DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione di un’abitazione illegalmente edificata – Condizioni personali del destinatario dell’ordine – Diritto all’abitazione – Diritto della collettività alla rimozione della lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato – Principio di proporzionalità – Funzione ripristinatoria del bene tutelato – Natura di sanzione amministrativa – Potere autonomo del giudice – Giurisprudenza Corte EDU.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 29 Ottobre 2021
Numero: 39167
Data di udienza: 7 Settembre 2021
Presidente: ROSI
Estensore: SCARCELLA
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione di un’abitazione illegalmente edificata – Condizioni personali del destinatario dell’ordine – Diritto all’abitazione – Diritto della collettività alla rimozione della lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato – Principio di proporzionalità – Funzione ripristinatoria del bene tutelato – Natura di sanzione amministrativa – Potere autonomo del giudice – Giurisprudenza Corte EDU.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 29 ottobre 2021 (Ud. 07/09/2021), Sentenza n.39167
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione di un’abitazione illegalmente edificata – Condizioni personali del destinatario dell’ordine – Diritto all’abitazione – Diritto della collettività alla rimozione della lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato – Principio di proporzionalità – Funzione ripristinatoria del bene tutelato – Natura di sanzione amministrativa – Potere autonomo del giudice – Giurisprudenza Corte EDU.
L’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato. E’ stato affermato che il diritto all’abitazione, riconducibile all’art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio. Quindi, l’ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, assolvendo invece ad una funzione ripristinatoria del bene tutelato, affermando invece, la natura di sanzione amministrativa, disposta ed eseguita dal giudice penale, quale titolare di un potere autonomo e non alternativo a quello della P.A..
(dich. inammissibile il ricorso avverso ordinanza del 20/12/2020 del TRIBUNALE di VELLETRI) Pres. ROSI, Rel. SCARCELLA, Ric. Negri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 29/11/2021 (Ud. 07/09/2021), Sentenza n.39167SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da NEGRI SOFIA nata a ASMARA (ETIOPIA);
avverso l’ordinanza del 20/12/2020 del TRIBUNALE di VELLETRI;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;
lette le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza 20.12.2020, il Tribunale di Velletri, con funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente di esecuzione proposto dalla ricorrente Negri Sofia con cui veniva chiesta la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla Procura della Repubblica di Velletri il 5.12.2019, avente ad oggetto l’immobile edilizio abusivo realizzato in Rocca Priora nel 2010, demolizione disposta con la sentenza del Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Frascati del 18.01.2012, irrevocabile il 19.02.2012, emessa nei confronti della Negri per reati edilizi.
2. Contro l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613 c.p.p., articolando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Deduce, con il primo motivo, i vizi di violazione di legge e della motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per l’errata applicazione della L. R. Lazio n. 28 del 1980 in tema di recupero del patrimonio urbanistico abusivo e quanto ai presupposti che regolano la concessione della sospensione dell’ingiunzione a demolire le opere abusive.
In sintesi, l’immobile sarebbe inserito nella perimetrazione dei nuclei abusivi e nell’ambito della variante speciale nucleo, atti adottati dal comune di Rocca Priora ai fini del recupero del patrimonio urbanistico abusivo in base alla L. R. Lazio n. 28 del 1980. Trattasi, prosegue il ricorso, di due presupposti fattuali che sarebbero pienamente idonei alla formulazione di una positiva valutazione prognostica al fine di ottenere una concessione in sanatoria.
