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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Diritto urbanistico - edilizia, Pubblica amministrazione Numero: 10248 | Data di udienza: 14 Febbraio 2013

DIRITTO URBANISTICO – Abuso di ufficio nel reato urbanistico – Configurabilità – Presupposti – Giurisprudenza – Aree e costruzioni destinate a parcheggio – Legge Tognoli – (L. 24/3/1989, n. 122) – Applicazione e limiti – Giurisprudenza – Ordine giudiziale di demolizione – Natura – Autonoma funzione ripristinatoria – Artt. 22, 31 e 44 d.P.R. n. 380/01 – Art.445, c.2, cod. proc. pen. – Varianti essenziali – Individuazioni – Diverso e autonomo permesso di costruire – Necessità – Interventi subordinati a denuncia di inizio attività – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Violazione della normativa legale in materia urbanistica – Ingiusto vantaggio patrimoniale – Qualificazione – Art. 323 cod. pen. – Art.169, lett. a) d.lgs. n.42/2004 – Intervento edilizio in presenza di permesso illegittimo – Effetti – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici – Accertamento del giudice penale – Poteri e limiti – Consulenza tecnica in forma non garantita – Allegati e utilizzazione dei documenti – Art. 359 cod. proc. pen. – Motivazione per relationem – Limiti di legittimità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 5 Marzo 2013
Numero: 10248
Data di udienza: 14 Febbraio 2013
Presidente: Squassoni
Estensore: Ramacci


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – Abuso di ufficio nel reato urbanistico – Configurabilità – Presupposti – Giurisprudenza – Aree e costruzioni destinate a parcheggio – Legge Tognoli – (L. 24/3/1989, n. 122) – Applicazione e limiti – Giurisprudenza – Ordine giudiziale di demolizione – Natura – Autonoma funzione ripristinatoria – Artt. 22, 31 e 44 d.P.R. n. 380/01 – Art.445, c.2, cod. proc. pen. – Varianti essenziali – Individuazioni – Diverso e autonomo permesso di costruire – Necessità – Interventi subordinati a denuncia di inizio attività – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Violazione della normativa legale in materia urbanistica – Ingiusto vantaggio patrimoniale – Qualificazione – Art. 323 cod. pen. – Art.169, lett. a) d.lgs. n.42/2004 – Intervento edilizio in presenza di permesso illegittimo – Effetti – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici – Accertamento del giudice penale – Poteri e limiti – Consulenza tecnica in forma non garantita – Allegati e utilizzazione dei documenti – Art. 359 cod. proc. pen. – Motivazione per relationem – Limiti di legittimità.



Massima

 

 

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 5 Marzo 2013 (Ud. 14/02/2013) Sentenza n. 10248

DIRITTO URBANISTICO – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Abuso di ufficio nel reato urbanistico – Configurabilità – Presupposti – Giurisprudenza.
 
Il rilascio di un titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di un immobile la cui edificazione non è consentita determina inequivocabilmente un vantaggio patrimoniale ingiusto nei confronti del privato che lo ottiene e che, in forza del titolo indebitamente conseguito, costruisce un manufatto il quale, oltre ad incrementare il valore dell’area ove insiste, ha un valore intrinseco e può essere successivamente alienato, locato o destinato comunque ad utilizzazioni economicamente vantaggiose (si veda anche Cass. Sez. VI n. 35856, 18/09/2008, fattispecie in tema di rilascio di concessione edilizia in sanatoria per opere realizzate in zona inedificabile. Cass.  Sez. VI n. 44999, 7/12/2005 relativa al rilascio di una concessione edilizia in violazione del piano regolatore che avrebbe favorito il proprietario di un suolo limitrofo a quello del denunciante).
 
(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 
 
DIRITTO URBANISTICO – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Violazione della normativa legale in materia urbanistica – Ingiusto vantaggio patrimoniale – Qualificazione – Art. 323 cod. pen..
 
Pur non potendosi qualificare gli strumenti urbanistici come norme di legge o di regolamento, la loro violazione rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica alla quale si deve fare riferimento quale elemento strutturale del reato di abuso d’ufficio (giurisprudenza consolidata Cass. Sez. VI n. 46503, 03/12/2009; Sez. VI n. 11620, 20/3/2007; Sez. VI n. 16241, 20/4/2001; Sez. VI n. 9422, 5/9/2000; Sez. VI n. 6247, 29/5/2000; Sez. VI n. 13794, 1/12/1999; Sez. VI n.12221, 26/10/1999). Un ulteriore aspetto è quello concernente la individuazione del requisito dell’ingiustizia del danno e del vantaggio, in assenza del quale il reato di cui all’art. 323 cod. pen. non sarebbe sussistente. Precisando che, costituisce ingiusto vantaggio patrimoniale anche il semplice incremento di valore commerciale dell’immobile.

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 

DIRITTO URBANISTICO – Intervento edilizio in presenza di permesso illegittimo – Effetti.
 
Deve ritenersi sostanzialmente inesistente il titolo abilitativo emesso da soggetto totalmente privo del potere di emanarlo o frutto di attività criminosa del funzionario che lo rilascia o del privato che lo consegue. Punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizia illegittimo (Cass. Sez. III n.21487, 21/6/2006).  

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 

DIRITTO URBANISTICO – Aree e costruzioni destinate a parcheggio – Legge Tognoli (L. 24/3/1989, n. 122) – Applicazione e limiti – Giurisprudenza.
 
La legge 24 marzo 1989, n. 122, riguarda esclusivamente aree e costruzioni destinate a parcheggio, con esclusione di qualsiasi altra destinazione incompatibile con il vincolo pubblicistico di natura funzionale introdotto dalla stessa legge (Cons. Stato, sez. V n. 2609, 24/4/2009). Nello specifico, la legge 24 marzo 1989, n. 122 (c.d. Legge Tognoli) riguarda i parcheggi a servizio di edifici già esistenti e stabilisce, nell’art. 9, comma 1, che detti parcheggi, costruiti dai proprietari degli immobili, possono essere realizzati nel sottosuolo, ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti; possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici; devono essere destinati a pertinenza dei fabbricati; non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli. Vengono fatte salve le disposizioni paesaggistiche ed ambientali. Escludendo, nella specie, l’applicazione delle disposizioni in esame per la realizzazione, unitamente ad un garage interrato, di un insieme ulteriore di opere ad esso accessorie finalizzate ad una nuova sistemazione degli accessi all’edificio residenziale: terrazza con pensilina e scala di collegamento (Cass. Sez. III n.28840, 11/07/2008), per parcheggi realizzati in superficie (Cass. Sez. III n. 23730, 8/6/2009; Sez. III n.38841, 23/11/2006; Sez. III n.37013, 15/10/2001) e per parcheggi costruiti con interramenti ottenuti per effetto del riporto di terra (Cass. Sez. III n.26825 20/6/2003). A conclusioni identiche è ripetutamente pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (v. ad es., Cons. Stato sez. IV n. 4645, 26/9/2008; Consiglio di Stato Sez. V n.1608, 29/3/2006; Cons. Stato Sez. V n. 1662 29/3/2004).

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 

DIRITTO URBANISTICO – Ordine giudiziale di demolizione – Natura – Autonoma funzione ripristinatoria – Art. 31 d.P.R. 380/01 – Art.445, c.2, cod. proc. pen..
 
La diversa natura dell’ordine di demolizione previsto dall’art. 31 d.P.R. 380/01 è stata da tempo delineata, trattandosi della medesima disposizione già contenuta nell’art. 7 della legge n. 47 del 1985, riconoscendo piena continuità normativa (Cass. Sez. III n. 32211, 31/7/2003). Inoltre, l’ordine giudiziale di demolizione ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (Cass. Sez. III n. 37120, 13/10/2005). Per cui esso non è inscrivibile nel novero delle pene accessorie, tassativamente previste, e per tale ragione la demolizione ordinata dal giudice resta esclusa dall’applicabilità del beneficio della sospensione condizionale della pena (Cass. Sez. III n. 34297, 11/09/2007; Sez. III n. 36555, 4/11/2002), non è ricompresa nel divieto della «reformatio in peius» e resta eseguibile, qualora sia stata impartita con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art.445, comma 2, cod. proc. pen. (Cass. Sez. III n. 18533, 11/5/2011; Sez. III n. 16552, 23/4/2001).
 
(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 
 
DIRITTO URBANISTICO – Varianti essenziali – Individuazioni – Diverso e autonomo permesso di costruire – Necessità – Interventi subordinati a denuncia di inizio attività – Art. 22 d.P.R. n.380/01.
 
In materia urbanistica, sono da qualificarsi “varianti essenziali” quelle che si distaccano dalla progettazione originaria in modo radicale sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo e si risolvono nella realizzazione di un’opera completamente diversa da quella assentita (Cass. Sez. III n. 24236, 24/6/2010). Esse non sono specificamente disciplinate e presuppongono, per la loro realizzazione, un diverso e autonomo permesso di costruire, mentre le varianti al permesso di costruire sono contemplate dall’art. 22 del d.P.R. n.380/01 e sono soggette a determinate condizioni: non devono incidere sui parametri urbanistici (indici di edificabilità, rapporti di copertura, superfici fondiarie etc.), tra i quali vanno ricomprese anche le distanze tra gli edifici (Sez. III n.9922, 5/3/2009) e sulle volumetrie; non devono modificare la destinazione d’uso e la categoria edilizia, quest’ultima sostanzialmente corrispondente con la categoria catastale e non devono alterare la sagoma dell’edificio e violare le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 
 
DIRITTO URBANISTICO – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici – Accertamento del giudice penale – Poteri e limiti.
 
Il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera .

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE  – Consulenza tecnica in forma non garantita – Allegati e utilizzazione dei documenti – Art. 359 cod. proc. pen..
 
