SICUREZZA SUL LAVORO – Lesioni personali colpose – Prevenzione dei rischi interferenziali – Sicurezza dell’ambiente di lavoro – Cooperazione ed informazione – Artt. 7, 18, 26 d.lgs. n. 81/2008 – APPALTI – Operatività nella stessa sede aziendale con contratti differenti – Interferenza tra organizzazioni – Contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese – Datore di lavoro – Disponibilità giuridica dei luoghi – Verifiche. (Segnalazione e massima a cura di Francesco Camplani)
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 20 Luglio 2022
Numero: 28444
Data di udienza: 14 Luglio 2022
Presidente: MONTAGNI
Estensore: MONTAGNI
Premassima
SICUREZZA SUL LAVORO – Lesioni personali colpose – Prevenzione dei rischi interferenziali – Sicurezza dell’ambiente di lavoro – Cooperazione ed informazione – Artt. 7, 18, 26 d.lgs. n. 81/2008 – APPALTI – Operatività nella stessa sede aziendale con contratti differenti – Interferenza tra organizzazioni – Contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese – Datore di lavoro – Disponibilità giuridica dei luoghi – Verifiche. (Segnalazione e massima a cura di Francesco Camplani)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 4^, 20 luglio 2022 (Ud. 14/07/2022), Sentenza n. 28444
SICUREZZA SUL LAVORO – Lesioni personali colpose – Prevenzione dei rischi interferenziali – Sicurezza dell’ambiente di lavoro – Cooperazione ed informazione – Artt. 7, 18, 26 d.lgs. n. 81/2008 – APPALTI – Operatività nella stessa sede aziendale con contratti differenti – Interferenza tra organizzazioni – Contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese – Datore di lavoro – Disponibilità giuridica dei luoghi – Verifiche.
In materia di lesioni personali colpose sul luogo di lavoro, l’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione, previsti dall’art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, è originata dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro, vale a dire contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione. Ratio della norma è infatti quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione, nonché soluzioni comuni di problematiche complesse. Pertanto, si ha interferenza quando si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. Ricordando che, in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 26, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, deve intendersi per datore di lavoro committente colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo. In conclusione, nel caso di più imprese cooperanti fra loro, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto fra esse, bensì all’effetto che tale rapporto origina in concreto, verificando in particolare chi sia il proprietario dei luoghi e quale sia il titolo dell’accesso agli stessi, non limitandosi a valorizzare il dato della fisica frequentazione dei luoghi da parte dei dipendenti della società committente.
(annulla con rinvio sentenza del 13/01/2022 – CORTE APPELLO di GENOVA) Pres. MONTAGNI, Rel. MONTAGNI, Ric. Bizzi
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 4^, 20/07/2022 (Ud. 14/07/2022), Sentenza n. 28444SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BIZZI M. G. nato a GENOVA;
avverso la sentenza del 13/01/2022 della CORTE APPELLO di GENOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente ANDREA MONTAGNI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
E presente l’avvocato SCIACCHITANO GIUSEPPE del foro di GENOVA in difesa di BIZZI M. G. che illustrando i motivi del ricorso insiste per raccoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Genova, con la sentenza indicata in epigrafe, per quanto rileva in questa sede, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova in data 20.07.2018, ha affermato la penale responsabilità di M. G. Bizzi, in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen., condannando l’imputato alle pene di giustizia e confermando nel resto.
Al Bizzi si contesta il reato di cui all’art. 590, commi 1, 2, 3, cod. pen., nella sua qualità di datore di lavoro delegato dell’area Servizi Genova di Amiu s.p.a., società dalla quale dipendeva l’autista, R. R., che, alla guida del camion
Amiu tg. BX984CX, aveva investito V. Giuffrè, dipendente della Ecolegno s.r.l., provocando al predetto le refertate lesioni, con indebolimento permanente dell’organo della deambulazione.
