ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Tema di tutela delle acque – Applicabilità di deroghe al regime ordinario – Assimilazione acque reflue industriali alle acque reflue domestiche – Esistenza di specifiche condizioni individuate dalle leggi – Onere della prova – Scarico non autorizzato di acque reflue industriali – Nozione di scarico – Sistema stabile di collettamento con il corpo ricettore – Fattispecie: Fattispecie di scarichi di reflui provenienti da attività di cantina di un’azienda vinicola – Art. 7 L. Reg. Sicilia n. 27/1986 e artt. 1 e 2 D.P.R. 227/11. – Artt. 74, 101, 137, D.Lgs. n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Mero “dissenso” nella ricostruzione dei fatti – Manifesta infondatezza – Controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 3 Novembre 2021
Numero: 39351
Data di udienza: 8 Settembre 2021
Presidente: RAMACCI
Estensore: SCARCELLA
Premassima
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Tema di tutela delle acque – Applicabilità di deroghe al regime ordinario – Assimilazione acque reflue industriali alle acque reflue domestiche – Esistenza di specifiche condizioni individuate dalle leggi – Onere della prova – Scarico non autorizzato di acque reflue industriali – Nozione di scarico – Sistema stabile di collettamento con il corpo ricettore – Fattispecie: Fattispecie di scarichi di reflui provenienti da attività di cantina di un’azienda vinicola – Art. 7 L. Reg. Sicilia n. 27/1986 e artt. 1 e 2 D.P.R. 227/11. – Artt. 74, 101, 137, D.Lgs. n.152/2006 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Mero “dissenso” nella ricostruzione dei fatti – Manifesta infondatezza – Controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 3 novembre 2021 (Ud. 08/09/2021), Sentenza n.39351
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Tema di tutela delle acque – Applicabilità di deroghe al regime ordinario – Assimilazione acque reflue industriali alle acque reflue domestiche – Esistenza di specifiche condizioni individuate dalle leggi – Onere della prova – Fattispecie: Fattispecie di scarichi di reflui provenienti da attività di cantina di un’azienda vinicola – Art. 7 L. Reg. Sicilia n. 27/1986 e artt. 1 e 2 D.P.R. 227/11. – Artt. 74, 101, 137, D.Lgs. n.152/2006.
In tema di inquinamento idrico l’assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie. Pertanto, grava sull’imputato l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni normative che consentono l’applicabilità di deroghe al regime ordinario che, come nel caso in esame, richiede l’autorizzazione allo scarico pena la violazione dell’art. 137, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Nella fattispecie è stata correttamente applicata la disciplina in tema di tutela delle acque (ritenendo sussistere uno “scarico” tecnicamente qualificabile come tale), alla stregua delle considerazioni ampie sviluppate nella sentenza, ma anche in considerazione dell’ulteriore dato logico, costituito dalla presenza stessa del “pozzetto d’ispezione”, la cui realizzazione è, non a caso, imposta dalla legge per consentire alle autorità di controllo le verifiche sulla rispondenza del sistema di canalizzazione alle prescrizioni di legge in tema di tutela delle acque dall’inquinamento.
ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Scarico non autorizzato di acque reflue industriali – Nozione di scarico – Sistema stabile di collettamento con il corpo ricettore.
Ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma primo, e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse in un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, dovendosi escludere dalla nozione di scarico contenuta nella lett. ff) dell’art. 74, comma primo, dello stesso decreto il solo rilascio di reflui che non comporti alcun contatto fisico tra il refluo e tale corpo ricettore.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Mero “dissenso” nella ricostruzione dei fatti – Manifesta infondatezza – Controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione.
In tema di ricorso per cassazione, al cospetto di un apparato argomentativo completo le doglianze si appalesano manifestamente infondate quando queste si risolvono nel mero “dissenso” nella ricostruzione dei fatti e nella valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunto vizio di violazione di legge con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato di legittimità. Deve, sul punto, ribadirsi che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
(rigetta il ricorso avverso sentenza del 19/01/2021 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO) Pres. RAMACCI, Rel. SCARCELLA, Ric. Aliberti
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^, 03/11/2021 (Ud. 08/09/2021), Sentenza n.39351SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da ALIBERTI;
avverso la sentenza del 19/01/2021 del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA MARINELLI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 19/01/2021, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha condannato il ricorrente Aliberti al pagamento di euro 1.500,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 137, comma 1, D.Lgs. 152/2006.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di erronea applicazione della legge penale, ex art.606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all’art. 137 D.Lgs. 152/2006, ed il vizio di manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto sussistente uno scarico secondo la definizione di cui all’art. 74, comma 1, lett. ff), D.Lgs. 152/2006.