In linea di principio, la consulenza tecnica espletata in forma non garantita, ai sensi dell’art. 359 cod. proc. pen., ha una utilizzazione estremamente contenuta sia nella fase delle indagini preliminari, atteso che, il suo impiego è limitato alla assunzione di ulteriori determinazioni da parte del Pubblico Ministero sia, nella fase dibattimentale, di regola non assume valore probatorio, tranne nei casi di consenso delle parti, di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’accertamento e di escussione in dibattimento del consulente nella piena dialettica del contraddittorio e dell’esame incrociato (Cass. Sez. III n. 22268, 4/6/2008). Tuttavia, gli allegati in essa contenuti sono utilizzabili quando si tratta di documentazione afferente al complesso procedimento amministrativo autorizzatorio. Sicché, vi è una sostanziale differenza tra l’elaborato redatto dal consulente, che è il frutto di una sua personale analisi e valutazione degli elementi acquisiti effettuata sulla base di specifiche cognizioni ed i documenti, ad esso eventualmente allegati, provenienti da terzi. In sostanza, si tratta di documenti che avrebbero potuto essere in ogni caso acquisiti agli atti del procedimento e che sono inequivocabilmente distinti dall’elaborato cui sono stati allegati. Sarebbe del resto assurdo ritenere che un qualsiasi documento, per il solo fatto di essere stato allegato ad un atto poi dichiarato inutilizzabile, perda ogni valore probatorio.

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE  – Motivazione per relationem – Limiti di legittimità.
 
L’individuazione dei limiti di legittimità della motivazione per relationem trova un punto fermo soltanto nell’obbligo del giudice d’appello di argomentare sulla fallacia, inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione in presenza di specifiche censure dell’appellante sulle soluzioni adottate dal giudice di primo grado, poiché il mero richiamo in termini apodittici o ripetitivi alla prima pronuncia o la semplice reiezione delle censure predette determina un evidente vizio di motivazione (Sez. VI 6221/06 cit.; Sez. VI, n. 35346, 15/09/2008; Sez. IV,n. 38824, 14/10/2008, Sez. III n. 24252, 24/6/2010). Inoltre, non può muoversi censura ad una sentenza che, pur non prendendo espressamente in esame una deduzione prospettata con l’atto di impugnazione, evidenzi comunque una ricostruzione dei fatti che implicitamente, ma in maniera adeguata e logica, ne comporti il rigetto (Sez. Il n. 33577, 1/9/2009; Sez. Il n. 29434, 6/7/2004).

(conferma sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012) Pres. Squassoni, Est. Ramacci, Ric. Biscardi ed altri
 
 

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez.3^ 5 Marzo 2013 (Ud. 14/02/2013) Sentenza n. 10248

SENTENZA

 

 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
 
Composta dagli Ill.mi. Sigg.ri Magistrati:
 
Dott. CLAUDIA SQUASSONI – Presidente
Dott. MARIO GENTILE – Consigliere
Dott. GUICLA MULLIRI – Consigliere
Dott. LUCA RAMACCI – Consigliere Rel. 
Dott. CHIARA GRAZIOSI – Consigliere 
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
– COMUNE DI ALTOMONTE
– SCIARRA GIULIO N. IL 18/09/1950 nei confronti di:
– BISCARDI MICHELE DARIO N. IL 05/02/1952
– BRUNO PAOLO N. IL 26/03/1935
– PIRAGINE ANNA MARIA CARMELA N. IL 22/08/1945 
– CALIGIURI GIUSEPPE FRANCO N. IL 02/04/1941 
– BRUNO MICHELE N. IL 17/11/1968
inoltre:
– BISCARDI MICHELE DARIO N. IL 05/02/1952
– BRUNO PAOLO N. IL 26/03/1935
– PIRAGINE ANNA MARIA CARMELA N. IL 22/08/1945 
– CALIGIURI GIUSEPPE FRANCO N. IL 02/04/1941
avverso la sentenza n. 972/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 19/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito Procuratore Generale in persona del Dott. M.Fraticelli che ha concluso per l’accoglimento del ricorso della PC Comune di Altofonte e l’annullamento senza rinvio limitatamente alla revoca della previsionale. Rigetto nel resto. Accoglimento del ricorso di Bruno P., Piragine e Caligiuri ed annullamento senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio. Rigetto nel resto. Rigetto degli altri ricorsi. 
Udito, per la parte civile, l’Avv R.Laghi e P. Adami
Uditi difensor Avv. R. Adamo, N. Raimondi G.Sirimarco e G. C., quest’ultimo anche quale sost. proc. dell’avv. L. G..
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 19.1.2012 ha riformato la decisione in data 21.1.2011 del Tribunale di Castrovillari, appellata da Paolo BRUNO, Anna Maria Carmela PIRAGINE, Michele Dario BISCARDI, Giuseppe Franco CALIGIURI e Michele BRUNO, imputati dei reati di cui agli artt. 110, 117, 323 cod. pen. (capo A); 44 lett. c) d.P.R. n. 380/01 (capi B, C, D, E, F, G ed M assorbiti in unica fattispecie); 110, 633, 639-bis cod. pen. (capo H); 48, 81, 110, 117, 323, 481, 640 comma 1 cod. pen.(capo I); 110 cod. pen., 169, lett. a) d.lgs. n.42/2004 (capo L), con riferimento alla realizzazione di un intervento di ristrutturazione di una porzione del castello dei Conti di Altomonte e nella realizzazione di un fabbricato in cemento armato di cinque piani in prossimità del Castello medesimo in contrasto con le previsioni del Programma di Fabbricazione del Comune di Altomonte, in violazione della fascia di salvaguardia intorno al Castello e senza rispettare le distanze da altro immobile insistente su terreno confinante, il tutto sulla base di titoli abilitativi ritenuti illegittimi.
 
I fatti, commessi fino al 22.3.2007, data di esecuzione del sequestro preventivo, erano attribuiti ai predetti nelle rispettive qualità di titolare dell’impresa esecutrice dei lavori (Paolo BRUNO), avente diritto alla trasformazione urbanistica ed edilizia del suolo in forza di atto autorizzatorio stipulato con Vittorio BRUNO (PIRAGINE), responsabile dell’ufficio tecnico comunale (BISCARDI), progettista e direttore dei lavori (CALIGIURI e Michele BRUNO).
 
All’esito del giudizio di appello, la Corte territoriale ha assolto Michele BRUNO dal reato ascrittogli al capo L per insussistenza del fatto e dagli altri reati ascrittigli per non aver commesso il fatto; ha assolto Paolo BRUNO, Anna Maria Carmela PIRAGINE e Giuseppe Franco CALIGIURI dal reato loro ascritto al capo L per insussistenza del fatto; ha assolto Giuseppe Franco CALIGIURI dal reato ascrittogli al capo A per non aver commesso il fatto; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Michele Dario BISCARDI e Anna Maria Carmela PIRAGINE per il reato loro ascritto al capo A perché estinto per intervenuta prescrizione; ha rideterminato la pena originariamente inflitta a Paolo BRUNO, Anna Maria Carmela PIRAGINE e Giuseppe Franco CALIGIURI per le residue imputazioni, revocando la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile SCIARRA Giulio e quella al pagamento di provvisionali in favore delle parti civili SCIARRA; Comune di Altomonte e Regione Calabria ed ha condannato Paolo BRUNO, Anna Maria Carmela PIRAGINE, Michele Dario BISCARDI e Giuseppe Franco CALIGIURI e Michele BRUNO alla rifusione delle spese di costituzione e difesa nel grado in favore delle parti civili.
 
1.1. Avverso tale pronuncia propongono ricorso per cassazione gli imputati e le parti civili Comune di Altomonte e Giulio SCIARRA, i quali prospettano i motivi di seguito specificati:
 
2. Paolo BRUNO 
 
con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione ed il travisamento delle prove, affermando di aver dedotto in sede di appello, con motivi nuovi, l’inutilizzabilità, non rilevata dal primo giudice, delle consulenze tecniche del Pubblico Ministero (di cui si indica la prima come espletata nell’ambito di un procedimento iscritto a Modello 45 e la seconda in un procedimento penale, successivamente aperto, ed iscritto a Modello 21 con imputati noti, con incarico ai medesimi consulenti).
 
Aggiunge che l’eccezione di inutilizzabilità riguardava le consulenze ed i documenti allegati che la Corte del merito avrebbe erroneamente ritenuto utilizzabili, a differenza dell’elaborato che li conteneva, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., senza peraltro motivare sulle deduzioni difensive e selezionando gli atti ed i documenti utilizzati per ricostruire l’iter amministrativo seguito nella definizione delle pratiche edilizie senza considerare quelli prodotti dalla difesa.
 
2.1. Con un secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla inesigibilità o scusabilità della condotta ascrittagli in considerazione della complessità della materia urbanistica, della presenza di provvedimenti e statuizioni amministrative attestanti la legittimità delle opere che ben avrebbero potuto indurre in errore sulla liceità dell’intervento edilizio e dell’occupazione dell’area per la quale era stata contestata la violazione dell’art. 633 cod. pen.
Aggiunge che, anche sul punto, la Corte del merito avrebbe omesso ogni considerazione.
 
2.2. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, il vizio di motivazione ed il travisamento delle prove, lamentando che la Corte di appello non avrebbe motivato sulla dedotta mancanza di prova del concorso di persone nei reati contestatigli.
 
2.3. Con un Quarto motivo di ricorso rileva la violazione di legge ed il vizio di motivazione relativamente alla valutazione di legittimità dei titoli abilitativi edilizi rilasciati, perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che, nella zona classificata dal PdF come «verde privato», non era possibile la realizzazione di un parcheggio multi-piano il quale, al contrario, si assume consentito dalle NTA del PdF e, in quanto opera di urbanizzazione, dall’art. 2 del D.M. 2.4.1968.
 
