MALTRATTAMENTO ANIMALI – Differenza giuridica tra chi infligge atroci sofferenze agli animali e chi intende salvarli – Diritti degli animali in senso a-tecnico, a-giuridico – Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici – Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, stipulata a Strasburgo il 13/11/1987 e ratificata in Italia con la legge 4/11/2010 n. 201 – RISARCIMENTO DANNI – Condanna generica al risarcimento del danno – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione di privata dimora – Elementi – Estensibilità ai luoghi di lavoro – Presupposti – Nozione onnicomprensiva di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto – Funzione delimitatrice della tipicità – Concorso di persone nel reato – Contributo causale del concorrente morale – Forme differenziate e atipiche della condotta criminosa – Rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti – GIURISPRUDENZA.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 2 Ottobre 2019
Numero: 40438
Data di udienza: 1 Luglio 2019
Presidente: SABEONE
Estensore: SCORDAMAGLIA
Premassima
MALTRATTAMENTO ANIMALI – Differenza giuridica tra chi infligge atroci sofferenze agli animali e chi intende salvarli – Diritti degli animali in senso a-tecnico, a-giuridico – Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici – Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, stipulata a Strasburgo il 13/11/1987 e ratificata in Italia con la legge 4/11/2010 n. 201 – RISARCIMENTO DANNI – Condanna generica al risarcimento del danno – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione di privata dimora – Elementi – Estensibilità ai luoghi di lavoro – Presupposti – Nozione onnicomprensiva di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto – Funzione delimitatrice della tipicità – Concorso di persone nel reato – Contributo causale del concorrente morale – Forme differenziate e atipiche della condotta criminosa – Rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti – GIURISPRUDENZA.
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 5^, 02/10/2019 (Ud. 01/07/2019), Sentenza n.40438
MALTRATTAMENTO ANIMALI – Differenza giuridica tra chi infligge atroci sofferenze agli animali e chi intende salvarli – Diritti degli animali in senso a-tecnico ed a-giuridico – Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici – Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, stipulata a Strasburgo il 13/11/1987 e ratificata in Italia con la legge 4/11/2010 n. 201 – RISARCIMENTO DANNI – Condanna generica al risarcimento del danno.
La comune espressione “diritti degli animali” va intesa in senso a-tecnico, a-giuridico, con essa intendendosi riferire, non già alla (inconfigurabile) titolarità di diritti soggettivi da parte degli animali, ma al complesso della tutela giuridica che il diritto pubblico appresta in difesa di quegli esseri viventi. Da qui la conclusione secondo la quale, alla stregua del disposto dell’art. 810 cod.civ. che definisce i beni come «le cose che possono formare oggetto di diritti», gli animali, anche quelli d’affezione o da compagnia, devono essere considerati come: «”cose mobili”, beni giuridici che possono costituire “oggetto” di diritti reali (cfr. artt. 812, 816, 820, 923, 924, 925, 926, 994, 1160, 1161, 2052 cod. civ.) ovvero di rapporti negoziali (cfr. artt. 1496, 1641, 1642, 1643, 1644, 1645 cod. civ.)». Approdo interpretativo, questo, che, del resto, non si pone affatto in contrasto con il diritto fondamentale euro-unitario, atteso che l’articolo 13 del Trattato di Lisbona, nello stabilire che: «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti», fa salve le:« disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale>> delle quali prevede il rispetto. Fattispecie: furto in abitazione in concorso pluriaggravato di sessantasette cani di razza Beagle, sottratti da uno stabulario privato (gli animali erano stati distolti dalla loro destinazione a scopi di sperimentazione scientifica) differenza tra chi infligge atroci sofferenze agli animali e chi intende salvarli da tale inesorabile destino.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione di privata dimora – Elementi – Estensibilità ai luoghi di lavoro – Presupposti.
Il diritto ha delineato la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili, elementi: a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. La nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro, tuttavia, l’art. 624-bis cod.pen. non esclude, in presenza di specifiche condizioni (ad es. svolgimento, non occasionale, di atti della vita privata), l’estensibilità ai luoghi di lavoro. (Cass. sentenza a Sezioni Unite n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Nozione onnicomprensiva di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto – Funzione delimitatrice della tipicità.
