia – Protezione Civile di Salerno) in conseguenza delle irregolarità riscontrate all’esito dei controlli e delle numerose denunce dei cittadini residenti nella zona adiacente all’impianto di produzione a causa delle emissioni moleste. Di ciò si dava atto nella nota della Regione Campania n. 1465 del 04/03/1999, nella quale si riportavano gli esiti del sopralluogo eseguito il 28/01/1999 dal Servizio Ambiente della Provincia di Salerno, che attestava uno stato di grave obsolescenza degli impianti di produzione.
A tale sospensione, invero, non aveva mai fatto seguito il provvedimento di rilascio della prescritta autorizzazione, tanto che persino nell’elenco delle autorizzazioni sostituite dall’A.l.A. in contestazione (n. 149 del 2012), rilasciata all’esito della relativa Conferenza di Servizi, non si faceva menzione dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui alla Delibera Regionale provvisoria n. 9983 del 31/12/1998.
Il giudice per le indagini preliminari aggiunse che, successivamente al 10/11/1999, l’impianto delle Fonderie Pisano, anche in conseguenza dei molteplici e reiterati rilievi mossi dagli organi amministrativi di controllo, subì una considerevole serie di modifiche sostanziali, sia in relazione al sistema delle emissioni, sia riguardo agli scarichi in corpo idrico – cui non fece seguito alcuna autorizzazione – che trasformarono radicalmente l’impianto produttivo, in maniera cioè talmente consistente e significativa da comportare la disapplicazione dell’A.I.A. rilasciata in data 26/07/2012 non versandosi in alcuna delle fattispecie disciplinate dall’articolo 29-ter del d.lgs. n. 152 del 2006 (ratione temporis vigente) introdotto dall’articolo 2, comma 24, del d.lgs. n. 128 del 2010 (il cui primo comma è stato poi sostituito dall’articolo 7, comma 2, d.lgs. n. 46 del 2014) in forza del quale l’A.I.A. poteva essere rilasciata esclusivamente nelle tre ipotesi di (a) esercizio di nuovi impianti, (b) modifica sostanziale di un impianto esistente, o (e) adeguamento del funzionamento di impianti esistenti.
Il primo giudice, sulla base delle segnalate risultanze, ricordò come già in sede di decreto di convalida del provvedimento di sequestro d’urgenza emesso dal pubblico ministero avesse affermato che, per le "Fonderie Pisano" S.p.a., l’unica possibilità data ai fini del legittimo rilascio dell’AIA era offerta dalla sottoposizione dell’azienda alla Valutazione di Impatto Ambientale come nuovo impianto, dovendosi pertanto escludere che la struttura industriale potesse rientrare nel novero degli impianti da considerarsi già esistenti, opzione, quest’ultima, patrocinata invece dagli indagati con l’istanza di dissequestro.
In ordine poi al secondo (nuovo) aspetto evidenziato dalla istanza di revoca della misura cautelare, in forza del quale gli esiti dei controlli svolti dall’ARPAC eseguiti nel mese di agosto 2016 avevano attestato il superamento delle criticità riscontrate, il giudice per le indagini preliminari osservò come lo stesso pubblico ministero avesse condiviso il fatto che i controlli fatti eseguire all’ARPAC nel corso del mese di agosto 2016 avessero certificato la conformità ai limiti tabellari dei parametri relativi agli scarichi (ad eccezione del parametro Escherichia Coli) e la conformità ai valori-limite di cui al decreto AIA n. 149 del 2012 delle concentrazioni di CO, degli ossidi di azoto (NOx) e del parametro S02.
Tuttavia, a fronte di tale corrispondenza, nel periodo di attivazione dell’impianto durante il mese di agosto del 2016, la polizia giudiziaria ricevette numerose segnalazioni dai cittadini delle abitazioni confinanti con la struttura di produzione, concernenti immissioni moleste di fumi, odori e gas maleodoranti, ed effettuò diversi interventi dai quali scaturirono numerose relazioni di servizio concernenti sopralluoghi eseguiti dalla stessa polizia giudiziaria e dalla Polizia Municipale di Salerno che, in una nota di servizio, avvertì in loco un odore metallico e rilevò la presenza di polveri. Secondo il primo giudice, da tali risultati di prova, doveva dedursi la permanenza delle esigenze cautelari anche in ordine alla consumazione del reato di cui all’articolo 674 del codice penale.
2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il ricorrente percorre le linee di sei motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo complesso motivo, il ricorrente denuncia la violazione e l’erronea applicazione della legge penale e processuale in relazione agli articoli 322-bis, 321 e 125 del codice di procedura penale nonché degli articoli 323, 479-476 del codice di procedura penale (articolo 606, comma 1, lettere b) e e), del codice di procedura penale), per l’errata individuazione circa l’oggetto della decisione, per omessa pronuncia in ordine ad aspetti di fatto e di diritto rilevanti per il giudizio cautelare, per omessa motivazione in relazione alla erronea esclusione del periculum in mora, scartato per ragioni connesse al fumus del reato e non invece per ragioni attinenti la sussistenza o meno del pericolo di reiterazione o di aggravamento dei reati configurati e, comunque, per omessa motivazione e violazione di legge anche in ordine al fumus criminis.
Sostiene il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale del riesame, il giudice per le indagini preliminari, nel provvedimento appellato, si era espressamente soffermato sul fumus, tant’è che gli indagati, nell’impugnazione cautelare, avevano espressamente dedotto anche questioni inerenti al fumus delicti. Peraltro, lo stesso Collegio cautelare aveva, con il provvedimento impugnato, dato conto delle questioni inerenti al fumus, questioni che erano state dedotte in sede di appello cautelare dalle parti ed erano state oggetto della decisione del giudice per le indagini preliminari, con la conseguenza che il tribunale cautelare avrebbe erroneamente ritenuto, in ordine alla perimetrazione del suo giudizio, preclusa la cognizione, per effetto del principio devolutivo, sul fumus delicti, laddove aveva invece un pieno potere di valutazione, in quanto correttamente investito da parte degli indagati in sede di appello cautelare, di questioni inerenti sia al fumus che al periculum.