Aggiunge che la realizzazione del parcheggio sarebbe compatibile con la destinazione di zona anche in ragione di quanto disposto dagli artt. 31 e 54 della legge regionale 19/2002 e che le dimensioni della struttura realizzata erano giustificate, per quanto riguarda l’altezza, dalla condizione topografica ed orografica dei luoghi e, per la superficie, dal rispetto del rapporto mq\mc previsto dall’art. 41-sexies legge 1150/42. La realizzazione del parcheggio sarebbe stata inoltre possibile anche sulla base di quanto stabilito dall’art. 9, legge 122/89.
 
2.4. Con un quinto motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla estensione del vincolo storico-artistico gravante sull’area interessata dai lavori e concernente il Castello dei Conti di Altomonte, entro il quale i giudici del merito avrebbero erroneamente compreso anche l’area circostante, attribuendo valore di sussidio interpretativo alla planimetria allegata al decreto ministeriale impositivo del vincolo, senza considerare il contenuto del decreto stesso e quello degli atti amministrativi emanati dalla Sovrintendenza, oltre che le altre prove testimoniali e documentali assunte nel corso del giudizio.
 
Osserva, inoltre, che la presenza dell’autorizzazione ministeriale e di diverse pronunce favorevoli del giudice amministrativo avrebbero comunque avuto incidenza sull’elemento soggettivo del reato.
 
2.5. Con un sesto motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di invasione della strada pubblica, rispetto al quale l’arbitrarietà della condotta avrebbe dovuto essere esclusa dalla presenza di titoli legittimanti, mentre sulla sussistenza del dolo specifico la Corte territoriale avrebbe omesso ogni motivazione.
 
2.6. Con un settimo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla violazione delle norme in materia di distanze tra fabbricati, ritenuta dai giudici del gravame in considerazione della loro valenza eminentemente pubblicistica, esclusa invece dal giudice amministrativo.
 
2.7. Con un ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 44, lettera c) d.P.R. 380/01, che non sarebbe applicabile nella fattispecie.
 
Osserva, a tale proposito, che l’edificazione realizzata in violazione delle norme urbanistiche sarebbe contemplata esclusivamente dalla lettera a) della richiamata disposizione, mentre le successive lettere b) e c) riguarderebbero soltanto le ipotesi di violazione, difformità o assenza del permesso, con la conseguenza che, in presenza di un permesso illegittimo per violazione di norme urbanistiche, andrebbe applicata la sola fattispecie residuale di cui alla lettera a).
 
2.8. Con un nono motivo di ricorso rileva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, denunciando che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in merito alla dedotta insussistenza dell’elemento psicologico relativamente alla contravvenzione edilizia.
 
2.9. Con un decimo motivo di ricorso la violazione di legge è invece dedotta in considerazione del fatto che la Corte di appello ha ritenuto più grave, ai fini della determinazione della pena, il reato di cui all’art. 633 cod. pen. in ragione della sussistenza di un concorso formale eterogeneo, con la conseguenza che, dovendosi tenere conto, ai fini dell’applicazione della pena accessoria, del reato per il quale viene determinata la pena principale, nella fattispecie non sarebbe stato applicabile l’ordine di demolizione previsto dall’art. 31 d.P.R. n. 380/01.
 
3. Anna Moda Carmela PIRAGINIE 
 
Va premesso che alcuni motivi del ricorso trattano questioni comuni a quelle articolate nel ricorso proposto nell’interesse di Paolo BRUNO, cosicché ad essi può farsi riferimento nella elencazione che segue e potrà successivamente procedersi ad una trattazione unitaria.
 
3.1. Ciò posto, va rilevato che con un primo motivo di ricorso le deduzioni concernono la violazione di legge, il vizio di motivazione ed il travisamento delle prove in relazione alla sussistenza del reato di abuso in atti di ufficio e dell’addebito dello stesso alla sua persona a titolo di concorso quale extraneus.
 
Osserva, a tale proposito, che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe meramente ripetitiva rispetto alle argomentazioni sviluppate dal primo giudice e totalmente omissiva con riferimento alle censure mosse con l’atto di appello e, segnatamente, riguardo a tre circostanze dí rilievo quali: 
a) la sussistenza del reato di abuso d’ufficio attraverso la violazione della legge urbanistica, che presuppone la individuazione della natura regolamentare o meno del piano regolatore; 
b) la individuazione del requisito dell’ingiustizia del danno e del vantaggio in assenza del quale il reato non sarebbe sussistente e, 
c) la esistenza dell’accordo criminoso con il pubblico ufficiale.
 
3.2. Il secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, ottavo, nono, decimo,  undicesimo motivo di ricorso trattano le medesime questioni rispettivamente prospettate, nel primo, quarto, quinto, sesto, settimo, secondo, nono, ottavo, decimo motivo di ricorso di Paolo BRUNO.
 
3.3. Con un settimo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai capi e), g) ed m) dell’imputazione, rispetto ai quali la deposizione del CT del Commissario ad acta avrebbe chiarito l’assenza di difformità rispetto ai titoli rilasciati senza che i giudici del merito interloquissero adeguatamente sul punto.
 
3.4. Con un dodicesimo motivo di ricorso si rilevano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla prescrizione del reato urbanistico, rilevando che la Corte del merito non avrebbe chiarito se e quali opere sarebbero state realizzate nel periodo intercorrente tra il primo sequestro del 2006, annullato dal Tribunale del riesame il 19.9.2006 ed il successivo vincolo apposto, con nuova misura cautelare reale, nel 2007.
 
4. Michele Dario BISCARDI 
 
con un unico motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, lamentando che i giudici del gravame, anziché rilevare la prescrizione del reato di abuso d’ufficio contestatogli, avrebbero dovuto procedere ad una assoluzione nel merito.
 
Aggiunge che la Corte di appello avrebbe dovuto operare la valutazione critica degli elementi già acquisiti che era stata sollecitata nell’atto di impugnazione, specie con riferimento al dolo, che non sarebbe stato desumibile dagli atti processuali e che, invece, si sarebbe limitata a richiamare quanto già rilevato dal giudice di prime cure, con un minimo apporto motivazionale basato, peraltro, su fatti e dati palesemente in contrasto con gli atti di causa.
Osserva che, in ogni caso, la sua condotta sarebbe stata sempre improntata a perseguire un duplice interesse pubblico: dotare il comune di un’opera ritenuta da tempo indispensabile ed ottenendone la realizzazione senza oneri per l’amministrazione, che si avvaleva dell’investimento di un privato con il quale aveva stipulato un accordo.
 
Rileva, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere nello stesso modo anche con riferimento alle violazioni urbanistiche, pure dichiarate prescritte, rispetto alle quali l’iter amministrativo seguito avrebbe pure consigliato l’assoluzione nel merito.
 
5. Giuseppe Franco CAUGIURI 
 
Va preliminarmente osservato che anche il presente ricorso tratta questioni comuni a quelle articolate nei ricorsi proposti nell’interesse di Paolo BRUNO e Anna Maria Carmela PIRAGINE, cosicché ad essi può farsi riferimento nella elencazione che segue e potrà successivamente procedersi alla loro trattazione unitaria.
 
5.1. In particolare, il primo motivo di ricorso, con il quale vengono dedotti la violazione di legge ed il vizio di motivazione, attiene alla questione concernente la compatibilità dell’intervento eseguito con la destinazione a «verde pubblico» dell’area interessata dai lavori di cui trattano anche il quarto motivo del ricorso del BRUNO ed il terzo motivo di ricorso della PIRAGINE.
 
5.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla questione concernente la effettiva estensione del vincolo storico-artistico gravante sull’area interessata dai lavori, affrontata anche nel quinto motivo di ricorso del BRUNO e nel quarto motivo di ricorso della PIRAGINE. Osserva inoltre il ricorrente che l’autorizzazione rilasciata dalla competente Sovrintendenza rendeva pienamente lecito il posizionamento del manufatto e, comunque, scusabile la condotta posta in essere, perché indotta di incolpevole ignoranza della legge.
 
5.3. Con un terzo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza di interventi in variazione essenziale, segnatamente con riferimento alle opere realizzate prima del rilascio del permesso di costruire n. 28\05, perché le fondazioni sarebbero state realizzate con posizione plano-altimetrica difforme da quella prevista dal permesso di costruire n. 8\03.
 
Osserva, a tale proposito, che le modifiche apportate la fabbricato prima del rilascio del permesso n. 28\95, sulla base delle risultanze processuali non costituirebbero variazione essenziale, bensì varianti in corso d’opera.
 
5.4. Con un quarto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla questione concernente il reato di invasione arbitraria di una strada pubblica, di cui trattano anche il sesto motivo di ricorso del BRUNO e nel quinto motivo di ricorso della PIRAGINE.
 
5.5. Con un quinto motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla questione concernente la ritenuta violazione delle norme in materia di distanze tra fabbricati, di cui trattano anche il settimo motivo di ricorso del BRUNO ed il sesto motivo di ricorso della PIRAGINE.
 
5.6. Con un sesto motivo di ricorso deduce la questine concernente la violazione dell’art. 157 cod. pen. per l’omesso riconoscimento della prescrizione del reato urbanistico, affrontata anche nel dodicesimo motivo di ricorso della PIRAGINE.
 
6. Comune di Altomonte (parte civile) 
 
Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 323 cod. pen. e riguardo alle posizioni di Giuseppe Franco CALIGIURI e Michele BRUNO, la cui responsabilità è stata esclusa dalla Corte territoriale sulla base di un «inconsapevole» apporto del primo in quanto progettista e direttore dei lavori e del secondo quale co-direttore dei lavori.
 
