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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Cave e miniere, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 33162 | Data di udienza: 26 Febbraio 2013

CAVE E TORBIERE – Attività estrattiva – Violazione della disciplina urbanistica – Limiti – DIRITTO URBANISTICO – Attività estrattiva – Apertura e coltivazione di cava – Poteri e limiti dell’autorità comunale – Rispetto della pianificazione territoriale comunale – Art. 44, lett. b), d.p.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Tribunale del riesame – Ruolo di garanzia.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 31 Luglio 2013
Numero: 33162
Data di udienza: 26 Febbraio 2013
Presidente: Mannino
Estensore: Franco


Premassima

CAVE E TORBIERE – Attività estrattiva – Violazione della disciplina urbanistica – Limiti – DIRITTO URBANISTICO – Attività estrattiva – Apertura e coltivazione di cava – Poteri e limiti dell’autorità comunale – Rispetto della pianificazione territoriale comunale – Art. 44, lett. b), d.p.R. n. 380/2001 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Tribunale del riesame – Ruolo di garanzia.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 31/07/2013 (Cc. 26/02/2013) Sentenza n. 33162

CAVE E TORBIERE – DIRITTO URBANISTICO – Attività estrattiva – Violazione della disciplina urbanistica – Limiti – Art. 44, lett. b), d.p.R. n. 380/2001.
 
La mancanza o il venire meno della autorizzazione per l’attività estrattiva non può configurare il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380. Tale reato, non è neanche astrattamente configurabile sotto il profilo della difformità della attività rispetto alla autorizzazione estrattiva, giacché, così ritenendo, si darebbe luogo ad una inammissibile applicazione analogica in malam partem di una norma penale. In altre parole si applicherebbe in via analogica la norma penale che punisce l’attività in difformità dal permesso di costruire alla ipotesi di attività in difformità dalla autorizzazione estrattiva, il che, oltre che inammissibile, sarebbe peraltro anche manifestamente illogico, dal momento che è pacifico che la norma in esame non potrebbe applicarsi per l’ipotesi di totale mancanza di autorizzazione estrattiva.
 
(annulla ordinanza emessa il 29 maggio 2012 dal tribunale del riesame di Rieti) Pres. Mannino, Est. Franco, Ric. D’Alessandri ed altri
 

CAVE E TORBIERE – DIRITTO URBANISTICO – Attività estrattiva – Apertura e coltivazione di cava – Poteri e limiti dell’autorità comunale – Rispetto della pianificazione territoriale comunale – Art. 44, lett. b), d.p.R. n. 380/2001.
 
Per l’apertura e la coltivazione di una cava non è richiesta la concessione edilizia del sindaco, ond’è che in materia non è configurabile il reato di cui all’art. 20, comma primo, lett. b), legge 28 febbraio 1985, n. 47 ora art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 (oggi permesso di costruire). Ciò in considerazione del fatto che in materia di cave e torbiere l’autorità comunale non ha potere di controllo, ne’ sotto forma di autorizzazione, ne’ di concessione, perché l’attività urbanistica è strettamente correlata agli insediamenti sul territorio e, per quanto questi possano diversificarsi, è certo che non è tale una attività estrattiva. Tuttavia, la stessa deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la contravvenzione di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001 (Cass. Sez. F., 26.8.2008, n. 39056, Iuliano).
 
(annulla ordinanza emessa il 29 maggio 2012 dal tribunale del riesame di Rieti) Pres. Mannino, Est. Franco, Ric. D’Alessandri ed altri
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Tribunale del riesame – Ruolo di garanzia.
 
