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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto sanitario Numero: 36820 | Data di udienza: 14 Settembre 2022

DIRITTO SANITARIO – Tutela della salute – Odontoiatria – Intervento implantologico – Apparecchiature “Cone beam” – Esposizione dei pazienti a radiazioni ionizzanti – Senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali s/vantaggi diagnostici o terapeutici – Continuità normativa tra l’art.14, co. 1, d.Lgs. n.187/2000 e l’art. 243 d.lgs. n.101/2020 – Fattispecie: pazienti sottoposti a radiazioni ionizzanti in assenza dei requisiti espressamente richiesti dalla normativa di riferimentoDIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attenuanti generiche – Ottenimento o diniego delle attenuanti – Elementi ritenuti idonei per giustificare trattamento sanzionatorio.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 29 Settembre 2022
Numero: 36820
Data di udienza: 14 Settembre 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: SCARCELLA


Premassima

DIRITTO SANITARIO – Tutela della salute – Odontoiatria – Intervento implantologico – Apparecchiature “Cone beam” – Esposizione dei pazienti a radiazioni ionizzanti – Senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali s/vantaggi diagnostici o terapeutici – Continuità normativa tra l’art.14, co. 1, d.Lgs. n.187/2000 e l’art. 243 d.lgs. n.101/2020 – Fattispecie: pazienti sottoposti a radiazioni ionizzanti in assenza dei requisiti espressamente richiesti dalla normativa di riferimentoDIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attenuanti generiche – Ottenimento o diniego delle attenuanti – Elementi ritenuti idonei per giustificare trattamento sanzionatorio.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 29 settembre 2022 (Ud. 14/09/2022), Sentenza n.36820

 

DIRITTO SANITARIO – Tutela della salute – Odontoiatria – Intervento implantologico – Apparecchiature “Cone beam” – Esposizione dei pazienti a radiazioni ionizzanti – Senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali s/vantaggi diagnostici o terapeutici – Continuità normativa tra l’art.14, co. 1, d.Lgs. n.187/2000 e l’art. 243 d.lgs. n.101/2020 – Fattispecie: pazienti sottoposti a radiazioni ionizzanti in assenza dei requisiti espressamente richiesti dalla normativa di riferimento.

In materia di norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, sussiste continuità normativa tra il reato di mancata ottemperanza agli obblighi di giustificazione in caso di esposizione a radiazioni ionizzanti di cui all’art. 14, comma 1, d.lgs. 26 maggio 2000, n. 187, formalmente abrogato dall’art. 243 d.lgs. 31 luglio 2020, n. 101 e la previsione di cui all’art. 213, comma 1, del medesimo decreto, che sanziona, sebbene in modo maggiormente afflittivo, la violazione degli obblighi di cui all’art. 157, comma 1, corrispondenti a quelli già previsti dall’art. 3 del decreto abrogato. Inoltre, il requisito della “contestualità” attiene sia l’ambito temporale in cui si sviluppa la prestazione strumentale specialistica, sia anche l’ambito funzionale necessario al soddisfacimento delle finalità della stessa prestazione specialistica. Funzionalmente l’uso della pratica complementare deve essere connotato dall’essere un elemento di ausilio alla prestazione stessa, in quanto in grado di apportare elementi di miglioramento o arricchimento conoscitivo, utili a completare e/o a migliorare lo svolgimento dello stesso intervento specialistico di carattere strumentale. Ulteriore requisito richiesto per legittimare l’esecuzione di accertamenti radiodiagnostici complementari è rappresentato inoltre dalla necessaria condizione che la pratica complementare, per risultare utile ed efficace, deve risultare funzionalmente non dilazionabile in tempi successivi rispetto all’esigenza di costituire un ausilio diretto ed immediato al medico specialista o all’odontoiatra per l’espletamento della procedura specialistica stessa (dovendo come prescritto risultare “indilazionabile”). Possono dunque ritenersi giustificate ed ammesse solo quelle pratiche complementari che, per la loro caratteristica di poter costituire un valido ausilio diretto ed immediato per lo specialista, presentino il requisito sia funzionale che temporale di essere “contestuali”, “integrate” ed “indilazionabili” rispetto allo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina.

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attenuanti generiche – Ottenimento o diniego delle attenuanti – Elementi ritenuti idonei per giustificare trattamento sanzionatorio.

In tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.

