RIFIUTI – Gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti – Qualifica di intermediario – Compiti – Differenza con il mediatore – Onere di vigilanza – Danno e fatto di reato – RISARCIMENTO DEL DANNO – Danno conseguenza – Danni cagionati alle parti civili – Condanna generica al risarcimento – Art. 452-quaterdecies cod. pen. – Art. 1754 cod. civ. – D. Lgs. n.205/2010 – Artt. 29 nonies, 29 sexties, 183, 256 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Doglianze tra loro affastellate – Difetto di specificità dei motivi – Inammissibilità del ricorso per genericità. (Segnalazione e massime a cura di Francesco Camplani)
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Agosto 2022
Numero: 30582
Data di udienza: 1 Giugno 2022
Presidente: RAMACCI
Estensore: ACETO
Premassima
RIFIUTI – Gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti – Qualifica di intermediario – Compiti – Differenza con il mediatore – Onere di vigilanza – Danno e fatto di reato – RISARCIMENTO DEL DANNO – Danno conseguenza – Danni cagionati alle parti civili – Condanna generica al risarcimento – Art. 452-quaterdecies cod. pen. – Art. 1754 cod. civ. – D. Lgs. n.205/2010 – Artt. 29 nonies, 29 sexties, 183, 256 d.lgs n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Doglianze tra loro affastellate – Difetto di specificità dei motivi – Inammissibilità del ricorso per genericità. (Segnalazione e massime a cura di Francesco Camplani)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 3 agosto 2022 (Ud. 01/06/2022), Sentenza n. 30582
RIFIUTI – Gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti – Qualifica di intermediario – Compiti – Differenza con il mediatore – Onere di vigilanza – Danno e fatto di reato – RISARCIMENTO DEL DANNO – Danno conseguenza – Danni cagionati alle parti civili – Condanna generica al risarcimento – Art. 452-quaterdecies cod. pen. – Art. 1754 cod. civ. – D. Lgs. n.205/2010 – Artt. 29 nonies, 29 sexties, 183, 256 d.lgs n.152/2006.
Nella qualifica di “intermediario”, che comprende anche il caso in cui tali soggetti non acquisiscano la materiale disponibilità dei rifiuti, rientra anche l’attività di chi si limiti a porre in contatto il detentore, il trasportatore e il gestore del sito finale, rappresentando l’anello di congiunzione tra i principali attori del ciclo di gestione del rifiuto. Inoltre, l’intermediario senza detenzione di rifiuti è una figura professionale – in quanto tale tenuta all’iscrizione all’albo e necessitante di una formazione tecnico-giuridica – tenuta a individuare i soggetti dotati dei titoli abilitativi necessari a gestire i rifiuti dei produttori, consentendo a questi ultimi di raggiungere un impianto idoneo a recuperare o smaltire i propri rifiuti fra i diversi con cui mantiene rapporti commerciali. Pertanto, non può riscontrarsi alcuna possibile associazione tra la figura dell’intermediario nella gestione di rifiuti e quella del mediatore ai sensi dell’art. 1754 cod. civ. – ossia colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare – che identifica un’attività diversa, non applicabile al contesto in questione. In capo all’intermediario vige un onere di vigilanza e di controllo in merito al possesso, da parte del soggetto deputato allo smaltimento dei rifiuti, delle dovute autorizzazioni e qualifiche, atteso che, per espressa previsione di legge (art. 183, comma 1, lettera N del Dlgs. 152/2006), l’attività di intermediazione, pur senza detenzione, rientra nell’ambito della gestione dei rifiuti, i cui attori sono tutti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi (principio di responsabilità condivisa). Infine, non hanno rilevanza, nella sede del giudizio penale, le considerazioni difensive in ordine alla sussistenza effettiva del nesso di causalità tra i fatti ascritti all’imputato e i danni cagionati alle parti civili, oggetto di condanna generica al risarcimento. Tali deduzioni, infatti, sollecitano un esame nel merito dell’esistenza del “danno conseguenza” in ordine al quale la sentenza impugnata non fa stato nel giudizio civile essendosi il giudice penale limitato ad affermarne l’astratta potenzialità a cagionare il danno.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Doglianze tra loro affastellate – Difetto di specificità dei motivi – Inammissibilità del ricorso per genericità.
La formulazione in modo del tutto discorsivo di doglianze tra loro affastellate di cui non è, perciò, chiara ed univoca la riferibilità a una violazione di legge piuttosto che alla motivazione della sentenza si traduce in un difetto di specificità dei motivi, che comporta l’inammissibilità del ricorso per genericità.