A tale proposito si evidenzia, in primo luogo, che la violazione delle previsioni dello strumento urbanistico rappresenta soltanto il presupposto di fatto della violazione delle disposizioni urbanistiche cui deve farsi effettivamente riferimento per ritenere configurata la violazione di legge integratrice della fattispecie delittuosa di cui all’art. 323 cod. pen. e che, nella fattispecie sottoposta all’attenzione dei giudici del gravame, tale violazione sarebbe chiaramente ravvisabile nel rilascio di titoli abilitativi edilizi in assenza delle condizioni di legge. Ciò, in secondo luogo, costituirebbe l’ulteriore requisito del vantaggio, in quanto il rilascio del titolo edilizio determinerebbe un ampliamento della sfera dei diritti patrimoniali del soggetto beneficiato.
 
Tali evenienze, si aggiunge, rendono pure evidente come i responsabili dell’abuso d’ufficio siano non soltanto i firmatari dei permessi illegittimi, ma anche coloro che abbiano attivamente contribuito al rilascio dei titoli e, tra questi, rientrerebbero senz’altro il progettista ed il direttore dei lavori in ragione del significativo ruolo loro assegnato dalla vigente normativa urbanistica.
 
Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo, rileva la parte civile ricorrente che lo stesso risulta dimostrato dalle emergenze processuali non soltanto in ragione degli accertati rapporti di conoscenza personale e professionale tra imputati, beneficiari dei provvedimenti ed i soggetti che li hanno emessi, ma anche per il fatto che, senza il contributo dei due imputati, i permessi non avrebbero potuto essere rilasciati e che le loro specifiche competenze nella materia urbanistica avrebbero consentito di percepire immediatamente le palesi illegittimità che caratterizzavano i titoli abilitativi rilasciati.
 
6.1. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla revoca della condanna al risarcimento dei danni ed alla corresponsione della provvisionale concessa dal primo giudice, rilevando la obiettiva capacità lesiva del fatto, consistente in un deturpamento delle bellezze naturali ed il concreto pregiudizio causato all’amministrazione comunale dagli illeciti edilizi.
 
Rileva, infine, che la somma attribuita a titolo di provvisionale è stata già spontaneamente versata dagli imputati.
 
7. Giulio SCIARRA (parte civile) 
 
Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla revoca della condanna la risarcimento dei danni ed alla corresponsione della provvisionale concessa dal primo giudice, osservando che la decisione impugnata sarebbe caratterizzata dal travisamento dei fatti e dalla mancata considerazione di documenti acquisiti al processo, che indica nel dettaglio e che risulterebbero confermati dalle deposizioni testimoniali.
 
Rileva anch’egli, infine, che la somma attribuita a titolo di provvisionale è stata già spontaneamente versata dagli imputati.
 
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
7. Occorre preliminarmente rilevare che la vicenda processuale trae origine da un articolato e complesso iter amministrativo concernente il rilascio di diversi titoli abilitativi per la realizzazione degli interventi edilizi in precedenza menzionati e dei quali si dirà anche in seguito ed ha visto impegnati il giudice amministrativo, con alcune pronunce del TAR di Catanzaro e del Consiglio di Stato e questa Sezione con una precedente decisione con la quale veniva annullata l’ordinanza emessa da Tribunale di Cosenza, in sede di riesame, avverso il decreto con il quale il G.I.P. del Tribunale di Castrovillari aveva disposto il primo sequestro preventivo delle opere.
 
La sequenza degli avvenimenti, per una migliore comprensione della vicenda, può essere così sintetizzata: Anna Maria Carmela PIRAGINE chiedeva ed otteneva dal Comune di Altomonte la concessione edilizia n. 25/2002, rilasciata in data 29.7.2002, per l’esecuzione di lavori «di restauro, consolidamento e ristrutturazione funzionale» del castello dei Conti di Altomonte, ora adibito anche a struttura ricettiva, finalizzati all’aggiunta di nuove camere ed alla realizzazione di un’area da destinare a parcheggio ed il permesso di costruire n. 8/2003, per l’esecuzione di lavori di costruzione di un parcheggio multi-piano con struttura in cemento armato, che le veniva rilasciato in data 1.10.2003.
 
Interveniva poi la Soprintendenza per i beni architettonici ed ambientali per la Calabria, la quale rilevava che l’area interessata dalla costruzione del parcheggio, già iniziata, doveva essere sottoposta ad estensione del vincolo gravante sul complesso monumentale del castello e sollecitava una revisione del progetto del parcheggio, disponendo, nel contempo, la sospensione dei lavori.
 
Veniva conseguentemente presentato dalla PIRAGINE un progetto di variante, concernente una diversa pianta dell’edificio, una maggiore altezza ed una superficie ridotta, che otteneva dalla Soprintendenza, in data 14,4.2004, un nulla-osta con prescrizioni sull’uso dei materiali e le tecniche costruttive da seguire.
 
Il responsabile dell’ufficio tecnico comunale, però, in data 17.6.2004 rigettava la suddetta richiesta di variante e, con provvedimento n. 42 del 27.7.2004, annullava in autotutela i due titoli abilitativi edilizi rilasciati in precedenza, ordinando la demolizione delle opere fino a quel momento eseguite.
 
I succitati provvedimenti venivano poi sottoposti all’esame del TAR della Calabria (Catanzaro) il quale, in via cautelare, ne sospendeva l’esecuzione con le ordinanze nn. 558 e 564 del 7.10.2004, poi confermate dal Consiglio di Stato, con ordinanza del 22.2.2005.
 
Successivamente, in sede di merito, con sentenza n. 499 del 10.3.2006, lo stesso TAR annullava i provvedimenti del responsabile dell’ufficio tecnico comunale e, rilevata l’inerzia dell’amministrazione comunale sulla richiesta di variante successivamente alla sospensiva, nominava un commissario ad acta il quale, previa acquisizione di un parere, approvava il progetto di variante e rilasciava il permesso di costruire n. 28 del 16.11.2005.
 
Tale ultimo provvedimento era oggetto di ricorso da parte dell’amministrazione comunale, respinto però dal TAR con sentenza n.500 del 10.3.2006.
 
Nel frattempo, l’amministrazione comunale, prima dell’insediamento del commissario ad acta, con provvedimento n. 1979 del 4.3.2005, si pronunciava di nuovo negativamente sull’istanza di variante della ricorrente, avendo riattivato il procedimento istruttorio, chiedendo alla ricorrente la produzione di ulteriore documentazione dopo la sospensione cautelare del precedente diniego di variante.
 
Il TAR, con ordinanza n. 295 del 5.5.2005, confermata in appello dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 3520 dei 28.7.2005, accoglieva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento negativo e, stante l’inerzia del comune, con ordinanza n. 48 dell’8.7.2005, lo stesso TAR provvedeva alla nomina del commissario ad acta nella persona del Prefetto di Cosenza.
 
Il ricorso veniva definito dal TAR con sentenza di accoglimento n. 498/2006.
 
Anche sulla scorta delle decisioni del giudice amministrativo, il Tribunale del riesame di Cosenza, ritenuta la legittimità dei titoli abilitativi, riteneva l’insussistenza del fumus dei reati e disponeva la restituzione di quanto in sequestro, ma l’ordinanza veniva annullata da questa Corte con sentenza n.1894 del 23 gennaio 2007, con rinvio allo stesso Tribunale il quale, con ordinanza del 20.3.2007, confermava la misura cautelare reale.
 
Il giudizio intentato innanzi al giudice amministrativo trovava, successivamente, definitiva soluzione, in quanto il Consiglio di Stato, Sezione Quarta, con sentenza n. 8729 del 10.12.2010 annullava la sentenza del TAR Calabria, sede di Catanzaro, n. 499 dei 2006, con conseguente conferma dei provvedimento di auto-annullamento e di diniego di variante del comune di Altomonte.
 
Erano oggetto di separati ricorsi anche le altre sentenze del TAR Calabria (n. 498 e 500), sulle quali si è definitivamente pronunciato il Consiglio di Stato con le sentenze n. 8728 e 8730 del 10.12.2010, dichiarando l’improcedibilità dell’appello, proposto dal Comune di Altomonte, per sopravvenuta carenza di interesse, stante l’esito del procedimento definito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8729\2010, dianzi menzionata.
 
9. Ciò posto, va anche rilevato che le considerazioni svolte dal giudice amministrativo all’esito della complessa vicenda non possono certo essere ignorate nel procedere alla valutazione della sentenza impugnata, la quale ne ha opportunamente tenuto conto, sebbene i ricorrenti, nel trattare le questioni concernenti la legittimità dei titoli abilitativi, si siano limitati a richiamare le sole pronunce del TAR, ignorando del tutto quanto affermato dal Consiglio di Stato.
 
Invero, nella già richiamata sentenza 1894\07, questa Sezione ha avuto modo di osservare nuovamente che il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera (principio già affermato in Sez. III n. 39707, 21 ottobre 2003).
 
E’ dunque evidente che, nel caso inverso, la ritenuta illegittimità del titolo abilitativo da parte del giudice del merito non può che trovare conferma autorevole nel definitivo pronunciamento del giudice amministrativo.
 
10. Nel passare all’esame dei singoli motivi di ricorso, deve inoltre rilevarsi che gli stessi ripropongono, sostanzialmente, questioni che i giudici del gravame hanno opportunamente esaminato fornendo adeguata risposta, effettuando peraltro richiami a documenti ed atti del procedimento il cui esame, come è noto, è precluso al giudice di legittimità.
 
11. Il primo motivo del ricorso proposto dal BRUNO ed il secondo motivo del ricorso della PIRAGINE, di contenuto pressoché identico, riguardano la inutilizzabilità delle consulenze tecniche del Pubblico Ministero, oggetto di motivi nuovi presentati nel giudizio di appello, che vengono testualmente riprodotti in ricorso.
 