L’onnicomprensiva nozione di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto, che abbraccia indistintamente sia il vantaggio economico, sia l’utilità, materiale o spirituale, sia il piacere o soddisfazione che l’agente si procuri, direttamente o indirettamente, attraverso l’azione criminosa, tradisce la funzione selettiva e garantistica della tipicità penale, ampliando a dismisura la sfera del furto a discapito di quella del danneggiamento o estendendola a fatti non meritevoli di sanzione penale, pervenendo, in definitiva, ad un‘interpretati abrogans del detto elemento essenziale, degradato ad un profitto in re ipsa, coincidente con il movente dell’azione: movente che sempre esiste, non potendo concepirsi che un uomo agisca se non sospinto da un motivo. Donde, allo scopo di preservare la funzione delimitatrice della tipicità, assegnata al dolo specifico, quale requisito di fattispecie, dalla teoria generale del reato, occorre che nel delitto di furto esso s’identifichi nella finalità del soggetto agente di conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale eventualmente anche per la capacità strumentale del bene di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale, che si profila come fine ulteriore dell’azione. Ne viene che esso può dirsi integrato ove sia accertato che l’autore del fatto materiale abbia agito per conseguire un ampliamento del proprio patrimonio, quale fine diretto e immediato dell’azione, sia pure con l’intento di ottenere per tale via il soddisfacimento di un bisogno ulteriore anche solo di ordine spirituale.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Concorso di persone nel reato – Contributo causale del concorrente morale – Forme differenziate e atipiche della condotta criminosa – Rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti – GIURISPRUDENZA.
In tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa e, quindi, anche nell’agevolazione alla sua preparazione o consumazione, esige, tuttavia, che il giudice di merito motivi adeguatamente sulla prova dell’esistenza dì una ‘reale’ partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e precisi sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Cass. Sezioni Unite n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti).
(annulla con rinvio sentenza del 24/05/2018 – CORTE APPELLO di BRESCIA) Pres. SABEONE, Rel. SCORDAMAGLIA , Ric. Stawicka ed altri
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 5^, 02/10/2019 (Ud. 01/07/2019), Sentenza n.40438SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
STAWICKA BEATA nato a SIERPC ( POLONIA);
CABASSI ALESSANDRA nato a BOLOGNA;
MELE TERESA nato a TARANTO;
BARSOTTI BENEDETTA nato a PISA;
SARTI DONATELLA nato a FIRENZE;
PARACCHINI FEDERICO nato a BOLOGNA;
HAMED VERONICA nato a ANZIO;
GAETANO DANIELE nato a TORINO;
GRANITO ANGELO RAFFAELE nato a LEGNANO;
SERROZZI FABIO nato a EMPOLI;
MARTUCCI LUANA nato a MAGLIE;
avverso la sentenza del 24/05/2018 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale, previa riqualificazione dell’art. 624 bis in art. 624 e 625 n. 2 e 5, chiede l’annullamento con rinvio.
udito il difensore
L’avvocato TROIANO STEFANO insiste per l’accoglimento del ricorso e chiede che venga revocata la richiesta di risarcimento del danno per la sua assistita Mele Teresa.
L’avvocato ARENA VITTORIO e l’avvocato PASQUINUZZI PAOLA insistono per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato ZANFORLINI DAVID si riporta ai motivi di ricorso.
L’avvocato LEBRO GIANLUIGI si associa alle conclusioni del Procuratore Generale e si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 24 maggio 2018, ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città del 9 novembre 2015, che aveva riconosciuto Stawicka Beata, Cabassi Alessandra, Mele Teresa, Barsotti Benedetta, Sarti Donatella, Paracchini Federico, Hamed Veronica, Gaetano Daniele, Torti Debora, Granito Angelo Raffaele, Serrozzi Fabio e Martucci Luana responsabili del delitto di furto in abitazione in concorso pluriaggravato di sessantasette cani di razza Beagle, sottratti allo stabulario di proprietà della Green Hill 2001 Srl. e, concessa la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 cod.pen. – dell’essere stato l’agire dei colpevoli ispirato da motivi di particolare valore morale o sociale – in regime di prevalenza sulle contestate aggravanti, nonché assorbito il danneggiamento della recinzione del sito nel delitto di cui all’art. 624-bis cod.pen., li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia; ha riformato la pronuncia del primo giudice concedendo a Stawicka Beata, Cabassi Alessandra, Mele Teresa, Barsotti Benedetta, Paracchini Federico, Hamed Veronica, Torti Debora, Granito Angelo Raffaele e Martucci Luana il beneficio della non menzione sul certificato del casellario giudiziale.
2. Propongono ricorso per cassazione Stawicka Beata, Cabassi Alessandra, Mele Teresa, Barsotti Benedetta, Sarti Donatella, Paracchini Federico, Hamed Veronica, Gaetano Daniele, Granito Angelo Raffaele, Serrozzi Fabio, Martucci Luana.
La sovrapponibilità delle deduzioni sviluppate dai ricorrenti suggerisce l’opportunità di un accorpamento per questioni. 2.1. Articolano questioni in rito Mele Teresa e Serrozzi Fabio.