(conferma sentenza del 25/05/2021 della CORTE APPELLO di MILANO), Pres. RAMACCI, Rel. ACETO, Ric. Zonca ed altro
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 03/08/2022 (Ud. 01/06/2022), Sentenza n. 30582SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
ZONCA M. nato a ARONA;
GIRO D. nato a PORTOGRUARO;
avverso la sentenza del 25/05/2021 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale PIETRO MOLINO, che ha concluso per l’inammissibilita di entrambi i ricorsi;
udito, per le parti civili Città Metropolitana di Milano, Comune di Milano, PETTINATO CARMINE, IPB SRL in liquidazione, rispettivamente, l’AVV. TIZIANA SGOBBO, sostituto processuale dell’AVV. MARIALUISA FERRARI, per conto della Città Metropolitana, l’AVV. MARCO DAL TOSO, per conto del Comune, l’AVV. ANTONELLA PETTINATO, per conto di CARMINE PETTINATO, l’AVV. VIRGILIO DI MEO, sostituto processuale dell’AVV. MATTEO MASSIMI, per IPB, che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali come da memorie,. conclusioni scritte e nota spese depositate in udienza da ciascuno dei patroni;
uditi, per gli imputati, l’AVV. GIANCARLO TONETTO, difensore di GIRO D., e l’AVV. CARLALBERTO AGOSTINO PIRRO, difensore di M. ZONCA, anche per conto del codifensore AVV. DANILO CECCONI, i quali hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.1. Con sentenza del 25/05/2021, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 10/10/2019 del Tribunale di Milano, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato ed impugnata dagli odierni ricorrenti, ha rideterminato la pena, nei confronti di Giro D., esclusa la contestata recidiva, in anni due e mesi otto di reclusione e nei confronti di Zonca M., previa concessione delle attenuanti generiche, in anni tre di reclusione, confermando nel resto la loro condanna per i reati di cui agli artt. 110, 452-quaterdecies cod. pen. (capo A), 110 cod. pen., 256, d.lgs. n. 152 del 2006 (capi B e C, attribuiti al solo Zonca), 110 cod. pen., 256, d.lgs. n. 152 del 2006 (capo E, attribuito a entrambi).
Per i Giudici di merito gli imputati, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con plurime operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative e organizzate, avevano gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali, costituiti prevalentemente da rifiuti indifferenziati urbani, per non meno di 37.000 metri cubi, in particolare utilizzando un provvedimento amministrativo di autorizzazione alla gestione dei rifiuti rilasciato alla società «IPB S.r.l.», ma ritenuto inefficace nei confronti dell’affittuaria «IPB Italia S.r.l.» per mancanza di valida fideiussione. Nello specifico, avevano gestito in modo del tutto clandestino e abusivo, dal 1° marzo 2018 al 14 ottobre 2018, rifiuti, costituiti prevalentemente da una miscellanea di rifiuti di origine diversa (tipologie di materiali post-consumo di uso comune nonché rifiuti da produzione industriali/artigianali) in “balle reggiate”, che venivano stoccati presso il sito di Milano, via Chiasserini 19-21, gestito in affitto d’azienda dalla «IBP Italia S.r.l.», e che venivano successivamente trasferiti, in parte, presso le discariche abusive situate in Verona San Massimo, Meleti e Fossalta di Piave.
Per tale condotta gli imputati sono stati ritenuti penalmente responsabili del reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. rubricato al capo A, Zonca in qualità di amministratore unico della società «IPB Italia s.r.l.» dal 31.01.2018 al 08.06.2018, e Giro quale intermediario nel traffico di rifiuti diretti al capannone di Fossalta di Piave.
Per la abusiva gestione dei singoli siti adibiti a discarica (Milano, Verona San Massimo, Fossalta di Piave) sono stati ritenuti colpevoli anche del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256, d.lgs. n. 152 del 2006, rubricato ai capi B e C (siti di Milano e Verona San Massimo, contestati al solo Zonca) ed E (sito di Fossalta di Piave, contestato a entrambi).
2. Hanno proposto ricorso per cassazione i sigg.ri Giro D. e Zonca M..
3. Il ricorso nell’interesse di Giro D. propone un unico e articolato motivo con il quale deduce quanto segue.
3.1. In primis, la parificazione, operata dalla Corte milanese, tra l’attività di “procacciatore”, in concreto svolta dal predetto, e quella di “intermediario” sarebbe errata: il procacciatore – ruolo effettivamente rivestito dal Giro, diversamente dalle società intermediarie «Waste Solution S.r.l.» e «Winsystem S.r.l.» – senza interessarsi della gestione dei rifiuti, si limita a mettere in contatto le parti (produttore dei rifiuti e gestore dell’impianto) a fronte di un corrispettivo per aver segnalato le operazioni e, pertanto, non è gravato da obblighi di vigilanza e di intervento sulle attività riguardanti lo smaltimento. Inoltre, a differenza di quanto affermato nella sentenza gravata, l’attività di intermediario e mediatore nel traffico di rifiuti è consentita dalla legge e non richiede titoli di alcuna sorta.
3.2. Lamenta, in secondo luogo, la mancanza del dolo specifico necessario a integrare il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., in quanto il ricorrente, mero procacciatore, era certo che la società «IPB Italia S.r.l.» avesse le necessarie autorizzazioni.
Viene evidenziato come la Corte territoriale non avesse preteso tale conoscenza da parte delle imprese che, come la «Bigaran S.r.l.», avevano conferito i rifiuti presso IPB Italia S.r.l., riconoscendone la buona fede.
Si mette in discussione la richiesta di un onere informativo aggiuntivo in capo al procacciatore, considerato che per i produttori di rifiuti, pure segnalati ad «IPB Italia S.r.l.» dal ricorrente, erano state ritenute sufficienti le medesime informazioni sul funzionamento dell’impianto di cui disponeva quest’ultimo.
3.3. Inoltre, il Giro non poteva sapere che la polizza fideiussoria prodotta da «IPB Italia S.r.l.» fosse stata rifiutata dalla Città Metropolitana perché falsa; non potendosi trascurare, ai fini della buona fede del predetto, le complesse vicende che hanno regolato la successione di «IPB Italia S.r.l.» nella conduzione degli impianti dopo il contratto di affitto, vicende ignote al ricorrente e ai produttori di rifiuti, agli occhi dei quali la società in questione era regolarmente munita di autorizzazione. Viene evidenziato, altresì, come la “revoca” dell’autorizzazione fosse intervenuta soltanto nell’ottobre 2018; e, neppure in occasione dell’accesso al sito di Via Chiasserini, effettuato dai funzionari della Città Metropolitana e da agenti della p.g. in costanza di operatività del sito stesso, erano state prese delle iniziative nei confronti del gestore.
