DIRITTO VENATORIO – Caccia uccellagione – Detenzione richiami vivi – Alterazione dell’anello identificativo FOI – Assenza di licenza di porto fucile uso caccia – Disciplina applicabile – Nozione di uccellagione e distinzione con quello di caccia con mezzi vietati – Reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato – Principio costituzionale di ragionevolezza – Qualificazione giuridica del fatto – FAUNA – Bracconieri – Furto aggravato ai danni dello Stato – Artt. 468, 624 e 625, c.p. – Art. 30, lett h), L. n. 157/92 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Motivo di impugnazione – Inammissibilità per aspecificità – Cosiddetta “prova di resistenza”. (Si ringrazia Augusto Atturo per la segnalazione)
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 2 Dicembre 2021
Numero: 44636
Data di udienza: 6 Ottobre 2021
Presidente: SABEONE
Estensore: PEZZULLO
Premassima
DIRITTO VENATORIO – Caccia uccellagione – Detenzione richiami vivi – Alterazione dell’anello identificativo FOI – Assenza di licenza di porto fucile uso caccia – Disciplina applicabile – Nozione di uccellagione e distinzione con quello di caccia con mezzi vietati – Reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato – Principio costituzionale di ragionevolezza – Qualificazione giuridica del fatto – FAUNA – Bracconieri – Furto aggravato ai danni dello Stato – Artt. 468, 624 e 625, c.p. – Art. 30, lett h), L. n. 157/92 – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Motivo di impugnazione – Inammissibilità per aspecificità – Cosiddetta “prova di resistenza”. (Si ringrazia Augusto Atturo per la segnalazione)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.5^, 02 dicembre 2021 (Ud. 06/10/2021), Sentenza n.44636
DIRITTO VENATORIO – Caccia uccellagione – Detenzione richiami vivi – Alterazione dell’anello identificativo FOI – Assenza di licenza di porto fucile uso caccia – Disciplina applicabile – Nozione di uccellagione e distinzione con quello di caccia con mezzi vietati – Reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato – Principio costituzionale di ragionevolezza – Qualificazione giuridica del fatto – FAUNA – Bracconieri – Furto aggravato ai danni dello Stato – Artt. 468, 624 e 625, c.p. – Art. 30, lett h), L. n. 157/92.
Il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato è configurabile, nonostante la disciplina dell’attività venatoria sia stata regolamentata dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, qualora l’apprensione, o il semplice abbattimento della fauna sia commesso da persona non munita di licenza di caccia. Infatti, costituisce uccellagione qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie o altri strumenti fissi, ecc.), diretto alla cattura di un numero indiscriminato di volatili. Invero, reti e trappole per uccelli sono idonee ad un’apprensione indifferenziata di un numero molto vasto di esemplari di avifauna selvatica e tale è da ritenersi «il criterio distintivo tra il reato di uccellagione di cui all’art. 30, comma 1, lett. e), della legge 10 febbraio 1992, n. 157 e quello di caccia con mezzi vietati, previsto dall’art. 30, comma 1, lett. h), della medesima legge», che è dunque «rappresentato dalla possibilità, insita solo nella prima, che si verifichi un rischio di depauperamento indiscriminato della fauna selvatica a causa delle modalità dell’esercizio venatorio e in considerazione della particolarità dei mezzi adoperati, diversi dalle armi da sparo. Pertanto, costituirebbe violazione del principio costituzionale di ragionevolezza ritenere che, proprio là dove il legislatore abbia inteso approntare la tutela più forte al suo patrimonio venatorio e indisponibile, sancendo l’assoluto divieto di tale attività, anche per coloro i quali abbiano la licenza di caccia, tale tutela ne venga paradossalmente diminuita, prevedendo che sia coloro i quali abbiano la licenza e caccino “in frodo”, sia coloro i quali agiscano in assenza di essa, non debbano vedersi puniti per furto venatorio, ovvero i bracconieri siano soggetti alla disciplina degli artt. 624 e 625 cod. pen. nelle ipotesi meno gravi di violazioni di norme poste a disciplinare il dettaglio dello svolgimento delle attività di caccia (le ipotesi, ad esempio, delle lettere a), b), c), d, f) e non in quella di uccellagione. Sicché, si presenta corretta la qualificazione giuridica del fatto attribuita in quella di “furto venatorio” tutte le volte in cui ci si trovi innanzi a soggetti sprovvisti di licenza autorizzativa all’attività venatoria, non potendosi applicare la disciplina contravvenzionale di favore di cui all’art. 30, commi 1 L. n. 157/1992, lettera e), ovvero lett. h).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Ricorso per cassazione – Motivo di impugnazione – Inammissibilità per aspecificità – Cosiddetta “prova di resistenza”.
Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento.
(rigetta il ricorso avverso avverso sentenza del 02/07/2019 della CORTE APPELLO di BRESCIA) Pres. SABEONE, Rel. PEZZULLO, Ric. Rizzardini
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.5^, 02/12/2021 (Ud. 06/10/2021), Sentenza n.44636SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da RIZZARDINI;
avverso la sentenza del 02/07/2019 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;
udite-il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI LEO che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore CAMERALIZZATA
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 luglio 2019, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del locale Tribunale del 17 gennaio 2019, con la quale Rizzardini era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione ed euro 400,00 di multa, per i reati di furto aggravato dall’esposizione alla pubblica fede di una serie di esemplari di avifauna appartenenti a specie protette da considerarsi patrimonio indisponibile dello Stato (capo A) e di contraffazione e uso di pubblici sigilli ex art. 468 c.p. (capo B), in relazione agli anelletti della Federazione Italiana Ornicoltori, apposti illegalmente agli esemplari detenuti di cui al capo A.
2. Avverso la predetta sentenza, ha presentato ricorso l’imputato con atto a firma dell’Avv. Marialaura Soardi, deducendo due motivi di ricorso, con i quali lamenta:
2.1. con il primo motivo, la violazione di legge in relazione agli artt. 624 e 625, n. 7, c.p in punto di ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di furto venatorio; invero, non è stata fornita alcuna motivazione circa la prova della materiale condotta di impossessamento dei volatili da parte dell’imputato, prova basata sulle mere supposizioni del teste Scatamacchia; al più, l’accertata condotta dell’imputato, potrebbe integrare la specifica contravvenzione di cui all’art. 30, lett h), L. n. 157/92, ma la Corte territoriale illogicamente ha negato tale riqualificazione, in base ad un’errata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, citata nella sentenza impugnata, la quale ha statuito che l’apprensione e l’abbattimento di fauna commessa da soggetti non muniti di licenza di caccia costituisce furto aggravato ai sensi del codice penale; in proposito, tuttavia, la Corte territoriale si concentra solo sul requisito della licenza di caccia, dimenticando di motivare sulla sussistenza della prova delle condotte materiali ivi indicate;
2.2. con il secondo motivo, la violazione di legge processuale in relazione all’art. 468 c.p., stante la lesione del diritto di difesa dell’imputato nella partecipazione ad atti irripetibili; invero, la sentenza impugnata ha escluso tale compressione del diritto di difesa perché fu avvisato del sequestro con possibilità di far partecipare il difensore, ma vi rinunziò; tuttavia la rimozione degli anellini asseritamente contraffatti dai volatili è da considerarsi atto diverso dal sequestro operato, in quanto accertamento irripetibile ex art. 360 c.p.p.; infatti, per liberare gli animali i sigilli vanno necessariamente alterati e tagliati e tale operazione è avvenuta in un momento successivo al sequestro, senza possibilità per l’imputato di far partecipare alle operazioni il difensore e il proprio consulente tecnico, peraltro con pregiudizio permanente al suo diritto di difesa in quanto gli anellini non vennero conservati, né fu formato un fascicolo fotografico, di talché non vi è neanche prova oggettiva del reato in esame.
3. Il Procuratore generale in sede, in persona del sostituto procuratore dr. Giovanni Di Leo, ai fini della decisione del ricorso, ha fatto pervenire le sue richieste scritte, ai sensi del comma 8 dell’art. 23 del d.l. n. 137/2020, conv. con modificazioni nella L. 176/2020, concludendo in premessa per la manifesta infondatezza del ricorso, sebbene nelle conclusioni abbia chiesto dichiararsi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento.
1.1. Il primo motivo di ricorso, reiterativo di analogo motivo di appello- circa la mancata prova nella fattispecie in esame dell’elemento oggettivo del reato di furto venatorio, consistente nella sottrazione e impossessamento di esemplari di avifauna di specie protetta e particolarmente protetta- è infondato. Invero, le sentenze di merito- da leggersi come un unicum inscindibile, convergendo in merito alla responsabilità dell’imputato- danno esaurientemente conto, senza incorrere in vizi logici, della responsabilità del Rizzardini, basata sul dato oggettivo del rinvenimento presso la sua abitazione da parte dei C.C. del Nucleo forestale antibracconaggio di oltre venti esemplari vivi di uccelli appartenenti a specie protette, o particolarmente protette, la cui cattura è espressamente vietata, potendo tali esemplari essere detenuti solo se regolarmente allevati e muniti dalla nascita di un anello identificativo apposito FOI attestante l’anno di nascita e il numero identificativo dell’allevatore.