2.1.1. Questioni relative alla mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale. Serrozzi (3° motivo) denuncia la mancata acquisizione di una prova decisiva con riferimento all’audizione di consulenti tecnici di parte non ammessi neppure dal Tribunale, i quali avrebbero potuto dimostrare come il danno lamentato dalla parte civile – quanto alla morte di alcuni cuccioli per parvavirosi e di altri per avere ingerito disinfettante – fosse insussistente. )
2.1.2. Questioni relative alla corrispondenza tra la contestazione e la sentenza.
Mele Teresa denuncia la violazione dell’art. 522 cod.proc.pen. dolendosi della immutazione del fatto, contestatole come di rapina impropria e recepito in sentenza nei termini del furto in abitazione, trattandosi di operazione suscettibile di vulnerare la preparazione di una efficace difesa, tanto più che ella non si era giammai introdotta nelle pertinenze dello stabilimento della Green Hill ed era stata fermata sulla pubblica via mentre camminava con un cane in braccio (1°motivo).
2.1.3. Questioni relative alla omessa integrale risposta ai motivi di gravame.
In limine al proprio atto di impugnativa, se ne duole Martucci Luana, la quale denuncia che la Corte territoriale avrebbe:«completamente scordato di valutare i motivi di appello».
2.2. Questioni attinenti all’elemento oggettivo del delitto di furto in abitazione.
I. Granito (2°motivo, violazione di legge), Barsotti, Paracchini, Hamed, Gaetano (1°motivo, violazione di legge) e Sarti (2°motivo, violazione di legge) dubitano che nella vigenza dell’art. 13 del Trattato di Lisbona del 2007, da ritenersi norma paracostituzionale direttamente operativa nell’ordinamento interno, gli animali, in quanto esseri senzienti meritevoli di tutela quanto alla salvaguardia del loro benessere, possano essere equiparati alle cose mobili oggetto del diritto di proprietà e perciò sottoposti al diritto assoluto del proprietario: da qui l’impossibilità che gli stessi costituiscano l’oggetto materiale del delitto di furto, pena la violazione del principio di legalità/tassatività del reato.
II. Cabassi (1°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Mele (4° motivo, violazione di legge), Granito (3°motivo, violazione di legge), Barsotti, Paracchini, Hamed, Gaetano (2°motivo, violazione di legge) e Sarti (3°motivo, violazione di legge) contestano la riconduzione dello stabilimento della Green Hill Srl. e del capannone n. 3 dal quale sono stati sottratti i sessantasette cani Beagle alla nozione di ‘privata dimora’ sol perché i detti luoghi erano protetti da misure di sicurezza ed interdetti all’accesso di estranei, posto che il diritto vivente ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Atti della vita privata – quelli che avrebbero dovuto aver luogo nel capannone n. 3, destinato ad ospitare le cagne gravide e quelle fattrici, il solo attinto dall’ingresso abusivo degli imputati – peraltro, neppure identificati nella loro specifica caratterizzazione, né descritti come esplicati in maniera non occasionale.
2.3. Questioni attinenti all’elemento soggettivo.
Stawicka (2° motivo, violazione di legge), Cabassi (2°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Paracchini, Hamed, Gaetano, Barsotti (5°, 6°, 7°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Granito (6°, 7°, 8°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Sarti (6°, 7°, 8°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Serrozzi (2°e 4° motivo, violazione di legge) e Martucci (1°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione) deducono l’insussistenza del dolo specifico richiesto ai fini dell’integrazione del delitto di furto.
E ciò perché l’impossessamento dei cani da parte degli imputati non sarebbe stato animato dal fine di conseguire dagli animali stessi una qualsivoglia utilità, neppure di ordine morale, questa non potendosi identificare in quella, indicata dal Tribunale (pag. 32 sentenza di primo grado), di vedere realizzato:<< l’interesse alla concretizzazione della manifestazione e all’affermazione dei propri principi».
Siffatta interpretazione finirebbe, infatti, per dilatare a dismisura il dolo specifico di profitto del delitto di furto, snaturandone la funzione selettiva nell’economia della fattispecie e determinandone la dissoluzione o, quantomeno, la confusione con il movente dell’azione; di modo che il delitto di furto verrebbe a coincidere, in concreto, con una fattispecie a dolo generico.
Taluni dei menzionati ricorrenti evidenziano, in sintonia con parte della dottrina, che il profitto del delitto di furto, ancorché non espressamente qualificato come ingiusto, deve connotarsi in termini di antigiuridicità; caratteristica, questa, certamente non ravvisabile nel caso al vaglio, avendo gli imputati agito – come riconosciuto dai giudici di merito – al solo scopo di «salvare i cani da un luogo di prigionia», tale essendosi accertato essere, sulla base della sentenza Sezione 3, n. 10163 del 6 marzo 2018, lo stabulario della Green Hill Srl., i cui responsabili erano stati tutti condannati per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 544-bis e ter cod.pen., non essendo stata ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 19-ter disp. att. cod.pen. secondo cui:«Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente».
Rilevano, peraltro, di non avere avuto contezza di avere commesso il fatto all’interno di un luogo da considerarsi di privata dimora, trattandosi di nozione a forte caratterizzazione valutativa come tale sottratta alla sfera di cognizione laica dei destinatari del precetto.
