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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 26000 | Data di udienza: 27 Maggio 2021

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Cernita e preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento – Rilevanza della condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi – Artt. 183, 256, d.lgs. n.152/2006.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 3^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 8 Luglio 2021
Numero: 26000
Data di udienza: 27 Maggio 2021
Presidente: DI NICOLA
Estensore: CORBETTA


Premassima

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Cernita e preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento – Rilevanza della condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi – Artt. 183, 256, d.lgs. n.152/2006.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 8 luglio 2021 (Ud. 27/05/2021), Sentenza n.26000

 

RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Cernita e preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento – Rilevanza della condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi – Artt. 183, 256, d.lgs. n.152/2006.

La condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi – secondo la nozione desumibile dall’art. 183, lett. o), del D.Lgs. n. 152 del 2006 – comprende ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell’accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi, risultando così estesa anche alla cernita ed alla preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento.

(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 10/07/2019 del TRIBUNALE DI TRANI) Pres. DI NICOLA, Rel. CORBETTA, Ric. Nuovo


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 08/07/2021 (Ud. 27/05/2021), Sentenza n.26000

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da Nuovo Francesco, nato a Corato;

avverso la sentenza del 10/07/2019 del TRIBUNALE DI TRANI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;

letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Palermo.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Trani ha condannato Francesco Nuovo alla pena di 3.000 euro di ammenda, condizionalmente sospesa, in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, a lui ascritto perché, in qualità di responsabile e/o incaricato amministrativo del suolo ubicato in località Oasi, censito in catasto al foglio di mappa 47 alla particella 77, di proprietà dell’Ente Chiesa Beata Vergine Madonna della Grazie di Corato, effettuava attività di raccolta di rifiuti speciali non pericolosi, quali rifiuti inerti misti a materiale plastico, ligneo e ferroso del volume di 20 mc., senza la prescritta autorizzazione. In Carotato, accertato l’8 luglio 2015.

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 152 del 2006, 178, 353 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen.

Ad avviso del ricorrente, non sarebbe ravvisabile l’elemento oggettivo del reato, non avendo il Tribunale accertato la qualità di “rifiuto” dei materiali sequestrati, anche considerando che l’Ente Chiesa Beata Vergine Madonna della Grazie di Corato non svolgeva alcuna industriale e/o economica; non sarebbe perciò sussistente una condotta di “raccolta” da parte del Nuovo, dovendosi ritenere che i materiali rinvenuti non costituiscono “scarto” di un’attività produttiva, ma la conseguenza del naturale degrado della struttura.

Aggiunge il ricorrente che il verbale di sequestro sarebbe affetto da nullità assoluta, in quanto il Nuovo non venne avvisato della possibilità di farsi assistere da un difensore di fiducia, ciò che sarebbe causa di inutilizzabilità del verbale medesimo. In ogni caso, ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di valutare i documenti prodotti dalla difesa, da cui emerge che tale Vincenzo Di Pilato fosse l’effettivo rappresentante dell’Ente sin dal 2013.

2.2. Con il secondo motivo si deduce dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 131-bis, 133 e 62-bis cod. pen.

Il Tribunale, assume il ricorrente, ha negato i presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ostandovi l’assenza di elementi valutabili a tale scopo e censurando la condotta dell’imputato, che non è si sottoposto ad esame, senza considerare che il diritto al silenzio è espressione del diritto di difesa. Sotto altro profilo, il Tribunale ha omesso ogni valutazione in ordine alla particolare tenuità del fatto, che si sostanzierebbe in una modesta presenza di rifiuti, e, quindi, integrerebbe i presupposti ex art. 131-bis cod. pen.

3. Il ricorso è inammissibile.

3. Il primo motivo è manifestamente infondato con riferimento a tutte le censure dedotte dal ricorrente.

3.1. Si rammenta che, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, per “rifiuto” si intende “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi; è perciò erronea la tesi prospettata dal ricorrente, perché contrastante con il chiaro dato normativo ora richiamato, secondo cui la nozione di rifiuto presupporrebbe invariabilmente l’esercizio di un’attività industriale e/o di natura economica.

