Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Diritto del lavoro,
Diritto processuale penale,
Sicurezza sul lavoro
Numero: 6854 |
Data di udienza:
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Incidente mortale – Nesso di causalità – Mezzi e strumenti di lavoro sicuri – Sicurezza aziendale – Datore di lavoro – Responsabilità – Dir. 98/37/CE c.d. ‘direttiva macchine’ – Art. 2087 C.C.- Nesso causale – Art. 40 C.P.P. c.2. – DIRITTO DEL LAVORO – Incidente mortale – Responsabilità del datore di lavoro – Sussistenza di cause di giustificazione – Onere della prova – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Appello – Rinnovazione del dibattimento – Istituto eccezionale – Determinazione del giudice – Attenuanti generiche – Dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità – C.d. motivazione implicita e deduzione esplicita – Censure in sede di legittimità – Limiti – Art. 133 c.p..
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 21 Febbraio 2012
Numero: 6854
Data di udienza:
Presidente: Brusco
Estensore: D'Isa
Premassima
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Incidente mortale – Nesso di causalità – Mezzi e strumenti di lavoro sicuri – Sicurezza aziendale – Datore di lavoro – Responsabilità – Dir. 98/37/CE c.d. ‘direttiva macchine’ – Art. 2087 C.C.- Nesso causale – Art. 40 C.P.P. c.2. – DIRITTO DEL LAVORO – Incidente mortale – Responsabilità del datore di lavoro – Sussistenza di cause di giustificazione – Onere della prova – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Appello – Rinnovazione del dibattimento – Istituto eccezionale – Determinazione del giudice – Attenuanti generiche – Dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità – C.d. motivazione implicita e deduzione esplicita – Censure in sede di legittimità – Limiti – Art. 133 c.p..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZ.4^, 21 febbraio 2012, Sentenza n.6854
SICUREZZA SUL LAVORO – Sicurezza aziendale – Datore di lavoro – Responsabilità – Dir. 98/37/CE c.d. ‘direttiva macchine’ – Art. 2087 C.C.- Nesso causale – Art. 40 C.P.P. c.2.
In materia antinfortunistica e sicurezza sul lavoro, a carico del datore di lavoro, sussiste l’obbligo di predisporre le misure idonee a rendere sicuro l’espletamento dell’attività lavorativa dei dipendenti ed il controllo dell’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 C.P.P. comma 2.
(conferma sentenza 12.03.2010 Corte d’Appello Bologna in appello a sentenza del 20.12.2006 Tribunale di Rimini) Pres. Brusco, Rel. D’Isa
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Incidente mortale – Nesso di causalità – Mezzi e strumenti di lavoro sicuri.
Si configura, il nesso causale tra l’omissione del datore di lavoro (nella specie utilizzo di un rullo compattatore troppo obsoleto privo di un dispositivo che garantisse l’arresto automatico qualora la leva di traslazione fosse mandata in folle) e la morte del lavoratore quando risulta provato che se il primo avesse al fornito al secondo, per lo svolgimento dell’attività lavorativa, un macchinario di ultima generazione, dotato di un sistema frenate diverso ed efficiente, l’evento morte non si sarebbe verificato. Sicché, resta fermo l’obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione dei suoi dipendenti mezzi e strumenti di lavoro sicuri, rispondendo di mancanza di diligenza nell’attività di informazione se affermasse di non essere a conoscenza dell’entrata in commercio di nuovi mezzi o strumenti più sicuri rispetto a quelli già messi a disposizione del lavoratori.
(conferma sentenza 12.03.2010 Corte d’Appello Bologna in appello a sentenza del 20.12.2006 Tribunale di Rimini) Pres. Brusco, Rel. D’Isa
DIRITTO DEL LAVORO – Incidente mortale – Responsabilità del datore di lavoro – Sussistenza di cause di giustificazione – Onere della prova.
In tema di cause di giustificazione, incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., risolvendosi il dubbio sull’esistenza dell’esimente nell’assoluta mancanza di prova al riguardo.
(conferma sentenza 12.03.2010 Corte d’Appello Bologna in appello a sentenza del 20.12.2006 Tribunale di Rimini) Pres. Brusco, Rel. D’Isa
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Appello – Rinnovazione del dibattimento – Istituto eccezionale – Determinazione del giudice.
L’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata.