2.4. Questioni relative alla ricorrenza di scriminanti, anche eventualmente putative.
Stawicka (3°motivo, violazione di legge), Paracchini, Hamed, Gaetano, Barsotti (3°motivo, violazione di legge), Granito (4°motivo, violazione di legge), Sarti (4°nnotivo, violazione di legge), Serrozzi (5°motivo, violazione di legge), Martucci (2°motivo, violazione di legge) lamentano il mancato riconoscimento in loro favore della scriminante della legittima difesa, in relazione al pericolo di danno attuale e concreto cui si trovavano esposti, al contempo, il loro diritto – espressione di quello all’identità personale dotato di fondamento costituzionale da individuare negli art. 2 e 32 della Costituzione e di quello alla libertà di coscienza, garantito dalle carte internazionali di tutela dei diritti fondamentali – a non assistere alla perdurante sofferenza animale e il diritto degli animali stessi – quali autonomi centri di interesse – a godere del benessere connaturato alle loro caratteristiche etologiche.
Diritti, quelli indicati, da ritenersi prevalenti nel bilanciamento con quelli del proprietario, tanto più nel caso di specie in cui i rappresentanti della Green Hill Srl. erano stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per avere sottoposto gli animali a trattamenti del tutto incompatibili con i loro ‘pattem comportamentali’, perciò, non consentiti dall’ordinamento neppure allo scopo di sperimentazione scientifica (d.lgs. n. 116 del 1992, Attuazione della direttiva n. 86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici).
La detta scriminante era, comunque, da riconoscere quantomeno nella forma putativa, avendo gli imputati ritenuto, sulla base del comportamento tenuto dalle stesse Forze dell’Ordine che avevano familiarizzato con i manifestanti, che la condotta tenuta fosse consentita dall’ordinamento, che non può, al tempo stesso, punire chi infligge atroci sofferenze agli animali e chi intende salvarli da tale inesorabile destino, dal quale non si sarebbero potuti sottrarre da soli. Cabassí (4°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione) censura la mancata applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto, siccome scaturente dall’art. 1 I. n. 413 del 1993, che sancisce il diritto di ogni cittadino all’obiezione di coscienza, che si esplica nell’opporsi alla violenza su tutti gli esseri viventi, in relazione ad atti connessi con la sperimentazione animale.
2.5. Questioni relative alla responsabilità concorsuale. Stawicka (1°motivo), Cabassi (5°motivo), Mele (3°motivo sotto il profilo del vizio di motivazione), Sarti (1°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Granito (1°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), con l’evidenziare che quanto accertato come da loro commesso non fosse riconducibile alla condotta tipica del delitto di furto – non essendosi, loro stessi, resi protagonisti di sottrazioni di esemplari di cane – contestano che la partecipazione alla manifestazione di protesta, l’introduzione all’interno del perimetro dello stabilimento della Green Hill, l’opposizione alle azioni di blocco delle Forze dell’Ordine intervenute nel luogo, la presa in carico di cani da altri asportati possano costituire condotte atipiche rilevanti in termini di responsabilità concorsuale nel delitto di furto contestato, vuoi perché non vi era prova della previa concertazione tra i partecipanti alla manifestazione in ordine alle modalità (violente e simultanee) dell’assalto allo stabilimento della Green Hill – infatti esclusa dal Tribunale (pag. 27 della sentenza di primo grado) -, vuoi perché, secondo il diritto vivente, sul giudice di merito incombe l’obbligo di motivazione sia in relazione al tipo di contributo concorsuale posto in essere da ciascuno dei concorrenti, sia in relazione alla specifica efficacia eziologica rispetto alla realizzazione dell’azione collettiva e alla consapevolezza di ognuno dei compartecipi di quantomeno agevolare il perseguimento dell’obiettivo avuto di mira dai concorrenti.
Dimostrazione che, nella sentenza impugnata, si sarebbe risolta in un’assertiva e indistinta affermazione della responsabilità concorsuale degli imputati, per il solo fatto di avere rafforzato, con la loro presenza o con il contributo offerto alla confusione generale, alla sottrazione dei cani, invero materialmente operata solo da alcuni.
2.6. Questioni relative alla riconducibilità dei fatti ascritti agli imputati ad altre fattispecie di reato. I. Stawicka (4° motivo), Serrozzi (6°motivo), Martucci (3°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), Paracchini, Hamed, Gaetano, Barsotti (4° motivo, violazione di legge e vizio di motivazione da travisamento del fatto), Sarti (5°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione da travisamento del fatto), Granito (5°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione da travisamento del fatto) contestano la mancata sussunzione del fatto accertato nei loro confronti nella norma di cui all’art. 392 cod.pen., posto che il delitto di esercizio arbitrario delle private ragioni con violenza sulle cose sarebbe ravvisabile in virtù dell’essersi essi sostituiti alla giustizia pubblica, che tardava ad essere esercitata, per far valere il proprio diritto a non essere ulteriormente turbati dai maltrattamenti inflitti ai cani allevati nello stabulario di Montichiari, rendendo la libertà agli animali in assenza di un profitto tantomeno ingiusto.