(rigetta il ricorso avverso sentenza del 03/11/2021 del TRIBUNALE di PALERMO) Pres. RAMACCI, Rel. SCARCELLA, Ric. Enia


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 29/09/2022 (Ud. 14/09/2022), Sentenza n.36820

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da: ENIA L. nato a PARTINICO;

avverso la sentenza del 03/11/2021 del TRIBUNALE di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore VALENTINA MANUALI, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso, definito ex art. 23 comma 8 D.L. 137/2020 e successive modd. ed integr.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 3.11.2021, il tribunale di Palermo ha condannato ENIA L. alla pena condizionalmente sospesa di 3000 euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art..14, co. 1, d. Lgs. 187/2000, per aver esposto numerosi pazienti a radiazioni ionizzanti con apparecchiature “Cone beam” senza giustificarne il ricorso, senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici, in relazione a fatti del 16.01.2016.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i due motivi di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 14, co. 1, d. Lgs. n. 187 del 2000 ed il correlato vizio di illogicità della motivazione.

In sintesi, il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente interpretato la disciplina giuridica ed i presupposti per l’applicabilità della norma in esame, non motivando logicamente circa l’attribuibilità all’imputato delle condotte contestate. Premesso che la normativa in esame prevede che per attività diagnostiche complementari, tra cui quella impiegata dall’imputato, debbano intendersi “l’attività di ausilio diretto al medico chirurgo specialista o all’odontoiatra per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, purché contestuali, integrate e indilazionabili rispetto all’espletamento della procedura specialistica”, si evidenzia come l’impugnata sentenza, pur prodigandosi a fornire un’interpretazione del significato e contenuto delle menzionate caratteristiche delle attività diagnostiche complementari utilizzate per l’espletamento della professione odontoiatrica, sarebbe tuttavia pervenuta alla decisione di condanna senza tuttavia spiegare il motivo per cui fosse giunta a tale approdo, non venendo in alcun modo individuata la condotta che sarebbe stata posta in essere dal ricorrente in violazione della predetta normativa o il perché egli avrebbe agito in assenza dei requisiti espressamente richiesti dalla predetta normativa o interpretando in modo esageratamente estensivo i requisiti stessi.

Sul punto, si duole il ricorrente per non aver il giudice preso in esame quanto dichiarato dal reo in occasione dell’esame reso all’ud. 10.09.2020, nel corso del quale aveva spiegato le ragioni poste a fondamento dell’utilizzo dell’apparecchiatura diagnostica in questione e le circostanze per le quali il suo uso era da ritenersi contestuale, integrato e non dilazionabile, segnatamente evidenziando come ciascuno dei suoi pazienti fosse stato sottoposto all’uso della Cone Beam per fini diagnostici in materia odontoiatrica, atteso che l’esito dell’esame in questione era fondamentale per conoscere le condizioni in cui si trovava il paziente e l’applicabilità di un determinato piano terapeutico, non potendosi prescindere da un’accurata analisi delle condizioni della struttura ossea della bocca, prima di valutare l’entità e la fattibilità di un intervento implantologico, essendo l’esame diagnostico in questione dunque un presupposto della diagnosi, ed anche della valutazione medico odontoiatrica circa il piano terapeutico da seguire.

La motivazione sul punto, pertanto, sarebbe apparente in quanto non avrebbe spiegato perché la normativa sarebbe stata violata dalle condotte del ricorrente, trascurando di analizzare le finalità della normativa e la sua ratio, in quanto volta non solo a limitare la sottoposizione dei pazienti alle radiazioni ionizzanti, ma anche e soprattutto ad evitare che la struttura medica in possesso di un apparecchio radio-diagnostico possa pensare di sostituirsi ai centri radiodiagnostici specializzati. I requisiti di contestualità, integrazione e indilazionabilità dell’attività diagnostica complementare non possono ritenersi sussistere qualora un soggetto di rechi da un odontoiatra solo per ottenere l’effettuazione dell’esame e non per ottenere il parere specialistico, ed in tali casi il paziente avrebbe dovuto recarsi presso un centro radiodiagnostico debitamente autorizzato; diversamente, quando il paziente si rechi presso lo studio specialistico per ottenere un trattamento terapeutico per curare una propria affezione e sia necessario per il medico effettuare l’esame diagnostico al fine di poter elaborare un piano terapeutico preciso ed individualizzante.

In quest’ultimo caso, sostiene la difesa, le caratteristiche di contestualità, integrazione e non dilazionabilità devono essere ritenute come ricorrenti, anche qualora, per avventura, il paziente decida di non volersi sottoporre all’intervento proposto dallo specialista. In tal senso, dunque, per la difesa non sarebbero conducenti le valutazioni circa l’effettuazione o meno di interventi specialistici in esito all’effettuazione dell’esame complementare diagnostico, rilevando piuttosto se contestualmente ed in esito all’esame sia stato elaborato un piano terapeutico ed una diagnosi da parte del medico.