In sintesi, la difesa si duole perché nel caso di specie non sarebbe stato operato alcun accertamento in ordine all’effettivo collegamento tra il pozzetto di raccolta dei reflui, ubicato all’interno dell’azienda vinicola, ed il suolo o la pubblica fognatura; pertanto, non potrebbe in alcun modo ritenersi integrato il reato contestato e ciò per mancanza di prova in ordine all’esistenza di un effettivo scarico ai sensi dell’art. 74, comma 1, lett. ff) D.Lgs. 152/2006.
La difesa inoltre si duole perché, sempre in ordine all’esistenza di detto scarico, il giudice di primo grado avrebbe fornito una motivazione basata sulla mera comune esperienza, omettendo di prendere in considerazione la possibilità, prevista dalla normativa regionale per le piccole aziende vitivinicole, di utilizzare i reflui per finalità agronomiche; né sarebbe condivisibile l’affermazione giudiziale per cui gravava sull’imputato l’onere di dimostrare la propria innocenza rispetto allo smaltimento dei reflui, posto che tale affermazione, oltre a contrastare con i principi generali del diritto processuale, lederebbe anche il principio nemo tenetur se detegere in quanto l’imputato, in caso di smaltimento al di fuori ed in contrasto con la normativa, con le eventuali sue dichiarazioni poteva essere destinatario di una contestazione in tema di smaltimento di rifiuti. La difesa, infine, sottolinea che il verbale dell’ARPA, posto a fondamento della sentenza impugnata, dà atto del prelievo di un campione dal terreno di proprietà dell’Aliberti, utilizzato dallo stesso per lo spandimento dei sottoprodotti della vinificazione.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di erronea applicazione della legge penale, ex art.606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., e di disposizioni legislative di cui tenere conto nell’applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 137 e 101 D.Lgs. 152/2006, art. 7 L. Reg. Sicilia n. 27/1986 e artt. 1 e 2 D.P.R. 227/11.
La difesa si duole perché il Tribunale, pur avendo individuato correttamente la normativa che disciplina l’equiparazione delle acque reflue industriali a quelle domestiche, avrebbe tuttavia errato nel ritenere la disciplina di cui all’art. 1 del D.P.R. 227/11 non applicabile al caso di specie perché residuale rispetto alla normativa regionale di cui alla L. reg. Sicilia n. 27/1986.
Pur riconoscendo che l’equiparazione delle acque reflue industriali a quelle domestiche è soggetta alla disciplina generale nazionale di cui all’art. 101, comma 7, lett. e), D.Lgs. 152/2006 e alla normativa regionale di cui alla L.reg. Sicilia 27/1986, la difesa ritiene che il D.P.R. 227/11 detti una disciplina speciale, di settore, per i reflui prodotti dalle piccole aziende vitivinicole. Pertanto ai fini dell’assimilabilità, se rispetto alle attività diverse da quelle disciplinate dal DPR 227/2011 è necessario fare riferimento alla normativa nazionale e a quella regionale, per le aziende vitivinicole sarebbe necessario fare riferimento alle disposizioni speciali di cui al D.P.R. citato, a meno che, in applicazione dell’art. 2 dello stesso decreto, non vi sia una normativa regionale di settore più restrittiva.
La difesa, infine, sottolinea che l’azienda del proprio assistito rientra nella previsione di cui al DPR 227/11 e dunque, a suo avviso, non ricorrerebbe in alcun caso la fattispecie di cui al 137 D.Lgs. 152/06, in quanto l’eventuale scarico avrebbe avuto comunque ad oggetto acque assimilabili ex lege a quelle domestiche.
2.3. Deduce, con il terzo ed ultimo motivo, il vizio di manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e,) c.p.p. in relazione al passaggio della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha ritenuto di escludere la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p..
Ed infatti, ad avviso della difesa, il Tribunale avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità del 131 bis c.p.- richiesta in via esclusiva dal P.M. e in via subordinata dalla difesa – sulla base di due elementi: l’abitualità della condotta contestata e l’idoneità della stessa a realizzare un pericolo per l’ambiente di non lieve entità.