Va osservato in primo luogo, a tale proposito, che, avuto riguardo alla tipologia dell’accertamento menzionato dai ricorrenti, si versa, nella fattispecie, in ipotesi di consulenza tecnica espletata in forma non garantita ai sensi dell’art. 359 cod. proc. pen. la cui utilizzazione, come già evidenziato da questa Corte, è estremamente contenuta, atteso che, nella fase delle indagini preliminari, il suo impiego è limitato alla assunzione di ulteriori determinazioni da parte del Pubblico Ministero e, nella fase dibattimentale, di regola non assume valore probatorio, tranne nei casi di consenso delle parti, di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’accertamento e di escussione in dibattimento del consulente nella piena dialettica del contraddittorio e dell’esame incrociato (così Sez. III n. 22268, 4 giugno 2008).
 
Nella fattispecie, non solo tali circostanze non risultano essersi verificate, ma emerge inequivocabilmente dal tenore della decisione impugnata che oggetto di valutazione da parte del giudice del merito sono stati i documenti allegati all’elaborato e non anche l’elaborato stesso.
 
Tali documenti, peraltro, non risultano essere stati formati dallo stesso consulente, trattandosi invece, come risulta dal ricorso e dal provvedimento impugnato, di documentazione afferente al complesso procedimento amministrativo autorizzatorio.
 
I ricorrenti censurano tuttavia la decisione, pur riconoscendo che l’elaborato redatto dal consulente non è stato utilizzato dal giudice di prime cure, assumendo che l’inutilizzabilità riguarderebbe anche gli allegati e che l’utilizzazione dei documenti avrebbe comportato una ricostruzione parziale
dell’iter amministrativo, avendo il giudice omesso l’esame di altri documenti.
 
11.1. L’assunto è palesemente destituito di fondamento.
 
Vi è una sostanziale differenza tra l’elaborato redatto dal consulente, che è il frutto di una sua personale analisi e valutazione degli elementi acquisiti effettuata sulla base di specifiche cognizioni ed i documenti, ad esso eventualmente allegati, provenienti da terzi.
 
Invero, seppure quanto documentato possa essere oggetto di analisi critica da parte del consulente, il quale può proporne diverse letture secondo il proprio giudizio, il contenuto dei documenti resta comunque inalterato.
 
Ciò posto, non risulta, dal tenore del provvedimento impugnato e dai ricorsi, che nel giudizio di merito si sia tenuto in alcun conto di quanto elaborato dal consulente tecnico, mentre sono stati oggetto di valutazione i documenti concernenti il procedimento autorizzatorio relativo agli interventi edilizi per cui è processo.
 
Si tratta di documenti che avrebbero potuto essere in ogni caso acquisiti agli atti del procedimento e che sono inequivocabilmente distinti dall’elaborato cui sono stati allegati. Sarebbe del resto assurdo ritenere che un qualsiasi documento, per il solo fatto di essere stato allegato ad un atto poi dichiarato inutilizzabile, perda ogni valore probatorio.
 
Come correttamente osservato nella sentenza impugnata, il giudice di prime cure non ha affatto effettuato una scelta tra contrapposte rappresentazioni di fatti, ma su contrapposte interpretazioni di dati oggettivi, scelta peraltro del tutto conforme a legge, come si dirà in seguito.
 
La Corte territoriale, inoltre, non è incorsa in alcun vizio di motivazione, avendo opportunamente rinviato, una volta ritenuta l’irrilevanza della questione dedotta con argomentazioni scevre da cedimenti logici o contraddizioni ed in assenza di elementi di novità nelle censure formulate, alle argomentazioni del primo giudice.
 
12. Parimenti evidente risulta la infondatezza del secondo motivo del ricorso del BRUNO e del nono motivo di ricorso della PIRAGINE, entrambi attinenti alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato ed alla scusabilità della condotta.
 
Riproducendo testualmente, ancora una volta, i motivi di appello, lamentano i ricorrenti l’assenza di qualsivoglia motivazione rispetto alle specifiche doglianze.
 
Anche in questo caso, però, la Corte del merito ha fornito adeguata risposta, dapprima stigmatizzando gli evidenti profili di illegittimità dei titoli abilitativi, evidentemente ben nota ai ricorrenti e la sussistenza dell’illecito edilizio (pag. 9 della sentenza impugnata), poi richiamando le diverse deduzioni dei singoli appellanti ed i loro riferimenti alle pronunce del giudice amministrativo ed alla asserita complessità della materia (pag. 11 e ss.), effettuando le dovute considerazioni e, infine, richiamando espressamente le censure mosse alla sentenza di primo grado (pag. 19 del provvedimento impugnato) ed osservando che tale aspetto era stato compiutamente esaminato all’esito del giudizio di primo grado, allorquando il Tribunale aveva preso in esame la consapevolezza degli imputati circa la illegittimità dei provvedimenti autorizzatori nella verifica della sussistenza del dolo per il reato di abuso d’ufficio, dal quale la Corte del merito indica il BRUNO come «inopinatamente escluso».
 
Quanto al delitto di invasione della strada pubblica, vengono esaminate le deduzioni degli appellanti ed i dati fattuali acquisiti nel giudizio di primo grado, pervenendo motivatamente alla convinzione che l’occupazione venne effettuata in assenza di valido titolo, il che evidenzia la consapevolezza dell’illegittimità dell’invasione dell’altrui bene, nonché della finalità di occupazione con la realizzazione della passerella che ne ha poi definitivamente limitato l’utilizzazione, come riconosciuto dal giudice del merito.
 
Si tratta di argomentazioni del tutto sufficienti, anche a fronte della riconosciuta macroscopicità delle violazioni accertate, delle quali la Corte territoriale tratta diffusamente.
 
13. Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo di ricorso del BRUNO, ancora una volta articolato mediante la pedissequa riproposizione dei motivi di appello e la successiva denuncia di una carenza motivazionale che, si è già detto, risulta insussistente.
 
Va nuovamente rilevata, infatti, la piena legittimità del richiamo per relationem effettuato dai giudici del gravame alla articolata decisione di primo grado, in quanto non è richiesto, al giudice d’appello, di esaminare nuovamente le questioni genericamente formulate nei motivi di gravame e sulle quali si sia già soffermato il giudice di prime cure, con argomentazioni esatte e prive di vizi logici, quando le censure mosse alla sentenza di primo grado non contengano elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi (Sez. V n. 4415, 8 aprile 1999; Sez. V n. 7572, 11 giugno 1999; Sez. VI n. 31080, 15 luglio 2004; Sez. IV n. 38824, 14 ottobre 2008).
 
L’individuazione dei limiti di legittimità della motivazione per relationem trova un punto fermo soltanto nell’obbligo del giudice d’appello di argomentare sulla fallacia, inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione in presenza di specifiche censure dell’appellante sulle soluzioni adottate dal giudice di primo grado, poiché il mero richiamo in termini apodittici o ripetitivi alla prima pronuncia o la semplice reiezione delle censure predette determina un evidente vizio di motivazione (Sez. VI 6221\06 cit.; Sez. VI, n. 35346, 15 settembre 2008; Sez. IV,n. 38824, 14 ottobre 2008, Sez. III n. 24252, 24 giugno 2010).
 
Tale evenienza non si è invero verificata nel caso in esame, in quanto la Corte territoriale non si è limitata ad un acritico richiamo della pronuncia di primo grado, ed ha, anzi, chiaramente evidenziato di aver assunto le proprie determinazioni tenendo conto delle censure formulate a carico della sentenza del primo giudice.
 
Pare anche opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, in sede di legittimità non può muoversi censura ad una sentenza che, pur non prendendo espressamente in esame una deduzione prospettata con l’atto di impugnazione, evidenzi comunque una ricostruzione dei fatti che implicitamente, ma in maniera adeguata e logica, ne comporti il rigetto (Sez. Il n. 33577, 1 settembre 2009; Sez. Il n. 29434, 6 luglio 2004).
 
14. Per quanto attiene, invece, alla questione prospettata nel quarto motivo  di ricorso dal BRUNO, nel terzo motivo di ricorso dalla PIRAGINE e nel primo  motivo del ricorso di CALIGIURI e concernente la compatibilità dell’intervento edilizio con la destinazione di zona, va rilevato che, sul punto, i giudici dell’appello hanno rilevato come le deduzioni mosse dagli appellanti altro non sono se non la mera riproposizione delle considerazioni di un consulente di parte, senza alcuna specifica critica alle argomentazioni sviluppate dal primo giudice sull’ambito di operatività del D.M. 2 aprile 1968 e sulla sua natura programmatica, che non produce effetto diretto sui privati.
 
Altrettanto è avvenuto nei successivi ricorsi, ove solo apparentemente vengono mosse critiche alla decisione dei giudici di appello, mentre in realtà si ripropone nuovamente una diversa lettura delle disposizioni applicate, la cui palese infondatezza è stata già rilevata dai giudici del merito.
 
Tale circostanza sarebbe da sola sufficiente per ritenere l’inammissibilità dei motivi di ricorso.
 
14.1. Va poi rilevato che anche il Consiglio di Stato, nella menzionata sentenza n.8729\2010, della quale, come si è detto, ha doverosamente tenuto conto la Corte di appello, ha ritenuto «manifestamente illegittimi» i titoli abilitativi originariamente rilasciati per l’esecuzione degli interventi, richiamando, in primo luogo, la destinazione di zona, giungendo alla conclusione che «la violazione della normativa urbanistica locale è, dunque, evidente e non necessita di ulteriore dimostrazione».
 
Invero la zona ove insiste l’edificio, come si ricava dalle sentenze e dai ricorsi, è classificata tra le zone destinate a «verde privato» ove, secondo le norme tecniche di attuazione, è consentita «la posa in opera di attrezzature per il gioco e lo sport, di percorsi “Verde Vita” per la ginnastica psicomotoria all’aperto, la costruzione, previo un’indagine geologica specifica, di piscine di piccole e medie dimensioni, anche a uso promiscuo, privato e pubblico e la posa in opera di piccole casette in legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio delle eventuali attività ricreative della zona».
 