II. Cabassi si duole del diniego di riqualificazione del fatto contestatole nei termini del delitto di favoreggiamento reale di cui all’art. 379 cod.pen., avendo ella agito dopo che altri si erano impossessati dei cani, prendendone in carico uno fuori dallo stabilimento allo scopo di evitare che il profitto del reato di furto commesso dai primi venisse disperso (3°motivo).
III. Mele dubita che il fatto ascrittole – l’avere ricevuto in consegna fuori dallo stabilimento da altre ragazze un cane beagle – possa essere sussunto nello schema del concorso nel delitto di furto in abitazione, dovendosi, piuttosto, qualificare nei termini del delitto di ricettazione (2°motivo, violazione di legge).
IV. Martucci censura la mancata derubricazione del fatto nel delitto di turbata libertà dell’industria e del commercio (art. 513 cod.pen.), i relativi requisiti essendo da riconoscere nella circostanza che l’asportazione dei cani aveva turbato la regolare gestione aziendale della Green Hill Sri., poiché gli animali erano stati distolti dalla loro destinazione a scopi di sperimentazione scientifica.
2.7. Questione dell’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La ricorrente Cabassi (7°motivo) censura il mancato riconoscimento dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod.pen., ricorrendone i presupposti.
2.8. Questioni relative al trattamento sanzionatorio.
Serrozzi (1°motivo) contesta il riconoscimento a suo carico dell’aggravante della violenza sulla cosa, non essendovi prova che egli avesse commesso i contestati danneggiamenti della recinzione.
Cabassi (6°motivo, vizio di motivazione) e Mele (5°motivo, violazione di legge) denunciano l’apparenza della motivazione posta a corredo del diniego delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che i presupposti per la loro concessione sarebbero del tutto distinti da quelli che giustificano il riconoscimento dei motivi di particolare valore morale o sociale.
2.9. Questioni relative alle statuizioni civili.
Mele si duole della condanna generica al risarcimento del danno nei confronti della Green Hill Sri., non essendovi prova di alcun suo gesto di danneggiamento nei confronti delle strutture dello stabilimento della proprietà della parte civile costituita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza merita di essere cassata per le assorbenti ragioni di seguito indicate.
1. Va, in limine, rilevato come ricorra la violazione dell’art. 125, comma 3, cod.proc.pen., denunciata da Martucci Luana.
Infatti, sebbene, nella sentenza impugnata, si sia riportato che, in esito al giudizio di appello, l’Avvocato Ganglio, nell’interesse della Martucci, aveva rassegnato le conclusioni riportandosi ai motivi di appello (pag. 7) e si sia statuito, in ordine alla posizione della detta impugnante, confermandosi il verdetto di responsabilità pronunciato dal primo giudice ed, invece, concedendosi all’imputata il beneficio della non menzione, nulla è dato sapere né sulle questioni dedotte con i motivi di gravame, né sulle ragioni poste a sostegno della decisione adottata, emergendo l’assenza grafica della motivazione.
Tanto determina l’annullamento della sentenza impugnata affinché il giudice del rinvio colmi il rilevato deficit motivazionale.
2. Infondati sono i rilievi che, accreditando la tesi dell’esclusione dei cani dalla categoria dei beni mobili, intendono sostenere l’impossibilità che i detti animali costituiscano l’oggetto materiale del delitto di furto.
A parte la constatazione di ordine generale che l’art. 625, comma 1, n. 8 cod.pen. annovera espressamente gli animali tra le cose mobili altrui sulle quali può essere commesso il fatto di cui all’art. 624 cod.pen., con un incremento di pena ove gli stessi siano: «raccolti in gregge o in mandria, ovvero su bovini o equini, anche non raccolti in mandria», derivante dal danno economico cagionato al proprietario che viva dei proventi dell’allevamento del bestiame (in quanto destinato alla produzione di latte, lana, pellame ovvero ad essere utilizzato come strumento da soma o da traino), vanno qui richiamate e fatte proprie le argomentazioni sviluppate dalla giurisprudenza civile di questa Corte in ordine alla inclusione anche degli «animali d’affezione o da compagnia» tra le cose mobili suscettibili di divenire oggetto di diritti soggettivi.
Nitidamente il Collegio di vertice, nella sentenza Sez. 2 Civ., n. 22728 del 25/09/2018, Rv. 650374, ha osservato che: «Nel campo dell’esperienza giuridica vanno considerati come “cose” anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell’uomo: non solo i vegetali, ma anche gli animali. L’uomo ha sempre manifestato verso gli animali, in quanto esseri senzienti, un senso di pietà e di protezione, quando non anche di affetto. Da qui l’esistenza, in tutte le epoche storiche, di precetti giuridici, essenzialmente di natura pubblicistica, posti a salvaguardia e a tutela degli animali (basti pensare, subito dopo l’unificazione dell’Italia, al codice Zanardelli, che puniva gli atti crudeli, le sevizie e i maltrattamenti verso gli animali; fino alla più recente legge 20 luglio 2004, n. 189, che ha inserito nel libro II del vigente codice penale il nuovo “Titolo IX-bis”, denominato “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”, configurando, a tutela degli animali, una apposita serie di delitti in luogo delle precedenti contravvenzioni).