Ne deriva, secondo l’assunto del ricorrente, che il tribunale cautelare avrebbe dovuto fornire una motivazione in via "diretta" ed espressa e non "apparentemente incidentale", oltre che errata in diritto, sul fumus criminis ed invece, contraddittoriamente alle premesse iniziali circa la perimetrazione del proprio ambito cognitivo, si sarebbe parimenti occupato del fumus delicti del reato di abuso di ufficio e della contravvenzione di cui all’articolo 674 del codice penale.
In questo modo, ad avviso del ricorrente, il tribunale del riesame avrebbe errato sotto più profili, per avere, dapprima, perimetrato, in violazione di legge, l’effetto devolutivo e l’oggetto del giudizio dell’appello cautelare, salvo poi a contraddirsi essendosi pronunciato sul fumus criminis, escludendolo con una motivazione errata e contraddittoria sul presupposto di non essere in grado di discernere fra la fondatezza della tesi accusatoria e quella difensiva, come articolate attraverso le deduzioni tecniche delle parti, e venendo pertanto meno al suo dovere-potere di valutare e decidere ogni questione ritualmente posta alla sua attenzione, omettendo ogni pronuncia sul periculum attraverso un percorso motivazionale connotato da omissioni di valutazione circa punti essenziali della questione e quindi rendendo una decisione priva di reale motivazione, in virtù di un percorso argomentativo oltre tutto illogico, contraddittorio e reso in violazione di legge.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione ed applicazione della legge penale e processuale (articolo 606, comma 1, lettere b) e e) del codice di procedura penale in relazione agli articoli 125,321 e 322-bis stesso codice), per omessa motivazione e, quindi, per violazione di legge nella parte in cui l’ordinanza impugnata ha dapprima ritenuto la presenza del fumus prospettato dall’accusa, stimandolo idoneo per il vaglio dibattimentale, ed ha, poi, omesso di riconoscerne espressamente la sussistenza, con l’ulteriore conseguenza che, stante il riconoscimento del fumus, l’ordinanza impugnata sarebbe affetta da omessa valutazione, in violazione di legge, e da insanabile contraddizione circa la sussistenza delle esigenze cautelari necessarie per evitare la commissione di altri reati o l’aggravamento di quelli commessi.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia l’erronea interpretazione ed applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale), sul rilievo che erroneamente l’ordinanza impugnata ha escluso il fumus dei reati di abuso di ufficio e di falso ideologico.
Assume il ricorrente come in parte qua l’ordinanza impugnata, ai fini della compiuta delibazione che le era richiesta, non avrebbe tenuto conto del fatto che l’impianto Fonderie Pisano S.p.A. era privo di valida autorizzazione, essendo quella esistente del tutto illegittima, illecita e inefficace; non avrebbe tenuto conto che l’impianto industriale era collocato all’interno del centro urbano della città di Salerno; non avrebbe tenuto conto che l’impianto era collocato proprio al confine con l’area del parco urbano Valle dell’Imo, di interesse regionale, ai sensi della legge n. 394 del 1991; non avrebbe tenuto conto che gli scarichi delle acque reflue provenienti dall’insediamento e denominati "S2" e "S3" recapitavano proprio nel fiume Irno che, tra l’altro, risulta perimetrato all’interno del sito natura 2000 ZPS "IT8050056-fiume Irno"; non avrebbe tenuto conto che l’area sulla quale insiste l’impianto era gravata da una serie di vincoli, tra cui quello paesaggistico e idrogeologico; non avrebbe tenuto conto che l’attività industriale svolta era di tipo inquinante; non avrebbe tenuto conto che l’insediamento industriale, ancorché risalente nel tempo, era ormai del tutto incompatibile con l’area nella quale era insediato e che lo stesso operava in virtù di un’illecita autorizzazione integrata ambientale (AIA) caratterizzata da carenze, contraddizioni ed anomalie.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole dell’omessa valutazione di elementi decisivi per lo scrutinio del tema cautelare, con riferimento al capo 1) della provvisoria imputazione (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale in relazione agli articoli 125, 321 e 322-bis stesso codice nonché articoli 479-476 del codice penale), sul rilievo che, per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale, era stato rappresentato uno stato di fatto diverso da quello reale, perché non era stata riportata, nei grafici allegati alla richiesta di rilascio dell’autorizzazione, la presenza di un grosso immobile (ovvero quello ubicato al ridosso del fiume Irno) e, sotto tale decisivo punto del tema cautelare, il tribunale del riesame avrebbe omesso qualsiasi motivazione, incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denunciato.
Sulla decisività della questione, il ricorrente precisa che ove mai si volesse ritenere corretta la procedura autorizzativa, quest’ultima e l’atto autorizzatorio finale sarebbero comunque viziati in concreto dalla circostanza di riferirsi ad un impianto industriale la cui dimensione "cartolare" era del tutto diversa da quella reale, in quanto l’autorizzazione integrata ambientale avrebbe assentito un impianto che solo dal punto di vista "documentale" era più piccolo e diverso di quello reale, giacché nella cartografia era stata omessa la presenza di uno dei manufatti destinati alle attività industriali, con la conseguenza che non sarebbe stato evidenziato un immobile che rappresentava circa il 50% dell’intero impianto, determinando ciò sia l’illiceità connessa al reato di falso e sia l’illiceità della procedura, aspetto, quest’ultimo, rilevante, ad avviso del ricorrente, quale violazione di legge del reato di abuso di ufficio, perché si sarebbe dovuto tenere conto che la presenza di tale consistente manufatto, coincidente con circa la metà degli impianti (e, quindi, la reale consistenza delle fonderie Pisano), non era stata valutata ai fini dell’impatto ambientale e della complessiva autorizzabilità dell’intera attività industriale.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente prospetta la violazione della legge penale circa l’erronea valutazione del fumus e del periculum (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale in relazione agli articoli 125, 321 e 322-bis stesso codice nonché articolo 674 del codice penale), sul rilievo che, essendo illecita l’autorizzazione all’impianto, le immissioni erano da ritenersi anch’esse illecite e ciò a prescindere dal superamento delle soglie legali. In ogni caso, il tribunale del riesame avrebbe omesso di considerare che, nel caso di specie, era stata contestata in fatto la presenza di odori nauseabondi e in tale ipotesi, ossia al cospetto di una emissione "olfattiva", la legge non prevede alcun limite legale di tollerabilità, con conseguente individuazione, quale parametro di legalità dell’immissione, il criterio della "stretta tollerabilità", e non invece di quello della "normale tollerabilità" previsto dall’articolo 844 del codice civile.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge penale processuale in relazione agli articoli 125, 321 e 322-bis del codice di procedura penale nonché agli articoli 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dell’articolo 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e dell’articolo 635 del codice penale in ordine all’omessa valutazione del fumus e del periculum (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale).