Inoltre, dopo aver richiamato la sentenza n. 5454/2017 della Corte di Cassazione ed il contenuto dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione, si afferma che erroneamente il giudice dell’esecuzione ha applicato il concetto di ultimazione dei lavori di cui alla cit. L. R., art. 1, comma 3, lett. a); le opere abusive recuperabili urbanisticamente sono quelle di cui al 31 dicembre 1993, “fosse consentito di percepire la concreta fisionomia del manufatto e la sua destinazione nei tratti essenziali”; il giudice dell’esecuzione ha reputato che la realizzazione dei lavori non fosse anteriore al 2004 e risalisse al 2010, secondo quanto indicato nel capo di imputazione; ha omesso di appurare la data di ultimazione delle opere, senza considerare che il concetto di ultimazione dei lavori di cui all’art. 1, comma 3, lett. a) L. R. Lazio n. 28 del 1980 deve essere riferito al concetto amministrativo urbanisitico-edilizio di ultimazione dei lavori e che a carico del ricorrente sussiste solo un onere di allegazione.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza che ha rigettato l’istanza di incidente di esecuzione sulla impossibilità soggettiva ed oggettiva degli occupanti a lasciare l’immobile, in quanto affetti da gravi patologie documentate.
Invero, sostiene la ricorrente, la stessa è criticabile laddove afferma anzitutto che non sono state fornite prove circa l’incapacità reddituale dei soggetti interessati di procurarsi altro alloggio confacente alle pregiudizievoli condizioni di salute ed economiche. L’immobile, in questione, si osserva è adibito ad abitazione in cui vivono oltre alla Negri anche il figlio del destinatario dell’ingiunzione demolire e il nipote, quest’ultimo affetto da gravi patologie documentate. Inoltre, considerate le condizioni di rilevante precarietà economica vissuta dagli stessi l’ordine di demolizione potrebbe esporli ad una situazione di indigenza ancora più profonda con conseguente impossibilità di reperti un nuovo alloggio.
Pertanto, l’ordinanza risulta illogica laddove afferma l’insussistenza di un diritto ad occupare l’immobile, anche se abusivo, perché casa familiare, con la conseguenza che l’ordine di demolizione non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma il diritto della collettività a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato.
Nella specie, prosegue il ricorso, il g.e. ha trascurato di verificare l’esistenza di una proporzionalità tra l’ordine di demolizione irrogato a tutela dell’interesse ambientale e l’esigenza di preservare altri valori costituzionalmente garantiti.
Sul punto, assume la ricorrente che il giudice dell’esecuzione non ha correttamente applicato i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria). La questione è sovrapponibile al caso in esame, nonostante il Tribunale, in funzione di G.E., abbia ritenuto non rilevanti le condizioni soggettive sopra evidenziate, avendo la Negri “avuto tutto il tempo necessario per cercare una soluzione alternativa considerato che si tratta di sentenza la cui irrevocabilità risale al 2012, ovvero a quasi nove anni in cui la stessa è rimasta inerte, senza valutare la applicabilità del principio espresso in sede sovranazionale. In particolare, il Tribunale non ha valutato né l’indisponibilità di un alloggio alternativo, né i gravi problemi di salute e la disagiata situazione economica della ricorrente. A ciò si aggiunge anche la mancata motivazione, in relazione al suddetto art. 8 Cedu, da parte del G.E. chiamato a valutare la legittimità dell’ordine di demolizione impartito dall’autorità giudiziaria rispetto agli ulteriori diritti del condannato, degni di valutazione. Né il g.e. ha fornito alcuna motivazione in ordine alla difficoltà di reperire un domicilio alternativo da parte di chi risulterebbe privo delle condizioni fisiche ed economiche per provvedervi. La demolizione, con la conseguente perdita della casa per soggetti deprivati della salute psico-fisica, comporta, prosegue il ricorso, l’emergenza di un nuovo interesse pubblico da tutelare, il quale dovrebbe ritenersi prevalente su quello richiamato dall’ordinanza, ossia di tutela del territorio, il che verrebbe corroborato anche dalla distanza temporale della condotta illecita, potendosi considerare l’opera abusiva ormai integrata con l’ambiente urbanistico circostante. Il principio di proporzionalità non è stato oggetto di valutazione da parte del G.E. in quanto la contestazione dell’abusività dell’opera risale all’anno 2010, mentre la procedura esecutiva è iniziata a distanza di 10 anni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, concordemente alle conclusioni del PG rassegnate in data 9.06.2021, è manifestamente infondato e deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
E’ dirimente osservare che la questione relativa all’ultimazione delle opere è inammissibile, perché proposta per la prima volta in cassazione. Peraltro, sia l’istanza di incidente di esecuzione proposta dal ricorrente presente agli atti, sia il capo di imputazione dimostrano in maniera inequivocabile la realizzazione dell’immobile in epoca successiva al 31 dicembre 1993, ovvero nel luglio 2010. Pertanto, il giudice dell’esecuzione ha correttamente ritenuto che le opere fossero state realizzate in epoca successiva al 31 dicembre 1993 in base al contenuto della sentenza divenuta irrevocabile.