Il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex plurimis, Sez. I, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m. 227.498; Sez. III, 16.3.2006 n. 17751; Sez. Il, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197; Sez. III, 8.11.2006, Pulcini; Sez. III, 9 gennaio 2007, Sgadari; Sez. IV, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. V, 15.7.2008, n. 37695, Cecchi, m. 241632; Sez. I, 11.5.2007, n. 21736, Citarella, m. 236474; Sez. IV, 21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Sez. Il, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650; Sez. III, 11.3.2010, D’Orazio; Sez. III, 20.5.2010, Bindi; Sez. III, 6.10.2010, Kronenberg-Widmer; Sez. III, 5.4.2011, n. 28221, Musone; Sez. I, 6.7.2011, n. 33791, Aquino; Sez. III, 25.9.2012, Marseglia; e numerosissime altre).
 
(annulla ordinanza emessa il 29 maggio 2012 dal tribunale del riesame di Rieti) Pres. Mannino, Est. Franco, Ric. D’Alessandri ed altri
 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^, 31/07/2013 (Cc. 26/02/2013) Sentenza n. 33162

SENTENZA

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
 
1. Dott. Saverio Mannino – Presidente
2. Dott. Aldo Fiale – Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco – Consigliere Rel.
4. Dott. Luigi Marini – Consigliere
5. Dott. Alessandro Andronio – Consigliere
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da D’Alessandri Luigi, nato a Montopoli di Sabina il 2.4.1931, D’Alessandri Angelo Amedeo, nato a Montopoli di Sabina il 2.8.1961, e da D’Alessandri Stefano, nato a San Giovanni Valdarno il 2.10.1965;
avverso l’ordinanza emessa il 29 maggio 2012 dal tribunale del riesame di Rieti;
udita nella udienza in camera di consiglio del 26 febbraio 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori avv. Paolo Giammarioli e Marco Bonamici;
 
Svolgimento del processo
 
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Rieti confermò il decreto emesso il 3.5.2012 dal Gip del tribunale di Rieti di sequestro preventivo di una cava e relative attrezzature sita in parte nel comune di Poggio Mirteto e in parte nel comune di Salisano, in relazione al reato di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, contestato perché non era stato rispettato l’ordine del sindaco di cessazione della attività di coltivazione per essere la relativa autorizzazione all’esercizio della cava scaduta nel 2009 e perché l’attività era difforme da quanto previsto dalla autorizzazione in quanto svolta su superficie maggiore e con estrazione di una maggiore quantità di inerti.
 
Osservò, tra l’altro, il tribunale del riesame che non rilevava se il reato configurabile era quello di cui all’art. 44, lett. a), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, e non quello di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, e che comunque nella specie era in astratto configurabile proprio il reato di cui all’art. 44, lett. b), perché gli indagati non avevano ottemperato all’ordine di sospensione emesso dal sindaco, il quale aveva il potere di disporlo ancorché per l’esercizio della cava non sia richiesto il permesso di costruire. Non rilevava poi che il TAR avesse sospeso tale provvedimento del sindaco, perché per la sequestrabilità era sufficiente la configurabilità in astratto del reato. Nemmeno rilevava che la proroga della concessione fosse necessitata perché era contestata la difformità dalla concessione. Il tribunale rigettò poi anche l’istanza di dissequestro degli impianti esterni.
 
Gli indagati, a mezzo dell’avv. Paolo Giammarioli e dell’avv. Marco Boriamici, propongono ricorso per cassazione deducendo:
 
1) violazione dell’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla astratta sussistenza del reato. Osservano che in materia di cave non è applicabile la normativa edilizia urbanistica e non è ravvisabile la violazione dell’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380. Semmai avrebbe potuto essere in astratto configurabile il reato di cui all’art. 44, lett. a), qualora vi fosse stato (il che non era) un contrasto con gli strumenti urbanistici, ma il tribunale del riesame ha escluso questa ipotesi di reato ed ha ritenuto configurabile proprio il reato di cui all’art. 44, lett. b), il quale invece è inapplicabile alla ipotesi di attività di cava in assenza del permesso di costruire che non è richiesto. Il tribunale ha peraltro ritenuto applicabile questa) reato alla ipotesi di coltivazione della cava in difformità dalla autorizzazione estrattiva, ma in tal modo ha assimilato questa autorizzazione al permesso di costruire sotto il profilo della attività in difformità, così operando una inammissibile applicazione analogica.
 