In particolare, al Bizzi si addebita di non aver attuato, di concerto con i datori di lavoro che gestivano le lavorazioni abituali all’interno del Centro di Conferimento, un’attività di cooperazione ed informazione che permettesse di individuare i possibili rischi da interferenza tra mezzi e persone e le conseguenti misure di protezione e prevenzione da attuare, misure che avrebbero dovuto anche prevedere le aree da adibire al transito dei mezzi e delle persone, l’identificazione di posti di lavoro sul piazzale per la rimozione e piegatura dei teloni dai cassoni, la velocità da tenere all’interno del Centro di Conferimento, l’installazione di apposita segnaletica e l’individuazione del personale di riferimento per le operazioni di carico e scarico, in relazione al disposto di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. 9.04.2008, n. 81.
L’investimento di cui si tratta, per quanto riferito concordemente dai giudici di merito, si è verificato nel Centro di Conferimento per il trattamento di rifiuti riciclabili, poiché l’autista Risso, alla guida del camion della AMIU, travolgeva il lavoratore Giuffrè, che era intento a ripiegare un telone di copertura di un autocarro. Risso si stava dirigendo verso un’area di competenza della società Ecolegno, ove scaricare materiale legnoso. L’area teatro del sinistro è di proprietà della Re Vetro s.r.l. e da quest’ultima messa a disposizione di altre imprese. La parte locataria del sito è stata identificata nella società Quatroerre. Ecolegno, secondo gli accordi intercorsi, si era impegnata ad acquisire rifiuti legnosi, in forza di contratto di appalto concluso con Amiu. Tanto premesso, giova in particolare ricordare che il Tribunale di Genova, dato atto della revoca della costituzione della parte civile a fronte dell’intervenuto risarcimento, aveva escluso che Anniu avesse la disponibilità giuridica dell’area in oggetto, evenienza dirimente, ai fini dell’operatività, in capo al datore di lavoro, degli obblighi connessi ai contratti di appalto, ai sensi dell’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 81/2008. Al riguardo, il Tribunale aveva sottolineato che l’investimento si era verificato in una specifica zona del Centro, afferente al richiamato contratto di appalto intercorso tra Amiu ed Ecolegno. Ed aveva altresì chiarito: che Amiu non aveva la disponibilità giuridica dell’area sulla quale venivano svolte le operazioni previste dal contratto di appalto; e che Amiu neppure rivestiva il ruolo di appaltatore, rilevante ai sensi dell’art, 26, comma 2, d.lgs. n. 81/2008.
Diversamente opinando, la Corte di Appello, nella sentenza ricorsa, ha affermato che il concetto di disponibilità giuridica presupposto dall’art. 26, cit., per l’attivazione del coordinamento tra le diverse imprese che operano in un’area, non valeva a far venire meno gli obblighi assunti dall’Amiu – in quanto datore di lavoro dell’autista investitore, che abitualmente transitava in tale luogo – nei confronti degli altri soggetti che interagivano nell’area medesima, nel contesto dell’attività produttiva.
Il Collegio ha considerato, altresì, che la disponibilità giuridica del luogo in capo all’Amiu poteva ricavarsi dal rapporto esistente tra quest’ultima ed Ecolegno, tale per cui Amiu aveva la generale gestione dell’area di lavoro ed interveniva su di essa.
La Corte territoriale ha pure evidenziato che Ecolegno era stata costituita da Amiu, che deteneva il 51% delle quote.
In tale ambìto ricostruttivo, la Corte di Appello ha sottolineato che all’interno del Centro vi era un’area appositamente riservata ad Amiu; e che nell’anno 2007 Amiu aveva partecipato ad una riunione con le altre società interessate all’attività di carico e scarico, discutendo dei temi della sicurezza, a dimostrazione del fatto che Amiu aveva il sostanziale potere per indirizzare l’attività delle società appaltatrici.
In conclusione, secondo la Corte di Appello, la nozione di disponibilità giuridica del luogo deve intendersi in senso lato, in correlazione con la stabile e lecita possibilità di accesso al sito, che trova la base in specifici titoli contrattuali, perché diversamente opinando “si escluderebbe la tutela del lavoratore da parte di Amiu che aveva pari (e anche più significativa) posizione di garanzia rispetto alla locataria Quattroerre e si annullerebbe ogni responsabilità in tutti i casi assai comuni ove le imprese si trovino ad operare in un’area di proprietà altrui (come avviene normalmente nell’edilizia) ed il titolo dell’accesso sia solo il permesso del proprietario o locatario dell’area per eseguire i lavori”.