(conferma sentenza 12.03.2010 Corte d’Appello Bologna in appello a sentenza del 20.12.2006 Tribunale di Rimini) Pres. Brusco, Rel. D’Isa
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attenuanti generiche – Dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità – C.d. motivazione implicita e deduzione esplicita – Censure in sede di legittimità – Limiti – Art. 133 c.p..
In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. Sez. 6^ 22/09/2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo ‘si ritiene congrua’ Cass. Sez. 6^ 4/08/1998 n. 91203), ma anche, quando impone un obbligo di motivazione espressa per la concessione di un’attenuante negata dal primo giudice o per l’esclusione di un’aggravante, poiché esiste un’esplicita deduzione della censura in appello, presupposto imprescindibile per l’ammissibilità della doglianza in ricorso (Cass. Sez. 1^ 30/06/1988 n. 7707, che recepisce un principio pacifico sotto il vigore del precedente e dell’attuale codice di rito), oppure perché si è effettuata una differente qualificazione di un fatto o si è ritenuto insussistente un reato (Cass. Sez. 6^ 29/12/1999 n. 14745), afferma che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. Sez. 3^ 16/06/2004 n. 26908).
(conferma sentenza 12.03.2010 Corte d’Appello Bologna in appello a sentenza del 20.12.2006 Tribunale di Rimini) Pres. Brusco, Rel. D’Isa
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SEZ.4^, 21 febbraio 2012, Sentenza n.6854
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Rimini, con sentenza in data 20.12.2006, ha ritenuto M.M. responsabile del delitto di cui all’art. 589 cod. pen. e lo ha condannato alla pena di giustizia con la concessione delle attenuanti generiche equivalenti all’aggravante per aver commesso il fatto in violazione delle norme antinfortunistiche.
Il Tribunale ha esposto di aver accertato, all’esito dell’istruttoria dibattimentale ed, in particolare, sulla base della perizia tecnica disposta per la ricostruzione della dinamica dell’infortunio e sulle cause del medesimo, che il M., rappresentante legale della F.lli Muratori Costruzioni s.r.l., e, quindi, quale datore di lavoro, aveva fatto utilizzare al proprio dipendente C.C. un percorso in salita; un rullo compattatore, senza che il mezzo fosse dotato di misure che ne garantissero il pronto ed automatico arresto qualora la leva del cambio fosse mandata in folle, di tal che il guidatore, nell’occorso, in data 10.05.2000, posizionando in folle la leva per cambiare marcia, provocava lo scollegamento della trasmissione idraulica dal motore. In conseguenza di ciò il rullo iniziava a retrocedere, con velocità sempre crescente, capovolgendosi e schiacciando il C., che decedeva. In alternativa, il primo giudice ha ritenuto che si potesse essere verificato un guasto improvviso a uno dei meccanismi della leva di traslazione, con conseguente disinserimento della trazione. Argomentava che il fatto che il perito abbia dovuto prospettare due ipotesi circa la causa del disinserimento del freno motore, è stato determinato dall’impossibilità di eseguire accertamenti sul mezzo meccanico, a suo tempo dissequestrato.
Il Tribunale rileva, quale profilo di colpa specifica, addebitato all’imputato, il fatto di aver messo a disposizione del lavoratore un mezzo da utilizzare in strada in salita, non in linea con le disposizioni di cui agli artt. 168 e 173 d.P.R. 547/1955, poiché privo di un dispositivo che garantisse l’arresto automatico qualora la leva di traslazione fosse mandata in folle e, quindi, per non aver messo a disposizione del lavoratore un mezzo meccanico di tipo più moderno, già in commercio da anni, dotato di un sistema frenante idraulico, che impedisce la messa in folle, ovvero per non aver disposto che il compattatore fosse trasportato sul posto di lavoro con un carrello.
La Corte d’Appello, su impugnazione dell’imputato, ha fatto proprio l’impianto argomentativo della sentenza impugnata ritenendo infondato l’appello con sentenza del 12.03.2010.