3.4. In aggiunta, la responsabilità del ricorrente non avrebbe potuto essere desunta dalla riparazione del muletto (di proprietà della CRM) nel sito di Fossalta di Piave – riparazione chiesta dalla società proprietaria che aveva pagato l’intervento – né, tantomeno, dalle dichiarazioni del coimputato Ramadonovski che si spiegano con l’intenzione di addossare la colpa al ricorrente per poter ottenere l’assoluzione.
3.5. Si censura, ancora, la motivazione nella parte in cui valorizza lo scambio di messaggi Whatsapp intervenuto con il Bosina: essa sarebbe inidonea a provare la consapevolezza, in capo al ricorrente, dell’avvenuta revoca dell’autorizzazione.
Inoltre, la richiesta di denaro avanzata dal Giro al Bosina non costituiva il prezzo del proprio silenzio trattandosi di somme dovute a titolo di canone di locazione e di pagamento delle attività di mediazione – essendo, tra l’altro, inverosimile che lo stesso si sia limitato a chiedere poche migliaia di euro a fronte della lucrosa attività illecita cui era dedita «IPB Italia S.r.l.». In aggiunta, si rileva come la formalizzazione dei rapporti contrattuali con «IPB Italia s.r.I.» fosse sufficiente a dimostrare la buona fede del ricorrente, per il quale sarebbe stato più agevole operare nell’ombra.
3.6. La condotta a lui contestata – relativa ai soli rifiuti di Fossalta di Piave – è inidonea a integrare il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., configurandosi, al più, esclusivamente il meno grave reato di cui all’art. 256, commi I e III, D.Lgs. 152/2006, rubricato al capo E) d’imputazione.
3.7. Sussisterebbe, inoltre, un conflitto apparente di norme, perché i fatti di cui al capo E) coinciderebbero con quelli contestati al capo A): di conseguenza, il Giro non avrebbe potuto essere condannato per entrambi i reati, essendo il primo assorbito nel secondo in virtù di un rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 cod. pen.
3.8. Lamenta anche l’eccessività della pena base, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., dovendo essere valorizzata la condotta processuale del Giro e il ruolo secondario ricoperto dallo stesso nella vicenda.
3.9. Infine, si censura la motivazione della sentenza gravata in merito alle statuizioni civili, essendo state poste a carico degli imputati provvisionali a titolo di ristoro di pregiudizi scaturiti non dai fatti contestati, ma dall’incendio doloso avvenuto in via Chiasserini il 14/10/2018. Sostiene, nello specifico, che tale evento aveva interrotto il nesso di causalità tra i fatti per i quali si procede e le conseguenze dannose per cui erano state fissate le provvisionali esecutive.
4. Zonca M. propone sei motivi di ricorso.
4.1 Con un primo motivo censura la nullità della sentenza per apparenza della motivazione: la pronuncia avrebbe acriticamente recepito le motivazioni addotte dal primo giudice, omettendo di considerare gli specifici motivi di gravame relativi alla sussistenza nei confronti della «IPB Italia S.r.l.» di un valido titolo autorizzativo e all’individuazione dei soggetti che avevano avuto effettiva disponibilità delle discariche.
4.2. Con un secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e l’apparenza di motivazione riguardo alla ritenuta insussistenza di un valido titolo autorizzatorio e alla necessità di prestare idonea garanzia entro 30 giorni dall’intervenuta voltura dell’AIA. Sostiene, in particolare, l’effettiva titolarità dell’AIA in capo società «IPB Italia S.r.l.» in seguito alla voltura avvenuta in data 08/03/2018: invero, mai gli organi della Città Metropolitana avrebbero evidenziato una carenza di efficacia della stessa a causa del mancato espletamento della procedura amministrativa richiamata – erroneamente – dalla Corte di appello.
Diversamente, la normativa di riferimento sarebbe costituita dagli artt. 29 nonies, comma 4, e 29 sexties, comma 9 septies, D.Lgs. n. 152/2006, i quali stabiliscono, rispettivamente, che, al fine di ottenere la volturazione dell’AIA, il vecchio e il nuovo gestore devono dare comunicazione, entro trenta giorni, della intervenuta variazione nella titolarità della gestione dell’impianto all’autorità competente, anche tramite le forme dell’autocertificazione, e che le garanzie finanziarie richieste devono essere prestate entro dodici mesi dal rilascio dell’AIA.
Richiama, inoltre, la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui la disciplina in materia di AIA non contempla l’esercizio di poteri discrezionali da parte dell’autorità competente, la quale è tenuta soltanto a verificare la correttezza e la validità dell’autocertificazione, essendo la volturazione un atto di per sé dovuto. Di conseguenza, la Corte di appello avrebbe fornito una interpretazione del tutto errata delle norme di riferimento, incorrendo in un palese errore di diritto.
4.3. Con un terzo motivo, deduce la mancanza e l’illogicità della motivazione in relazione allo scambio epistolare intercorso tra il 05/07/2018 e il 13/07/2018 tra la Città Metropolitana, «IPB Italia S.r.l.» e l’ing. Massara.