Degli esemplari rinvenuti, come riferito in dibattimento teste Scatamacchia, appartenente al nucleo forestale suddetto e come risulta in particolare dall’annotazione di P.G., dieci di tali uccellini non avevano l’anellino identificativo FOI, mentre sette anellini risultavano illeggibili e tutti gli altri erano stati alterati; in alcuni dei casi di anellini alterati era stato indicato un anno di nascita del tutto incompatibile con la vita media dei volatili, come ad esempio l’anno 1996 o l’anno 1965, sicchè quegli anellini non potevano corrispondere agli uccelli rinvenuti e doveva dedursene la palese alterazione. In particolare, il teste Scatannacchia che procedette alla perquisizione domiciliare e concretamente rinvenne gli avicoli illecitamente detenuti dall’imputato ha chiarito altresì che in alcuni casi l’anellino non aveva le prescritte dimensioni o era privo dei codici richiesti dalla legge, oppure si presentava limato o tagliato.
Sulla base di tali emergenze , nonché delle circostanze che presso l’abitazione dell’imputato come risulta dal verbale di sequestro- si rinvennero anche numerose reti e trappole idonee alla pratica dell’uccellagione e che il Rizzardini non è stato in grado di provare la provenienza di tali animali, essendo la documentazione prodotta relativa ad altri esemplari in virtù della non corrispondenza dei relativi codici FOI, la sentenza impugnata, conformemente a quella del primo giudice, ha ritenuto sussistenti solidi e convergenti elementi di responsabilità dell’imputato per entrambi i reati a lui ascritti ed in particolare per il reato di furto venatorio di cui al capo A).
1.2. In merito alla ulteriore questione posta sempre nel primo motivo di ricorso relativa alla corretta qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A) di imputazione, anch’essa è da ritenersi infondata.
1.2.1. A tal riguardo, deve preliminarmente osservarsi che la difesa invoca l’applicazione della contravvenzione di cui all’art. 30, lett. h) della legge n. 157 del 1992, relativa alla condotta di chi “….cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi esercita la caccia con mezzi vietati”, laddove nella fattispecie in esame il rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato di trappole reti e altro materiale darebbe conto piuttosto della astratta qualificabilità dei fatti come uccellagione, punita dall’art. 30, lett. e), citato.
Infatti, reti e trappole per uccelli sono idonee ad un’apprensione indifferenziata di un numero molto vasto di esemplari di avifauna selvatica e tale è da ritenersi «il criterio distintivo tra il reato di uccellagione di cui all’art. 30, comma 1, lett. e), della legge 10 febbraio 1992, n. 157 e quello di caccia con mezzi vietati, previsto dall’art. 30, comma 1, lett. h), della medesima legge», che è dunque «rappresentato dalla possibilità, insita solo nella prima, che si verifichi un rischio di depauperamento indiscriminato della fauna selvatica a causa delle modalità dell’esercizio venatorio e in considerazione della particolarità dei mezzi adoperati, diversi dalle armi da sparo (Sez. 3, n. 15561 del 03/12/2019, Rv. 278837 – 01; Sez. 3, n. 11350 del 10/02/2015, Rv. 262808 – 01). Invero, costituisce uccellagione qualsiasi sistema di cattura degli uccelli con mezzi fissi, di impiego non momentaneo, e comunque diversi da armi da sparo (reti, panie o altri strumenti fissi, ecc.), diretto alla cattura di un numero indiscriminato di volatili.
1.2.2. Tale precisazione, comunque, non incide sul dato dirimente, secondo cui, nella fattispecie in esame, alcuna riqualificazione della fattispecie di furto aggravato oggetto di contestazione nelle contravvenzioni sopra indicate (ossia lett. e) ovvero lett. h) , di cui al primo comma dell’art. 30 L. n. 152 /92, recante “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), è possibile operare in relazione al disposto di cui al terzo comma del medesimo art. 30, secondo cui: «nei casi di cui al comma 1 non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale».