Non tutti gli animali, però, assumono per l’uomo lo stesso significato ed hanno lo stesso rilievo. Com’è noto, a parte gli animali selvatici (i quali ricevono protezione attraverso la legislazione che regolamenta la caccia e individua le specie “protette”), gli animali addomesticati dall’uomo sono tradizionalmente distinti in animali “da reddito”, utilizzati per il lavoro o per la produzione (carni, latte, uova, lana, pelli, etc.), e animali “da compagnia” (o “d’affezione”), per tali intendendosi «ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall’uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari» (art. 1 d.P.C.m. 28/02/2003). Ed il crescente ruolo che negli ultimi decenni hanno assunto gli animali da compagnia nella società contemporanea ha indotto uno speciale rafforzamento della loro tutela giuridica; rafforzamento attuato, principalmente, con la legge 14 agosto 1991 n. 281 (c.d. “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”) e con la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, stipulata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata in Italia con la legge 4 novembre 2010 n. 201.
Va tuttavia precisato che la disciplina pubblicistica che appresta tutela agli animali non rende comunque questi ultimi titolari di diritti. L’animale, per quanto sia un essere senziente, non può essere soggetto di diritti per la semplice ragione che è privo della c.d. “capacità giuridica” (che si definisce, appunto, come la capacità di essere soggetti di diritti e di obblighi); capacità che l’ordinamento riserva alle persone fisiche e a quelle giuridiche.
L’animale, perciò, è solo il beneficiario della tutela apprestata dal diritto e non il titolare di un diritto alla tutela giuridica. In questo senso, la comune espressione “diritti degli animali” va intesa in senso a-tecnico, a-giuridico, con essa intendendosi riferire, non già alla (inconfigurabile) titolarità di diritti soggettivi da parte degli animali, ma al complesso della tutela giuridica che il diritto pubblico appresta in difesa di quegli esseri viventi».
Da qui la conclusione secondo la quale, alla stregua del disposto dell’art. 810 cod.civ. che definisce i beni come «le cose che possono formare oggetto di diritti», gli animali, anche quelli d’affezione o da compagnia, devono essere considerati come: «”cose mobili”, beni giuridici che possono costituire “oggetto” di diritti reali (cfr. artt. 812, 816, 820, 923, 924, 925, 926, 994, 1160, 1161, 2052 cod. civ.) ovvero di rapporti negoziali (cfr. artt. 1496, 1641, 1642, 1643, 1644, 1645 cod. civ.)». Approdo interpretativo, questo, che, del resto, non si pone affatto in contrasto con il diritto fondamentale euro-unitario, atteso che l’articolo 13 del Trattato di Lisbona, nello stabilire che: «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti», fa salve le:« disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale>> delle quali prevede il rispetto.
3. Affermata l’astratta configurabilità del delitto di furto avente ad oggetto cani, va, tuttavia, riconosciuto che non ricorrono, nella fattispecie concreta oggetto di scrutinio, gli estremi del contestato reato di cui all’art. 624-bis cod . pen..
La sentenza impugnata, con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, ha desunto la destinazione abitativa dello stabulario della Green Hill Sri. – all’interno del quale, in particolare, erano ospitate le cagne gravide e i cuccioli – dall’essere il detto luogo protetto da misure di sicurezza ed interdetto all’accesso di estranei, ma si tratta di conclusione che diverge dagli approdi cui è pervenuto il diritto vivente; il quale, con la sentenza a Sezioni Unite n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076, ha delineato la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili, elementi: a) l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.
Nel citato autorevole arresto si è, in particolare, chiarito che la disciplina dettata dall’art. 624-bis cod.pen. è estensibile ai luoghi di lavoro – non altrimenti potendo essere considerati i diversi ambienti collocati nello stabilimento aziendale dell’impresa collettiva Green Hill, espletante l’attività di allevamento di cani -: «Soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione», la persona svolgendo in essi, o in parte di essi:« atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento)», tanto trovando conferma: «nel terzo comma dell’art. 52 cod.pen. (aggiunto dall’art. 1 della legge 13 febbraio 2006, n. 59), nel quale si afferma che la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale», posto che: «Se la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere il terzo comma nell’art. 52 per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Evidentemente tale precisazione è stata ritenuta necessaria perché, secondo il legislatore, la nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro», esigendosi che essi, sia pure non continuativamente ma nel modo ‘esclusivo’ precisato, vengano adoperati, per un titolo non occasionale, per lo svolgimento di attività private.
