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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia, Pubblica amministrazione Numero: 6065 | Data di udienza: 27 Ottobre 2015

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Elemento soggettivo – Natura di dolo specifico in reato di evento – Art. 323 c.p. – Reato di falsità ideologica – Presupposti per la configurabilità – Dolo generico – Sufficiente – Elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale – DIRITTO URBANISTICO – Fattispecie: opere edilizie “ritenute” abusive.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Febbraio 2016
Numero: 6065
Data di udienza: 27 Ottobre 2015
Presidente: MARASCA
Estensore: GUARDIANO


Premassima

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Elemento soggettivo – Natura di dolo specifico in reato di evento – Art. 323 c.p. – Reato di falsità ideologica – Presupposti per la configurabilità – Dolo generico – Sufficiente – Elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale – DIRITTO URBANISTICO – Fattispecie: opere edilizie “ritenute” abusive.



Massima

 


CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 5^ 12/02/2016 (Ud. 27/10/2015) Sentenza n.6065



PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di abuso d’ufficio – Elemento soggettivo – Natura di dolo specifico in reato di evento – Art. 323 c.p. – DIRITTO URBANISTICO – Fattispecie: opere edilizie “ritenute” abusive.
 
In tema di abuso d’ufficio, l’elemento soggettivo assume, nella vigente formulazione dell’art. 323 c.p., come introdotta con la L. 16 luglio 1997 n. 234, una importanza centrale e restringe notevolmente il campo operativo della norma incriminatrice a vantaggio di forme alternative di tutela avverso l’attività illegittima della p.a. (ricorsi amministrativi o giurisdizionali). In questa prospettiva, essendo stato trasformato l’abuso d’ufficio da reato di pura condotta a dolo specifico in reato di evento, il dolo ora richiesto assume una connotazione articolata e complessa: è “generico”, con riferimento alla condotta (coscienza e volontà di violare norme di legge o di regolamento ovvero di non osservare l’obbligo di astensione), mentre assume la forma del “dolo intenzionale” rispetto all’evento (vantaggio patrimoniale o danno) che completa la fattispecie. Si richiede, quindi, che il pubblico ufficiale abbia perseguito proprio, come obiettivo primario del suo operato, l’evento tipico e deve essere l’accusa a dimostrare ciò, non essendo sufficiente il dolo diretto (rappresentazione dell’evento come verificabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza) e meno che mai quello eventuale (caratterizzato dall’accettazione della non elevata probabilità del verificarsi dell’evento). Ciò con la precisazione che, ovviamente, “intenzionalità” non significa esclusività del fine che deve animare l’agente, ma preminenza data all’evento tipico rispetto al pur concorrente interesse pubblico, che finisce con l’assumere un rilievo secondario e, per così dire, “derivato” o “accessorio” (cfr. Cass., sez. VI, 27/06/2007, n. 35814; Cass., sez. VI, 28/01/2008, n. 7973). 
 
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di falsità ideologica – Presupposti per la configurabilità – Dolo generico – Sufficiente – Elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale.
 
Ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico (art. 479 c.p.) è sufficiente il dolo generico che si concreta nella volontarietà della dichiarazione falsa, con la consapevolezza del suo carattere non veritiero, nella rappresentazione e nella volontà, in altri termini, della “immutatio veri” (cfr. Cass., sez. V, 03/11/2010, n. 6182; Cass., sez. V, 24/01/2005, n.6820). In sintesi, per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale è pur sempre necessario il dolo generico, che deve consistere nella cosciente e volontaria determinazione delle condotte nella consapevolezza della loro natura elusiva delle investigazioni e delle ricerche dell’autorità e della finalizzazione delle stesse a favorire colui che sia sottoposto a tali investigazioni o ricerche (Cass., sez. VI, 24/05/2011, n. 24035).
 

