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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Sicurezza sul lavoro Numero: 44360 | Data di udienza: 19 Ottobre 2023

SICUREZZA SUL LAVORO – Responsabilità del committente – Cantieri temporanei o mobili – Lavori commissionati – Tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – Infortunio sul lavoro – Obblighi antinfortunistici – Situazioni di pericolo – Idoneità tecnico-professionale – Fattispecie punibili a titolo di colpa – Omicidio colposo – Responsabilità per cooperazione colposa – Dovere di sicurezza – Controllo sull’organizzazione – Esercizio di fatto di poteri direttivi – Artt. 90, c.9, lett. a), e 299 Dlgs. n.81/2008 – Fattispecie: omicidio colposo per aver non aver impedito al lavoratore di salire sul tetto del locale deposito per eseguirvi un intervento manutentivo, utilizzando a tal fine una scala non idonea fornita dal committente. (Segnalazione e massima a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 4^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 6 Novembre 2023
Numero: 44360
Data di udienza: 19 Ottobre 2023
Presidente: DOVERE
Estensore: SERRAO


Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – Responsabilità del committente – Cantieri temporanei o mobili – Lavori commissionati – Tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – Infortunio sul lavoro – Obblighi antinfortunistici – Situazioni di pericolo – Idoneità tecnico-professionale – Fattispecie punibili a titolo di colpa – Omicidio colposo – Responsabilità per cooperazione colposa – Dovere di sicurezza – Controllo sull’organizzazione – Esercizio di fatto di poteri direttivi – Artt. 90, c.9, lett. a), e 299 Dlgs. n.81/2008 – Fattispecie: omicidio colposo per aver non aver impedito al lavoratore di salire sul tetto del locale deposito per eseguirvi un intervento manutentivo, utilizzando a tal fine una scala non idonea fornita dal committente. (Segnalazione e massima a cura di Alessia Riommi)



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 4^, 6 novembre 2023 (Ud. 19/10/2023), Sentenza n. 44360

 

SICUREZZA SUL LAVORO – Responsabilità del committente – Cantieri temporanei o mobili – Lavori commissionati – Tutela della salute e sicurezza dei lavoratori – Infortunio sul lavoro – Obblighi antinfortunistici – Situazioni di pericolo – Idoneità tecnico-professionale – Fattispecie punibili a titolo di colpa – Omicidio colposo – Responsabilità per cooperazione colposa – Dovere di sicurezza – Controllo sull’organizzazione – Esercizio di fatto di poteri direttivi – Artt. 90, c.9, lett. a), e 299 Dlgs. n.81/2008Fattispecie: omicidio colposo per aver non aver impedito al lavoratore di salire sul tetto del locale deposito per eseguirvi un intervento manutentivo, utilizzando a tal fine una scala non idonea fornita dal committente.

In tema di misure per la tutela della salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, la responsabilità del committente per gli infortuni verificatisi in occasione dei lavori commissionati non è esclusa sulla base del mero rilievo formale per cui il destinatario degli obblighi antinfortunistici è il datore di lavoro. Occorre, infatti, verificare in concreto quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Nel caso di specie, l’infortunio si è verificato mentre il lavoratore era addetto a svolgere un’attività di lavoro alle dipendenze di fatto di un’impresa del tutto disorganizzata sotto il profilo antinfortunistico. Pertanto, ai sensi degli artt. 299 e 90, comma 9, lett. a), del Dlgs. 9 aprile 2008, n. 81, si deve logicamente attribuire la responsabilità per cooperazione colposa anche al committente, venuto meno agli obblighi di controllo posti a suo carico dalla normativa.

(dich. inammissibile il ricorso avverso sentenza del 02/11/2022 della CORTE DI APPELLO DI BARI) – Pres. DOVERE, Est. SERRAO, Ric. L.N.