Ed invero, che l’opera non fosse iniziata alla data del 31 dicembre 1993 era già stato accertato con la sentenza irrevocabile di condanna. Difatti il g.e., come emerge dalla motivazione, afferma che “gli abusi in esame risalgano al luglio del 2010” (p. 1 dell’ordinanza del Tribunale in funzione di g.e.); si tratta, quindi, di un accertamento coperto dal giudicato, che non può essere più messo in discussione in questa sede.
Da quanto precede emerge che l’accertamento in fatto espresso dalla sentenza definitiva in ordine all’epoca di ultimazione dei lavori non può essere in alcun modo travolto o ridiscusso nella sede esecutiva. La ricorrente non si attiene all’indicato principio e tenta di porre nuovamente in discussione nella presente sede di legittimità la prova in ordine all’epoca di ultimazione delle opere.
Si tratta, dunque, di motivo di impugnazione oltre che nuovo, anche manifestamente infondato, che deve essere dichiarato inammissibile.
3. La questione, peraltro, è comunque inammissibile perché generica.
Come correttamente rilevato dal PG nella sua requisitoria scritta – depositata in data 9.06.2021, antecedente all’entrata in vigore dell’art. 7, comma 2, d.l. n. 105 del 23 luglio 2021 – questa stessa Sezione, esaminando un ricorso di analogo tenore (Cass., n. 2930/2021), a fronte della censura della mancata considerazione della legge regionale del Lazio n. 28 del 1980, in tema di recupero dell’abusivismo edilizio, ha rilevato la mancanza della necessaria specificità, in quanto (come nel caso di specie) “non risulta allegata, al di là della adozione della delibera comunale di perimetrazione dei nuclei abusivi da parte del Consiglio comunale …, la definizione in tempi brevi della procedura per la sanatoria degli individuati nuclei abusivi che passa necessariamente dalla conclusione dell’iter amministrativo, segnatamente dall’adozione della variante speciale che autorizza la presentazione di una istanza di concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 5…, la sua presentazione ai sensi dell’art. 17…, oltre che dalla sussistenza dei presupposti di compatibilità del manufatto abusivo con la nuova programmazioni urbanistica, come delineatasi all’esito del procedimento amministrativo, tra cui, in primis, l’epoca di realizzazione del manufatto in quanto, tenuto conto dell’art. 1…, la sanatoria è limitata alle costruzioni abusive ultimate fino alla data del 31 dicembre 1993”.
Da qui, dunque, l’ulteriore ragione di inammissibilità del motivo proposto.
4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
Osserva la Corte che il G.e., pronunciandosi proprio sulle stesse questioni qui riprodotte, ha redatto una motivazione congrua, priva di qualsivoglia illogicità manifesta che la Negri, per contro, lamenta.
Si concorda, dunque, con quanto argomentato dal PG nella sua requisitoria scritta, in cui si evidenzia che il difetto di proporzionalità della demolizione in relazione al diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU viene dedotto sostanzialmente invocando una diversa valutazione di merito, a fronte di una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria. Non sono pertanto fondate le censure esposte nel secondo motivo, nella parte in cui contestano la mancata valutazione della documentazione prodotta sulle condizioni socio-economiche e di salute della ricorrente, né alcuna violazione della Convenzione EDU può ravvisarsi nel caso di specie se solo si tenga in considerazione che la questione posta dalla ricorrente non è affatto nuova, essendosi questa Sezione già pronunciata in casi sostanzialmente identici, affermando principi che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità.