(Annulla senza rinvio sentenza n. 214/2013 CORTE APPELLO di TRENTO, del 06/06/2014) Pres. MARASCA, Rel. GUARDIANO, Ric. FONTANA ed altro

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 5^ 12/02/2016 (Ud. 27/10/2015) Sentenza n.6065

SENTENZA

 

 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 5^ 12/02/2016 (Ud. 27/10/2015) Sentenza n.6065
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da:
 
FONTANA GINO N. IL 04/04/ 1940
MAZZEL ARIANNA N. IL 13/02/1977
avverso la sentenza n. 214/2013 CORTE APPELLO di TRENTO, del 06/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorsi
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/10/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO 
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pascquale Fimiani che ha concluso per il rigetto dei ricorsi
Udito. per la parte civile, l’Avv. //
Uditi difensor Avv. Andrea Lorenzi, del foro di Trento, che a concluso per l’accoglimento dei ricorsi
 
FATTO E DIRITTO
 
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Trento, in riforma della sentenza del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Trento del 7.3.2013, che li aveva assolti, condannava Fontana Gino e Mazzel Arianna per i reati di abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e favoreggiamento personale ad essi rispettivamente ascritti.
 
2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con un unico atto di impugnazione, a firma del difensore di fiducia, avv. Andrea Lorenzi, del Foro di Trento, lamentando: 
1) quanto alla posizione del Fontana, sindaco di Viga di Fassa, una evidente violazione di legge in quanto la Corte territoriale, nel condannare il suddetto Fontana per il reato di cui all’art. 323, c.p., sul presupposto che egli, in qualità di sindaco sarebbe rimasto inerte a fronte ad ipotizzati abusi edilizi, senza ordinare la demolizione delle opere abusive (due rampe insistenti nell’area di un cantiere aperto per la realizzazione dei lavori di ampliamento di un albergo), non ha tenuto conto della circostanza che si trattava di opere precarie, ai sensi dell’art. 97 della legge provinciale urbanistica, che, dunque, potevano essere mantenute sino a quando fosse perdurato il cantiere (come ritenuto dalla stessa corte di appello che proprio sulla base della natura temporanea di tali opere ha assolto i responsabili dell’asserito abuso dal reato di cui all’art. 44 del t.u. dell’edilizia con diversa sentenza, la n. 36 del 2013), senza tacere, peraltro, che il sindaco si era attivato, dopo l’acquisizione del verbale di sopralluogo del 28.5.2009, sia inviando a tutti soggetti interessati la comunicazione dell’avvio del procedimento repressivo, con l’invito a formulare eventuali deduzioni, sia, dopo che tali osservazioni erano state presentate, imponendo la prestazione di una cauzione a garanzia del fatto che se le rampe non fossero state definitivamente sistemate il comune sarebbe stato in grado anche economicamente di eseguirne d’ufficio lo smantellamento e di conferirle in discarica; 
2) quanto alla posizione della Mazzel, dirigente dell’ufficio tecnico del medesimo comune, che il reato di falso non appare configurabile perché, nel dichiarare nella comunicazione del 6.5.2010, indirizzata alla polizia giudiziaria, redatta all’esito del sopralluogo effettuato allo scopo di verificare se era stata eseguita l’ingiunzione di demolizione delle due rampe, infine adottata dal sindaco, che la rampa a valle era stata demolita ed il materiale derivante dallo smantellamento depositato in loco, mentre la rampa a monte era stata mantenuta ricadendo in zona alberghiera, da un lato aveva commesso un semplice errore, in quanto parte della rampa in questione ricadeva anche in zona a bosco ponendosi in contrasto con lo strumento urbanistico, come riconosciuto dalla stessa imputata in sede di interrogatorio da parte della polizia giudiziaria delegata, nonché nella nota indirizzata alla procura della Repubblica l’8.10.2010, quindi prima che iniziasse il processo penale a carico degli autori del contestato abuso edilizio, ed avendo la stessa Mazzel già in data 1.6.2009 regolarmente inviato, a differenza di quanto affermato dalla corte territoriale, alla Procura della Repubblica di Trento una comunicazione di notizia di reato relativa agli ipotizzati abusi edilizi; dall’altro che, come si evince dalla documentazione in atti, effettivamente la rampa a valle era stata demolita, residuando semplicemente nel cantiere ancora aperto il materiale risultante dallo smantellamento, destinato ad essere smaltito prima dell’ultimazione dei lavori.
Cade, dunque, ad avviso del difensore della ricorrente, anche l’ipotesi di favoreggiamento personale, non solo perché la Mazzel ha tempestivamente segnalato i supposti abusi edilizi e l’errore in cui era caduta, ma anche perché è intervenuta sentenza di assoluzione per il reato presupposto; 
3) violazione di legge sulla entità della pena.
 