Sostiene che il tribunale cautelare, partendo dall’erronea "perimetrazione" del giudizio allo stesso demandato, avrebbe omesso ogni valutazione del fumus e del periculum in relazione anche agli altri reati in base ai quali il decreto di sequestro preventivo originario aveva ravvisato sia il fumus che il periculum in mora.
Rileva il ricorrente, a questo proposito, che il tribunale cautelare ha erroneamente ritenuto che il giudice per le indagini preliminari avesse circoscritto il periculum alle esigenze cautelari ravvisabili in ordine al reato di cui all’articolo 674 del codice penale e in ordine ai reati di cui agli articoli 323 e 479 stesso codice, laddove il primo giudice non aveva affatto ridotto e neppure escluso le esigenze cautelari con riferimento ai reati di cui ai capi a), b), e), f), della provvisoria imputazione, avendo, ad esempio, espressamente evidenziato il superamento del parametro dell’escherichia coli, con la conseguenza che l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa, anche sotto tale specifico profilo, nel vizio di violazione di legge denunciato.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per la fondatezza del ricorso, limitatamente alle violazioni di. legge denunciate, anche sotto il profilo della mancanza di motivazione, per le ragioni esposte nell’atto di impugnazione e ritenute condivisibili, precisando che non possono essere presi invece in considerazione i vizi riferiti alla contraddittorietà e alla illogicità della motivazione, in quanto non denunciabili ai sensi dell’articolo 325 del codice di procedura penale ed ha pertanto chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
4. Gli interessati hanno presentato memoria di replica con la quale hanno chiesto dichiararsi l’inammissibilità o comunque l’infondatezza del ricorso, sul rilievo che il gravame contiene censure esclusivamente di merito sulla congruità e coerenza della motivazione, essendo state articolate doglianze che, quanto alle impugnazioni cautelari reali, sono precluse nel giudizio di legittimità.
In ogni caso, rilevano l’infondatezza del ricorso, avendo l’impugnata ordinanza, con ampia motivazione:
a) escluso, quanto ai reati di abuso di ufficio e di falso ideologico, la collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale, sottolineando come l’autorizzazione integrata ambientale sia stata ottenuta allorquando l’impianto era sequestrato e, quindi, in un frangente nel quale erano in corso i controlli anche dell’autorità giudiziaria;
b) escluso pertanto la macroscopica illegittimità dei provvedimenti amministrativi rilasciati;
e) correttamente perimetrato il giudizio cautelare all’esame dei reati di cui al capo 1) ed al capo d) della provvisoria imputazione (relativi rispettivamente all’abuso di ufficio e al falso ideologico nonché al reato di cui all’articolo 674 del codice penale), avendo lo stesso giudice per le indagini preliminari, nel provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro, escluso la persistenza delle esigenze cautelari con riferimento alle altre provvisorie imputazioni;
d) correttamente escluso la configurabilità e l’esistenza delle esigenze cautelari in relazione all’articolo 674 del codice penale in presenza di controlli positivi in ordine al rispetto delle soglie di tollerabilità dell’impianto, provenendo le emissioni dall’attività industriale regolarmente autorizzata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
2. Le doglianze debbono essere congiuntamente esaminate, essendo tra loro strettamente collegate come espressamente riconosciuto dallo stesso pubblico ministero ricorrente (pag. 5 del ricorso).
2.1. Ai fini dello scrutinio circa l’ambito di fondatezza delle sollevate censure, è necessario riassumere la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
Il tribunale cautelare ha osservato come, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, fosse assorbente la constatazione della insussistenza del periculum posto a fondamento del provvedimento cautelare reale ed ha premesso come la perimetrazione del periculum, operata con il provvedimento genetico della misura reale, fosse stata ridimensionata con il provvedimento appellato il quale, sul punto, è stato poi oggetto di specifici rilievi da parte della difesa con l’impugnazione cautelare. Ha quindi affermato che, in tema di appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante ma anche dal decisum del provvedimento gravato sicché, con l’appello, non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo.
Pertanto, il Collegio cautelare ha rilevato come, con il provvedimento appellato, il Giudice per le indagini preliminari avesse circoscritto il periculum alle esigenze cautelari ravvisabili in ordine al reato di cui all’articolo 674 del codice penale, contestato al capo d) della rubrica, e in ordine ai reati di cui agli articoli 323 – 479 del codice penale di cui al capo 1) della provvisoria rubrica.
2.2. Eseguita una tale premessa, il tribunale del riesame ha affermato come il Giudice per le indagini preliminari avesse ritenuto, alla luce delle pronunce della Corte di cassazione citate nel provvedimento impugnato, che le emissioni, pur in presenza del rispetto dei limiti, avevano comunque superato il livello della normale tollerabilità come si poteva desumere dagli accertamenti di polizia giudiziaria e dalle segnalazioni dei cittadini residenti nelle abitazioni confinanti con l’impianto di produzione e come, in ordine ai reati di cui agli articoli 323 e 479 del codice penale contestati al capo 1) della rubrica, lo stesso Giudice per le indagini preliminari avesse osservato che, per le ragioni esposte in precedenza, doveva essere "disapplicato" il decreto dirigenziale n. 149 del 26 luglio 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla società Fonderie Pisano & C. S.p.A.
2.3. Ciò posto, in ordine al reato di cui all’articolo 674 del codice penale, provvisoriamente contestato al capo d) della rubrica, il tribunale cautelare ha affermato, sotto il primo aspetto, di aderire all’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale la Corte regolatrice ha chiarito che il reato de quo non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da un’attività autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali perché l’osservanza delle leggi di settore e la presenza di specifici provvedimenti amministrativi che disciplinano l’attività produttiva, regolamentando le emissioni, implicano una presunzione di legittimità del comportamento.