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 4^, 06/11/2023 (Ud. 19/10/2023), Sentenza n. 44360

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da L.N., nato a — il –/–/—-;

avverso la sentenza del 02/11/2022 della CORTE APPELLO di BARI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SERRAO EUGENIA;

udito il Sostituto Procuratore Dott.ssa TASSONE KATE, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avv. QUINTO Michele nell’interesse delle parte civili T.A., D.C.C. e D.C.C., che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata depositando conclusioni e nota spese;

udito il difensore Avv. BUCCI Renato, in difesa di L.N., che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale in data 22/11/2021 il Tribunale di Trani aveva dichiarato L.N. responsabile del reato di cui all’art. 113 c.p., art. 589 c.p., commi 1 e 2, e D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 299 perché, in qualità di committente e responsabile dei lavori, con colpa generica derivante da negligenza, imprudenza e imperizia, nonché specifica per violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 9, lett. a), in cooperazione colposa con il datore di lavoro, non aveva impedito a D.C.G., dipendente di B.C. con mansioni di operaio edile, privo delle necessarie informazione e formazione sui rischi connessi all’attività che si apprestava ad eseguire, nonché dei necessari D.P.I., come caschetto protettivo e cintura, di salire sul tetto del locale deposito di proprietà del L. per eseguirvi un intervento manutentivo, utilizzando a tal fine una scala in alluminio, fornita dal L., non idonea in quanto priva di gommino in plastica antiscivolo; in conseguenza dell’uso di tale scala il D.C. era precipitato al suolo perché la scala aveva perso stabilità, riportando a seguito dell’impatto lesioni personali dalle quali era derivato il decesso. In (omissis).

2. Il fatto è stato così ricostruito nelle conformi sentenze di merito: D.C.G., alle ore 5:30 circa del (omissis), era uscito dalla propria abitazione per recarsi, unitamente a B.C., suo datore di lavoro di fatto da 20 anni e all’epoca intonachista in pensione, presso l’area agricola di proprietà di L.N., in quanto quest’ultimo aveva commissionato al B., che si avvaleva dell’opera del D.C., lo svolgimento di alcuni lavori edili; in particolare, il (omissis), B.C. aveva contattato la moglie del D.C., il quale non disponeva di un telefono cellulare, chiedendole di avvertire il marito che il mattino seguente avrebbero dovuto espletare dei lavori edili; il (omissis) alle ore 10:00 circa l’ispettore B.S., allertato dai Carabinieri di Corato, si era recato nell’area agricola di proprietà del L. sita in via (omissis) e aveva rinvenuto il D.C. riverso sul pavimento nelle immediate adiacenze del locale adibito a deposito, alto m.3,50; era presente una scala metallica priva dei dispositivi antiscivolo e un secchio contenente attrezzature per l’edilizia.

2.1. Il giudice di primo grado aveva, quindi, ritenuto provato che la caduta dalla scala si fosse verificata per la mancanza di tre dei quattro piedini della scala e tale circostanza è stata valutata senza dubbio come indicativa del fatto che la vittima fosse caduta dall’alto mentre utilizzava la scala. I giudici di appello hanno considerato irrilevante la circostanza che la caduta fosse stata effettivamente cagionata dallo scivolamento della scala a causa della mancanza di piedini antiscivolo, essendo comunque emerso che il lavoratore, al momento del sinistro, fosse completamente privo di dispositivi di sicurezza, quali il caschetto protettivo e la cintura di sicurezza, nonostante impegnato in un’attività svolta ad alcuni metri da terra.

2.2. Ritenendo dimostrato il rapporto di lavoro subordinato tra il B. e il D.C. sulla base della prova dichiarativa, i giudici di merito hanno confermato la responsabilità del L. ritenendo privo di fondamento il motivo di appello secondo il quale quest’ultimo avesse convocato il B. e il D.C. nella sua area agricola esclusivamente al fine di effettuare un sopralluogo e di verificare i lavori da svolgersi sul manufatto in oggetto, sia sulla base di quanto emerso dalla prova testimoniale sia sulla base della prova logica secondo la quale il fatto che il L. e il B. avessero lasciato sul luogo dell’intervento edile il D.C., mentre entrambi a bordo della macchina del B. si erano allontanati al fine di andare a prelevare a Corato la terza persona che avrebbe dovuto eseguire con loro il lavoro, non avesse altra spiegazione, se non nell’indicazione al D.C. di iniziare l’esecuzione dei lavori.

3. L.N. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza, con un unico motivo, per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità penale dell’imputato.

3.1. Secondo la difesa, il richiamo contenuto nella sentenza impugnata alle modalità di uso della scala, segnatamente il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 113, non può riguardare il L. trattandosi di prescrizione strettamente inerente al ruolo datoriale, non estensibile alla posizione del committente.

3.2. Quanto alla violazione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90 circa l’inidoneità dell’impresa appaltatrice prescelta, la difesa ne sostiene l’inapplicabilità al caso concreto non risultando assolutamente provata la posizione di committente e lo svolgimento sul luogo dell’infortunio di un’attività edile in corso.