2) violazione dell’art. 44, lett. a), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, e omessa motivazione sulla indicazione del fatto materiale integrante il reato. Osservano che non è indicata alcuna prescrizione o pianificazione dello strumento urbanistico generale che sarebbe stata violata. Inoltre, l’attività di cava è svolta in zona agricola che di per sé non è incompatibile.
 
3) contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione e mancanza di motivazione in relazione alla intervenuta sospensiva da parte del TAR dell’ordine comunale di sospensione dei lavori in riferimento alla deduzione che la proroga della autorizzazione era nella specie un atto dovuto. Ora, la sospensione del provvedimento da parte del giudice amministrativo incide proprio sulla astratta configurabilità del reato.
 
Motivi della decisione
 
Il ricorso è fondato essendo l’ordinanza impugnata effettivamente erronea sotto diversi profili.
 
Innanzitutto, il tribunale del riesame ha affermato che il suo giudizio sarebbe limitato alla verifica della compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, e per tale ragione ha ritenuto non valutabile in sede di riesame la circostanza che il competente TAR aveva disposto la sospensione dell’efficacia del provvedimento comunale di sospensione della attività. Si tratta però di una tesi che non può essere condivisa e che è stata disattesa innumerevoli volte dalla recente giurisprudenza di questa Corte, la quale ha invece affermato il principio che il tribunale del riesame, per espletare il ruolo di garanzia che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex plurimis, Sez. I, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m. 227.498; Sez. III, 16.3.2006 n. 17751; Sez. Il, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197; Sez. III, 8.11.2006, Pulcini; Sez. III, 9 gennaio 2007, Sgadari; Sez. IV, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. V, 15.7.2008, n. 37695, Cecchi, m. 241632; Sez. I, 11.5.2007, n. 21736, Citarella, m. 236474; Sez. IV, 21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Sez. Il, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650; Sez. III, 11.3.2010, D’Orazio; Sez. III, 20.5.2010, Bindi; Sez. III, 6.10.2010, Kronenberg-Widmer; Sez. III, 5.4.2011, n. 28221, Musone; Sez. I, 6.7.2011, n. 33791, Aquino; Sez. III, 25.9.2012, Marseglia; e numerosissime altre).
 
In ogni modo, almeno dalla ordinanza impugnata, non risultano elementi per ipotizzare l’astratta, ipotizzabilità del reato contestato. Nella specie, il tribunale del riesame ha chiaramente ritenuto che era configurabile non l’ipotesi di cui all’art. 44, lett. a), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, bensì quella di cui all’art. 44, lett. b), in riferimento alla continuazione della attività dopo l’ordinanza di sospensione del sindaco ed alla asserita difformità dalla originaria autorizzazione.
 
Deve però ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «Per l’apertura e la coltivazione di una cava non è richiesta la concessione edilizia del sindaco, ond’è che in materia non è configurabile il reato di cui all’art. 20, comma primo, lett. b), legge 28 febbraio 1985, n. 47» (Sez. Un., 18.6.1993, n. 11, Antonelli, m. 194494); «Per l’apertura e la coltivazione di una cava non è richiesta la concessione edilizia del sindaco sicché non è configurabile il reato di cui all’art. 20, comma primo lett. b) legge 28 febbraio 1985, n. 47; ciò in considerazione del fatto che in materia di cave e torbiere l’autorità comunale non ha potere di controllo, ne’ sotto forma di autorizzazione, ne’ di concessione, perché l’attività urbanistica è strettamente correlata agli insediamenti sul territorio e, per quanto questi possano diversificarsi, è certo che non è tale una attività estrattiva» (Sez. III, 1.7.1996, n. 2864, Scacco, m. 206288); «L’attività di apertura e coltivazione di cava non richiede il preventivo rilascio della concessione edilizia, non essendo subordinata al preventivo controllo dell’autorità comunale, ma la stessa deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell’art. 20 lett. a) della legge 28 febbraio 1985 n. 47» (Sez. III, 21.3.2002, n. 26140, Guida, m. 222415; Sez. III, 1.12.1995, n. 460/96, Mazzocco, m. 203552); «L’attività di apertura e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di controllo edilizio comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, potendosi configurare, in difetto, la contravvenzio-ne di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001» (Sez. F., 26.8.2008, n. 39056, Iuliano, m. 241268).
 