Da ciò il Collegio cautelare ha tratto argomento per sostenere che anche nel caso in esame si era in presenza di un’attività produttiva autorizzata (con il decreto dirigenziale n. 149 del 27 luglio 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrale ambientale alla società Fonderie Pisano e cigni S.p.A.), attività in relazione alla quale, medio tempore, gli accertamenti tecnici sull’impianto produttivo in piena attività effettuati da organi pubblici preposti ai controlli di rispettiva competenza avevano consentito di accertare, da un lato, la conformità ai limiti tabellari dei parametri relativi agli scarichi e la conformità ai valori-limite di cui al decreto A. I. A. n. 149 del 2012 dei parametri relativi alle emissioni in atmosfera (si tratta, come si evince dal testo del provvedimento impugnato, dei controlli effettuati dall’Arpac Campania nell’agosto 2016 e trasfusi nella relazione n. 52463 del 5 agosto 2016) e, dall’altro, l’avvenuto adeguamento di tali attività alla normativa antincendi (si tratta, come pure si evince dal testo del provvedimento impugnato, dei controlli effettuati dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Salerno nel maggio 2016 e trasfusi nella relazione n. 157 del 10 maggio 2016).
Si era dunque al cospetto di fatti oggettivi incontrovertibili, non suscettibili, come tali, di essere superati dalle pur comprensibili sensazioni soggettive di alcuni cittadini residenti nelle abitazioni confinanti con l’impianto di produzione, le cui segnalazioni, peraltro, non avevano, in diversi casi, nemmeno trovato riscontro da parte della polizia giudiziaria.
In sostanza, i suindicati fatti oggettivi, riscontrati da organi pubblici preposti ai controlli di rispettiva competenza, avevano attestato, ad avviso del tribunale cautelare, la sopravvenuta conformità alla legge delle conseguenze per la salute e per l’ambiente derivanti dall’attività produttiva della società "Fonderie Pisano", il che rendeva completamente inesistente il periculum in relazione al reato di cui all’articolo 674 del codice penale, provvisoriamente contestato al capo d) della rubrica così come ravvisato nel decreto impugnato, nonché ovviamente in relazione a tutti gli altri reati diversi da quelli di cui al capo 1) della rubrica (come implicitamente riconosciuto già dal Giudice per le indagini preliminari nel provvedimento reclamato dagli indagati).
2.4. Il Collegio distrettuale ha poi esaminato il secondo aspetto ossia l’ulteriore profilo cautelare valorizzato nel decreto impugnato, reiettivo delle istanze di dissequestro ed emesso dal giudice per le indagini preliminari, e cioè il periculum relativo ai reati di cui agli articoli 323-479 del codice penale, provvisoriamente contestati al capo 1) della rubrica, laddove nel provvedimento impugnato innanzi al tribunale della libertà si era ipotizzata la "disapplicazione" del decreto dirigenziale n. 149 del 26 luglio 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla società Fonderie Pisano S.p.A., sostenendosi in sostanza che l’AIA dovesse ritenersi tamquam non esset, con le implicite conseguenze derivanti da ciò in tema di permanenza del periculum.
Sul punto, dopo aver sottolineato, anche in ordine a tale specifico profilo, l’analogia con una vicenda simile scrutinata dalla giurisprudenza di legittimità, il tribunale della libertà ha affermato che, in tema di abuso di ufficio, la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, può essere desunta anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assumono rilievo l’evidenza, la reiterazione e la gravità delle violazioni, la competenza dell’agente, i rapporti tra l’agente e il soggetto favorito, l’intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge cosicché, in tema di sequestro preventivo, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti del reato proprio contestato anche a soggetti che non rivestono la qualifica tipica, è necessario che il giudice motivi anche sull’elemento psicologico dell’autore del reato proprio, atteso che la mancanza del dolo intenzionale impedisce la stessa astratta configurabilità del predetto reato.
Il tribunale distrettuale ha poi aggiunto che i suesposti principi di diritto, allineati a consolidati orientamenti espressi in proposito dalla giurisprudenza di legittimità, e perciò pienamente condivisi dal Collegio cautelare, sono stati enunciati non già nell’ottica di un sindacato, sia pure incidentale, in ordine alla sussistenza del fumus dei reati ex articoli 323-479 del codice penale ipotizzati al capo 1) della rubrica (sindacato che richiede, secondo il tribunale, un necessario approfondimento nella sede propria ossia nel giudizio di merito), bensì, in conformità alla premessa iniziale, unicamente nell’ottica di avvalorare la assorbente constatazione della insussistenza del periculum posto a fondamento del provvedimento cautelare reale.
In altri termini, il tribunale cautelare ha osservato che, allo stato, non fosse possibile evincere dagli atti l’avvenuta acquisizione di inequivocabili elementi per ritenere che il decreto dirigenziale n. 149 del 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla società "Fonderie Pisano S.p.A." fosse stato caratterizzato da una tale macroscopica illegittimità (o da una acclarata collusione tra il soggetto privato e l’agente pubblico) da consentire di considerarlo tamquam non esset e quindi tale da ritenere l’esistenza del periculum connesso al proseguimento dell’attività produttiva idonea ad incidere negativamente sulla salute e sull’ambiente, in assenza della prescritta autorizzazione, che invece era stata rilasciata dagli organi pubblici competenti.
2.5. Quanto poi alla legittimità circa il rilascio dell’autorizzazione, il tribunale ha evidenziato come si fosse, sul punto, in presenza di una oggettiva controvertibilità in merito alla legittimità dell’atto amministrativo censurato dall’accusa, posto che risultavano versate in atti le valutazioni, diametralmente opposte, formulate dai consulenti tecnici del pubblico ministero, da una parte, e dai consulenti della difesa, dall’altro.
Tali opposte valutazioni, indice di una complessità della vicenda sotto il profilo giuridico, hanno consentito al Tribunale di "ricavare quanto meno elementi per escludere ragionevolmente la macroscopicità dell’eventuale illegittimità" in presenza addirittura di "valutazioni diverse persino tra il privato al momento della presentazione, in data 1 agosto 2011, dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (come "impianto esistente") e l’organo del pubblico ministero al momento dell’emissione del decreto dirigenziale 149 del 26 luglio 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla società Fonderie Pisano S.p.A. (come "nuovo impianto"), da cui si possono ricavare quanto meno elementi per escludere ragionevolmente la collusione tra i predetti soggetti (che altrimenti avrebbe agito di comune accordo)".