Sulla scorta di tali rilievi, la Corte di Appello ha evidenziato la sussistenza di un debito di sicurezza della committente Amiu nei confronti del dipendente della società appaltatrice. In riforma della decisione del primo giudice, è stata quindi affermata la penale responsabilità del Bizzi, dirigente delegato dell’Amiu, quale datore di lavoro.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione M. G. Bizzi, a mezzo del difensore.
Il ricorso è affidato a due motivi.
Con il primo l’esponente denuncia la violazione di legge in riferimento all’art. 26, d.lgs. n. 81/2008 e la manifesta illogicità della motivazione.
Dopo aver richiamato i termini di fatto della vicenda, il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha erroneamente attribuito al dirigente Bizzi la qualifica di datore di lavoro.
Il ricorrente sottolinea che Amiu non aveva la disponibilità giuridica dell’area di transito ove è avvenuto il sinistro. Osserva che la Corte di Appello ha indebitamente valorizzato la circostanza di fatto che i dipendenti della Amiu transitassero abitualmente nel sito e l’evenienza che Amiu detenesse il 51% delle quote di Ecolegno.
La parte evidenzia che la corretta interpretazione del concetto di disponibilità giuridica dei luoghi, quale fonte della posizione di garanzia e presupposto per l’operatività dell’art. 26, citato, in riferimento al coordinamento tra imprese, impone di ritenere garante il soggetto che ha la signoria dell’area e che, conseguentemente, può gestire il rischio interferenziale. Il ricorrente osserva che, in realtà, Amiu era creditore della sicurezza antinfortunistica, come correttamente rilevato dal primo giudice.
Con il secondo motivo la parte denuncia la contraddittorietà della motivazione, rispetto alle evidenze acquisite, richiamando la visura Camerale di Anniu. Rileva che Bizzi non aveva la qualifica di datore di lavoro ma di dirigente delegato alla gestione del personale dipendente di Amiu nell’area teatro dell’infortunio. Osserva che il predetto dirigente è destinatario unicamente degli obblighi elencati nell’art. 18, d.lgs. n. 81/2008.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso che occupa impone i rilievi che seguono.
2. La Corte regolatrice ha chiarito che il concetto di interferenza, ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall’art. 7 d.lgs. 626 del 1994 (ora art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e che pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro, vale a dire contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione; ciò in quanto la “ratio” della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione, nonché soluzioni comuni di problematiche complesse (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Rv. 273257). Con specifico riguardo al rischio interferenziale, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito – con valutazioni che in questa sede preme riaffermare, per condivise ragioni – che l’interpretazione del concetto di «interferenza», da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dall’art.7 d.lgs. n.626/94 (ora art. 26, commi 1, lett. aebe 3, d.lgs. n.81/2008, con riferimento alla posizione del committente, e comma 2 lett. a e b stesso decreto, con riferimento alla posizione dell’appaltatore e del subappaltatore), non viene definita dal testo normativo, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n.3/2008 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come «circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti».
In tale ambito ricostruttivo, si è precisato che gli obblighi di cui al richiamato art. 7 presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i beneficiari della tutela che deriva dai rapporti ai quali fa riferimento l’intero art.7, cit., posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. Il datore di lavoro deve organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all’ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa. Pertanto, si è ripetutamente affermato che ciò che rileva ai fini della normativa di cui all’art. 7, d.lgs. n. 81/2008, non è solo la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, ma soprattutto l’effetto che tale rapporto crea, cioè l’interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte e per i terzi estranei ai suddetti rapporti che si trovino ad operare nel cantiere. E si è precisato: che non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni; e che, in tal caso, l’elemento rilevante è dato dal potere di interferenza dell’appaltatore (Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini, Rv.264957; Sez. 4, n. 36398 del 23/05/2013, Mungiguerra, in motivazione).
2.1 Giova a questo punto della disamina sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha pure espressamente chiarito che rispetto agli obblighi ora richiamati, con l’entrata in vigore dell’art.26, comma 1, d.lgs. n.81/2008, deve intendersi per datore di lavoro committente colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo (Sez. 4, n. 14167 del 12/03/2015, Marzano, Rv. 263150).