Il M. propone ricorso per cassazione e con il primo motivo eccepisce violazione di legge, nella specie degli artt. 523 e 178 lett. b), per avere la Corte d’Appello emesso la sentenza ancorché il Procuratore Generale non avesse espresso le sue conclusioni, essendosi limitato a richiedere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Con il secondo motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di motivazione: si argomenta che l’assoluta incertezza delle conclusioni della consulenza d’ufficio, circa la causa che ha provocato l’infortunio, tanto da far richiedere al Procuratore Generale la rinnovazione dell’istruttoria per disporre una nuova perizia, ha determinato la contraddittorietà della motivazione. In particolare, quanto al giudizio controfattuale, basato sulle due scelte che aveva a disposizione il ricorrente per impedire l’evento, vale a dire o mettere a disposizione un mezzo più moderno in grado di arrestarsi automaticamente, o caricare il compattatore utilizzato su di un carrello, si evidenzia che, per quest’ultima, la stessa Corte ha dovuto ammettere che il trasporto con il carrello non avrebbe eliminato il rischio in quanto tutto il cantiere era in salita. Quanto alla prima scelta, per il ricorrente risulta del tutto carente e contraddittoria la motivazione perché la consulenza d’ufficio non ha fornito risposta sufficiente rispetto alte due questioni fondamentali necessarie alla ricostruzione del nesso causale:
a) in quale anno il nuovo modello di rullo compattatore (Tifone C 120) fosse stato commercializzato in Italia;
b) in cosa consistesse, nello specifico, la ‘miglior tecnologia’ del nuovo modello.
Relativamente alla prima osservazione, il perito non è stato in grado, se non approssimativamente, di indicare in quale periodo il nuovo modello fosse stato messo in commercio. Per altro, la Corte, nell’indicare l’epoca della messa in commercio, ha affermato che la risposta del perito sul punto (ha dichiarato che il mezzo fu messo in commercio sicuramente dopo gli anni ’94-’95) è da ‘intendersi subito dopo quegli anni’. Ma questa è un’interpretazione arbitraria della Corte. Invero, il perito ebbe anche a precisare che il nuovo mezzo fu messo in commercio dopo la Direttiva Europea in materia, ma la c.d. ‘direttiva macchine’ del parlamento Europeo, e cioè la direttiva 98/37/CE è del 23 giugno 1998. Se ciò è vero era necessario verificare, considerato che il fatto è avvenuto nel maggio del 2000, il momento in cui il nuovo mezzo era divenuto disponibile nella rete commerciale italiana.
Quanto poi alla ‘miglior tecnologia’ di cui questo era munito, si evidenzia che la stessa Corte cade in un’evidente confusione di ordine tecnico, proprio a causa della superficialità dell’accertamento peritale, relativo a quale parte meccanica del mezzo avesse subito modifiche con il successivo modello: un conto è sostenere che il nuovo mezzo impedisse la ‘messa in folle’, altro è dire che ‘veniva garantito il pronto ed automatico arresto qualora la leva di traslazione fosse mandata in folle’.
Con il terzo motivo, si censura la violazione di legge i cui è caduta la sentenza con riferimento agli artt. 40, comma 2 ed art. 589 cod. pen.. Invero, la Corte del merito ha ritenuto del tutto irrilevante stabilire se il disinserimento della trasmissione sia stata dovuta sfalla messa in folle del cambio da parte del guidatore o da un guasto meccanico, in quanto sia nell’uno che nell’altro caso il mezzo era rischioso nel suo utilizzo in salita poiché non c’era modo di arrestarlo quando fosse andato in folle.
Si argomenta che, invece, stabilire l’una o l’altra evenienza, è significativo nell’accertare la causalità omissiva contestata.
Invero, se il mezzo è andato in folle per manovra del conducente, si potrebbe anche sostenere che il modello più nuovo, dotato di una migliore tecnologia – a fronte di quella manovra errata – avrebbe consentito l’arresto del mezzo con l’uso del sistema frenante; ma nel secondo caso, cioè del mezzo andato in folle per guasto meccanico, l’affermazione dell’idoneità impeditiva dell’azione omessa è impossibile da farsi con ragionevole certezza, perché non si consoce la natura del guasto.
Con il quarto motivo si denuncia altra violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata assunzione di una prova decisiva, nella specie una nuova perizia che accertasse la dinamica dell’infortunio con particolare riferimento a quella che ha determinato il disinserimento della trazione del motore. Per altro manca la prova che la ‘nuova tecnologia’ che caratterizzerebbe il nuovo modello di compattatore era già generalmente praticata nell’ambiente lavorativo di cui trattasi tenuto anche conto del fatto che il compattatore era in buono stato di manutenzione ed affidato ad un guidatore esperto.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione di legge nella specie degli artt. 169 e 173 d.P.R. 547/1955. Le norme richiamate dalla Corte d’Appello non sono pertinenti: esse infatti si riferiscono a mezzi ed apparecchi di sollevamento, di trasporto e di immagazzinamento, vale a dire si riferiscono a gru, argani, ganci, funi, catene ponti di trasporto che nulla hanno a che vedere con il veicolo in questione.