La Corte di appello, si assume, ha tentato d colmare la lacuna probatoria circa l’esistenza di lavori edili commissionati dal L. facendo appello alla prova logica in assenza di evidenze che contrastino l’assunto di pensiero secondo il quale la terza persona che il B. e il L. avrebbero prelevato quel giorno non avrebbe dovuto eseguire il lavoro ma semplicemente visionare il manufatto per sviluppare un preventivo; attività che non implicava l’uso di scale, trabattelli o altri strumenti per lavorare in quota, essendo sufficiente la presa visione del piccolo manufatto. Uguale dignità logica avrebbe avuto il ragionamento secondo il quale non vi fosse alcun lavoro in corso, quanto nessuna indicazione di lavoro poteva essere stata data, posto che il ritenuto datore si era allontanato per alcuni minuti, che l’orario era ancora quello della penombra e che il D.C., uscito di casa alle 5:30 del mattino, alle 6:30 era già in pronto soccorso.

3.3. Le dichiarazioni testimoniali secondo le quali il D.C., il giorno precedente, avesse annunciato che il giorno successivo avrebbe dovuto lavorare rappresentavano, secondo la difesa, niente più che un’aspettativa. Ne consegue, si assume, che non fosse prevedibile che il D.C. assumesse alcuna iniziativa, essendo una forzatura logica affermare che il lavoratore non potesse avere avuto altre indicazioni se non quella di iniziare a lavorare all’alba, in assenza di attrezzature degne di nota, in assenza di qualsivoglia indicatore di lavori edili in corso e senza che il presunto datore di lavoro avesse portato scale o altri strumenti per lavorare in quota.

3.4. Nel ricorso si sostiene che i giudici di merito hanno dato per acquisito che la scala fosse entrata nel dinamismo dell’infortunio ma, escluso ogni rilievo alla circostanza per cui L. sarebbe in colpa per aver fornito una scala inadeguata, come si legge nella sentenza di appello, secondo la difesa sarebbe altamente sintomatico il fatto che il B. e il D.C. non avessero portato con sé alcuna scala o trabattello o impalcatura, segno chiaro che non fosse previsto alcun lavoro in quota; né la presenza della scala nei pressi del locale avrebbe potuto innescare nel L. il ragionevole dubbio che quella scala potesse incautamente e inopinatamente essere utilizzata dal D.C., essendo certo che nessun lavoro dovesse investire il tetto del locale.

E’ di comune esperienza, secondo la difesa, che ogni artigiano porti con sé un piccolo compendio di attrezzi per l’eventualità che servano e quel fardello di minuteria di base non dimostra che l’artigiano sia già investito di un compito operativo. La scelta del D.C. di prendere la scala presente sul posto e di salirvi sopra eccedeva tutto ciò che avrebbe potuto essere ragionevolmente previsto e preventivato.

3.5. Manca ogni prova in ordine alla fase del conferimento dell’incarico e alla sussistenza di qualsivoglia relazione tra l’incarico presunto e la condotta del D.C.. Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza in quanto la motivazione sarebbe manchevole rispetto all’omessa valorizzazione delle circostanze di fatto che delineavano il contesto, e illogica sotto il profilo della pretesa di tracciare una consequenzialità logica autoreferenziale pur in presenza di elementi di fatto che non autorizzavano il convincimento così come formatosi, vuoi perché ambivalenti vuoi perché contrastati, quanto al loro significato, da altri elementi, pure accertati in giudizio.

4. All’odierna udienza, all’esito della discussione orale, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.1. Il vizio di carenza della motivazione si sostanzia nell’assenza di un argomentare che renda comprensibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione e, nel caso in esame, le due conformi sentenze di merito hanno descritto con dovizia di particolari l’antefatto e lo stato dei luoghi dopo la caduta del D.C., dovendosi escludere, data l’evidenza dei fatti, che i giudici abbiano tralasciato di sviluppare il discorso argomentativo che ha condotto a ritenere provato che l’evento si fosse verificato in un contesto lavorativo di lavori edili commissionati dal proprietario del terreno in cui è avvenuto il decesso.