2.2. Deduce, con il secondo motivo di ricorso, il vizio di violazione di legge in merito al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

In sintesi, sostiene il ricorrente che il giudice di merito abbia valutato in maniera erronea e limitante la sussistenza dei requisiti richiesti per il riconoscimento dell’art. 62 bis c.p., omettendo di operare qualsiasi riferimento alla sussistenza dei presupposti normativi per il riconoscimento, nonostante il ricorrente avesse tenuto una condotta processuale corretta nonché una perfetta contabilità delle attività svolte.

3. In data 4.07.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso perché i motivi formulati sono manifestamente infondati, sia con riguardo alle deduzioni di violazioni di legge, sia con riguardo a quelle inerenti alla motivazione del provvedimento.

In particolare, rileva il PG che la decisione del Tribunale ha correttamente applicato l’articolo 14 comma 1 del decreto legislativo 187 del 2000 ed è basata su una motivazione chiara, completa e adeguata, pienamente ragionevole, avendo rilevato che su un totale di 25 pazienti sottoposti alle radiazioni ionizzanti tramite la tecnica TC volumetrica Cone Bean, 12 pazienti non avevano effettuato alcun trattamento odontoiatrico, mentre la restante parte si era sottoposta a talune prestazioni ma non contestualmente alla sottoposizione alle radiazioni ionizzanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato a norma dell’art. 23, comma ottavo, d.l. n. 137/2020 e successive modd. ed integr., è complessivamente infondato.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Deve preliminarmente essere evidenziato che il d. Lgs. 187/2000 è stato abrogato dal D.Lgs. 31 luglio 2020, n. 101, entrato in vigore il 27 agosto 2020 con cui è stata recepita la Direttiva 2013/59/Euratom (norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti). La previsione dell’art. 14, d. Lgs. 187/2000, oggetto di contestazione, già abrogata all’epoca di pronuncia della sentenza (art. 243, d. Lgs. 101/2020), è oggi contemplata, in rapporto di continuità normativa, dal nuovo art. 213, comma 1, d. Lgs. n. 101/2020. In particolare, è l’art. 7 del d.lgs. 101/2020, con previsione sovrapponibile all’abrogato art. 2, comma 1, lett. b), d. Lgs. 187/2000, a definire al comma 1, n. 8, come «attività radiodiagnostiche complementari» quelle “attività di ausilio diretto al medico specialista o all’odontoiatra per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, purché contestuali, integrate e indilazionabili, rispetto all’espletamento della procedura specialistica”, definizione corrispondente letteralmente a quella già esistente nell’abrogato d. Lgs. 187/2000. La disciplina applicabile al caso in esame è quella contenuta nell’attuale Tit. XIII del d. Lgs. 101/2020 relativo alle “esposizioni mediche” i cui articoli 157 e 158 riproducono pressoché letteralmente le omologhe previsioni degli artt. 3 e 4 dell’abrogato d. Lgs. 187/2000.

L’art. 159, comma 13, d. Lgs. 101/2020, con disposizione sostanzialmente analoga a quella dell’abrogato art. 7, co. 4, d. Lgs. n. 187/2000, aggiunge poi che “Le attività radiodiagnostiche complementari all’esercizio clinico possono essere svolte dal medico chirurgo in possesso della specializzazione nella disciplina in cui rientra l’attività complementare stessa, o dall’odontoiatra nell’ambito della propria attività professionale specifica. Nell’ambito di dette attività non possono essere effettuati esami per conto di altri soggetti o professionisti sanitari pubblici o privati, ne’ essere redatti o rilasciati referti radiologici”.

La violazione contestata è relativa, in particolare, alla mancata ottemperanza agli obblighi di giustificazione (come specificamente si evince dalla piana lettura del capo di imputazione) ed ottimizzazione, contemplati dall’abrogato d. Lgs. 187/2000 agli artt. 3 e 4, oggi dai corrispondenti articoli 157 e 158, d. Lgs. n. 101/2020. La disciplina sanzionatoria è oggi contemplata dall’art. 213, d. Lgs. 101/2020 che, per quanto concerne la violazione dell’art. 157, co. 1 (ossia in caso di esposizione non giustificata), prevede oggi una sanzione maggiormente afflittiva rispetto a quella prima contemplata dall’abrogato art. 14, d. Lgs. 187/2000 (ossia con l’arresto da sei mesi ad un anno o con l’ammenda da euro 20.000,00 ad euro 60.000,00, a fronte della previsione dell’art. 14 della sanzione alternativa dell’arresto sino a tre mesi o del l’ammenda da lire cinque milioni a lire venti milioni).