A tal riguardo, la difesa si duole perché la ritenuta abitualità e reiterazione della condotta del proprio assistito non sarebbe stata desunta da dati obbiettivi ma sarebbe frutto di una mera supposizione del giudice; anche l’affermazione giudiziale in ordine alla potenziale idoneità della condotta del ricorrente a realizzare un pericolo per l’ambiente di non lieve entità sarebbe apodittica ed illogica, e ciò in considerazione del fatto che lo stesso giudice ha escluso l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 137 T.U.A., contestando dunque all’imputato una violazione di natura formale (mancata previa richiesta di autorizzazione), e che la ritenuta non assimilabilità dei reflui dell’azienda a quelli domestici è stata dedotta dal superamento di due soli parametri rispetto ai quelli previsti dalla normativa regionale.
3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta – depositata in data 13.07.2021, antecedente all’entrata in vigore dell’art. 7, comma 2, d.l. n. 105 del 23 luglio 2021, entrato in vigore in pari data – ha chiesto il rigetto del ricorso, ritenendo condivisibili le argomentazioni della sentenza impugnata con riferimento a tutte le questioni oggetto dei motivi di ricorso, conclusioni reiterate all’udienza pubblica odierna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Con il primo motivo, la difesa si duole per aver il Tribunale ritenuto sussistente uno scarico secondo la definizione di cui all’art. 74, comma 1, lett. ff), DLgs. 152/2006.
Come sottolineato anche dal giudice che ha emesso il provvedimento oggetto di ricorso, in tema di inquinamento idrico, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «ai fini della integrazione del reato di cui agli artt. 124, comma primo, e 137, comma primo, del D.Lgs. n. 152 del 2006, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse in un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, dovendosi escludere dalla nozione di scarico contenuta nella lett. ff) dell’art. 74, comma primo, dello stesso decreto il solo rilascio di reflui che non comporti alcun contatto fisico tra il refluo e tale corpo ricettore (Sez. 3, n. 24118 del 28/03/2017 – dep. 16/05/2017, Saligari, Rv. 270305 – 01).
Nella sentenza in esame si dà atto che le emergenze istruttorie acquisite in corso di giudizio hanno dimostrato, invero, la presenza all’interno dei pozzetti fognari, di acque derivanti dalla produzione vinicola esercitata dall’azienda di cui il ricorrente era legale rappresentante all’epoca dei fatti. La sentenza ha puntualmente ricostruito i fatti, dando conto dell’esito delle prove testimoniali e di quelle documentali, osservando come non potesse riconoscersi rilievo alcuno alla circostanza che le acque reflue, all’atto del controllo, permanessero all’interno dei pozzetti fognari atteso che, si legge in sentenza, per comune esperienza gli stessi risultano funzionali proprio a favorire il deflusso nella rete fognaria, così evidenziando pertanto, e al contrario rispetto a quanto asserito dalla difesa, il convogliamento dei residui liquidi in pubblica fognatura. A ciò la sentenza aggiunge l’ulteriore considerazione, anch’essa non manifestamente illogica, secondo cui non appariva nemmeno verosimile che il ricorrente avesse smaltito con modalità diverse i reflui derivanti necessariamente dall’attività di vendemmia, non avendo offerto prova di ciò.
Né, parimenti, aggiunge la sentenza, rileva la circostanza che al momento del controllo effettuato i macchinari non risultassero in funzione e che non vi fosse sversamento di reflui all’interno della fognatura, essendo sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, anche lo scarico periodico o discontinuo quale deve ragionevolmente ritenersi quello effettuato dall’Aliberti nel corso dell’attività vinicola, risultando irrilevante che l’attività produttiva fosse o meno attiva all’atto del sopralluogo: nessun dubbio, invero, puntualizza la sentenza, quanto alla provenienza dei residui liquidi dall’attività vinicola svolta dall’odierno imputato il quale ha confermato che i silos contenessero il vino prodotto nell’anno 2017; ciò in aggiunta all’ulteriore e, già di per sé tranciante, rilievo che la presenza, all’interno dei pozzetti, di acque per tipologia, composizione e caratteristiche compatibili con quelle derivanti dalla produzione vinicola svolta in loco è evidente e inconfutabile indice del pregresso sversamento delle acque di scarto all’interno della rete fognaria.
In conclusione, si legge nel provvedimento impugnato, è irrilevante l’attualità dell’attività produttiva, evidentemente conclusa nel periodo proprio della vendemmia, essendo sufficiente la prova dello scarico, cioè del sistema stabile di collettamento tra ciclo produttivo e corpo recettore, costituendo la fattispecie contestata, per come ripetutamente evidenziato da consolidata giurisprudenza, reato di pericolo (si citano in sentenza, correttamente, Cass. Pen. 21643/2015; Cass. Pen. 3199/2014) che per sua natura prescinde dalla effettiva produzione di un evento dannoso o pericoloso, risultando sufficiente ai fini dell’integrazione del reato la concreta potenzialità offensiva della condotta.
3. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente si appalesano in definitiva manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunto vizio di violazione di legge con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.
Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E, sotto il profilo giuridico, non può dubitarsi che nel caso di specie sia stata correttamente applicata la disciplina in tema di tutela delle acque (ritenendo sussistere uno “scarico” tecnicamente qualificabile come tale), non solo alla stregua delle considerazioni ampie e condivisibili sviluppate nella sentenza impugnata, ma anche considerarsi l’ulteriore dato logico, costituito dalla presenza stessa del “pozzetto d’ispezione”, la cui realizzazione è, non a caso, imposta dalla legge per consentire alle autorità di controllo le verifiche sulla rispondenza del sistema di canalizzazione alle prescrizioni di legge in tema di tutela delle acque dall’inquinamento.
4. Può quindi procedersi all’esame del secondo motivo, con cui la difesa sostiene che il tribunale avrebbe errato nel ritenere la disciplina di cui all’art. 1 del D.P.R. 227/11 non applicabile al caso di specie perché residuale rispetto alla normativa regionale di cui alla L. reg. Sicilia n. 27/1986.
4.1. Anche tale motivo è infondato.
Ed invero, la sentenza di occupa specificamente della questione alle pagg. 6 e segg., fornendo una puntuale risposta all’eccezione difensiva secondo cui lo scarico, pur se proveniente da attività industriale, risulterebbe assimilabile allo scarico di acque domestiche ai sensi dell’art. 101, c. 7, TUA, non soggetto ad alcuna autorizzazione amministrativa. Il giudice di merito, dopo aver operato un’ampia e puntuale ricognizione della normativa applicabile, osserva, nello specifico, come dal rapporto di prova n. 2018ME000423 del 12/07/2018 prot. 22959/2018 eseguito dall’Arpa su un campione di liquido prelevato all’interno del pozzetto dell’azienda e acquisito al fascicolo del dibattimento emergeva che le acque reflue prodotte dall’azienda non fossero assimilabili, stante la loro composizione, a quelle domestiche alla stregua dei parametri vigenti nella Regione Siciliana.
Invero, si legge in sentenza, il parametro 80D5 (02) risulta presente in percentuale pari a 660 mg/l a fronte di un parametro massimo, di cui alla tabella 8 L. 27/1986, di 300 mg/l; parimenti, il parametro COD (02) risulta presente in percentuale pari a 1549 mg/l a fronte di un limite massimo pari a 600 mg/l. Doveva pertanto escludersi per il primo giudice che i reflui prodotti fossero assimilabili agli scarichi domestici, esorbitando dai parametri previsti dalla legge. La sentenza, poi, richiama correttamente quella giurisprudenza di questa Corte che ha affermato il principio secondo cui in tema di inquinamento idrico l’assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, di determinate acque reflue industriali alle acque reflue domestiche è subordinata alla dimostrazione della esistenza delle specifiche condizioni individuate dalle leggi che la prevedono, restando applicabili, in difetto, le regole ordinarie. (Fattispecie di scarichi di reflui provenienti da attività di cantina di un’azienda vinicola: Sez. 3, n. 38946 del 28/06/2017 – dep. 07/08/2017, Rv. 270791 — 01).
Ciò, si noti, al fine di evidenziare come alcuna prova avesse fornito l’Aliberti della conformità delle acque derivanti dall’attività vinicola ai limiti tabellari previsti dalla normativa di riferimento (L.R. Sicilia n. 27/1986) per l’equiparazione alle acque reflue domestiche. Non appare peraltro conducente, a tal fine, aggiunge la sentenza, il richiamo operato dal CTP all’art. 1 del DPR 227/2011 che, parimenti individua taluni criteri di assimilazione delle acque reflue industriali a quelle domestiche, atteso che i criteri di assimilazione ivi previsti si applicano, ai sensi del comma 2, art. 2, in via residuale, in mancanza di una specifica e diversa disciplina regionale. Erroneo, in tal senso, è stato ritenuto dalla sentenza anche il richiamo alla predetta normativa operato dal teste Taletta, dipendente dell’ARPA, stante la vigenza di una disciplina regionale che espressamente individua le condizioni di assimilazione delle acque reflue industriali. Diversamente, puntualizza il primo giudice, la Regione Siciliana prevede parametri indubbiamente più stringenti di quelli previsti dalla normativa nazionale che non consentono, per l’appunto, di ricondurre le acque prodotte dall’azienda alla categoria delle acque industriali assimilabili alle acque domestiche.