3. I ricorsi presentati nell’interesse del Fontana e della Mazzel vanno accolti, non essendo configurabile le ipotesi di reato ad essi contestate, in quanto difetta la prova certa in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei delitti in questione.
 
4. Con particolare riferimento alla posizione del Fontana e, quindi, al delitto di cui all’art. 323, c.p., va rilevato che appare dominante nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di abuso d’ufficio, l’elemento soggettivo assume, nella vigente formulazione dell’art. 323 c.p., come introdotta con la L. 16 luglio 1997 n. 234, una importanza centrale e restringe notevolmente il campo operativo della norma incriminatrice a vantaggio di forme alternative di tutela avverso l’attività illegittima della p.a. (ricorsi amministrativi o giurisdizionali).
 
In questa prospettiva, essendo stato trasformato l’abuso d’ufficio da reato di pura condotta a dolo specifico in reato di evento, il dolo ora richiesto assume una connotazione articolata e complessa: è “generico”, con riferimento alla condotta (coscienza e volontà di violare norme di legge o di regolamento ovvero di non osservare l’obbligo di astensione), mentre assume la forma del “dolo intenzionale” rispetto all’evento (vantaggio patrimoniale o danno) che completa la fattispecie. Si richiede, quindi, che il pubblico ufficiale abbia perseguito proprio, come obiettivo primario del suo operato, l’evento tipico e deve essere l’accusa a dimostrare ciò, non essendo sufficiente il dolo diretto (rappresentazione dell’evento come verificabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza) e meno che mai quello eventuale (caratterizzato dall’accettazione della non elevata probabilità del verificarsi dell’evento). Ciò con la precisazione che, ovviamente, “intenzionalità” non significa esclusività del fine che deve animare l’agente, ma preminenza data all’evento tipico rispetto al pur concorrente interesse pubblico, che finisce con l’assumere un rilievo secondario e, per così dire, “derivato” o “accessorio” (cfr. Cass., sez. VI, 27/06/2007, n. 35814; Cass., sez. VI, 28/01/2008, n. 7973).
 
Ne consegue, tra l’altro, che l’abuso d’ufficio non si configura, laddove il pubblico ufficiale si prefigga davvero di realizzare un interesse pubblico pur violando la legge e determinando il vantaggio al privato.
 
Orbene la corte territoriale non ha fatto buon governo di tali principi nel condannare il Fontana, non essendosi raggiunta la prova certa che, in relazione alla condotta contestata (consistente, giova ricordarlo, nell’omessa adozione dell’ordinanza di ingiunzione di riduzione in pristino e della conseguente archiviazione del relativo procedimento sanzionatorio), il sindaco abbia avuto sia la coscienza e volontà di violare le disposizioni normative in materia di abusi edilizi, di cui agli artt. 129 e ss, legge della provincia di Trento n. 1 del 2008, sia, come obiettivo primario del suo agire, il vantaggio dei privati, vale a dire dei titolari della società proprietaria della zona sottostante l’albergo di Viga di Fassa dove erano state realizzate le rampe, ritenute abusivamente realizzate secondo l’ipotesi accusatoria.
 
Da un lato, infatti, non risulta pacifica la natura abusiva delle opere edilizie di cui si discute (condizione indispensabile per potere ritenere sussistente la violazione dell’art. 129 della citata legge provinciale n. 1 del 2008, che, impone l’adozione dell’ordinanza di ingiunzione di rimessa in pristino solo nel caso di opere abusive eseguite in assenza di concessione o in difformità da essa), tanto che, come rappresentato dal ricorrente, la stessa corte di appello di Trento, con sentenza n. 36, dell’8.2.2013 (allegata al ricorso), ha assolto gli esecutori materiali delle opere di cui si discute, sul presupposto che le rampe realizzate con terreno da scavo conseguente alla ristrutturazione ed all’ampliamento dell’hotel e dal materiale di cantiere, dovevano ritenersi temporanee, in attesa di una sistemazione definitiva che prevedeva la creazione di sentieri attrezzati, non determinando, per tale ragione, una trasformazione rilevante del territorio (cfr. p. 17 del ricorso).
 