Come osservato dal giudice amministrativo, l’intervento realizzato, per caratteristiche costruttive e consistenza, si colloca pacificamente al di fuori di tale ambito.
 
Tali caratteristiche, trattandosi di un edificio di ben cinque piani in cemento armato, ne escludono ogni pretesa complementarietà o natura di opera di urbanizzazione. Del tutto inconferente risulta, inoltre, il richiamo alla legislazione regionale (legge Regione Calabria 16 aprile 2002, n. 19 e successive modifiche ed integrazioni) che, anche alla luce di quanto disposto dagli articoli 65 e 73, non risulta aver eliminato la precedente zonizzazione come affermato in ricorso, avendo invece prorogato, entro certi limiti, la vigenza degli strumenti urbanistici.
 
14.2. Anche l’ulteriore questione concernente l’applicabilità della legge 122\89 è meramente ripetitiva delle doglianze già motivatamente disattese dai giudici del gravame e, prima ancora, dal primo giudice sulla scorta di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato nella sentenza più volte richiamata.
 
Anche in questo caso nel ricorso non viene aggiunto nulla di nuovo, semplicemente ignorando quanto evidenziato dai giudici del merito e riproponendo una lettura delle disposizioni richiamate che è stata ripetutamente ritenuta destituita di fondamento.
 
Anche in questo caso il giudice amministrativo è stato perentorio: «…l’opera contestata non è adibita soltanto a parcheggio, ma è di natura mista, prevedendosi , da un lato, la costruzione di una piscina (seppure poi non realizzata), con relativi ambienti di deposito e servizi, di un’ampia terrazza di 300 mq., mentre soltanto due piani sono destinati a parcheggio. Ciò rende, con immediata evidenza, corretta la ritenuta non applicabilità, al caso di specie, delle deroghe e dei benefici previsti dalla legge Tognoli, la quale riguarda esclusivamente aree e costruzioni destinate a parcheggio, con esclusione di qualsiasi altra destinazione incompatibile con il vincolo pubblicistico di natura funzionale introdotto dalla stessa legge» (si cita anche Cons. Stato, sez. V n. 2609, 24 aprile 2009).
 
Invero, la legge 24 marzo 1989, n. 122 (c.d. Legge Tognoli) riguarda i parcheggi a servizio di edifici già esistenti e stabilisce, nell’art. 9, comma 1, che detti parcheggi, costruiti dai proprietari degli immobili, possono essere realizzati nel sottosuolo, ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti; possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici; devono essere destinati a pertinenza dei fabbricati; non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli. Vengono fatte salve le disposizioni paesaggistiche ed ambientali.
 
E’ di tutta evidenza che lo speciale regime di favore introdotto dalla legge 122\89 è applicabile solo nel caso in cui ricorrano tutti i requisiti richiesti, in difetto dei quali le opere realizzate resteranno soggette al regime generale che richiede il permesso di costruire, come ha più volte evidenziato la giurisprudenza di questa Corte escludendo, ad esempio, l’applicazione delle disposizioni in esame per la realizzazione, unitamente ad un garage interrato, di un insieme ulteriore di opere ad esso accessorie finalizzate ad una nuova sistemazione degli accessi all’edificio residenziale: terrazza con pensilina e scala di collegamento (Sez. III n.28840, 11 luglio 2008), per parcheggi realizzati in superficie (Sez. III n. 23730, 8 giugno 2009; Sez. III n.38841, 23 novembre 2006; Sez. III n.37013, 15 ottobre 2001) e per parcheggi costruiti con interramenti ottenuti per effetto del riporto di terra (Cass. Sez. III n.26825 20 giugno 2003). A conclusioni identiche è ripetutamente pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa (v. ad es., Cons. Stato sez. IV n. 4645, 26 settembre 2008 ; Cons, Stato Sez. V n.1608, 29 marzo 2006; Cons. Stato Sez. V n. 1662 29 marzo 2004).
 
Dunque del tutto correttamente è stata esclusa l’applicabilità, nella fattispecie, della «Legge Tognoli», mentre il ricorso al regime ordinario previsto per tutti gli interventi che comportino comunque una trasformazione permanente del suolo inedificato avrebbe previsto il rilascio di un valido permesso di costruire, circostanza che, come si è detto e si dirà in seguito, nella fattispecie non si è verificata.
 
I menzionati motivi di ricorso risultano, pertanto, manifestamente infondati.
 
15. A conclusioni analoghe deve pervenirsi anche per quanto attiene al quinto motivo del ricorso del BRUNO, il quarto motivo del ricorso della PIRAGINE ed il secondo motivo del ricorso del CALIGIURI, tutti concernenti l’estensione del vincolo storico-artistico gravante sull’area interessata e, segnatamente, il criterio di computazione della distanza, che i ricorrenti assumono avrebbe dovuto essere effettuata dal perimetro esterno del monumento anziché dal «muro di controscarpa».
 
Sul punto i giudici dell’appello formulano considerazioni orientate secondo una diversa ottica, che procede all’individuazione dell’estensione del vincolo sulla base del tenore testuale del decreto impositivo, che riproducono testualmente nella parte in cui indica il vincolo come imposto su «l’immobile Castello dei Conti di Altomonte, così come individuato nelle premesse e descritto nell’allegata planimetria catastale», poi indicata come costituente «parte integrante del decreto».
 
Il contenuto inequivocabile del testo assume, come correttamente osservato nel provvedimento impugnato, carattere dirimente rispetto ad ogni ulteriore questione.
 
Del tutto logico appare, inoltre, il richiamo alla planimetria, che costituisce non tanto un mero «sussidio interpretativo» quanto, piuttosto, un elemento significativo per la corretta individuazione dell’estensione del vincolo.
 
E’ infatti evidente che la mera descrizione dell’immobile o di un complesso monumentale in assenza di precisi riferimenti planimetrici renderebbe oltremodo difficoltosa la esatta delimitazione dell’area sottoposta a vincolo.
 
Peraltro, la stessa Corte di appello richiama l’attenzione sulle identiche conclusioni cui è pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, ritenendo la cartografia allegata al decreto di imposizione di un vincolo indiretto su di un edificio quale atto integrante del vincolo stesso.
 
Si tratta, conseguentemente, di un dato inequivoco che non poteva essere ignorato neppure a fronte di diverse letture offerte da altri documenti che la Corte d’appello risulta aver considerato con argomentazioni in fatto, non meritevoli di censura in questa sede, che tengono conto del singolare contesto in cui si è sviluppato l’intero iter autorizzatorio e che viene in più parti menzionato nell’impugnata sentenza e non è neppure sfuggito la giudice amministrativo, il quale ha definito più volte «ondivaghe» le determinazioni della Sovrintendenza ed ha stigmatizzato l’atteggiamento «ambiguo e contraddittorio» assunto dal medesimo ufficio.
 
I giudici del gravame hanno quindi adeguatamente valutato anche l’aspetto inerente l’elemento soggettivo dei reati ipotizzati, effettuando opportunamente tale apprezzamento tenendo conto del complessivo sviluppo della vicenda che, considerata la evidente illegittimità degli atti autorizzatori e la macroscopica divergenza delle opere rispetto alla destinazione di zona risultante dal compendio probatorio acquisito, non poteva evidentemente essere ragionevolmente attribuito ad una incolpevole errata lettura delle disposizioni applicate o all’erroneo convincimento indotto dal contenuto di un singolo atto amministrativo.
 
16. Anche il sesto motivo del ricorso del BRUNO, il quinto motivo di ricorso della PIRAGINE ed il quarto motivo di ricorso del CALIGIURI, concernenti il reato di invasione di una strada pubblica dapprima mediante materiali e, successivamente, in via definitiva, con la realizzazione di una passerella di congiunzione tra il parcheggio ed il castello, in cemento armato, possono essere unitariamente trattati e risultano manifestamente infondati.
 
Nuovamente si ripropongono in questa sede questioni che la Corte territoriale ha compiutamente affrontato e sulle quali ha fornito esauriente risposta, peraltro continuando a richiamare, a sostegno delle doglianze prospettate, la decisione del TAR Catanzaro e, per quanto riguarda il CALIGIURI, anche la pronuncia del Tribunale del Riesame, platealmente tralasciando di considerare l’esito dei successivi gradi di giudizio.
 
La Corte territoriale, dopo aver indicato i motivi di appello sul punto come privi di specificità ed aver richiamato le puntuali considerazioni del giudice di prime cure, ha dettagliatamente confutato le argomentazioni sviluppate nei singoli atti di appello, richiamando la assoluta illiceità della procedura di rilascio dei titoli concessori ed evidenziando come tutte le obiezioni mosse con le impugnazioni, quali la presenza di un nulla asta della Sovrintendenza o la posizione sopraelevata della passerella rispetto alla strada, erano superate dalla determinante circostanza dell’assenza di qualsivoglia titolo per l’occupazione ed, a tale proposito, ha richiamato ancora la decisione del Consiglio di Stato, più volte menzionata e sistematicamente ignorata nei ricorsi e che, come si è già detto, non ha mancato di rimarcare, in più punti, la palese illiceità dei vari procedimenti amministrativi relativi alle opere realizzate e lo ha fatto senza mezzi termini, evidenziando, ad esempio «l’indebito intervento sollecitatorio di organi assolutamente privi di ogni competenza e potere al riguardo», ricordando l’ambiguo atteggiamento mantenuto dalla Sovrintendenza (precedentemente menzionato) ed osservando che l’esistenza di legittimi e ragionevoli affidamenti indotti nei privati accreditati dal TAR risulta smentita da dati oggettivi, passando poi ad indicare i diversi atti in cui si è concretata quella che definisce « illecita e consapevole ingerenza» del sindaco.
 