2.6. Peraltro, ha osservato il Collegio cautelare come – a fronte dei puntuali rilievi difensivi secondo cui alla data del 10 novembre 1999 le Fonderie Pisano erano munite di tutte le autorizzazioni ambientali necessarie alla produzione industriale (e non in zona residenziale bensì in zona industriale, ossia dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera rilasciata con delibera della regione Campania n. 9983 del 31 dicembre 1998 nonché dell’autorizzazione allo scarico in fiume rilasciata dalla provincia di Salerno con provvedimento n. 4529 del 26 aprile 1999) e, quindi, l’impianto industriale doveva considerarsi come "impianto esistente" – il giudice per le indagini preliminari, con il provvedimento appellato, avesse modificato, in parte, l’impostazione su cui si fondava il provvedimento genetico di sequestro, sostenendo che, alla data del 10 novembre 1999, gli indagati non erano muniti di valida autorizzazione alle emissioni in atmosfera, giacché la delibera n. 9983 del 31 dicembre 1998 aveva natura e validità provvisoria, e ad essa non aveva fatto seguito un provvedimento definitivo bensì un provvedimento di sospensione da parte della pubblica amministrazione, come si evinceva dalla nota della regione Campania n. 1465 del 4 marzo 1999, tesi che, a sua volta, era stata contestata dalla difesa (sulla base di una nuova consulenza) secondo cui la provvisorietà della delibera n. 9983 del 31 dicembre 1998 non ne pregiudicava l’efficacia e la nota della regione Campania n. 1465 del 4 marzo 1999 non aveva alcun effetto sospensivo della stessa.
In altri termini, ad avviso del tribunale cautelare, erano stati introdotti dalle parti ulteriori elementi che, per la loro intrinseca controvertibilità, permettevano ragionevolmente di escludere la macroscopicità dell’eventuale illegittimità del decreto dirigenziale n. 149 del 26 luglio 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla società Fonderie Pisano S.p.A.
Infine, il Tribunale ha anche rilevato come non andasse trascurato il fatto che tale provvedimento era stato emesso mentre l’impianto produttivo si trovava sottoposto a sequestro nell’ambito del procedimento penale n. 5449 del 2007 e quindi mentre l’impianto era assoggettato alla massima osservazione da parte del pubblico ministero procedente, sicché diventava ancora più arduo ipotizzare sia la macroscopicità dell’eventuale illegittimità del provvedimento autorizzativo e sia la collusione tra il soggetto privato e il pubblico ufficiale, essendosi invece in presenza di un’attività produttiva autorizzata (con il decreto dirigenziale n.149 del 2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale alla società Fonderie Pisano S.p.A. che, allo stato, non era possibile considerare tamquam non esset), attività in relazione alla quale medio tempore gli accertamenti tecnici sull’impianto produttivo in piena attività effettuati da organi pubblici preposti ai controlli di rispettiva competenza avevano consentito di accertare, da un lato, la conformità dei limiti tabellari dei parametri relativi agli scarichi e la conformità ai valori-limite di cui al decreto A. I. A. n. 149 del 2012 dei parametri relativi alle emissioni in atmosfera (controlli dell’Arpac Campania di cui alla relazione n.52463 del 5 agosto 2016) e, dall’altro, l’avvenuto adeguamento di tali attività alla normativa antincendi.
Il tribunale cautelare ha quindi concluso come fosse del tutto evidente l’insussistenza dell’attualità e della concretezza del presupposto del periculum (come perimetrato con il provvedimento genetico di applicazione della misura reale e come poi ridimensionato con il provvedimento appellato alle sole due ipotesi criminose scrutinate) necessario per il mantenimento del sequestro preventivo.
3. Va preliminarmente ricordato il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, perché, nei "gravami" sollevati nei confronti delle ordinanze emesse dal tribunale della libertà a seguito di riesame o appello sui provvedimenti che decidono i ricorsi in materia di cautele reali, l’articolo 325, comma 1, del codice di procedura penale espressamente ammette (a differenza dell’articolo 311, comma 1, del codice di procedura penale in materia di impugnazioni avverso le ordinanze cautelari personali) la ricorribilità per cassazione esclusivamente per "violazione di legge", dovendo intendersi con tale locuzione gli "errores in iudicando" o quelli "in procedendo", con esclusione, quindi, dei vizi della motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale), fatta eccezione per il vizio di mancanza assoluta della motivazione e cioè di quel vizio così radicale da comportare la nullità del provvedimento impugnato, vizio che ricorre quando l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento gravato sia del tutto mancante o comunque apparente perché assolutamente privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), così da rientrare nel vizio di violazione di legge di cui all’articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale sotto il profilo dell’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 125, comma 3, del codice di procedura penale) e siffatta situazione ricorre anche quando il tribunale della libertà abbia omesso di esaminare punti decisivi per l’accertamento dei fatti, sui quali è stata fondata l’emissione, la revoca o la modifica di un provvedimento cautelare, traducendosi anche tale omissione in una violazione di legge per mancanza di motivazione allorquando il provvedimento impugnato non contenga l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la decisione su un punto decisivo del giudizio cautelare ed il cui necessario esame sia stato erroneamente pretermesso dal giudice dell’impugnazione (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronia, Rv. 264011).
4. Ciò esclude che la Corte regolatrice possa esaminare i supposti vizi motivazionali che, impropriamente sussunti nella categoria della violazione di legge, il ricorrente ha ritenuto di sottolineare con la censura del provvedimento impugnato, dovendo l’esame del ricorso essere strettamente riservato allo scrutinio dei soli vizi di legittimità che, in considerazione delle doglianze espresse con il "gravame", possono essere, in sintesi, ricondotti a due fondamentali filoni, riguardanti (1) l’ambito oggettivo del provvedimento appellato e i poteri del giudice dell’appello cautelare in relazione alla materia devolutagli; (2) la violazione della legge penale e l’omessa motivazione su punti decisivi per la definizione del giudizio cautelare in ordine ai reati di cui agli articoli 323 e 674 del codice penale.