Viene censurata la mancata valutazione di tali documenti – nonostante essi si trovassero, ab origine, in uno dei faldoni processuali contenenti gli atti di indagine, andato distrutto in seguito all’incendio avvenuto presso il Tribunale di Milano in data 28/03/2020 -, idonei a comprovare come lo smaltimento di rifiuti fosse, in realtà, lecito. Si ritiene, in particolare, che nell’affermare l’impossibilità, per la «IPB Italia S.r.l.», di ottenere il rilascio dell’AIA, la Corte territoriale non avrebbe colto il reale significante probatorio del citato epistolare.
4.4. Con un quarto motivo, censura la contraddittorietà della motivazione in relazione all’elemento soggettivo dei reati di cui ai capi A), B), C) ed E): in particolare, la documentazione prodotta in sede di motivi aggiunti di appello avrebbe reso evidente sia il limitato ruolo assunto dal ricorrente all’interno di «IPB Italia S.r.l.» che l’assenza di consapevolezza in ordine al carattere illecito della gestione dei rifiuti.
4.5. Con un quinto motivo, lamenta l’erronea applicazione degli artt. 40, 41 e 185 cod. pen., 74 e 538 cod. proc. pen. e 2043 cod. civ. in ordine alle statuizioni civili di condanna in favore della Città Metropolitana, del Comune di Milano e di «IPB s.r.I.». Sul punto, afferma, la Corte d’appello si sarebbe limitata a richiamare quanto statuito dal primo giudice, ossia che l’accumulo di rifiuti avesse agevolato la perpetrazione dell’incendio, utilizzando, altresì, una massima di esperienza illogica.
4.6. Con il sesto e ultimo motivo, deduce la nullità della sentenza per mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche non nella massima estensione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse di D. Giro è inammissibile; è infondato quello di M. Zonca.
2. Il ricorso di Giro.
2.1. Preliminarmente, occorre rilevare come l’atto di gravame abbia omesso di indicare a quali dei casi disciplinati dall’art. 606 cod. proc. pen. debbano ricondursi le numerose censure avanzate. Tale mancanza, qualora la specificazione delle ragioni di diritto non sia – come nel caso di specie – puntuale e chiara, si traduce in un difetto di specificità dei motivi che comporta l’inammissibilità del ricorso per genericità.
2.2. Siffatto principio, enucleato in una massima risalente di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 1878 del 04/04/1991, Rv. 187010 – 01), è stato più recentemente riaffermato: considerando che il ricorso per cassazione è un mezzo d’impugnazione proponibile soltanto per motivi tassativamente previsti per legge, spetta all’interessato – a pena di a-specificità ex art. 581 cod. proc. pen. dei motivi, e dunque d’inammissibilità del ricorso – l’onere di indicare i motivi di gravame che intenda formulare, poiché «non può ammettersi una interpretazione d’ufficio della sua volontà in ipotesi inespressa o non chiara, in considerazione del fatto che i motivi hanno la funzione di precisare i limiti della devoluzione e le ragioni di doglianza» (Sez. 2, Sentenza n. 57403 del 11/09/2018 Rv. 274258 – 01).
2.3. Nel caso di specie, a fronte della mancata indicazione di una rubrica a premessa del motivo di ricorso, indicante il vizio denunciato ex art. 606 cod. proc. pen., il ricorrente formula in modo del tutto discorsivo doglianze tra loro affastellate di cui non è, perciò, chiara ed univoca la riferibilità a una violazione di legge piuttosto che alla motivazione della sentenza; è evidente, pertanto, l’inammissibilità dell’atto di gravame.
2.4. In ogni caso, anche volendo prescindere dall’aspetto sin qui enucleato, il ricorso si limita a riproporre censure già avanzate in sede d’appello e non si confronta con le argomentazioni enunciate nella sentenza gravata, tentando di sollecitare una nuova valutazione di elementi di fatto, notoriamente preclusa in questa sede.
2.5. In primo luogo, riguardo all’asserita attività di “mero procacciatore” posta in essere dal Giro, l’atto di gravame insiste sulla circostanza, già prospettata in sede d’appello, che la posizione del predetto non possa parificarsi a quella di “intermediario” come definita dall’art. 183, lett. I), D. Lgs. 152/2006, poiché egli si sarebbe limitato a mettere in contatto le parti senza mai interessarsi della gestione dei rifiuti.
2.6. A riguardo, si ritengono doverose alcune precisazioni. La definizione di “intermediario”, nel contesto dell’attività di gestione dei rifiuti, è stata introdotta a seguito del recepimento della Direttiva comunitaria 2008/98/CE tramite il D. Lgs. 205/2010; diretta conseguenza di tale innovazione normativa è stata l’apertura delle iscrizioni alla Categoria 8 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali, dedicata a “Intermediari e commercianti senza detenzione”.
2.7. Ai sensi della disposizione di legge sopra citata, può considerarsi “intermediario” «qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento dei rifiuti per conto di terzi, compresi gli intermediari che non acquisiscono la materiale disponibilità dei rifiuti». A fronte di una definizione così ampia, che comprende anche il caso in cui tali soggetti non acquisiscano la materiale disponibilità dei rifiuti, è evidente che rientri in tale categoria anche l’attività di chi si limiti a porre in contatto il detentore, il trasportatore e il gestore del sito finale.