Sussiste, dunque, piena continuità normativa tra la previsione sanzionatoria dell’art. 213, comma primo, d. Lgs. n. 101/2020 e l’abrogato art. 14, comma primo, d. Lgs. 187/2000.

2.2. Tanto premesso, le argomentazioni sviluppate dal ricorrente, pur suggestive, non convincono.

Il giudice di merito ha infatti chiarito le ragioni per le quali l’esposizione dei pazienti all’esame radiodiagnostico eseguito con l’apparecchiatura “Cone Beam” non potevano essere considerate “giustificate”, alla luce della previsione normativa secondo cui le attività radiodiagnostiche complementari (quale quella eseguita con l’apparato radiodiagnostico in questione) di ausilio diretto all’odontoiatria per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, difettassero dei requisiti normativamente previsti, ossia non fossero “contestuali, integrate e indilazionabili, rispetto all’espletamento della procedura specialistica” (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).

In particolare, si deve intendere a tal fine, secondo l’uso comune della lingua, per “contestuale” tutto quello che avviene nell’ambito della prestazione stessa ed ad essa rapportabile. Il requisito della “contestualità” attiene sia l’ambito temporale in cui si sviluppa la prestazione strumentale specialistica, sia anche l’ambito funzionale necessario al soddisfacimento delle finalità della stessa prestazione specialistica. Funzionalmente l’uso della pratica complementare deve essere connotato dall’essere un elemento di ausilio alla prestazione stessa, in quanto in grado di apportare elementi di miglioramento o arricchimento conoscitivo, utili a completare e/o a migliorare lo svolgimento dello stesso intervento specialistico di carattere strumentale.

Ulteriore requisito richiesto per legittimare l’esecuzione di accertamenti radiodiagnostici complementari è rappresentato inoltre dalla necessaria condizione che la pratica complementare, per risultare utile ed efficace, deve risultare funzionalmente non dilazionabile in tempi successivi rispetto all’esigenza di costituire un ausilio diretto ed immediato al medico specialista o all’odontoiatra per l’espletamento della procedura specialistica stessa (dovendo come prescritto risultare “indilazionabile”). Possono dunque ritenersi giustificate ed ammesse solo quelle pratiche complementari che, per la loro caratteristica di poter costituire un valido ausilio diretto ed immediato per lo specialista, presentino il requisito sia funzionale che temporale di essere “contestuali”, “integrate” ed “indilazionabili” rispetto allo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina.

2.3. Alla luce delle pregresse considerazioni è stata ritenuta correttamente integrata la fattispecie contestata all’Enia il quale ha sottoposto i propri pazienti alle radiazioni ionizzanti in assenza dei requisiti espressamente richiesti dalla normativa di riferimento o, come altrettanto efficacemente ha evidenziato il giudice di merito “interpretando in modo esageratamente estensivo i requisiti stessi”, atteso che pur potendo in astratto riconoscersi la sussistenza del requisito della “,integrazione” dell’attività radiodiagnostica complementare svolta, nel caso di specie difettavano sicuramente i requisiti della contestualità e della indilazionabilità (come dimostrato dalla circostanza che su 25 pazienti, 12 di essi, pur essendo stati sottoposti all’esame, non avevano poi effettuato alcun trattamento odontoiatrico).

3. Il secondo motivo è invece manifestamente infondato.

Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, come si desume dalle conclusioni delle parti, è originato dalla mancata richiesta difensiva, che, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, aveva concluso per l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto o, in subordine, per il proscioglimento per prescrizione.

E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (tra le tante: Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992 – dep. 25/11/1992, Rv. 192381 – 01 ).

Ciò quindi, conclusivamente, comporta che la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017 – dep. 11/10/2017, Lamin, Rv. 271315 – 01).

Ne discende, dunque, che in assenza di espressa richiesta da parte dell’imputato, nessun dovere vi è per il giudice di riconoscere le predette attenuanti né, tantomeno di motivarne il mancato riconoscimento.

4. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Per completezza deve rilevarsi che il reato in esame non è ancora estinto per prescrizione in quanto al termine massimo, decorso in data 16.01.2021, devono essere aggiunti giorni 306 di sospensione per le ragioni evidenziate dal giudice di merito nell’impugnata sentenza, con la conseguenza che il termine maturerà il prossimo 2.04.2023.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen. l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 14 settembre 2022

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