1.2.3. In proposito, occorre premettere che il Rizzardini risulta essere soggetto privo di licenza autorizzativa per l’esercizio dell’attività venatoria e un orientamento di questa Corte, al quale si ritiene di dare seguito, anche per le ragioni che si esporranno, limita la portata della suddetta disposizione, ritenendo che il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato è configurabile, nonostante la disciplina dell’attività venatoria sia stata regolamentata dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, qualora l’apprensione, o il semplice abbattimento della fauna sia commesso da persona non munita di licenza di caccia (Sez. 5, n. 48680 del 06/06/2014, Rv. 261436 – 01; Sez. 4, n. 34352 del 24/05/2004, Rv. 229083 – 01). Tale indirizzo è stato riaffermato da più recenti pronunce di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 16981 del 18/02/2020, Rv. 279254 – 01 e Sez. 4, n. 13506 del 04/03/2020 Rv. 279135 – 01), a fronte di un più risalente difforme orientamento, relativo a condotte di uccellagione (Sez. 6, n. 9930 del 08/07/1992, Rv. 192514 e Sez. 5, n. 25728 del 30/04/2012, non massimata), che ha ritenuto applicabile indistintamente la sanzione di cui all’art. 30, lett. e), L. n. 157/1992, sia ai cacciatori muniti di regolare licenza all’esercizio dell’attività venatoria, che ai veri e propri bracconieri, sprovvisti di tale atto autorizzativo, sul presupposto che l’uccellagione rappresenta attività assolutamente vietata dall’art. 3 della medesima legge, di talché si sarebbero realizzate irragionevoli disparità di trattamento se si fosse ritenuto applicabile il principio di diritto anzi enunciato circa l’applicabilità a bracconieri in senso stretto della disciplina di cui al codice penale.
1.2.4. In base ad una lettura sistematica dell’art. 30, commi 1 e 3, L. n. 157/1992 e alle ragioni che hanno ispirato la legge in questione deve, invece, ritenersi che anche alle condotte di uccellagione descritte alla lettera e), e alle condotte descritte alla lett. h) del primo comma, vadano applicate le norme codicistiche sul furto, ove tali condotte siano state poste in essere oggetti sprovvisti di licenza di caccia. Tale conclusione deriva dalla necessità – che risulta maggiormente coerente con il principio di offensività – di limitare la disciplina speciale “di favore” di cui alla legge n. 157 del 1992, al caso in cui il soggetto attivo sia un cacciatore, regolarmente autorizzato all’attività venatoria, che tuttavia la eserciti in frodo alla licenza concessagli.
Infatti, soltanto in quest’ultimo caso, anche la condotta in esame può risultare meno pericolosa, in quanto esercitata da soggetti già sottoposti dalla pubblica amministrazione competente ad un vaglio sull’idoneità psico-fisica al porto di armi per uso di caccia e all’esercizio dell’attività venatoria, da esercitarsi con modalità e tecniche rispettose della fauna selvatica e caratterizzate dalla minor sofferenza biologica possibile degli animali catturati.
Diversamente, per i bracconieri veri e propri, privi di alcuna licenza all’esercizio della caccia, la conclusione dell’applicabilità della più rigorosa disciplina codicistica in tema di furto venatorio si impone a fronte del bilanciamento dei molteplici interessi di rango costituzionale protetti, aventi rilievo anche sovranazionale, tra i quali in primis si pone la tutela dell’ambiente, nella species dell’ecosistema selvatico, imposta nell’ordinamento interno dagli artt. 9 e 117 Cost.
Del resto la ratio della disciplina legislativa della legge n. 157 del 1992, ispirata dalla direttiva europea 79-409 CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, nonché dalla Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, di cui la legge 157 del 1992 è attuazione (art. 1, comma 4) ed i principi costituzionali ai quali fa riferimento (la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, riservata alla legislazione statale secondo l’art. 117 Cost., e direttamente prevista all’art. 9 Cost.) impedisce decisamente una lettura comportante un’indiscriminata previsione di favore diretta ad escludere la configurabilità del reato di furto aggravato nei confronti anche di chi si appropria di beni appartenenti al patrimonio faunistico ed ambientale dello Stato, in assenza di concessione e violandone la normativa primaria e secondaria.
Ed infatti, costituirebbe violazione del principio costituzionale di ragionevolezza ritenere che, proprio là dove il legislatore abbia inteso approntare la tutela più forte al suo patrimonio venatorio e indisponibile, sancendo l’assoluto divieto di tale attività, anche per coloro i quali abbiano la licenza di caccia, tale tutela ne venga paradossalmente diminuita, prevedendo che sia coloro i quali abbiano la licenza e caccino “in frodo”, sia coloro i quali agiscano in assenza di essa, non debbano vedersi puniti per furto venatorio, ovvero i bracconieri siano soggetti alla disciplina degli artt. 624 e 625 cod. pen. nelle ipotesi meno gravi di violazioni di norme poste a disciplinare il dettaglio dello svolgimento delle attività di caccia (le ipotesi, ad esempio, delle lettere a), b), c), d, f) e non in quella di uccellagione (Sez. 5, n. 16981 del 18/02/2020, Rv. 279254 – 01).