Con un sesto motivo si eccepisce la prescrizione del reato dovendosi ritenere più favorevole la disciplina della prescrizione prevista dalla L. 251/2005.
Col settimo ed ultimo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche.
Con memoria difensiva depositata nei termini il ricorrente ha ribadito il secondo motivo del ricorso in ordine all’insussistenza del nesso causale e della colpa specifica.
RITENUTO IN DIRITTO
I motivi addotti, alcuni dei quali inammissibili, in quanto non sono consentiti in sede di legittimità, perché concernono differenti valutazioni di risultanze processuali ed allegazioni in fatto, sono comunque infondati sicché il ricorso deve essere rigettato.
Quanto al primo motivo, relativo ad una censura in rito, esso è manifestamente infondato atteso che la nullità prevista dall’art. 178 lett. b) cod. proc. pen. riguarda la violazione di tutte le disposizioni che consentono al P.M. di esercitare l’iniziativa penale o la sua partecipazione al procedimento e non, come nel caso di specie, laddove il Procuratore Generale di udienza è stato messo in condizione di partecipare, interloquire e assumere le conclusioni e ha ritenuto autonomamente di non fare richieste in ordine all’accoglimento o rigetto dell’appello, ritenendo di chiedere unicamente la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
La censura posta a base del secondo motivo è stata già oggetto di approfondito esame sia da parte del Tribunale che della Corte d’Appello.
Innanzitutto, quanto al tipo di colpa contestata, all’esito del dibattimento di primo grado, è stata individuata nella violazione della disposizione di cui agli artt. 168 – 173 d.P.R. 547/1955 (art. 168 “(comma 1) I mezzi di sollevamento e di trasporto devono risultare appropriati per quanto riguarda la sicurezza, alla natura, alla forma ed al volume dei carichi al cui sollevamento e trasporto sono destinati, nonché alle condizioni di impiego con particolare riguardo alle fasi di avviamento e di arresto, (comma 2) Gli stessi mezzi devono essere usati in modo rispondente alle loro caratteristiche”) (Art. 173: “I mezzi di sollevamento e di trasporto devono essere provvisti di frenatura atti ad assicurare il pronto arresto e la posizione di fermo del carico e del mezzo e, quando è necessario ai fini della sicurezza, consentire la gradualità dell’arresto”) ed, infatti, correttamente, all’esito dei risultati della consulenza di ufficio e delle dichiarazioni rese a dibattimento dal perito, il profilo di colpa evidenziato a carico del M., e rimasto provato, è rappresentato dal fatto d’aver messo a disposizione del C. una macchina che presentava un rischio intrinseco molto elevato: quello di non essere più governabile se, in un percorso inclinato, per una qualunque ragione (rottura meccanica od errata manovra del conduttore) si fosse verificato – come appunto è accaduto nel caso di specie – lo scollegamento della trasmissione dal motore con messa in folle del mezzo.
Circa la eccepita inapplicabilità di tale normativa (quinto motivo), in quanto riferentesi solo ai mezzi di sollevamento, basta la semplice lettura della norma per evidenziarne la manifesta infondatezza. Le norme infatti indicano ‘i mezzi di sollevamento e di trasporto’ ed appare evidente che la disgiuntiva ‘e’ tenga separati i due tipi di macchine.
E, comunque, la contestazione comprende anche la colpa generica, in quanto, a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al d.P.R. 547/1955 (art. 391 e 392 – 6) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (art.4 D.L.G.S. 626/1994) ed anche in riferimento alla norma c.d. ‘di chiusura del sistema’ ex art. 2087 C.C., sussiste un obbligo di predisporre le misure idonee a rendere sicuro l’espletamento dell’attività lavorativa dei dipendenti ed il controllo dell’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 C.P.P. comma 2.
Quanto all’eccepita insussistenza del nesso causale la critica parimenti risulta infondata.