5. Passando quindi all’esame della prima questione, osserva la Corte come il ricorrente si sia sostanzialmente doluto, in primo luogo, del fatto che il tribunale cautelare abbia, in violazione di legge, ristretto il proprio ambito cognitivo ritenendosi esonerato dal valutare, in rapporto all’appello proposto dagli indagati avverso il decreto di rigetto dell’istanza di dissequestro, il fumus e i pericula con riferimento a tutte le ipotesi criminose che avevano innescato la cautela, limitando l’esame a soli due reati, con esclusione degli altri.
Sul punto, avendo il Collegio distrettuale spiegato che la perimetrazione del "devolutum" fosse conseguenza della posizione assunta dal giudice per le indagini preliminari attraverso la motivazione del decreto appellato, sono necessarie le seguenti precisazioni.
5.1. Nella giurisprudenza di legittimità i provvedimenti resi nella materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno un’efficacia preclusiva riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte (non anche rispetto alle questioni che, pur deducibili, non siano state invece dedotte o esaminate ex officio) sicché, sebbene una siffatta preclusione processuale sia di portata più modesta a confronto di quella relativa alla cosa giudicata, una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv.235908).
Da ciò consegue che le decisioni adottate nei giudizi incidentali d’impugnazione hanno un effetto preclusivo limitato alle sole questioni effettivamente dedotte, sia pure in forma implicita in quanto logicamente presupposte da quelle enunciate esplicitamente (Sez. U, n. 11 del 08/07 /1994,Buffa, Rv.187213), con la conseguenza che – da un lato – non è possibile emettere un nuovo provvedimento cautelare sulla base degli stessi elementi ritenuti insussistenti o irrilevanti in sede d’impugnazione, ovvero sulla base degli stessi elementi per i quali il giudice competente ad emettere la misura abbia rigettato la domanda cautelare senza che al provvedimento di rigetto abbia fatto seguito il procedimento impugnatorio, e – dall’altro – deve ritenersi che la revoca di una misura già impugnata e confermata può essere giustificata, rispetto alla res in iudicium deducta, solo con fatti o ragioni nuove rispetto a quelli già esaminati nel giudizio incidentale de libertate (Sez. U, n. 11 del 01/07 /1992, Grazioso, Rv. 191183).
Quindi la preclusione processuale, che matura in siffatti casi, attiene alle singole questioni e non al procedimento di revoca di una misura cautelare, che può essere sempre attivato dall’interessato con la relativa richiesta ed eventualmente con le successive impugnazioni (Sez. U, n. 14 del 31/05/2000, Piscopo, in motiv.).
Ed infatti l’epilogo procedimentale di un incidente de libertate innescato da un’istanza di revoca della misura cautelare è sempre costituito da una decisione di rigetto, giammai d’inammissibilità, dovendo in ogni caso il giudice della revoca accertare, anche d’ufficio, se vi siano ragioni che dimostrino, indipendentemente dalla causa petendi posta a fondamento dell’istanza di revoca, l’insussistenza dei presupposti cautelari (Sez. 5, n. 40281 del 19/10/2005, Notdurfter, Rv.232798).
La mera riproposizione di questioni già precedentemente decise implica perciò che il giudice della revoca si debba comunque pronunciare nel merito dell’istanza de libertate, pur potendosi tuttavia limitare, in assenza di elementi di novità, a richiamare le precedenti decisioni.
Su questa scia, la giurisprudenza di legittimità è pervenuta alla conclusione di ritenere che la preclusione processuale, in materia di procedimenti cautelari, opera su due piani: il primo, più immediato, consiste nell’impedire in radice la mera rivalutazione degli stessi elementi probatori già compiutamente valutati in senso diverso; il secondo, rispondente ad un’esigenza sistematica intrinsecamente connessa alla struttura ed al senso stesso del concetto del cosiddetto «giudicato cautelare», comporta che, in presenza di uno o più asseriti elementi di «novità», sul giudice incombe l’obbligo di una specifica motivazione sull’idoneità intrinseca del nuovo elemento ad essere apprezzato sul piano cautelare e, quindi, sulle ragioni per cui quell’elemento nuovo sia o meno idoneo a consentire la complessiva rivalutazione del materiale probatorio anche già valutato (Sez. 6, n. 18199 del 27/04/2012, Gerbino, Rv. 252646) ma con la sottolineatura, quanto al primo aspetto, che il richiamato «effetto preclusivo viene ad essere determinato solo dall’esistenza di un provvedimento decisorio non più impugnabile», in riferimento al quale siano stati esauriti i previsti mezzi di impugnazione, «e non anche nell’ipotesi della mancata attivazione degli strumenti processuali di controllo» (Sez. U., n. 29952 del 24/05/2004, Romagnoli, Rv. 228117).
5.2. Pertanto, nel caso in esame, il giudice per le indagini preliminari, investito dall’istanza di revoca del sequestro preventivo, ha ritenuto, rispetto alle questioni già decise al momento dell’imposizione del vincolo cautelare e successivamente riproposte, senza alcun elemento di novità, con l’istanza di revoca della misura, di richiamare il precedente provvedimento, adottando sostanzialmente una motivazione per relationem ma impropriamente ritenendo configurata una preclusione processuale invece non maturata, in assenza di una precedente impugnazione nei confronti del decreto dispositivo del sequestro preventivo (dagli atti trasmessi alla Corte risulta che fu proposta richiesta di riesame successivamente rinunciata, senza alcun intervento di merito da parte del competente Tribunale della libertà, cosicché la rinuncia all’impugnazione deve ritenersi equivalente all’impugnazione non proposta).
Lo stesso giudice cautelare di primo grado ha poi ritenuto, rispetto ai fatti nuovi proposti con l’istanza di revoca, di motivare espressamente sul punto, rigettandola nel suo complesso.