La mancanza o il venire meno della autorizzazione, pertanto, non può configurare l’ipotizzato reato di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380.
 
Il reato non è astrattamente configurabile nemmeno sotto il profilo della difformità della attività rispetto alla autorizzazione estrattiva, giacché, così ritenendo, si darebbe luogo ad una inammissibile applicazione analogica in malam partem di una norma penale. In tal caso, infatti, mentre non sarebbe punibile ai sensi della disposizione penale in questione l’ipotesi della assenza di autorizzazione, rientrerebbe invece nell’ambito della disposizione l’ipotesi della difformità della attività dalla autorizzazione, ma in questo modo si opererebbe, in sostanza, una applicazione analogica della norma penale, assimilando la autorizzazione estrattiva al permesso di costruire, quanto meno sotto il profilo della attività in difformità. In altre parole si applicherebbe in via analogica la norma penale che punisce l’attività in difformità dal permesso di costruire alla ipotesi di attività in difformità dalla autorizzazione estrattiva, il che, oltre che inammissibile, sarebbe peraltro anche manifestamente illogico, dal momento che è pacifico che la norma in esame non potrebbe applicarsi per l’ipotesi di totale mancanza di autorizzazione estrattiva.
 
L’ordinanza impugnata ha anche in sostanza escluso la configurabilità del reato di cui all’art. 44, lett. a), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380. In ogni modo, tale reato nella specie non è nemmeno in astratto ipotizzabile dal momento che non è stata indicata alcuna concreta prescrizione dello strumento urbanistico generale o della pianificazione comunale che sarebbe stata violata, sicché manca la stessa configurazione del fatto contestato in riferimento all’ipotesi astratta. Del resto, l’ordinanza impugnata non ha ritenuto infondato l’assunto difensivo secondo cui l’area oggetto del sequestro preventivo ricade in zona agricola, sottozona E/1, nella quale, secondo la normativa tecnica del PRG, non sussisterebbe alcun divieto per tale tipo di attività, divieto invece previsto per la sottozona E/4. Nella specie, inoltre, secondo l’assunto difensivo non contraddetto dalla ordinanza impugnata, era previsto un obbligo di ripristino e di recupero ambientale, per cui l’attività estrattiva non sarebbe stata di per sé incompatibile in area agricola.
 