È indubbio, essendo dato pacificamente acquisito, che il capovolgimento del compattatore, con il conseguente schiacciamento del C. che lo guidava, è stato determinato dalla sua ingovernabilità per il disinserimento del freno motore e, quindi, per la eccessiva velocità raggiunta dal mezzo in discesa ripida.
Ed in ragione di tanto è ineccepibile, in punto di logica, la motivazione sul punto della sentenza impugnata secondo cui il rischio specifico, legato all’inefficienza strutturale dell’azione frenante meccanica, per quanto in precedenza esposto (risultati della perizia di ufficio) poteva essere scongiurata mettendo a disposizione del lavoratore una macchina di nuova generazione, dotata di un sistema frenante idraulico – anziché meccanico – che, sostanzialmente, impedisce la messa in folle.
L’altro modo per evitare l’evento, individuato dal Tribunale, cioè quello di caricare il compattatore su di un carrello e trasportarlo sino al luogo ove avrebbe dovuto operare, in modo da evitare il tratto in salita, è stato ritenuto, ovviamente con giudizio a posteriori, su rilievo dell’appellante opinabile, in quanto il cantiere ove avrebbe dovuto operare il compattatore era anch’esso in salita; trattasi questa di una motivazione logica e riferita ad un dato fattuale oggettivo, sottratta al giudizio di questa Corte.
E, di conseguenza, con riferimento al giudizio controfattuale si può affermare, in termini di assoluta certezza, che se la macchina messa a disposizione del C. fosse stata quella di nuova generazione, dotata di un sistema frenante diverso ed efficiente, l’infortunio non si sarebbe verificato.
Ed appare speciosa la censura formulata con il terzo motivo, in quanto, indipendentemente dall’individuazione della causa che ha determinato la messa in folle del compattatore (errata manovra del C. o guasto meccanico), dato certo è che tale condizione ha comportato l’ingovernabilità del mezzo meccanico ed, ai fini della individuazione della condotta omissiva, poco rileva comprendere nello specifico la causa che ha determinato quella condizione, essendo certo, come già evidenziato, che se fosse stata messa a disposizione della vittima una macchina di nuova generazione l’infortunio non si sarebbe verificato.
Relativamente all’altro aspetto, che per il ricorrente incide sul giudizio attinente la sussistenza del nesso causale, quanto al punto b) [vedi parte narrativa – esposizione del secondo motivo] la risposta offerta dal perito è più che esaustiva nell’individuare in cosa consistesse la ‘miglior tecnologia’ del nuovo modello di compattatore; quanto al punto a) si è evidenziato che quello, marca Bitelli, guidato dal C., era stato acquistato in data 11.11.1989, e, all’epoca dell’infortunio non era più in produzione, essendo in commercio i nuovi modelli già da diversi anni. Il Tribunale ha ritenuto, sulla scorta delle precisazioni fornite dal perito che i nuovi modelli erano stati messi in commercio agli inizi degli anni ’90. La Corte d’Appello su specifico gravame sul punto, ha precisato che dalle dichiarazioni del perito ‘il mezzo era in commercio dopo gli anni ’94 e ’95 da intendersi subito dopo quegli anni’.
La Difesa fa risalire il periodo di entrata in commercio dei nuovi compattatori al 1998 in concomitanza con l’emanazione da parte Comunità Europea della ‘Direttiva macchine’, ma se così fosse ugualmente essa è antecedente di qualche anno alla data dell’infortunio, rimane fermo l’obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione dei suoi dipendenti mezzi e strumenti di lavoro sicuri; e risponde certamente di mancanza di diligenza nella attività di informazione se afferma di non essere a conoscenza dell’entrata in commercio di nuovi mezzi o strumenti più sicuri rispetto a quelli già messi a disposizione del lavoratori.
Per altro, il ricorrente ha chiesto che venissero effettuate ulteriori indagini, a mezzo della rinnovazione dell’istruttoria in appello, proprio su questo punto ma si osserva, al di là del principio secondo cui la prova di un fatto in base al quale si contesta la penale responsabilità deve essere fornita dall’accusa, che, di fronte a dati forniti in tal senso dal P.M. o acquisiti nel corso del dibattimento dallo stesso giudice, vi è pur sempre l’onere della difesa di confutarli con allegazioni di fatto che possono accertarsi agevolmente come, nel caso di specie, richiedendo alla ditta costruttrice del nuovo modello di compattatore l’epoca in cui questo è entrato in commercio. Ed invero, le allegazioni di fatto, che sono nella disponibilità dell’imputato involgono proprio l’esercizio del suo diritto di difesa, che non può e non deve essere sempre passiva di fronte alle prospettazioni dell’accusa.