4.1. Si è infatti precisato che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” all’inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (Sez. III, n. 18949 del 10/03/2016). In motivazione, la Corte ha osservato che dalla giurisprudenza CEDU si ricava, al contrario, l’opposto principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.
Nello stesso alveo si collocano decisioni più recenti, in particolare, tra le altre, vanno richiamate decisioni: Sez. III, n. 24882 del 26/04/2018; Sez. III, n. 17398 del 19/03/2019; Sez. III, n. 48021 del 11/09/2019; Id. n. 423 del
14/12/2020, in cui si è affermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato. E’ stato affermato che il diritto all’abitazione, riconducibile all’art. 8 CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio (tra le altre, Sez. III, n.15141 del 20/2/2019 ; Id. n.26334 del 15/07/2020).
4.2. Invero, l’ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, assolvendo invece ad una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, dunque, non é quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando quell’equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti – ciascuno per la propria competenza – hanno voluto stabilire. Ed é proprio in ragione dell’esclusione di finalità punitive ad esso sottese, essendosene al contrario evidenziato il carattere reale, volto cioè a far ricadere i suoi effetti sul soggetto che si trova, al momento della sua esecuzione, in rapporto con il bene, quand’anche non sia l’autore dell’abuso, che é stata ripetutamente negata la riconducibilità dell’ordine di demolizione alla nozione convenzionale di “pena” nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, per affermarne invece la natura di sanzione amministrativa, disposta ed eseguita dal giudice penale, titolare di un potere autonomo e non alternativo a quello della P.A. (Sez. III n. 49331/2015; Id. n. 41475 del 03/05/2016; Id. n. 3979 del 21/09/2018).
Ne consegue che diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non ha natura penale, con tutte le relative implicazioni anche in termini di necessaria tempestività o comunque non significativo ritardo della esecuzione (cfr. Sez. III, n. 49331 del 10/11/2015). Difatti, in merito alla censura sulla violazione dell’art. 8 e art. 6, p.1 della Corte Edu, per tardività dell’ordine di demolizione, quale sanzione di natura penale, che come tale non può essere impedita, inficiata o ritardata in maniera eccessiva, richiamato il principio giurisprudenziale quanto alla inammissibilità della prospettazione di questioni giuridiche manifestamente infondate, va sottolineata l’insussistenza di alcun legittimo affidamento in capo alla ricorrente, consapevole della illecita realizzazione di un’opera abusiva.
4.3. Inoltre, né dalla sentenza EDU Ivanova c. Bulgaria del 21.4.2016 né da alcun’altra pronuncia della Corte Europea emerge alcun diritto assoluto ad occupare un immobile specie se abusivo solo perché casa familiare, venendo al contrario ivi affermato il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o di un interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio edilizio-urbanistico violato. Difatti, non può essere qui invocata la sentenza della Corte EDU 21/4/2016 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), citata dalla ricorrente, in cui a seguito della realizzazione di un immobile in assenza di permesso di costruzione, era stato indetto dall’autorità pubblica un bando di gara rivolto alle compagnie private per la demolizione dell’opera abusiva. La Corte EDU ha ritenuto legittima l’interferenza statale in quanto fondata sulla normativa interna, e tale doveva essere dichiarata anche la demolizione.
Nel caso in esame la Corte ha escluso che il bilanciamento tra il diritto all’abitazione e l’interesse pubblico all’effettiva applicazione delle norme in materia edilizia possa esplicarsi in termini assoluti e, quindi, in via generale, dovendo piuttosto procedersi caso per caso, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta. L’obbiettivo perseguito mediante l’ordine di demolizione, è quello di garantire il ripristino dello status quo ante, in modo tale da ristabilire l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio, così scoraggiando anche eventuali ulteriori trasgressori. L’interesse generale della collettività al rispetto della normativa nazionale si presenta, pertanto, come un limite idoneo della tutela dell’interesse patrimoniale del singolo. In ogni caso, non può prescindersi da un giudizio di proporzionalità dell’azione statale, pena la violazione dell’art. 8 CEDU.