1.2.4.1. In particolare è la stessa lettura dell’intero testo della legge 11 febbraio 1992, n. 157 a confermare che l’ambito applicativo dell’art. 30, commi 1 e 3, è ristretto ai soli cacciatori muniti di apposita licenza, che esercitino l’attività venatoria in violazione della stessa. Tutto l’impianto normativo della legge in esame è volto alla regolamentazione dell’attività venatoria, legittimamente esercitabile soltanto previo provvedimento autorizzativo da parte della pubblica amministrazione competente. Numerose sono, dunque, le disposizioni ivi rinvenibili che confermano che la disciplina normativa di cui alla legge n. 157/1992 è applicabile soltanto alla categoria di cacciatori muniti di licenza autorizzativa. In tal senso vanno richiamati l’art. 12, che prevede che «l’attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti» dalla stessa legge e disciplina anche il rilascio e le condizioni di validità del porto d’armi a fini venatori, l’art. 21, che reca una serie di divieti relativamente a determinate azioni non attuabili nell’esercizio della caccia su licenza e l’art. 32. Tale ultima norma costituisce argomento decisivo in favore di una siffatta interpretazione sistematica della clausola di specialità di cui all’art. 30, comma 3, sancendo, in caso di condanna passata in giudicato per una delle contravvenzioni di cui all’art. 30, comma 1 (o di decreto penale di condanna esecutivo), che alla affermazione definitiva della penale responsabilità corrisponda anche un provvedimento dell’amministrazione con cui sia sospesa, o nei casi più gravi revocata, ovvero addirittura esclusa definitivamente la concessione della licenza per il porto di fucile ad uso venatorio, lasciando dunque chiaramente intendere l’ambito in cui si muovono le disposizioni della legge
n. 157, relative alla caccia disciplinata con licenza autorizzativa appunto.
1.2.5. In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, corretta si presenta la qualificazione giuridica del fatto attribuito al ricorrente in quella di “furto venatorio”, non essendo applicabile al Rizzardini, sprovvisto di licenza autorizzativa all’attività venatoria, la disciplina contravvenzionale di favore di cui all’art. 30, commi 1 L. n. 157/1992, lettera e), ovvero lett. h).
2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla inutilizzabilità probatoria degli anellini rimossi dalle specie in sequestro, in violazione delle norme di cui all’art. 360 c.p.p. sulle garanzie difensive in occasione di accertamenti tecnici non ripetibili, si appalesa irrimediabilmente generico.
Invero, al di là della fondatezza o meno della dedotta eccezione, appare dirimente il rilievo preliminare, secondo cui, come più volte messo in risalto da questa Corte, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269218 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 31823 del 06/10/2020, Rv. 279829 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 30271 del 11/05/2017, Rv. 270303 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 37694 del 15/07/2008; Rv. 241299 – 01).
Nel caso di specie, invero, la difesa Rizzardini non ha rispettato tale onere di specificità, non risultando essere stato effettuato, nell’enunciazione del motivo di ricorso, alcun confronto con gli elementi in base ai quali le sentenze di merito hanno ritenuto la responsabilità dell’imputato in relazione al reato di contraffazione e uso di pubblici sigilli contraffatti destinati a pubblica autentificazione o certificazione ex art. 468 c.p. Infatti, il ricorrente non si confronta con le emergenze in atti, ritenute decisive al fine dell’affermazione di responsabilità dell’imputato per il reato di contraffazione e uso di pubblici sigilli contraffatti destinati a pubblica autentificazione o certificazione ex art. 468 c.p: non solo le dichiarazioni del teste Scatannacchia e quanto riportato nell’annotazione di P.G., ma anche quanto riportato nel verbale di sequestro secondo cui alcuni degli esemplari avicoli illegalmente detenuti erano rinvenuti con anelletti identificativi “FOI” contraffatti, perché limati e resi illeggibili, deformati o recanti codici non conformi all’animale di pertinenza, ovvero recanti date di nascita incompatibili con la vita media di tali volatili.
3. In definitiva, dunque, il ricorso proposto nell’interesse di Rizzardini Antonio deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 6.10.2021