Il principio è stato affermato da questa corte con riferimento alla prova della sussistenza di cause di giustificazione, certamente omologabile per la vicenda che ci occupa, atteso che questa riguarda solo un aspetto dei fatti posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità (Sez. 6, Sentenza n. 15484 del 12/02/2004 Ud. Rv. 229446: In tema di cause di giustificazione, incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., risolvendosi il dubbio sull’esistenza dell’esimente nell’assoluta mancanza di prova al riguardo. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza con la quale i giudici di merito avevano assolto l’imputato dal delitto di evasione per aver agito in stato di necessità, recependo acriticamente la tesi difensiva di essersi allontanato dalla propria abitazione per il pericolo di un’infezione tetanica dovuta ad un ematoma, senza farsi carico di verificarne la conciliabilità con la condotta tenuta dall’imputato al momento in cui fu sorpreso dalla polizia)).
Corretta quindi appare la determinazione della Corte distrettuale (quarto motivo) di disattendere la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sia in ordine ad una nuova perizia per determinare la causa del disinserimento del freno motore che a quello dell’accertamento dell’entrata in commercio del nuovo modello di compattatore.
Ed, invero, quanto alla prima richiesta, la Corte ha evidenziato che, a parte l’inutilità di tale accertamento, per quanto argomentato, esso si rivelerebbe impossibile perché la macchina coinvolta nell’infortunio venne dissequestrata e non è possibile reperirla.
In ordine alla seconda richiesta ha ritenuto esaustivo l’accertamento effettuato nel corso dell’istruttoria dibattimentale di primo grado.
Si osserva che l’istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell’istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere (nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti). La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata (v. ex pluribus Cass. 4^, 10 giugno 2003, Vassallo).
E la Corte di merito – come si è detto – ha spiegato perché si sia convinta della superfluità di disporre una nuova perizia tecnica. A questo si aggiunge che il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (v. Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in c. Fachini).
Ed in ogni caso va per completezza rivelato che il ricorrente, pur deducendo formalmente la mancata assunzione di prove decisive quale effetto di un immotivato diniego opposto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nella sostanza prospetta – come si diceva sopra – una ricostruzione dei fatti diversa da quella accolta nella sentenza impugnata o, quanto meno, un’interpretazione alternativa dei medesimi, indugiando in considerazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità.
Manifestamente infondata è la censura di cui al sesto motivo, attesa la identica durata dei termine di prescrizione (anni quindici) del delitto in esame previsto dal combinato disposto degli art. 157 n. 3 e 160 ultima parte cod. pen. prima dell’entrata in vigore della novella 251/205, e dalla nuova formulazione dell’art. 157 al 1 e 6 comma, per cui il reato non è ancora prescritto.
Da ultimo, quanto alla censura oggetto del settimo motivo relativa al vizio di motivazione per essere stato operato il giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche, si rammenta che, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. 6^ 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo ‘si ritiene congrua’ vedi Cass. sez. 6^ 4 agosto 1998 n. 9120 rv. 211583), ma anche, quando impone un obbligo di motivazione espressa per la concessione di un’attenuante negata dal primo giudice o per l’esclusione di un’aggravante, poiché esiste un’esplicita deduzione della censura in appello, presupposto imprescindibile per l’ammissibilità della doglianza in ricorso (Cass. sez. 1^ 30 giugno 1988 n. 7707 rv. 178767, che recepisce un principio pacifico sotto il vigore del precedente e dell’attuale codice di rito), oppure perché si è effettuata una differente qualificazione di un fatto o si è ritenuto insussistente un reato (Cass. sez. 6^ 29 dicembre 1999 n. 14745 rv. 215198), afferma che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3^ 16 giugno 2004 n. 26908 rv. 229298).
Orbene, alla luce di questi pacifici principi, sinteticamente riassunti, le censure su questo aspetto della motivazione dell’impugnata sentenza, sono infondati stante lo specifico riferimento ai numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato ritenuti ostativi ad un giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.