Orbene, a prescindere da tale decisione, che non era nota al giudice di secondo grado della cui sentenza si discute in questa sede e che non può formare oggetto di valutazione da parte di questa Corte (cfr. Cass., sez. V, 23.4.2013, n. 45139, rv.257541), la natura abusiva delle suddette rampe e, di conseguenza, la consapevolezza che di tale natura aveva il sindaco di Viga di Fassa, non può dirsi acquisita con certezza, posto che, come rilevato dal ricorrente, la stessa legge provinciale urbanistica vigente all’epoca dei fatti (la già richiamata legge della provincia di Trento del 4 marzo 2008, n. 1), all’art. 97, non prevedeva il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di opere precarie facilmente rimovibili e temporanee (soggette solo a preventiva comunicazione al comune secondo le modalità stabilite dal regolamento di attuazione), attribuendo all’autorità comunale il potere di disporre, eventualmente, in relazione all’entità ed alla durata degli interventi, che la realizzazione delle opere stesse fosse subordinata alla presentazione di idonee garanzie, anche di carattere finanziario, potere che il sindaco ebbe ad esercitare nel caso concreto (evidentemente sul presupposto che trattavasi di opere precarie destinate ad essere rimosse), come ammesso dalla stessa corte territoriale (cfr. p. 13 della sentenza oggetto di ricorso), che, tuttavia, ha sottovalutato l’importanza di tale circostanza, quale sintomo della mancanza di una delle necessarie componenti dell’elemento soggettivo del dolo intenzionale del delitto di cui all’art. 323, c.p.
 
Dall’altro, non vi è prova certa che la condotta del sindaco abbia avuto come obiettivo primario quello di favorire i titolari della società proprietaria dell’albergo, che, secondo la corte territoriale, “avrebbero evitato di demolire opere passibili di successiva autorizzazione con conseguente risparmio di risorse economiche”. In siffatta motivazione si annida una contraddizione logica perché la stessa possibilità che le opere fossero suscettibili di essere autorizzate evidenzia come non possa affermarsi con certezza che l’azione amministrativa del Fontana fosse sorretta dalla consapevolezza di violare la normativa urbanistica vigente.
 
Del resto il giudice di secondo grado fonda il suo convincimento al riguardo su elementi estremamente generici e dall’incerto valore probatorio (quali la previsione dell’assenso sul progetto di variante del quale l’imputato sembra farsi garante, pur esorbitando detto assenso dalle sue competenze, e le non meglio indicate relazioni personali tra il ricorrente ed i titolari della società proprietaria dell’albergo, cui la corte territoriale attribuisce valenza di conferma in termini di mera verosimiglianza dell’ipotesi accusatoria).
 
Invece è la stessa accertata imposizione di una cauzione, conforme a quanto previsto dall’art. 97, L. della provincia di Trento, n. 1 del 2008, finalizzata a garantire, come si è detto, che se le rampe non fossero state definitivamente sistemate, il comune sarebbe stato in grado anche economicamente di eseguirne d’ufficio lo smantellamento e di conferirle in discarica, a mal conciliarsi, oggettivamente, con il conseguimento di un interesse esclusivamente o prevalentemente privatistico, che, ove realizzato, non può certo ritenersi come l’obiettivo primario perseguito dal Fontana in violazione delle vigenti norme in materia urbanistica, ma, piuttosto, come una conseguenza accessoria dell’operato del soggetto agente, che rende non configurabile il dolo intenzionale necessario per l’esistenza del reato di cui all’art.323, c.p.
 
Non assume, poi, rilievo decisivo in segno contrario la circostanza che il Fontana (per adeguarsi alle indicazioni provenienti dalla Provincia, come sostenuto dal ricorrente) abbia successivamente deciso di adottare il provvedimento con cui ingiungeva le demolizione delle rampe, posto che, ai fini della sussistenza dell’ipotesi di reato in contestazione, occorre soltanto verificare se la precedente omessa adozione del suddetto provvedimento da parte del sindaco fosse ingiustificata sotto il profilo oggettivo e soggettivo, per cui, una volta escluso che lo fosse, per le evidenziate ragioni la successiva condotta dell’imputato risulta irrilevante. 
 