Ora, nel caso di specie, l’ordito motivazionale censito non lascia trapelare alcun indizio suscettibile di rendere ragione né della destinazione dei capannoni nei quali i cani erano allevati a fini abitativi, né del loro concreto utilizzo per siffatte finalità.
Donde, dovendosi escludere sia la prima che il secondo, il delitto contestato agli imputati va riqualificato ai sensi degli artt. 110, 112 n.4, 624, 625 n. 2 e 5 cod.pen..
4. Colgono nel segno le deduzioni sviluppate dai ricorrenti in punto di ravvisabilità, nell’ipotesi al vaglio, del dolo specifico richiesto per il venire in essere del delitto di furto.
4.1. Questa Quinta Sezione, con la sentenza n. 30073 del 23/01/2018, Lettina, ha affermato che il dolo specifico del reato di cui all’art. 624 cod.pen., che si identifica nel fine di profitto che deve perseguire il soggetto agente, coincide, di regola, nella possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell’utilità economico/patrimoniale e, quindi, consiste in un’attività ulteriore rispetto all’impossessamento.
La proposta interpretazione restrittiva dell’indicato elemento tipico sarebbe la sola compatibile con il dato, letterale e sistematico, dell’inserimento del furto tra i delitti contro il patrimonio, quale bene/interesse tutelato dalla norma evocata; ciò tanto più che un’eccessiva dilatazione della nozione di profitto, estesa fino a ricomprendere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, finirebbe per vanificare la stessa funzione del dolo specifico, che è, al contempo, quella di limitare i fatti punibili a titolo di furto e di individuare una linea di demarcazione tra il furto ed altre figure di reato non caratterizzate dallo scopo di profitto da parte dell’agente.
4.2. Vale, al riguardo, segnalare, per dovere di completezza, che l’enunciato principio di diritto porta alle estreme conseguenze le conclusioni cui è pervenuto il minoritario orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il dolo specifico del reato di furto è integrato dalla finalità di percepire dal bene asportato un’utilità ‘diretta, non mediata’, anche se non di carattere patrimoniale od economico (Sez. 4, n. 47997 del 18/09/2009, Nutu, Rv. 245742): come, ad esempio, nel caso del furto di un quadro di autore, sottratto non per il suo valore, ma per potere beneficiare della sua quotidiana vista.
Il divisamento contrario sostiene, invece, che il concetto di profitto, oggetto del dolo specifico del furto, dev’essere inteso in senso ampio, così da comprendere non solo il vantaggio di natura puramente economico ritraibile dall’impossessamento della cosa mobile altrui, ma anche quello di natura non patrimoniale, cui in ipotesi miri l’azione del soggetto. In quest’ottica si è, quindi, affermato che, in tema di furto, il profitto può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, e, dunque, può identificarsi nel soddisfacimento di un bisogno psichico; donde si è ritenuto integrato il delitto di cui agli artt. 624 e 625 cod.pen. nella realizzazione del fatto materiale per perseguire una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta (Sez. 5, n. 11225 del 16/01/2019, Dolce, Rv. 275906; Sez. 5, n. 19882 del 16/02/2012, Aglietta, Rv. 252679) ovvero per impedire il compimento di altrui attività non gradite (come nel caso dell’impossessamento da parte dell’imputato di un apparato di videoregistrazione installato dalla polizia giudiziaria al fine di danneggiarlo per impedirne le relative attività: Sez. 4, n. 30 del 18/09/2012 – dep. 02/01/2013, Caleca, Rv. 254372; ovvero della sottrazione di un’agendina telefonica dalle mani della vittima per impedirle di fare una telefonata: Sez. 2, n. 40631 del 09/10/2012, Sesta e altro, Rv. 253593).
4.3. Il Collegio della presente decisione ritiene di dover dare seguito all’orientamento interpretativo resosi latore della concezione restrittiva del dolo specifico richiesto per l’integrazione del delitto di furto.
Tanto facendo proprie le osservazioni formulate sul tema dalla più autorevole dottrina, che ha fatto notare come il legislatore abbia costruito la fattispecie di furto non solo sulla base oggettivistica dell’offesa patrimoniale arrecata alla vittima, ma anche su quella, ad impronta soggettivistica, del profitto dell’agente: con ciò avendo voluto cristallizzare la ratio dell’incriminazione non solo nella necessità di evitare l’impoverimento altrui, ma anche nell’esigenza di scoraggiare l’arricchimento, o, comunque, l’avvantaggiarsi, dell’agente derivante dalla ruberia.
Invero, l’onnicomprensiva nozione di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto, che abbraccia indistintamente sia il vantaggio economico, sia l’utilità, materiale o spirituale, sia il piacere o soddisfazione che l’agente si procuri, direttamente o indirettamente, attraverso l’azione criminosa, tradisce la funzione selettiva e garantistica della tipicità penale, ampliando a dismisura la sfera del furto a discapito di quella del danneggiamento o estendendola a fatti non meritevoli di sanzione penale, pervenendo, in definitiva, ad un‘interpretati abrogans del detto elemento essenziale, degradato ad un profitto in re ipsa, coincidente con il movente dell’azione: movente che sempre esiste, non potendo concepirsi che un uomo agisca se non sospinto da un motivo.