Il tribunale della libertà, adito in sede di appello cautelare con il ricorso proposto dalle parti interessate avverso il decreto di rigetto dell’istanza di revoca della misura cautelare reale, ha erroneamente ritenuto ristretto il proprio ambito cognitivo dalle questioni espressamente esaminate dal primo giudice, osservando che il decreto di sequestro preventivo era venuto meno in relazione alle questioni considerate non scrutinate, laddove avrebbe dovuto perimetrare il devolutum sui motivi di impugnazione proposti avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca della cautela e verificare se, con riferimento a tutti i reati (e non soltanto per quelli ex articoli 674, 323 e 479 del codice penale) in ordine ai quali erano stati pure configurati i presupposti per la spedizione del titolo cautelare, fossero venute meno, sulla base delle specifiche doglianze mosse con i motivi di impugnazione, le condizioni per il mantenimento del sequestro.
Il Collegio cautelare ha invece ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari avesse circoscritto il periculum alle esigenze cautelari ravvisabili in ordine al reato di cui all’articolo 674 del codice penale, contestato al capo d) della rubrica, e in ordine ai reati di cui agli articoli 323 – 479 del codice penale di cui al capo 1) della provvisoria rubrica.
E’ pertanto fondato in sesto motivo di impugnazione, laddove il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge per omessa motivazione in ordine al mancato esame del fumus e del periculum sulle "imputazioni cautelari" (indicate dal pubblico ministero nel sesto motivo di ricorso negli articoli 137 del decreto legislativo n. 152 del 2006; 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e 635 del codice penale) diverse da quelle esaminate con l’appello cautelare e sulla cui base era stata comunque emessa e mantenuta, con il rigetto dell’istanza di revoca del sequestro, la misura cautelare.
Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: "in tema di appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal "decisum" del provvedimento gravato, nel cui ambito rientrano tutte le questioni che, in quanto non precluse, siano state esplicitamente o implicitamente risolte dal giudice cautelare con il provvedimento pronunciato sull’istanza di revoca, sicché al giudice "ad quem" è attribuito il potere di estendere, se ritualmente investito con i motivi di impugnazione, la sua cognizione a dette questioni".
6. E’ il caso di sottolineare come il precedente rilievo sia ampiamente autosufficiente ai fini dell’annullamento dell’ordinanza impugnata ma non esime la Corte dall’esaminare le ulteriori violazioni di legge denunciate.
6.1. Passando quindi all’esame della seconda questione, la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata ruota intorno alla natura del decreto dirigenziale regionale n. 149 del 2012 al quale il Tribunale ha dichiaratamente assegnato il ruolo di rimozione delle esigenze cautelari, sul rilievo che, da un lato, il rilascio dell’autorizzazione consentiva l’esercizio dell’attività produttiva, che si era mantenuta nei limiti "tabellari" prescritti nel predetto decreto, e perciò senza alcun pregiudizio per la salute e per l’ambiente, con conseguente completa elisione del periculum in relazione al reato di cui all’articolo 674 del codice penale (pag. 9 dell’ordinanza impugnata) e che, dall’altro, la sua non macroscopica illegittimità impediva di ritenere detta autorizzazione come tamquam non esset e quindi consentisse di ipotizzare il periculum, posto a base del reato di abuso d’ufficio, connesso al proseguimento di un’attività produttiva idonea ad incidere negativamente sulla salute e sull’ambiente in assenza dell’apposita autorizzazione (pag. 10 dell’ordinanza impugnata).
Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale cautelare ha affermato che, in presenza di una oggettiva controvertibilità in merito alla legittimità dell’atto amministrativo (decreto dirigenziale regionale n. 149 del 2012), dovessero ricavarsi quanto meno elementi tali da escludere ragionevolmente la macroscopicità dell’eventuale illegittimità, rimandando, per esigenze di sintesi, alle valutazioni, diametralmente opposte, espresse dai consulenti tecnici del pubblico ministero e della difesa, senza tuttavia enunciare né le une né le altre e soprattutto senza prendere alcuna posizione su di esse.
In tal modo il Collegio cautelare è incorso nel vizio di violazione di legge per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia cautelare perché, in caso di contrasto tra due accertamenti tecnici, non adempie all’obbligo della motivazione il giudice che non indica le ragioni della scelta o dell’impossibilità, per qualsiasi causa, di assegnare preferenza all’uno o all’altro orientamento, limitandosi a segnalare il conflitto senza indicare i motivi per i quali egli, quantunque sprovvisto di poteri istruttori, lo reputi insanabile e, quindi, non in grado di poterlo risolvere.
Tale principio si coniuga infatti perfettamente con quello secondo il quale, in materia di cautele reali, ai fini della sussistenza e perdurante vigenza tanto del fumus quanto dei pericula, i giudici cautelari devono tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti (Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945), senza tuttavia la necessità di instaurare un "processo nel processo" ma svolgendo l’indispensabile ruolo di garanzia in quale si risolve nel tenere conto, da un lato, della prospettazione accusatoria al fine di verificare se gli elementi rappresentati dal pubblico ministero consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica e tenendo conto, dall’altro, delle contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta in maniera da esaminare l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro o consentono di mantenerlo in vita (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206657).
Tutto ciò (ossia il rilevato vizio di omessa motivazione su un punto decisivo) consente di ritenere assorbita qualsiasi questione, oggetto di specifica impugnazione con il ricorso, in punto di elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio, perché, non enunciati i criteri per i quali la tesi di accusa sarebbe insostenibile, appare azzardato escludere il fumus (del quale il Tribunale si era pure dichiarato disinteressato per difetto di cognizione) del dolo intenzionale o ritenere non macroscopica la violazione di legge dovendosi precisare che quest’ultima, risolvendosi in un elemento normativo della fattispecie di abuso, richiede solo il suo accertamento ma non la necessità di disapplicare l’atto amministrativo, così da considerarlo tamquam non esset.
Va chiarito infatti che il giudice penale, anche nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo (autorizzazione, concessione, permesso), non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo, ma deve esclusivamente verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela", interesse che nell’abuso d’ufficio è costituito dal buon andamento e dall’imparzialità della pubblica amministrazione, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo (Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, in motiv.).
Deve allora ritenersi, a maggior ragione, apodittica l’affermazione, fondata nell’ordinanza impugnata esclusivamente sulla mera registrazione delle opposte valutazioni formulate dalle parti, secondo cui la legittimità dell’atto amministrativo (ossia del decreto dirigenziale regionale n. 149 del 2012) costituisce questione oggettivamente controvertibile, risolvendosi una tale asserzione in una motivazione apparente e, dunque, in una omessa motivazione, difettando anche di un minimum apparato motivazionale sulla mancanza di "serietà" degli indizi e delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura cautelare e della sua perdurante vigenza.