2.8. Da tale quadro normativo è possibile evincere che l’intermediario senza detenzione di rifiuti sia una figura tenuta a individuare i soggetti dotati dei titoli abilitativi (autorizzazioni degli impianti, iscrizioni all’Albo nazionale gestori ambientali dei trasportatori) necessari a gestire i rifiuti dei produttori. Egli, gestendo rapporti commerciali con più impianti di recupero e/o smaltimento, permette ai produttori di raggiungere un impianto idoneo a recuperare o smaltire i propri rifiuti; in altre parole, l’intermediario è l’anello di congiunzione tra i principali attori del ciclo di gestione del rifiuto.
2.9. Non può riscontrarsi, dunque, alcuna possibile associazione tra la figura dell’intermediario nella gestione di rifiuti e quella del mediatore ai sensi dell’art. 1754 cod. civ. – ossia colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare – che identifica un’attività diversa, non applicabile al contesto in questione.
2.10. È evidente, pertanto, che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso in questione, non sussista alcuna sostanziale differenza tra la figura di “procacciatore” e quella di “intermediario”, poiché nell’ambito di riferimento qualsiasi attività di mediazione può essere ricondotta nella seconda categoria; il soggetto, peraltro, sarà gravato dell’obbligo di iscrizione all’apposito albo, atteso che si tratta di una figura professionale che opera in un difficile contesto tecnico giuridico, che richiede un’adeguata preparazione professionale nonché la specifica conoscenza delle caratteristiche dei rifiuti di cui si occupa e delle esigenze di movimentazione e di destinazione necessarie.
2.11. Ciò premesso, va sottolineato come sia altrettanto incontrovertibile che, in capo all’intermediario, viga – al contrario di quanto affermato dal ricorrente – un onere di vigilanza e di controllo in merito al possesso, da parte del soggetto deputato allo smaltimento dei rifiuti, delle dovute autorizzazioni e qualifiche, atteso che, per espressa previsione di legge (art. 183, comma 1, lettera N del Dlgs. 152/2006), l’attività di intermediazione, pur senza detenzione, rientra nell’ambito della gestione dei rifiuti.
2.12. Ciò discende dall’ormai consolidato principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti: tale responsabilità grava su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, detenzione, trasporto e smaltimento dei rifiuti, essendo gli stessi investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi. Siffatto principio discende dal combinato disposto di cui agli artt. 178 e 188, D. Lgs. n. 152/2006, e più in generale dai principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”, di cui all’art. 174, par. 2, del trattato, e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, l’estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione (tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 5912 del 11/12/2019 Rv. 278411 – 01).
2.13. Considerato che l’intermediario si inserisce per espressa previsione di legge nel sistema di co-responsabilità previsto in materia, è evidente che gli obblighi di vigilanza di cui sopra gravino anche su di lui.
2.14. Per tutti questi motivi l’attività di colui il quale si adoperi per mettere in contatto chi produce rifiuti e chi possiede un impianto idoneo a smaltirli è qualificabile come “intermediazione senza detenzione” ai sensi dell’183 lettera L del D. Lgs. 152/2006; di conseguenza, il soggetto sarà sottoposto all’obbligo di iscrizione alla Categoria 8 dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali e sarà suo onere effettuare le dovute attività di vigilanza e controllo, nel rispetto del principio della responsabilità condivisa nella gestione dei rifiuti.
2.15. Nel caso di specie, è evidente che D. Giro abbia agito in qualità di intermediario, e che abbia esercitato tale attività abusivamente in quanto non iscritto all’apposito albo, poiché egli si era adoperato per procacciare clienti in Veneto alla «IPB Italia S.r.l.», società che operava in assenza delle dovute autorizzazioni. Il predetto esercitava tale attività in maniera professionale, tanto da essere stato definito come il “Broker di Caorle” e da ricevere un corrispettivo a tonnellata rispetto ai rifiuti acquisiti da «IPB Italia S.r.l.»
2.16. Inoltre, il ricorso non si confronta con la circostanza, evidenziata dalla Corte territoriale, che il Giro, lungi dall’aver esclusivamente posto in rapporto tra loro la domanda e l’offerta, abbia attivamente operato nello smaltimento nel sito di Fossalta di Piave con l’aiuto del coimputato Ramadonovski.
2.17. Non possono che condividersi, pertanto, le conclusioni a cui è pervenuta la Corte d’appello, che ha confermato la penale responsabilità di Giro per i reati a lui ascritti in qualità di intermediario, considerato che il predetto aveva stretti e frequenti contatti con i coimputati ed era attivamente coinvolto nella gestione dei rifiuti in Veneto: egli, cioè, non si limitava ad un’asettica attività di cucitura della domanda con l’offerta.
2.18. Le restanti doglianze sono inammissibili, poiché non sono volte a censurare l’impianto motivazionale della Corte d’appello, bensì a sollecitare una diversa valutazione degli elementi probatori che è, ovviamente, preclusa a Questa Corte.
2.19. Per quanto riguarda la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., la Corte territoriale, con motivazione precisa, esaustiva e priva di profili di illogicità, ha elencato gli elementi di fatto dai quali il dolo specifico sarebbe deducibile, dando riscontro alle doglianze avanzate in sede d’appello – e sostanzialmente ripetute nel ricorso de quo – , ossia gli stretti contatti intrattenuti dal ricorrente con gli altri sodali, il fatto che i trasporti al sito di Fossalta del Piave fossero avvenuti dal giugno all’ottobre 2018 – quando la società non soltanto non aveva ottenuto la voltura dell’AIA ma era stata segnalata per falsità della fideiussione – la falsificazione dei FIR, l’incontro avvenuto tra Giro, Girotto, Galletti e Bosina dopo il sequestro di Fossalta di Piave, le dichiarazioni del coimputato Rannadonovski ecc..