Donde, allo scopo di preservare la funzione delimitatrice della tipicità, assegnata al dolo specifico, quale requisito di fattispecie, dalla teoria generale del reato, occorre che nel delitto di furto esso s’identifichi nella finalità del soggetto agente di conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale eventualmente anche per la capacità strumentale del bene di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale, che si profila come fine ulteriore dell’azione. Ne viene che esso può dirsi integrato ove sia accertato che l’autore del fatto materiale abbia agito per conseguire un ampliamento del proprio patrimonio, quale fine diretto e immediato dell’azione, sia pure con l’intento di ottenere per tale via il soddisfacimento di un bisogno ulteriore anche solo di ordine spirituale.
4.4. Se, dunque, l’utilità perseguita dall’autore del furto deve essere connessa alla cosa oggetto dell’impossessamento e non all’azione in sé, non è dato comprendere, dall’insieme dei passaggi motivazionale della sentenza impugnata, quale sarebbe stata quella, anche solo morale che gli imputati si sarebbero prefigurati di conseguire dall’impossessamento dei cani sottratti alla Green Hill Sri.: non lumeggiato il fine quanto meno affettivo dell’impossessamento, dettato dall’intento degli imputati di liberare i cani e di tenerli con sé come animali dì affezione, è da escludere infatti, per le ragioni indicate, che il dolo specifico, che ne avrebbe animato l’agire, possa identificarsi, tout court, nel buon esito dell’azione dimostrativa.
Tanto comporta l’annullamento della sentenza impugnata perché il giudice del rinvio provveda all’accertamento del suddetto requisito di fattispecie in conformità alle direttrici ermeneutiche tracciate.
5. Meritano accoglimento, infine, i motivi, articolati nei ricorsi di Stawicka (1°motivo), Cabassi (5°motivo), Mele (3°motivo sotto il profilo del vizio di motivazione), Sarti (1°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione) e Granito (1°motivo, violazione di legge e vizio di motivazione), che denunciano l’apoditticità e l’assertività della motivazione in punto di loro concorso nel delitto di furto, del quale non avevano realizzato l’azione tipica.
La riscontrata esistenza di un contrasto insanabile tra la sentenza di primo grado, nella quale, alla pagina 27, si sostiene che l’assalto alla Green Hill non costituì il risultato di un’azione premeditata – come dimostrato dalla circostanza che non venne rinvenuta dagli operanti:«la tipica dotazione dello scassinatore o, comunque, di chi intende introdursi invito domino nell’altrui proprietà privata», «non albergando, sin dall’origine», in coloro che convennero in Montichiari per inscenare la manifestazione di protesta nei confronti dei titolari dell’allevamento «la volontà di entrare nella struttura e di sottrarre i cani ivi ospitati», e la sentenza di appello, che, senza alcuna presa di distanza critica rispetto ai riportati enunciati, alla pagina 14, assume che:<<L’assalto all’allevamento Green Hill.. fu un evento niente affatto improvvisato. Si trattò al contrario di un’azione programmata e ben organizzata…E non solo: l’accesso con violenza all’interno del sito era un’azione ponderata e pianificata», di modo che la «comune volontà di sottrarre gli animali …consente di configurare la responsabilità di ciascuno degli imputati senza operare un netto distinguo tra chi abbia materialmente preso i cani dai box e chi abbia sostenuto tale azione mediante la presenza all’interno dell’allevamento», impone un rinnovato accertamento sul punto, allo scopo di individuare elementi univocamente denotanti la condivisione da parte dei ricorrenti della comune risoluzione criminosa ovvero la conoscenza del proposito furtivo coltivato da alcuni dei partecipanti alla manifestazione di protesta e la loro volontà di agevolarne operato nella sottrazione e nell’impossessamento dei cani.
Tanto perché il diritto vivente, già con la sentenza delle Sezioni Unite n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti e altro, Rv. 226101, pur avendo riconosciuto che, in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa e, quindi, anche nell’agevolazione alla sua preparazione o consumazione, esige, tuttavia, che il giudice di merito motivi adeguatamente sulla prova dell’esistenza dì una ‘reale’ partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e precisi sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà.
6. Riqualificato il fatto delittuoso ai sensi degli artt. 110, 112 n.4, 624, 625 n. 2 e 5 cod.pen., s’impone l’annullamento della sentenza impugnata affinché altra sezione della Corte di appello di Brescia provveda a emendare o a colmare i vizi e le lacune motivazionali passati in rassegna, conformandosi alle direttive impartite.
Le ulteriori questioni sollevate con i motivi di ricorso rimangono assorbite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso il 1/07/2019.