La Corte ha inoltre negato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa configurare una violazione dell’art. 1 Prot. 1: la misura persegue, come sopra evidenziato, uno scopo legittimo, garantendo l’effettiva attuazione della normativa interna in materia, sicché essa può essere ricondotta alla “prevenzione dei disordini”, finalizzata a promuovere il “benessere economico del paese (art. 8, § 2, Cedu) (Sez. III, n. 27840 del 23/03/2016; Id n.31982 del 16/06/2017; Id. n. 15141 del 20/02/2019).
Si deve invece rilevare che il significato del principio di proporzionalità é stato oggetto, recentemente, di una analitica e rigorosa puntualizzazione da parte della medesima Corte EDU (sent. 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania). In tale decisione é stato espressamente escluso che le condizioni personali del destinatario dell’ordine di demolizione possano avere un peso determinante per escludere la violazione del diritto del singolo al rispetto del proprio domicilio, quando questi abbia consapevolmente costruito la propria abitazione in un’area protetta senza permesso, perché, a ritenere altrimenti, si incoraggerebbe un’azione illegale a scapito della tutela dei diritti ambientali delle altre persone facenti parte della comunità, ed in ogni caso sottolineato come, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, un ruolo rilevante doveva essere attribuito alle garanzie procedurali assicurate, e, in particolare, alla concessione all’interessato di un tempo ragionevole per effettuare la demolizione (Sez. III, n. 35835 del 13.11.2020).
4.4. Da ultimo, va richiamata la sentenza della Sez. III (n. 423/2020), nella quale è stato affermato che l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, ed adibito ad abituale abitazione di una persona, costituisce principio rispondente all’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte EDU, ed è applicabile da parte del giudice italiano in forza di interpretazione sistematica adeguatrice. Ne consegue che il dovere di valutare il rispetto del principio di proporzionalità nella fase di esecuzione dell’ordine di demolizione di un’abitazione illegalmente edificata, secondo l’orientamento consolidato della Corte EDU, non implica un’assoluta discrezionalità del giudice, ma la necessità di rispettare alcuni precisi criteri guida. Innanzitutto, si osserva in sentenza, il principio di proporzionalità nell’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile illegalmente costruito assume rilievo secondo l’orientamento consolidato della Corte EDU solo quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona, di cui all’art. 8 della CEDU, e non anche quando viene opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà, garantito dall’art. 1 del Prot. 1 CEDU (Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria sopra citato; Kanninskas c. Lituania sopra citato, solo in relazione all’art. 8 CEDU).
L’esigenza di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, quindi, quando attiene ad un manufatto illegalmente edificato, è configurabile esclusivamente in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione di una persona. In secondo luogo, ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, un rilievo centrale assumono, da un lato, l’eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell’attività edificatoria da parte dell’interessato, stante l’esigenza di evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente e, dall’altro, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l’attivazione del procedimento di esecuzione, per consentire all’interessato di “legalizzare”, se possibile, la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative. Inoltre, ai fini del giudizio circa il rispetto del principio di proporzionalità, sono sicuramente rilevanti le condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dei dell’interessato; queste condizioni, però, non risultano mai essere considerate, di per sé sole, risolutive, o perché valutate congiuntamente ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l’attivazione del procedimento di esecuzione o perché esplicitamente ritenute recessive in caso di consapevolezza dell’illegalità della edificazione al momento del compimento di tale attività e di concessione di adeguati periodi di tempo per consentire la regolarizzazione, se possibile, della situazione, e per trovare una soluzione alle esigenze abitative. Pertanto, per quanto non sufficienti per evitare la demolizione della propria abitazione, le condizioni personali dell’interessato non possono essere ignorate dal giudicante ma, al contrario, soppesate e devono trovare sede nella motivazione del suo provvedere.