2.20. Tali elementi sono stati correttamente valutati dalla Corte meneghina, considerando che, come già specificato, è indiscusso che in capo al Giro sussistesse uno specifico onere di informazione, in quanto soggetto partecipe all’attività di gestione dei rifiuti in qualità di intermediario senza detenzione.
2.12. La sentenza gravata ha, dunque, affermato la consapevolezza, da parte del ricorrente, della situazione di illegalità in cui operava «IBP Italia s.r.l.» sulla base di una valutazione di fatto non sindacabile in questa sede, fornendo una motivazione logica e coerente con le risultanze probatorie. E, come già affermato, non è nemmeno chiaro – data la mancata specificazione all’interno dell’atto di gravame – se il ricorrente intendesse rilevare la presenza di vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, precludendo in tal modo a Questa Corte qualsiasi valutazione sul punto.
2.22. Le doglianze in punto qualificazione giuridica del fatto sono, parimenti, inammissibili, in quanto manifestamente infondate; corrispondono, altresì, a censure che erano state già avanzate in sede d’appello, alle quali la Corte territoriale ha dato riscontro in maniera corretta ed esaustiva.
2.23. In primo luogo, nella sentenza gravata si specifica che la conoscenza della complessa situazione della «IPB Italia S.r.l.» e dei traffici che la stessa svolgeva in vari siti – tra cui quello di Fossalta di Piave, rispetto al quale il Giro era direttamente coinvolto – è sufficiente ad affermare che lo stesso fosse coinvolto nell’attività di traffico illecito di rifiuti di cui al capo A); nulla rileva, a riguardo, che egli non fosse a conoscenza del sito di Verona San Massimo e Meleti, in quanto lo stesso era, in ogni caso, inserito compiutamente nell’attività di traffico illecito di rifiuti.
2.24. Tale valutazione è esente da censure e conforme ai principi enunciati da Questa Corte, in quanto, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 452- quaterdecies cod. pen., è necessario e sufficiente che l’agente ponga in essere anche una sola delle condotte (o una parte di esse) descritte dalla norma, nella consapevolezza della abusività della condotta e del contesto nel quale essa si inserisce.
2.25. In secondo luogo, la Corte meneghina ha, correttamente, richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui tra il reato di cui all’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006, contestato al capo E della rubrica e il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. non è configurabile un rapporto di specialità, sicché il ricorso nella fattispecie concreta sia degli elementi formali dell’uno (mancanza di autorizzazione) che quelli sostanziali dell’altro (allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate), può dar luogo al concorso di entrambi i reati ai sensi dell’art. 81, comma primo, cod. pen..
2.26. Le censure in merito al trattamento sanzionatorio sono inammissibili, in quanto attengono a valutazioni di merito già effettuate dalla Corte territoriale, corredate da adeguata motivazione.
2.27. In primo luogo, il ricorrente neglige la copiosa giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel motivare il diniego delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214570). Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Il richiamo ai precedenti dell’imputato, operato dalla sentenza gravata, costituisce motivazione sufficiente e insindacabile.
2.28. Inoltre, la di lui condotta non è stata considerata meritevole della concessione della circostanza attenuante della minima partecipazione, poiché il predetto era pienamente incardinato nel circuito illecito posto in essere dal Bosina e il suo apporto era stato determinante per la ricerca di clienti e per l’individuazione di siti di stoccaggio.
2.29. Tale giudizio appare del tutto in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la circostanza attenuante del contributo concorsuale di minima importanza trova applicazione esclusivamente laddove l’apporto del correo risulti così lieve da apparire, nell’ambito della relazione di causalità, quasi trascurabile e del tutto marginale (Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Rv. 264455 – 01).
2.30. Quanto alle statuizioni civili, va evidenziato che la condanna generica al risarcimento del danno di cui all’art. 539, comma 1, cod. proc. pen., non esige, per sua natura, alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, essendo sufficiente, a tal fine, l’accertamento del fatto-reato (c.d. “danno evento”) potenzialmente produttivo di conseguenze dannose (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 – 21; Sez. 6, n. 28216 del 25/09/2020, Rv. 279625 – 01; Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, Rv. 279418 – 14; Sez. 6, n. 12199 del 11/03/2005, Molisso, Rv. 231044; Sez. 6, n. 14377 del 26/02/2009, Giorgio, Rv. 243310; Sez. 5, n. 45118 del 23/04/2013, Di Fatta, Rv. 257551). Inoltre tale statuizione, ai sensi dell’art. 651, cod. proc. pen., non ha normalmente efficacia di giudicato in ordine alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall’imputato (Sez. 4, n. 1045 del 16/12/1998, Selva, Rv. 212284).
2.31. Tali principi sono stati ribaditi anche dalle sezioni civili della Corte di cassazione, secondo le quali non sono vincolanti, per il giudice civile, «le valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che attengono all’individuazione delle conseguenze dannose che possono dare luogo a fattispecie di danno risarcibile» (Cass. civ., Sez. 3, n. 8360 del 08/04/2010, Rv. 612361; Cass. civ., Sez. 6-3, n. 14648 del 04/07/2011, Rv. 618452; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. 3, n. 5660 del 09/03/2018, Rv. 648292 – 01).