Si tratta di approdo interpretativo riaffermato in pronunce successive.
La Corte regolatrice, invero, nel ribadire che ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all’esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall’art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro – contratto d’appalto, d’opera o di somministrazione – ma all’effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte, ha precisato che occorre comunque verificare che il destinatario degli obblighi di coordinamento e cooperazione abbia la disponibilità giuridica dei luoghi nei quali si svolgeva l’attività (Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018, Rv. 275077, in motivazione. Nella fattispecie, la Corte – considerando irrilevante la veste civilistica del rapporto negoziale esistente tra le due imprese, in termini di contratto d’appalto o di contratto di trasporto – ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del legale rappresentante della società committente per la morte per folgorazione dell’autista, dipendente di una diversa impresa, che, procedendo alle operazioni di scarico di una partita di mangime nei silos di proprietà della società committente, aveva toccato con il braccio metallico in dotazione all’autocarro i sovrastanti conduttori elettrici ad alta tensione).
3. Le coordinate interpretative ora richiamate conducono ad apprezzare la fondatezza del primo motivo di ricorso, rispetto ad entrambi i profili denunciati.
Come si è visto, secondo diritto vivente, l’operatività degli obblighi datoriali connessi ai contratti di appalto, ai sensi e per gli affetti dell’art. 26, d.lgs., n. 81 del 2008, richiede che il destinatario abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’attività ove si concretizza il rischio interferenziale. La Corte di Appello, nel discostarsi dalle considerazioni che erano state svolte dal Tribunale, per contro, ha richiamato l’indicazione nomofilattica circa la natura non dirimente della qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro ai fini della prevenzione del rischio interferenziale, tanto da affermare che il parametro relativo alla “disponibilità giuridica” dei luoghi in cui si svolge l’attività, cui all’art. 26, citato, può ritenersi integrato, in “senso lato”, sulla base di valutazioni di fatto, afferenti alla fisica frequentazione dei luoghi da parte dei dipendenti della società committente ed estendere così il possibile ambito della responsabilità penale della medesima parte committente, anche ai casi ove le imprese si trovino ad operare in un’area di proprietà altrui ed il titolo dell’accesso sia solo il permesso del proprietario o locatario dell’area.
Come si vede, la decisione risulta distonica rispetto alla portata del richiamato dato normativo, secondo l’interpretazione offertane dal diritto vivente, giacché nel porre a carico del datore di lavoro gli obblighi impeditivi rispetto al rischio interferenziale, valorizza determinati elementi di fatto, giungendo in realtà ad obliterare la verifica circa la sussistenza della condizione data dalla disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008.
Né vale a colmare tale lacuna argomentativa la seconda parte del ragionamento sviluppato nella sentenza in esame, laddove il Collegio osserva che Amiu detiene il 51% delle quote di Ecolegno e rileva che anni addietro Amiu aveva partecipato ad una riunione con le imprese appaltatrici, affrontando il tema della sicurezza delle operazioni di carico e scarico dei rifiuti. Si tratta, invero, di affermazioni assiomatiche, non sostenute da alcuna analisi dei concreti rapporti societari intercorrenti tra Amiu ed Ecolegno e dei relativi riflessi operativi rispetto alla gestione del rischio interferenziale di cui si tratta.
E’ poi appena il caso di rilevare che la sentenza di condanna oggi ricorsa, per le considerazioni svolte, neppure soddisfa il canone della motivazione rafforzata, che impone al giudice del gravame di dare puntuale ragione delle conclusioni assunte in difformità dalle valutazioni liberatorie che erano state rese in prima istanza (Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, Rv. 268948).
3.1 La natura assorbente dei superiori rilievi, che involgono la stessa configurabilità del debito di sicurezza in capo all’odierno imputato, nel contesto fattuale e giuridico di riferimento, assolve il Collegio dall’esame di ogni altra ragione di censura.
4. Per quanto detto, la sentenza impugnata, vulnerata dalle evidenziate discrasie argomentative, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova, per nuovo giudizio, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2022.