Ancora una volta la Corte del merito ha doverosamente tenuto conto del complessivo svolgimento dell’iter autorizzatorio delle opere nel suo complesso per escludere la liceità della condotta degli imputati anche con riferimento al reato in esame.
 
16.1. A fronte di tale inequivoca motivazione, i ricorrenti insistono nel richiamare, a sostegno delle proprie tesi, singoli atti o provvedimenti il cui esame non solo è precluso a questa Corte, ma che non potrebbero essere comunque estrapolati dal generale contesto per confutare quanto rilevato dai giudici dell’appello alla luce del complessivo svolgimento dei fatti, che viene compiutamente descritto con argomentazioni la cui tenuta logica è fuori discussione.
 
Viene, ad esempio, richiamato nei ricorsi il provvedimento autorizzatorio rilasciato dal commissario ad acta, rilevandone la legittimità sul presupposto che il funzionario che lo ha messo è stato assolto dalle imputazioni mossegli, senza tuttavia considerare quanto la Corte territoriale spiega (pag.16 e 17 della sentenza impugnata) richiamando anche la decisione del primo giudice, sulla posizione assunta dal suddetto commissario ad acta nel contesto generale e le ragioni della sua assoluzione. Altrettanto avviene con i provvedimenti della Sovrintendenza, i quali, singolarmente considerati, vengono utilizzati per rivendicare la liceità di condotte che i giudici del gravame hanno radicalmente escluso.
 
Tali richiami vengono altresì utilizzati per sostenere l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, la valutazione del quale, come si è in precedenza rilevato, i giudici del gravame correttamente effettuano tenendo conto dell’intero compendio probatorio acquisito, evitando inopportune e fuorvianti parcellizzazioni.
 
17. Il settimo motivo di ricorso del BRUNO, il sesto motivo di ricorso della PIRAGINE ed il quinto motivo di ricorso del CALIGIURI riguardano la medesima questione concernente la ritenuta violazione delle norme in materia di distanze tra fabbricati e possono essere trattati unitariamente.
 
Sul punto, i ricorsi del BRUNO e della PIRAGINE sono articolati quasi esclusivamente ìn fatto e quello del CALIGURI è connotato da estrema genericità.
 
Tutti i ricorsi, come già avvenuto con riferimento alle precedenti questioni trattate, richiamano pedissequamente la decisione del TAR di Catanzaro, quelli del BRUNO e della PIRAGINE anche le conclusioni del consulente di parte.
Tutti i ricorrenti prescindono, tuttavia, dal considerare quanto affermato, sul punto, dalla Corte d’appello, che, dopo aver diffusamente richiamato le argomentazioni del primo giudice sulla questione, ha esplicitamente rilevato come i richiami contenuti nelle impugnazioni al consenso prestato dal proprietario confinante ed alla pronuncia del TAR siano da ritenersi inconferenti in quanto fondati sul presupposto, che la Corte esclude in fatto, che i fabbricati fossero in aderenza.
 
E’ dunque evidente, anche in questo caso, la infondatezza del motivo di ricorso.
 
18. Anche l’infondatezza dell’ottavo motivo di ricorso del BRUNO e del decimo motivo di ricorso della PIRAGINE è di tutta evidenza.
 
Sostengono infatti i ricorrenti che l’edificazione realizzata in violazione delle norme urbanistiche sarebbe contemplata esclusivamente dalla lettera a) dell’art. 44 d.P.R. 380\01 e che, in presenza di un permesso illegittimo, si configurerebbe solo tale ipotesi contravvenzionale, in quanto le lettere b) e c) riguarderebbero soltanto le ipotesi di violazione, difformità o assenza del permesso. Si sostiene, inoltre, che la censura sarebbe rimasta priva di considerazione da parte della Corte territoriale.
 
Rileva il Collegio che anche sul punto la sentenza impugnata non presenta alcun profilo di illegittimità.
 
Va infatti rilevato che la Corte di appello affronta la questione concernente l’ipotesi di intervento edilizio in assenza di permesso ed in presenza di permesso illegittimo (pag. 19 della sentenza impugnata) pervenendo alla conclusione, attraverso anche opportuni richiami giurisprudenziali, che debba ritenersi sostanzialmente inesistente il titolo abilitativo emesso da soggetto totalmente privo del potere di emanarlo o frutto di attività criminosa del funzionario che lo rilascia o del privato che lo consegue e fornendo, così, implicita risposta alla doglianza prospettata.
 
Il ragionamento risulta peraltro giuridicamente corretto e le perplessità manifestate dai ricorrenti non solo sono del tutto prive di fondamento, ma non vi era neppure alcuna ragione per prospettarle, trattandosi di argomento già affrontato da questa Corte nella già citata sentenza sent. 1894 del 23 gennaio 2007, con la quale era stata annullata la prima ordinanza del Tribunale del riesame di Cosenza sul sequestro delle opere.
 
Si affermava infatti testualmente, in quella occasione, richiamando una precedente pronuncia (Sez. III n.21487, 21 giugno 2006, menzionata con riferimento al nome di uno dei ricorrenti e la data di udienza): «punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizia illegittimo (si vedano le ampie argomentazioni svolte in proposito da questa Sezione con la sentenza 21.3.2006, ric. Di Mauro ed altro, che il Collegio integralmente condivide)»
 
Tale principio non può che essere ribadito in questa sede.
 
19. Quanto al nono motivo di ricorso del BRUNO ed il nono motivo di ricorso della PIRAGINE, concernenti l’omessa motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico relativo alla contravvenzione edilizia, deve osservarsi che gli stessi si sostanziano nella mera riproposizione dei motivi di appello, testualmente riprodotti, con l’aggiunta del rilievo concernente asserita carenza motivazionale.
 
Lamentano i ricorrenti che i giudici del gravame si sarebbero limitati alla motivazione sull’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio omettendo una espressa considerazione della contravvenzione urbanistica.
 
Sul punto valgono, però, le medesime considerazioni in precedenza formulate circa la correttezza della valutazione globale della vicenda effettuate dalla Corte territoriale.
 
20. Anche l’infondatezza del decimo motivo di ricorso del BRUNO e dell’undicesimo motivo di ricorso della PIRAGINE risulta di macroscopica evidenza.
 
I motivi, di identico contenuto, si fondano sulla erronea convinzione che l’ordine di demolizione delle opere abusive impartito dal giudice con la sentenza di condanna abbia natura di pena accessoria e, in quanto tale, non sarebbe applicabile in caso di concorso formale eterogeneo.
 
Contrariamente a quanto sostenuto, però, la diversa natura dell’ordine di demolizione previsto dall’art. 31 d.P.R. 380\01 è stata da tempo delineata, trattandosi della medesima disposizione già contenuta nell’art. 7 della legge n. 47 del 1985, rispetto al quale questa Corte ha riconosciuto piena continuità normativa (cfr. Sez. III n. 32211 ,31 luglio 2003).
 
Si è infatti affermato che l’ordine giudiziale di demolizione ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell’autorità amministrativa, assolvendo ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso (così Sez. III n. 37120, 13 ottobre 2005).
 
Già in precedenza (Sez. III n. 703, 12 giugno 1992) si era rilevato che esso non è inscrivibile nel novero delle pene accessorie, tassativamente previste, tanto è vero che, per tale ragione, la demolizione ordinata dal giudice resta esclusa dall’applicabilità del beneficio della sospensione condizionale della pena (Sez. III n. 34297, 11 settembre 2007; Sez. III n. 36555, 4 novembre 2002; Sez. n. 2294, 9 ottobre 1999), non è ricompresa nel divieto della «reformatio in peius» (Sez. V n. 13812, 2 dicembre1999 ed altre prec. conf.) e resta eseguibile, qualora sia stata impartita con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art.445, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. III n. 18533, 11 maggio 2011; Sez. III n. 16552, 23 aprile 2001; Sez. III n. 2674, 18 settembre 2000).
 
21. Passando all’esame dei residui motivi di ricorso della PIRAGINE, deve ora trattarsi del primo motivo dalla stessa articolato e concernente la responsabilità attribuitale, a titolo di concorso quale extraneus, nel reato di abuso d’ufficio.
 
Riproducendo testualmente, anche in questo caso, i motivi di appello, la ricorrente lamenta il mero richiamo alla decisione del primo giudice e la mancanza di motivazione riguardo a tre temi di rilievo, il primo dei quali concerne la questione relativa alla sussistenza del reato de quo in relazione alla violazione della legge urbanistica, circostanza che presuppone l’individuazione della natura regolamentare o meno del piano regolatore.
 
Tale aspetto viene invece considerato dalla Corte di appello, con pertinenti richiami giurisprudenziali laddove, nel provvedimento impugnato (pag.9 e 10), ricorda che la giurisprudenza di questa Corte è ormai pacificamente orientata nel ritenere che, pur non potendosi qualificare gli strumenti urbanistici come norme di legge o di regolamento, la loro violazione rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica alla quale si deve fare riferimento quale elemento strutturale del reato di abuso d’ufficio.
 
Quanto rilevato dai giudici del gravame risulta pienamente aderente alla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, che è pienamente condivisa dal Collegio ( Sez. VI n. 46503, 03 dicembre 2009; Sez. VI n. 11620, 20 marzo 2007; Sez. VI n. 16241, 20 aprile 2001; Sez. VI n. 9422, 5 settembre 2000; Sez. VI n. 6247, 29 maggio 2000; Sez. VI n. 13794, 1 dicembre 1999; Sez. VI n.12221, 26 ottobre 1999).
Un ulteriore aspetto che la ricorrente ritiene trascurato dai giudici di gravame è quello concernente la individuazione del requisito dell’ingiustizia del danno e del vantaggio, in assenza del quale il reato di cui all’art. 323 cod. pen. non sarebbe sussistente.
In realtà anche sul punto la Corte territoriale si pronuncia, ancora una volta con un riferimento alla giurisprudenza, laddove ricorda che costituisce ingiusto vantaggio patrimoniale l’incremento di valore commerciale dell’immobile e richiamando per il resto, del tutto legittimamente, come si è già detto, l’articolata decisione del primo giudice.
 