5. In ordine alla posizione della Mazzel si osserva, innanzitutto, che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico (art. 479 c.p.) è sufficiente il dolo generico che si concreta nella volontarietà della dichiarazione falsa, con la consapevolezza del suo carattere non veritiero, nella rappresentazione e nella volontà, in altri termini, della “immutatio veri” ( cfr. Cass., sez. V, 03/11/2010, n. 6182, rv. 249701; Cass., sez. V, 24/01/2005, n.6820).
 
Orbene, con riferimento alla condotta in contestazione, la volontarietà della dichiarazione falsa in ordine alla circostanza che la rampa non demolita ricadeva in zona alberghiera, non risulta dimostrata con certezza, proprio in considerazione del fatto che, come accertato successivamente, solo una parte della rampa in questione ricadeva in zona alberghiera, mentre la restante ricadeva in area sottoposta a tutela paesaggistico-ambientale, per cui non può escludersi che, avendo la stessa Mazzel riconosciuto il proprio errore con nota di rettifica inviata alla Procura della Repubblica di Trento l’8.10.2010, la diversa affermazione, peraltro parzialmente conforme al vero, contenuta nella comunicazione inviata alla polizia giudiziaria il 6.5.2010, non debba attribuirsi ad una erronea valutazione tecnica da parte dell’imputata, che, peraltro, ne aveva avuto contezza, riconoscendola, quando venne ascoltata dalla polizia giudiziaria (cfr. p. 5 della sentenza impugnata).
 
Evidente, poi, l’errore in cui cade la corte territoriale con riferimento al secondo profilo della falsità, desumibile dalla formulazione del capo d’imputazione. 
 
Rispetto alla circostanza che sarebbe stata falsamente attestata nella menzionata comunicazione del 6.5.2010 (l’avvenuta demolizione della rampa a valle), infatti, la corte di appello di Trento non rileva, come sarebbe stato logico aspettarsi, la mancata demolizione di cui la Mazzel avrebbe affermato falsamente l’intervenuta esecuzione, ma solo che lo stato preesistente non era stato ripristinato, perché “la terra era stata solo smossa e lasciata in loco” (cfr. p. 16 della sentenza impugnata).
 
Appare evidente che, rispetto a quanto contestato nell’imputazione, si tratta di una circostanza diversa, che, anzi, presuppone come avvenuta la demolizione, perché altrimenti non avrebbe senso affermare che la terra, chiaramente prodotta dallo smantellamento della rampa, “era stata solo smossa e lasciata in loco”, per cui, omettendo di riferire che il materiale di risulta non era stato asportato, la Mazzel non ha certo volontariamente rappresentato il falso, affermando che la demolizione della rampa era stata eseguita.
 
Premesso, dunque che anche per la Mazzel, come per il Fontana, non è possibile affermare la sussistenza del reato di abuso d’ufficio e del reato di falsità ideologica ad essi rispettivamente ascritti, in quanto la prova in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, in entrambi i casi, è insufficiente o, quanto meno, contraddittoria, anche per il delitto di favoreggiamento addebitato alla sola Mazzel (peraltro, va segnalato, con una contestazione oltremodo generica) deve giungersi ad una identica conclusione.
 
Ed invero, una volta escluso che l’imputata abbia agito con la finalità di affermare il falso nella menzionata comunicazione del 6.5.2010, dalla quale dipende, nella logica dell’impostazione accusatoria consacrata nell’imputazione, il contestato favoreggiamento personale, non può logicamente affermarsi che la Mazzel, con tale condotta, abbia dolosamente favorito i responsabili degli ipotizzati abusi edilizi, posto che per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale è pur sempre necessario il dolo generico, che deve consistere nella cosciente e volontaria determinazione delle condotte nella consapevolezza della loro natura elusiva delle investigazioni e delle ricerche dell’autorità e della finalizzazione delle stesse a favorire colui che sia sottoposto a tali investigazioni o ricerche (cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, 24/05/2011, n. 24035, rv. 250433).
 
6. Sulla base delle svolte osservazioni la sentenza della corte territoriale va, pertanto, annullata senza rinvio nei confronti di entrambi gli imputati in relazione a tutti i reati ad essi contestati, perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
 
Così deciso in Roma il 27.10.2015 
 
 

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