3.32. Ne consegue che non hanno alcuna rilevanza, in questa sede, le considerazioni difensive in ordine alla sussistenza effettiva del nesso di causalità tra i fatti ascritti all’imputato e i danni cagionati alle parti civili, oggetto di condanna generica al risarcimento. Tali deduzioni, infatti, sollecitano un esame nel merito dell’esistenza del “danno conseguenza” in ordine al quale la sentenza impugnata non fa stato nel giudizio civile essendosi il giudice penale limitato ad affermarne l’astratta potenzialità a cagionare il danno.
3. Il ricorso di Zonca.
3.1. Il primo motivo di gravame è generico: il ricorrente lamenta la nullità della sentenza, poiché la Corte territoriale avrebbe recepito acriticamente le motivazioni addotte dal Giudice di prime cure, obliando precise censure avanzate in sede d’appello, ma non sono stati indicati né i punti della sentenza di primo grado pedissequamente ripresi dalla Corte di appello né le doglianze specifiche a cui la sentenza gravata non avrebbe dato riscontro.
3.2. Al riguardo, è ormai consolidato il principio per cui «in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell’appello dei motivi articolati con l’atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell’impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica » (da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275853 – 02).
3.3. Il motivo di ricorso è, altresì, manifestamente infondato perché, lungi dall’aver pedissequamente ripetuto quanto affermato dalla sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha analizzato puntualmente i motivi di appello, riassumendone i contenuti e confutando in maniera specifica le argomentazioni ivi contenute.
3.4. Il secondo motivo di gravame è infondato. 3.5. Nel caso di specie, come riassunto dalla sentenza gravata, l’AIA era stata ottenuta da «IPB S.r.l.» il 25/07/2011. Nel giugno del 2017, tale società rappresentava alla Città Metropolitana di Milano di voler sostituire l’AIA in vigore con un’autorizzazione unica ex art. 208 D. Lgs. 152/2006, chiedendo la proroga dell’AIA fino alla naturale scadenza del titolo (prevista per l’ottobre 2018); la Città Metropolitana autorizzava la prosecuzione dell’attività e la proroga dell’AIA, in attesa dell’emissione del nuovo provvedimento autorizzativo. In data 28/02/2018 «IPB S.r.l.» stipulava un contratto di affitto d’azienda con «IPB Italia S.r.l.». L’8 marzo 2018 quest’ultima richiedeva la voltura dell’AIA a proprio favore, e la Città Metropolitana comunicava che l’istanza di voltura dovesse essere intesa come finalizzata ad ottenere l’intestazione di un nuovo provvedimento autorizzativo ai sensi dell’art. 208 D. Lgs. 152/2006. Il 21 marzo 2018 la Città Metropolitana chiedeva a «IPB Italia S.r.l.» la presentazione di polizza fideiussoria, sollecitata il 04/04/2018 e il 01/06/2018; il 04/06/2018, «IPB Italia S.r.l.» presentava una polizza fideiussoria – accettata in data 06/06/2018 – successivamente rivelatasi falsa. In data 07/06/2018, pertanto, la Città Metropolitana di Milano comunicava l’annullamento del provvedimento di accettazione e specificava l’impossibilità di esercitare attività di gestione dei rifiuti.
3.6. Alla valutazione della Corte d’appello – secondo cui l’AIA avrebbe natura personale e dunque andrebbe esclusa la possibilità che la semplice domanda di voltura dell’autorizzazione facente capo a «IPB S.r.l.» potesse valere quale autorizzazione provvisoria per stoccare una quantità così ingente di rifiuti che, in ogni caso, non poteva essere autorizzata – il ricorrente contrappone la tesi secondo cui la disciplina costituita dagli artt. 29 nonies, comma 4, e 29 sexties, comma 9 septies del D.Lgs. n. 152/2006 comporterebbe l’effettiva titolarità dell’AIA nei confronti della società «IBP Italia S.r.l.» a seguito della voltura avvenuta in data 08/03/2018; tale iter non consentirebbe l’esercizio di poteri discrezionali da parte dell’autorità competente, non essendo previsto alcun adempimento all’infuori della prestazione delle garanzie finanziarie.
3.7. Innanzitutto, pare doveroso obiettare, in punto di fatto, che comunque sin dal 07/06/2018 la Città Metropolitana di Milano aveva espressamente annullato la voltura – accertata la falsità della polizza fideiussoria – e inibito l’ulteriore prosecuzione dell’attività di gestione del sito di Via Chiasserini; è, dunque, indubbio che a partire da tale data l’attività posta in essere da «IPB Itala S.r.l.» possa considerarsi abusiva.
3.8. Per quanto riguarda, invece, l’attività effettuata nel periodo precedente, a prescindere dalla natura personale dell’AIA, è evidente che la volturazione presupponga comunque la sussistenza dei requisiti necessari per l’esercizio dell’attività, tra le quali assume rilievo la presentazione di una valida polizza fideiussoria. A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, il rilascio di una valida polizza fideiussoria era condizione necessaria ai fini dell’efficacia della voltura in quanto all’AIA rilasciata a IPB S.r.l. – risalente al 2011 – erano applicabili, ratione temporis, le disposizioni della delibera di giunta regionale n. 19461 del 19/11/2004, che subordinava l’efficacia di tutte le autorizzazioni, ivi comprese quelle soggette a procedura semplificata, all’avvenuta accettazione delle garanzie finanziarie prestate.