Anche sul punto la motivazione si presenta adeguata e non era certo necessario che i giudici del gravame spendessero altre parole per chiarire che ciò che avevano in precedenza indicato, descrivendo l’accaduto e le emergenze probatorie acquisite, si attagliava pienamente ai principi giurisprudenziali menzionati (Sez. VI n. 35856, 18 settembre 2008, fattispecie in tema di rilascio di concessione edilizia in sanatoria per opere realizzate in zona inedificabile, richiamata dalla sentenza impugnata. V. anche Sez. VI n. 44999, 7 dicembre 2005 relativa al rilascio di una concessione edilizia in violazione del piano regolatore che avrebbe favorito il proprietario di un suolo limitrofo a quello del denunciante).
 
E’ peraltro evidente che il rilascio di un titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di un immobile la cui edificazione non è consentita determina inequivocabilmente un vantaggio patrimoniale ingiusto nei confronti del privato che lo ottiene e che, in forza del titolo indebitamente conseguito, costruisce un manufatto il quale, oltre ad incrementare il valore dell’area ove insiste, ha un valore intrinseco e può essere successivamente alienato, locato o destinato comunque ad utilizzazioni economicamente vantaggiose.
 
Anche l’ultimo aspetto menzionato nel motivo in esame, concernente la posizione della ricorrente quale concorrente nel reato, è stato oggetto di esame da parte della Corte territoriale la quale, facendo espressamente riferimento ad alcuni dati fattuali acquisiti nel giudizio di merito, esamina la posizione della PIRAGINE e la distingue da quella del figlio e da quella degli altri imputati (cfr. pag. 13 e ss. della sentenza impugnata).
 
Si tratta, anche in questo caso, di argomentazioni che non evidenziano alcun cedimento logico o manifesta infondatezza e che, pertanto, superano agevolmente il vaglio di legittimità cui sono state sottoposte.
 
Resta da aggiungere che, ancora una volta, deve considerarsi il complessivo tenore della decisione impugnata e tener conto dei richiami da questa effettuati alla sentenza di primo grado, risultando così pienamente giustificata dai giudici del merito la prova dell’accordo criminoso il quale, come sostenuto dalla Corte di appello, caratterizza la intera sequenza degli avvenimenti che hanno portato alla realizzazione dell’abuso edilizio.
 
22, Il settimo motivo del ricorso presentato nell’interesse della PIRAGINE è invece inammissibile perché generico ed articolato in fatto.
 
In merito all’illecito edilizio, originariamente frazionato in diversi capi di imputazione ed unitariamente considerato dal giudice di prime cure, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato, come si è già detto.
 
23. Il dodicesimo motivo del ricorso della PIRAGINE ed il sesto motivo di ricorso del CALIGIURI possono essere unitariamente trattati in quanto concernono entrambi la questione concernente la prescrizione del reato che si assume trascurata dalla Corte territoriale, la quale non avrebbe indicato quali condotte sarebbero state poste in essere nel periodo intercorrente tra la prima revoca del sequestro ed il secondo sequestro delle opere.
 
Deve osservarsi, a tale proposito, che i giudici dell’appello attestano, nella parte finale della sentenza (pag.23), che gli imputati hanno persistito nell’attività edificatoria «…se non altro sino al 22.3.2007, data di esecuzione del sequestro preventivo».
 
A fronte di tale affermazione i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non indicherebbe espressamente quali interventi siano stati effettivamente realizzati in quel periodo.
 
Ciò posto, deve rilevarsi che, pur ritenendosi effettivamente applicabile alla prescrizione il principio del “favor rei” nel senso che, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo tale da risultare più favorevole all’imputato, detto termine va applicato solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, ma tale incertezza deve in qualche modo risultare da dati obiettivamente valutabili e non può essere fondata su mere asserzioni dell’imputato, specie nel caso in cui, come nella fattispecie, queste vengano formulate in modo del tutto apodittico e generico.
 
Il giudice del merito ha escluso ogni incertezza sulla data dalla quale calcolare l’inizio della decorrenza del termine prescrizionale, individuando la data di cessazione dell’illecita attività edilizia in quella del sequestro, senza che dal provvedimento impugnato risultino evidenti contraddizioni o salti logici che consentano di ritenere censurabile in questa sede di legittimità la valutazione dei dati fattuali posti alla base di tele convincimento.
 
24. Passando all’esame dell’unico motivo di ricorso del BISCARDI, i cui contenuti sono stati sintetizzati in premessa, deve rilevarsi che lo stesso si palesa manifestamente infondato.
 
Va ovviamente richiamato, in primo luogo, quanto già detto in ordine alle modalità di espletamento dei procedimenti amministrativi che hanno condotto al rilascio dei titoli abilitativi che, da quanto accertato nel merito e ritenuto dal giudice amministrativo, risultano connotati da palesi violazioni della disciplina urbanistica.
 
In secondo luogo deve ricordarsi che non è consentito procedere in questa sede ad una rivalutazione degli elementi fattuali considerati nel giudizio di merito e che sulla posizione del ricorrente la Corte territoriale ha fornito motivazione adeguata, non solo richiamando la decisione del primo giudice, ma anche considerando espressamente le doglianze mosse con l’atto di appello, anche per quanto attiene il profilo dell’elemento soggettivo del reato.
 
A tale proposito mette conto di ricordare come questa Sezione abbia avuto modo di precisare, rispetto al dolo intenzionale richiesto per il delitto di abuso d’ufficio (la cui sussistenza il ricorrente nega, sostenendo che la sua azione era improntata al perseguimento dell’esclusivo interesse pubblico alla realizzazione del parcheggio) che tale elemento non è escluso dalla mera compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, essendo necessario, per ritenere insussistente l’elemento soggettivo, che il perseguimento del pubblico interesse costituisca il fine primario dell’agente (Sez. III n.18895, 13 maggio 2011. Conf. Sez. VI n. 7384, 24 febbraio 2012; Sez.) circostanza questa, che il giudizio di merito ha escluso essersi verificata.
 
25. Il terzo motivo di ricorso del CALIGIURI che resta da esaminare, è pure manifestamente infondato.
 
Come già precisato da questa Corte (v. Sez. III n. 24236, 24 giugno 2010), le “varianti essenziali” sono quelle che si distaccano dalla progettazione originaria in modo radicale sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo e si risolvono nella realizzazione di un’opera completamente diversa da quella assentita. Esse non sono specificamente disciplinate e presuppongono, per la loro realizzazione, un diverso e autonomo permesso di costruire, mentre le varianti al permesso di costruire sono contemplate dall’art. 22 del d.P.R. 380\01 e sono soggette a determinate condizioni: non devono incidere sui parametri urbanistici (indici di edificabilità, rapporti di copertura, superfici fondiarie etc,), tra i quali vanno ricomprese anche le distanze tra gli edifici (Sez. III n.9922, 5 marzo 2009) e sulle volumetrie; non devono modificare la destinazione d’uso e la categoria edilizia, quest’ultima sostanzialmente corrispondente con la categoria catastale e non devono alterare la sagoma dell’edificio e violare le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
 
Il ricorso è però articolato sul punto quasi esclusivamente in fatto, con richiami ad atti del procedimento che, lo si è già ricordato in precedenza, non è possibile esaminare in questa sede.
 
Tuttavia, alla luce del generale quadro fattuale delineato dalla decisione impugnata, non risultano circostanze tali da fa ritenere perfezionate le condizioni poste dal menzionato articolo 22 d.P.R. 380\01 e, conseguentemente, reputare errata la qualificazione dell’intervento effettuata nel giudizio di merito.
 
26. Restano da esaminare, a questo punto, i ricorsi delle parti civili, che il Collegio ritiene entrambi inammissibili.
 
Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo  di ricorso dell’Amministrazione comunale di Altomonte, che la sentenza impugnata, come si è precisato dianzi, ha correttamente valutato in fatto ed in diritto le questioni sottoposte con i diversi gravami ed ha opportunamente distinto le posizioni soggettive di tutti gli imputati.
 
Così ha fatto anche per quanto concerne il CALIGIURI e Michele BRUNO in relazione al contestato abuso d’ufficio chiarendo, quanto al primo, le ragioni per le quali non era possibile ravvisare, sulla base del corredo probatorio acquisito, la prova certa della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ritenuto presente con riferimento alla violazione urbanistica e, quanto al BRUNO, evidenziando le ragioni della ritenuta estraneità aí fatti contestatigli anche richiamando la decisione del primo giudice.
 
Quanto al secondo motivo di ricorso, esso riguarda la statuizione sulla provvisionale che però, come la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente rilevato, per la sua natura discrezionale e meramente delibativa, non è suscettibile di impugnazione in sede di legittimità (cfr. Sez. V n. 32899, 26 agosto 2011 ed altre prec. conf.)
 
27. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per le medesime doglianze mosse nel ricorso proposto nell’interesse dello SCIARRA, la cui inammissibilità è evidenziata dalla articolazione in fatto e dalla sostanziale genericità a fronte di argomentazioni della Corte territoriale fondate sull’esame del contenuto di una scrittura privata che appare, ancora una volta, effettuato senza lacerazioni di senso o palesi contraddizioni e, in quanto tale, non censurabile in questa sede.
 
28, Tutti i ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cast. 7-13 giugno 2000, n. 186) ­ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00 ciascuno
 
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
 
Così deciso in data 14.2.2013
 
 
 
 
Dottrina:
 

 

 

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