1.2. In particolare, le dichiarazioni testimoniali avevano introdotto nel giudizio la prova che il lavoratore fosse stato informato il 1 settembre dal B. che l’indomani avrebbe dovuto svolgere lavori edili e si era preparato facendosi portare dal figlio una “mazzetta” che gli sarebbe servita per tale lavoro; che B.C. si avvaleva dell’opera del D.C. da venti anni, remunerandolo in contanti, e che più volte il D.C. aveva lavorato nelle campagne del L. per svolgere lavori agricoli e lavori edili (teste R.); che intorno alle ore 7:00 del 2 settembre il B., il L. e un uomo di nazionalità straniera si erano recati presso l’abitazione del D.C. per riferire al figlio della caduta.

La testimonianza dell’Appuntato D.T., dei Carabinieri di (omissis), aveva introdotto nel giudizio la prova che, giunto alle ore 8:10-8:15 nell’area agricola del L., non vi fossero tracce ematiche a terra ma solo dell’acqua, come se fosse stato lavato da poco; tracce ematiche erano, poi, presenti nel sedile posteriore dell’autovettura Fiat Doblò di proprietà del L.; nelle immediate vicinanze del locale deposito accanto al quale era stato rinvenuto il corpo del D.C. era presente una scala a pioli di altezza pari a m.3,02.

1.3. La Corte di appello, in replica alla censura, qui riproposta, secondo la quale non fosse stata raggiunta la prova che il L. avesse commissionato lavori edili al B., quale datore di lavoro di fatto del L., ha spiegato con motivazione tutt’altro che carente o manifestamente illogica che le testimonianze acquisite, anche sulla base di deposizioni di terzi estranei al contesto familiare della vittima, avevano fornito la prova che il D.C. lavorasse da oltre venti anni alle dipendenze del B., pur in assenza di un formale contratto di lavoro; che l’attrezzatura per lavori edili fosse stata fornita al D.C. dal B.; che il B. aveva contattato il D.C. il giorno prima dell’infortunio proprio perché quest’ultimo si recasse a svolgere lavori edili presso il terreno del L.; che il D.C. era stato ivi lasciato a iniziare il lavoro, privo di dispositivi di protezione, la mattina del 2 settembre mentre il B. e il L. si recavano a prelevare un altro lavoratore.

1.4. L’impianto motivazionale risulta, peraltro, conforme ai criteri interpretativi enunciati, in materia, dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. In linea di principio, occorre, infatti, ricordare che la responsabilità del committente per gli infortuni verificatisi in occasione dei lavori commissionati non è esclusa sulla base del mero rilievo formale per cui il destinatario degli obblighi antinfortunistici è il datore di lavoro. Occorre infatti verificare, in concreto, quale sia stata l’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole e immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 26774401; Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi, Rv. 26497401; Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio, Rv. 25267201; Sez. 4, n. 46515 del 19/05/2004, Fracasso, Rv. 23039801). Circostanze tutte evidenziate dai giudici di merito.

2. A fronte dell’argomento difensivo secondo il quale non sarebbe stato provato che l’infortunio si sia effettivamente verificato in un contesto di lavori edili commissionati dal L., la Corte di Appello ha elencato una consistente serie di prove, sopra riportate, dalle quali ha ritenuto desumibile con certezza che il lavoratore infortunato stesse operando su commissione dell’imputato al momento della caduta. Con tali specifiche argomentazioni la censura si confronta ma solo per proporre una lettura alternativa delle emergenze istruttorie, inammissibile in fase di legittimità.

3. La sentenza impugnata ha, in sostanza, esaminato il punto nodale della questione, ossia che l’infortunio si fosse verificato mentre il D.C. era addetto a svolgere un’attività di lavoro alle dipendenze di fatto di un’impresa del tutto disorganizzata sotto il profilo antinfortunistico, logicamente attribuendo la responsabilità per cooperazione colposa anche al committente, venuto meno agli obblighi di controllo posti a suo carico dalla normativa.

4. Va rimarcato, con specifico riguardo all’asserita manifesta illogicità della motivazione, che tale vizio deve risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 22607401; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 21479401).

A tal riguardo, deve tuttora escludersi la possibilità di “un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi” (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 23978901), e la possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/20:12, Minervini, Rv. 25309901). Sotto tale profilo, la censura non coglie nel segno, proponendo una spiegazione che, per quanto rappresentata come altrettanto plausibile, non vale a destrutturare il ragionamento offerto dal giudice di appello.

5. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili T.A., D.C.C. e D.C.C., liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità alle parti civili T.A., D.C.C. e Di.Ch.Ca., liquidate in Euro quattromilaottocento, oltre accessori di legge se dovuti.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2023.

 

 

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