5. Nel caso in esame, il Tribunale ha evidenziato la genericità del motivo, in quanto la ricorrente non ha puntualmente documentato l’impossibilità sia di spostarsi in altro luogo, sia di reperire altra soluzione abitativa. In particolare, ha sottolineato l’irrilevanza delle circostanze fatte valere con l’istanza e, in particolare, il richiamo ad un diritto ex se a continuare a vivere in un immobile, anche se abusivo, sol perché casa familiare; irrilevanza che, peraltro, non cede a fronte della grave patologia psichica del nipote della Negri documentato dalla ricorrente, né del grave stato di disagio economico, poiché trattasi di elementi all’evidenza compatibili con l’esecuzione dell’ordine di demolizione né incompatibili con la possibilità di ottenere una diversa soluzione abitativa. In particolare, il tribunale a pag. 2 sottolinea che in realtà, dalla documentazione depositata dalla ricorrente, emerge solo che il nipote (il cui dimorare nell’abitazione peraltro non è stato comprovato documentalmente) è “affetto da psicosi da innesto” che comporta continui ricoveri in ospedale, elemento che però non consente né di affermare l’inamovibilità dell’interessato (circostanza tra l’altro non dedotta dalla difesa), né di individuare le ragioni per cui tale patologia possa essere di ostacolo all’esecuzione dell’ordine di demolizione.
Stesse argomentazioni sono state svolte dal Tribunale circa il grave stato di disagio economico. Ed infatti, si sottolinea anche qui la totale carenza di documentazione relativa sia alle possibilità economiche della Negri e del suo nucleo familiare, sia alla possibilità di reperire un alloggio anche per il tramite di enti pubblici a ciò preposti. Inoltre, si precisa che l’edificazione abusiva singolarmente imposta dalle necessità economiche non risulta essere stata mai rappresentata al giudice nel corso del processo.
Pertanto, non v’è dubbio che, nel caso di specie, il giudizio di proporzionalità sia stato correttamente operato avendo il g.e. applicato i principi giurisprudenziali espressi in materia da questa Corte. In particolare, si legge nell’ordinanza, le doglianze circa la valutazione dello stato di salute e le condizioni economiche sollevate (che secondo la ricorrente dovrebbero indurre il giudice a ritenere prevalente il diritto all’abitazione), in realtà, stante la genericità delle doglianze circa le difficoltà economiche e il reperimento di alloggi alternativi nonché l’infondatezza delle questioni attinenti la salute delle occupanti, non possono che condurre ad un giudizio di prevalenza delle esigenze statuali rispetto a quelle del privato istante.
Ne consegue che il Tribunale ha correttamente rilevato la genericità del motivo in quanto le deduzioni difensive circa l’indisponibilità economica della Negri sono del tutto sprovviste di dimostrazione. A ciò si aggiunge l’ulteriore considerazione che la ricorrente nemmeno ha dato prova né che le condizioni di salute del nipote le impediscano di essere spostata da un luogo all’altro e nemmeno di aver interpellato i servizi sociali per ottenere un’altra soluzione abitativa nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica, tenuto anche conto del fatto che l’ordine di demolizione è suscettibile di esecuzione sin dal 2012 e, nonostante ciò, la ricorrente è sempre stata totalmente inerte.
Difatti, il G.e. nella motivazione sottolinea che la ricorrente, dinanzi ad un ordine di demolizione esecutivo dal febbraio 2012, è rimasta inerte per quasi 9 anni e correttamente ha precisato che tale inerzia non può trasformarsi in uno strumento di perpetrazione dell’illegalità mediante lo sfruttamento delle eventuali sopravvenienze (il riferimento è al certificato medico rilasciato al nipote affetto da patologia datato 17 gennaio 2020; pag. 3 dell’ordinanza).
Infine, con maggior precisione, si osserva che la ricorrente, anche in questa sede, non ha affatto sostenuto che le proprie condizioni di salute le impediscano tout court di essere spostata da un luogo all’altro, né ha riferito di essere sprovvista di qualsivoglia altra abitazione, privata o di edilizia residenziale pubblica; elementi che, peraltro, non sono stati sottoposti neppure al Giudice del merito, sì da evidenziarsi ulteriormente un difetto nell’onere di allegazione che sull’interessato certamente gravava.
Ne discende, quindi, anche in questo caso la manifesta infondatezza del motivo.
6. L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 7 settembre 2021