A ben vedere, quindi, l’unico effettivo elemento su cui si basano il sequestro preventivo e l’ordinanza impugnata è costituito dalla violazione all’ordine di sospensione della attività estrattiva emesso dal sindaco, ordine che, secondo il tribunale del riesame, sarebbe giustificato dal fatto che, avendo il sindaco poteri di vigilanza sulla attività urbanistica in genere, lo stesso potrebbe disporre la sospensione dei lavori anche ove non è richiesto come titolo abilitativo il permesso di costruire. Va però osservato che questo potere di sospensione nella materia delle cave trova la sua specifica regolamentazione nella legislazione regionale (legge reg. n. 17/2004). La difesa, inoltre, sostiene che la frase relativa alla ipotesi di prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione, contenuta nell’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, si riferisce chiaramente a chi esegua i lavori privo di un permesso di costruire, o in difformità dello stesso o li prosegua anche successivamente ad un ordine di sospensione, sempre evidentemente nel caso in cui sia richiesto tale titolo abilitativo. Ciò in applicazione della giurisprudenza dianzi riportata (cfr. Sez. Un., 18.6.1993, n. 11, Antonelli, m. 194494) secondo cui l’attività di apertura e di esercizio di coltivazio ne di cava deve essere autorizzata dalla regione e non richiede la concessione edilizia (ora il permesso di costruire). E’ vero peraltro che una risalente pronuncia di questa Sezione, facendo riferimento al principio che «al sindaco spettano poteri di vigilanza non solo in materia di illeciti edilizi, ma sull’attività urbanistica in genere, intesa come assetto e utilizzazione del territorio, ed in relazione ad essi può disporre la sospensione dei lavori anche quando gli stessi non siano sottoposti a concessione edilizia. La prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione costituisce perciò, a prescindere dalla ragione per cui l’ordine è stato impartito, violazione della seconda parte dell’art. 20 lettera b) della l. 28 febbraio 185 n. 47» lo ha applicato, ritenendo sussistente il reato de quo, anche «in caso o prosecuzione, nonostante l’ordine di sospensione, dell’attività di coltivazione di una cava, anche se tale attività, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite de la Corte, non è soggetta a concessione edilizia» (Sez. III, 9.10,1997, n. 10881, abatini, m. 209641). Va però anche precisato che questa conclusione non risulta essere stata più confermata in seguito, dal momento che anche Sez. III, 3.7.2007, n. 37320, Pancaldo, m. 237385, la quale ha ribadito il principio generale che l’ordine di sospensione può essere emesso dal comune anche qualora l’attività edilizia non necessiti di permesso di costruire, ha ritenuto configurabile il reato nel caso di violazione di un ordine di sospensione riguardante «interventi edilizi successivamente qualificati come di manutenzione straordinaria, non soggetti a concessione edilizia», e quindi pur sempre in relazione ad una attività edilizia, e non già anche in caso di ordine comunale di sospensione di attività di coltivazione di cava.
 
Ritiene tuttavia il Collegio che non sia necessario in questa sede risolvere tale questione perché, quand’anche potesse ritenersi in ipotesi configurabile il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel caso di ordine comunale di sospensione di attività di coltivazione di cava, il reato non sarebbe comunque ravvisabile nel caso in esame. E’ pacifico difatti che nella specie l’efficacia del provvedimento comunale è stata sospesa dal competente TAR con ordinanza del 20.4.2012, sotto il profilo della necessità che la amministrazione provvedesse in via preventiva sulla tuttora pendente istanza di proroga della autorizzazione estrattiva, e quindi non potesse adottare un provvedimento di cessazione della attività, tanto più che gli interessati deducevano che ai sensi dell’art. 34 della legge reg. 17 del 2004 la proroga stessa, poiché necessaria per completare il piano di coltivazione e recupero ambientale, era un atto dovuto.
 
Erroneamente il tribunale del riesame ha ritenuto irrilevante la sospensione di efficacia della delibera comunale per il motivo che l’oggetto del suo giudizio sarebbe limitato alla verifica di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale. E difatti, anche a prescindere dalla erroneità di questo assunto — già dianzi rilevata — è evidente che la sospensione degli effetti del provvedimento comunale incide proprio sulla fattispecie concreta e sulla sua assumibilità in quella astratta legale (dato che il tribunale ha ritenuto espressamente ipotizzabile il reato «per essere stati i lavori proseguiti nonostante l’ordine di sospensione»). In ogni caso, la statuizione del competente giudice amministrativo esclude la presenza di una qualsiasi concreto ed attuale periculum in mora, dato che, per effetto della stessa, la prosecuzione della attività di cava è oggi legittima nell’ambito del progetto approvato ed in corso.
 
In conclusione, stante l’evidente assenza del fumus del reato ipotizzato e del periculum in mora, l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo emesso il 4.5.2012 dal Gip del tribunale di Rieti devono essere annullati senza rinvio, con l’ordine di restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.
 
Per questi motivi
 
La Corte Suprema di Cassazione
 
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo del Gip de tribunale di Rieti del 4.5.2012 e ordina la restituzione di quanto in sequestro ali aventi diritto.
 
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc.pen.
 
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 26 febbraio 2013.
 
 
 
 

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