4.2. Come già osservato a proposito del primo motivo, anche in relazione al secondo motivo di ricorso deve concludersi che, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente si appalesano in definitiva manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunto vizio di violazione di legge con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
E, sotto il profilo giuridico, non può dubitarsi che nel caso di specie sia stata correttamente applicata la disciplina in tema di tutela delle acque, non solo alla stregua delle considerazioni ampie e condivisibili sviluppate nella sentenza impugnata, ma anche in virtù del rilievo, costantemente operato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui grava sull’imputato l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni normative che consentono l’applicabilità di deroghe al regime ordinario che, come nel caso in esame, richiede l’autorizzazione allo scarico pena la violazione dell’art. 137, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (tra le tante, in materia ambientale: Sez. 3, n. 40761 del 20/03/2013 – dep. 02/10/2013, Rv. 257613 – 01; Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015 – dep. 17/04/2015, Rv. 263336; Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014 – dep. 28/01/2015, Rv. 262159; Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014 – dep. 10/02/2014, Rv. 258860; Sez. 3, n. 37280 del 12/06/2008 – dep. 01/10/2008, Rv. 241087).
5. Resta, infine, da esaminare il terzo ed ultimo motivo, con cui si contesta il passaggio della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha ritenuto di escludere la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.
5.1. Anche tale motivo è privo di pregio.
Ed invero, la sentenza motiva sul punto alle pagg. 9 e segg., osservando come non può, ancora, ritenersi che la condotta integri i presupposti di cui all’art. 131 bis c.p. che non consente di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per particolare tenuità della condotta allorché la stessa risulti abituale e reiterata. Sul punto, si legge in sentenza, dall’esame del verbale di accertamento documentazione ufficiale vitivinicola del 26 ottobre 2017, acquisito con consenso delle parti al fascicolo del dibattimento, risulta che l’Aliberti aveva svolto attività di produzione vinicola anche nel 2016, anno precedente l’accertamento, facendo presumibilmente utilizzo dello scarico realizzato. Peraltro,
trattandosi di reato di pericolo, precisa il giudice di merito, deve rilevarsi come la condotta non possa ritenersi potenzialmente idonea a realizzare un pericolo di lieve entità al bene giuridico tutelato tenuto conto che l’Aliberti, all’epoca del controllo, esercitava stabilmente l’attività imprenditoriale, seppur con carattere stagionale, con conseguente permanere dell’esposizione a pericolo del bene giuridico ambiente, di per sé non lieve tenuto conto dei componenti inquinanti riscontrati nelle acque reflue analizzate e della potenzialità della condotta a realizzare uno sversamento delle acque nella rete fognaria per un tempo non ragionevolmente prevedibile.
5.2. Trattasi, anche in questo caso, di motivazione scevra da illogicità manifeste e del tutto rispondente all’orientamento consolidato di questa Corte, atteso che, anzitutto, diversamente da quanto asserisce il ricorrente, la motivazione del giudice non appare illogica nella parte in cui egli, pur avendo escluso l’ipotesi aggravata di cui al comma 2, dell’art. 137 T.U.A., non ha riconosciuto la particolare tenuità del fatto oggetto di contestazione.
L’esclusione dell’ipotesi aggravata di cui al secondo comma della norma, infatti, non comporta automaticamente un giudizio di tenuità del fatto. Inoltre, il discostamento dei valori di COD(02) e BOD5(02) rispetto a quelli limite fissati dalla normativa regionale, su cui fa leva la valutazione giudiziale di non tenuità del pericolo, risulta effettivamente considerevole: il parametro BOD5(02), infatti, è risultato presente in percentuale pari a 660 mg/l a fronte di un parametro massimo di cui alla L. reg. Sicilia di 300 mg/l ed il parametro COD (02) è risultato presente in percentuale pari a 1549 mg/l a fronte di un limite massimo pari a 600 mg/l.
Il giudizio conclusivo del giudice di merito, dunque, non mostra segni di cedimento logico né, tantomeno appare sganciato dalla valutazione dell’offensività del fatto ancorata ai parametri individuati dall’art. 131-bis, c.p.
Questa Corte, ha, infatti, autorevolmente affermato che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 – dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590 — 01). E, in relazione al caso concreto sottoposto all’esame di questa Corte, non può certo dirsi che il primo giudice non abbia, coerentemente alle emergenze processuali, operato quella valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che lo hanno, con motivazione immune da vizi, condotto a ritenere il fatto non meritevole dell’applicazione della speciale causa di non punibilità.
6. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, rigettato, conseguendone ex lege a norma dell’art. 616, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, l’8 settembre 2021