3.9. Pertanto, anche a voler ritenere applicabile al caso di specie la disciplina autorizzatoria prevista dagli artt. 29-sexies e 29-nonies, d.lgs. n. 152 del 2006 in materia di autorizzazione integrata ambientale, il ricorrente manca di considerate la disciplina regionale in materia, più restrittiva di quella statale come consentito dall’art. 3-quinquies D. Lgs. 152/2006.
3.10. Non può affermarsi, pertanto, che la sola comunicazione della voltura potesse conferire alla stessa concreta efficacia, atteso che dovevano ancora essere prestate idonee garanzie finanziarie e che quelle prestate successivamente si sono rivelate false.
3.11. È dirimente, altresì, la circostanza che la Corte territoriale abbia, più volte, specificato che comunque l’attività posta in essere non avrebbe mai potuto essere autorizzata alla luce dell’AIA rilasciata a «IPB S.r.l.», i cui confini non comprendevano lo stoccaggio di una quantità così ingente di rifiuti: tale elemento non può essere messo in discussione, considerato che il ricorrente nulla osserva sul punto e che, in ogni caso, il confronto tra le prescrizioni dell’AIA e il comportamento concreto del gestore è prerogativa esclusiva del giudice di merito, in quanto attiene ai profili meramente fattuali della vicenda. Dunque, pur volendo ipotizzare che «IPB Italia S.r.l.» potesse operare in virtù di una valida voltura dell’AIA precedentemente riferita a «IPB S.r.l.», l’attività della predetta società dovrebbe comunque considerarsi “abusiva”, e come tale sussumibile nella fattispecie di reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen..
3.12. Il terzo motivo è totalmente infondato e proposto per motivi non consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
3.13. Al riguardo, va ricordato che il vizio di motivazione deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo del provvedimento impugnato senza la “mediazione” di elementi spuri ad esso estranei (inequivoco il riferimento al “testo del provvedimento impugnato” contenuto nella lettera “e” del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen.). L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha dunque un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).
3.14. Non è, inoltre, consentito, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione.
3.15. Il motivo di ricorso pare proprio volto a sollecitare una nuova valutazione di merito circa il fatto che la corrispondenza intercorsa successivamente al giugno 2018 dimostrerebbe l’assenza di un’interruzione dei rapporti tra la società «IPB Italia S.r.l.» e la Città Metropolitana di Milano: tale giudizio, attinente a profili di fatto della vicenda, è precluso in questa sede.
3.16. La Corte territoriale, a riguardo, ha escluso che i predetti documenti avessero rilevanza e, inoltre, ha censurato il fatto che gli stessi non fossero stati precedentemente prodotti.
3.17. Va sottolineato, altresì, come lo scambio di e-mail allegato al ricorso non consenta di verificare se lo stesso si riferisca effettivamente all’autorizzazione integrata ambientare di cui si chiedeva la voltura o a un altro provvedimento, atteso che, nel corpo dei messaggi, si ci riferisce ad una nuova autorizzazione da rilasciare ai sensi dell’art. 208 D. Lgs. 152/2006.
3.18. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
3.19. Invero, riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati di cui ai capi d’imputazione, la Corte meneghina ha fornito una motivazione adeguata e completa, ancorando a solidi elementi di fatto il giudizio sulla consapevolezza, in capo a Zonca, del carattere illecito dell’attività di gestione dei rifiuti, con la quale l’atto di gravame ha omesso di confrontarsi.
3.20. Nello specifico, il ricorso deduce un’asserita contraddittorietà tra le argomentazioni del Giudice di merito e la documentazione allegata in sede di motivi aggiunti, in maniera assolutamente generica, nel lampante tentativo di sollecitare una nuova valutazione delle risultanze probatorie. E, in ogni caso, il ricorrente non ha esplicitato le ragioni per cui la sentenza gravata si porrebbe in inesorabile contrasto con tali elementi probatori, per cui la doglianza in questione è ictu oculi inammissibile.
3.21. Riguardo al quinto motivo di ricorso, si ritiene sufficiente richiamare quanto già precedentemente affermato sul punto: non è possibile sollevare, di fronte a questa Corte, censure inerenti alla sussistenza del nesso di causalità tra i fatti ascritti agli imputati e i danni cagionati alle parti civili – atteso che gli stessi sono oggetto di una condanna generica al risarcimento ai sensi dell’art. 539 cod. proc. pen. -, poiché le stesse richiederebbero un esame nel merito rispetto all’esistenza del c.d. “danno conseguenza”, rispetto al quale la sentenza de qua non vincola il giudice civile.
3.22. Infine, il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato poiché, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, il Giudice di merito ha effettuato un attento esame della personalità del Zonca – riconoscendo allo stesso le circostanze attenuanti generiche proprio in virtù dello stato di incensuratezza e dell’atteggiamento collaborativo dimostrato – nonostante la rilevanza del ruolo svolto dal predetto, elemento che non ha consentito la concessione delle stesse nella massima estensione.
3.23. Siffatta motivazione, insindacabile in questa sede, consiste in un legittimo bilanciamento tra le circostanze soggettive del reo – meritevoli di un attenuamento sanzionatorio – e la gravità della condotta, nel pieno rispetto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen..
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso nell’interesse di Giro D. consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
5. Al rigetto del ricorso nell’interesse di Zonca M. consegue l’onere delle spese del procedimento nonché la condanna al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di Zonca M. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di Giro D. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili costituite che liquida in complessivi euro tremila oltre accessori di legge per ciascuna di esse.
Così deciso in Roma, il 01/06/2022.