Orbene, nel caso di specie la natura di “rifiuti” non pericolosi è stata correttamente desunta dal Tribunale in relazione alla tipologia del materiale – ligneo, ferroso e plastico – rinvenuto in loco dai militari – il cui intervento era stato proprio sollecitato da diverse segnalazioni per verificare l’eventuale natura pericolosa di detti rifiuti – e del quale il detentore aveva evidentemente l’intenzione di disfarsi, in considerazione del luogo e delle modalità di deposito.

Il Tribunale, pertanto, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la condotta di raccolta di rifiuti non pericolosi – secondo la nozione desumibile dall’art. 183, lett. o), del D.Lgs. n. 152 del 2006 – comprende ogni comportamento univoco ed idoneo a culminare nell’accorpamento e nel trasporto dei rifiuti stessi, risultando così estesa anche alla cernita ed alla preparazione dei materiali in vista del successivo prelevamento (Sez. 3, n. 3204 del 02/10/2014, dep. 23/01/2015, Lucchini, Rv. 262008 e, con riferimento alla normativa previgente ex art. 6 punto e) d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, Sez. 3, n. 15972 del 08/03/2002, dep. 29/04/2002, Campus, Rv. 222435)

3.2. Quanto all’identificazione del Nuovo come “responsabile e/o incaricato amministrativo” della ‘struttura, essa è stata tratta, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non dal verbale di sequestro – la cui nullità, conseguente al mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, è peraltro deducibile sino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado (cfr. Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, dep. 05/02/2015, P.m. in c. Bianchi, Rv. 263023), il che nellà specie non è avvenuto -, bensì dalla comunicazione della notizia di reato (cfr. p. 4 della sentenza), la quale, essendo stata acquisita agli atti con il consenso delle parti, è pienamente utilizzabile ai fini probatori.

3.3. A differenza di quanto ritenuto dal ricorrente, il Tribunale, inoltre, ha ritenuto che tale qualificazione non sia contraddetta dalla documentazione prodotta dalla difesa, in quanto da essa risulta solamente che il legale rappresentante dell’Ente alla data, rispettivamente, del 18 giugno 2013 e del 22 marzo 2017 fosse altro soggetto, tale Vincenzo Di Pilato, ma, in assenza di una soluzione di continuità, non dimostra altresì che costui rivestisse detta qualifica anche nel luglio 2015, al momento dell’accertamento dei fatti.

Si tratta di una valutazione di fatto esente da vizi logici, che, quindi, non è censurabile in sede di legittimità.

4. Il secondo motivo è inammissibile in relazione ad entrambe le doglianze dedotte.

4.1. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il Tribunale ha unicamente considerato l’assenza di elementi valorizzabili a tale scopo (cfr. p. 6 della sentenza), in ciò facendo corretta applicazione del principio, costantemente predicato da questa Corte di legittimità, secondo cui la concessione delle attenuanti generiche deve-essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Pillero, Rv. 266460).

Nel caso in esame, il ricorso è generico, e quindi inammissibile, non indicando alcun elemento che, se valutato, avrebbe giustificato una mitigazione della pena.

4.2. Inammissibile è anche la censura relativa al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., la cui applicazione non era stata richiesta dal difensore in sede di conclusioni, non emergendo né dal verbale di udienza del 10 luglio 2019, né dall’epigrafe della sentenza; essa, quindi, implicando valutazioni di fatto, non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità.

Si osserva, in ogni caso, che il Tribunale, laddove ha escluso l’ipotesi di deposito “controllabile”, ha valorizzato la consistenza e il volume dei rifiuti, con ciò implicitamente negando la qualificazione dell’offesa in termine di “particolare tenuità”.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 27/05/2021.

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