A ragione, allora, il pubblico ministero si duole del fatto che il Tribunale non abbia considerato, motivando espressamente sul punto, che detta autorizzazione era, in tesi, riferita ad un impianto industriale la cui dimensione "cartolare" risultava del tutto diversa da quella reale, in quanto l’autorizzazione integrata ambientale avrebbe assentito un impianto che solo dal punto di vista "documentale" era più piccolo e diverso di quello reale, giacché nella cartografia era stata omessa la presenza di uno dei manufatti destinati alle attività industriali, con la conseguenza che non sarebbe stato evidenziato un immobile che rappresentava circa il 50% dell’intero impianto, determinando ciò sia l’illiceità connessa al reato di falso e sia l’illiceità della procedura, con conseguente integrazione della violazione di legge fondante, in uno ad altri elementi, il reato di abuso di ufficio, perché si sarebbe dovuto tenere conto, in primo luogo, che la presenza di tale consistente manufatto, coincidente con circa la metà degli impianti (e, quindi, la reale consistenza delle fonderie Pisano), non era stata valutata ai fini dell’impatto ambientale e della complessiva autorizzabilità dell’intera attività industriale; che, in secondo luogo, l’impianto industriale era collocato all’interno del centro urbano della città di Salerno, al confine con l’area del parco urbano Valle dell’Imo, di interesse regionale, ai sensi della legge n. 394 del 1991, cosicché l’insediamento industriale, pur risalente nel tempo, era da ritenersi del tutto incompatibile con l’area nella quale era allocato, se ed in quanto l’attività industriale svolta fosse di tipo inquinante.
6.2. Quest’ultimo aspetto – del tutto pretermesso dal Tribunale in relazione alle restanti ipotesi di reato fondanti il decreto di sequestro e, come si è detto, erroneamente scartate dalla cognizione cautelare è stato invece espressamente escluso con riferimento al reato di cui all’articolo 674 del codice penale, sul rilievo che, in presenza dell’autorizzazione (ossia, ancora una volta, del decreto dirigenziale regionale n. 149 del 2012), gli accertamenti tecnici sull’impianto produttivo in piena attività effettuati da organi pubblici preposti ai controlli di rispettiva competenza avevano attestato la conformità ai limiti tabellari dei parametri relativi agli scarichi e la conformità ai valori-limite di cui al predetto decreto n. 149 del 2012 dei parametri relativi alle emissioni in atmosfera.
Sennonché, in disparte la questione circa la legittimità del provvedimento di autorizzazione che sarà devoluta, unitamente alle altre, al giudice del rinvio, il ricorrente fondatamente lamenta la violazione di legge circa l’esatta interpretazione della norma penale incriminatrice di cui all’articolo 674 del codice penale.
Osserva infatti il pubblico ministero ricorrente che la contestazione cautelare riguardava anche le immissioni olfattive e cioè "le molestie" ricomprese nella prima parte del fatto di reato tipizzato, come condotta alternativa punibile rispetto a quella configurata nella seconda parte della stessa disposizione di legge, nella fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 674 del codice penale.
Da ciò consegue che la clausola "nei casi non consentiti dalla legge", contemplata nell’articolo 674 del codice penale, non è riferibile alla condotta di cui alla prima parte della norma citata, tra cui rientrano le molestie olfattive, ma esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative (Sez. 3, n. 16286 del 18/12/2008, dep. 2009, Del Balzo, Rv. 243456) ossia per i casi in cui, ed esclusivamente entro tali ambiti, le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali, e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano ed il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (Sez. 3, n. 37495 del 13/07/2011, Dradi, Rv. 251286; citata anche dall’ordinanza impugnata).
Nel caso in esame, non vi è motivo per discostarsi dal costante indirizzo di legittimità, secondo il quale il reato di cui all’articolo 674 del codice penale è configurabile anche in presenza di "molestie olfattive" promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti), e ciò perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche – e, quindi, valori soglia – in materia di odori (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, Pippi, in motiv.; Sez. 3, n. 37037 del 29/5/2012, Guzzo, Rv.253675); con conseguente individuazione del criterio della "stretta tollerabilità" quale parametro di legalità dell’emissione. Né vale, in senso contrario, l’assunto, anche contenuto nell’ordinanza impugnata, per il quale, in alcune occasioni, questa Corte ha invece affermato che la configurabilità dell’articolo 674 del codice penale è esclusa in presenza di immissioni provenienti da attività autorizzata e contenute nei limiti di legge, o dell’autorizzazione, perché tali pronunce, come detto, si riferiscono a casi nei quali vi è piena corrispondenza "qualitativa" e "tipologica" tra le immissioni riscontrate e quelle oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate dalla legge ossia tra quelle accertate e quelle che l’agente si era impegnato a contenere entro determinati limiti; situazione nella quale, come in precedenza precisato, il rispetto di questi ultimi implica una presunzione di legittimità del comportamento, concepita dall’ordinamento come necessaria per contemperare le esigenze di tutela pubblica con quelle della produzione economica (Sez. 3, n. 37495 del 13/7/2011, Dradi, cit.; Sez. 3, n. 40849 del 21/10/2010, Rocchi, Rv. 248672; Sez. 3, n. 15707 del 9/1/2009, Abbaneo, Rv. 243433).
Da quanto precede, dunque, deriva che, nel caso in esame, trovano applicazione i seguenti principi, enunciati dalla giurisprudenza sopra richiamata: a) l’evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità; b) qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (Sez. 3, n. 12019 del 10/02/2015, cit., Rv. 262711 e in motiv.; Sez. 3, n. 19206 del 27/3/2008, Crupi, Rv. 239874), circostanze che spetta al giudice del rinvio, quale giudice del merito, accertare nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati.
Devono pertanto ritenersi fondati, nei limiti delineati, anche pnrru cinque motivi di ricorso del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario di Salerno.
7. Conclusivamente, assorbiti gli altri rilievi, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al tribunale di Salerno che, nel riesaminare l’appello cautelare, si atterrà ai principi di diritto in precedenza enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno.
Così deciso il 28/09/2017