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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Rifiuti Numero: 12722 | Data di udienza: 11 Gennaio 2024

RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Concorso nel reato di attività organizzata – Ingiusto profitto – Consapevolezza del profitto perseguito dai correi – Singolo autore del fatto – Esclusivo scopo – Azione compiuta consapevolmente – Contribuzione al conseguimento di un profitto ingiusto – Cooperazione nell’attività organizzata – Attività del tutto abusiva – Mancanza delle autorizzazioni di legge – Trattamento dei rifiuti – Costi abbattuti -Ecoreati – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies cod. pen.) – Ripristino dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies cod. pen.) – Distinzioni tra “recupero” e “ripristino” – Condizioni all’ordine di recupero – Ripristino solo «ove possibile» – Osservanza delle norme del codice dell’ambiente – Attività tese al reintegro dell’ambiente – Rimozione degli elementi alteranti – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Travisamento della prova – Informazione inesistente – Omessa valutazione di una prova – Dato probatorio travisato o omesso – Decisività nella motivazione – Indicazione in maniera specifica e inequivoca delle prove – Prove a sostegno delle ragioni – Motivi di ricorso per cassazione – Motivi inammissibili – Motivi intrinsecamente indeterminati – Necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento – Bancarotta fraudolenta – Nesso causale – Fatti di bancarotta – Successivo fallimento – Depauperamento – Patrimonio sociale – Dissesto dell’impresa – Concorso formale – Bancarotta fraudolenta distrattiva – Bancarotta da operazioni dolose – Differenti ed autonomi comportamenti dolosi – bis in idem – Reato continuato – Pene accessorie – art. 77 cod. pen. – Singoli reati – Sovrapponibilità tra le pene accessorie – Reati in continuazione – Motivi nuovi – Impugnazione – Art. 585, quarto comma, cod. proc. pen. – Procedimento in camera di consiglio – Art. 611, primo comma, cod. proc. pen. – Capi della decisione impugnata – Punti della decisione impugnata – Originario atto di gravame – Art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 5^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Marzo 2024
Numero: 12722
Data di udienza: 11 Gennaio 2024
Presidente: ZAZA
Estensore: BORRELLI


Premassima

RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Concorso nel reato di attività organizzata – Ingiusto profitto – Consapevolezza del profitto perseguito dai correi – Singolo autore del fatto – Esclusivo scopo – Azione compiuta consapevolmente – Contribuzione al conseguimento di un profitto ingiusto – Cooperazione nell’attività organizzata – Attività del tutto abusiva – Mancanza delle autorizzazioni di legge – Trattamento dei rifiuti – Costi abbattuti -Ecoreati – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies cod. pen.) – Ripristino dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies cod. pen.) – Distinzioni tra “recupero” e “ripristino” – Condizioni all’ordine di recupero – Ripristino solo «ove possibile» – Osservanza delle norme del codice dell’ambiente – Attività tese al reintegro dell’ambiente – Rimozione degli elementi alteranti – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Travisamento della prova – Informazione inesistente – Omessa valutazione di una prova – Dato probatorio travisato o omesso – Decisività nella motivazione – Indicazione in maniera specifica e inequivoca delle prove – Prove a sostegno delle ragioni – Motivi di ricorso per cassazione – Motivi inammissibili – Motivi intrinsecamente indeterminati – Necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento – Bancarotta fraudolenta – Nesso causale – Fatti di bancarotta – Successivo fallimento – Depauperamento – Patrimonio sociale – Dissesto dell’impresa – Concorso formale – Bancarotta fraudolenta distrattiva – Bancarotta da operazioni dolose – Differenti ed autonomi comportamenti dolosi – bis in idem – Reato continuato – Pene accessorie – art. 77 cod. pen. – Singoli reati – Sovrapponibilità tra le pene accessorie – Reati in continuazione – Motivi nuovi – Impugnazione – Art. 585, quarto comma, cod. proc. pen. – Procedimento in camera di consiglio – Art. 611, primo comma, cod. proc. pen. – Capi della decisione impugnata – Punti della decisione impugnata – Originario atto di gravame – Art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 5^, 27 marzo 2024 (Ud. 11/01/2024), Sentenza n. 12722

 

 

RIFIUTI – Traffico illecito di rifiuti – Concorso nel reato di attività organizzata – Ingiusto profitto – Consapevolezza del profitto perseguito dai correi – Singolo autore del fatto – Esclusivo scopo – Azione compiuta consapevolmente – contribuzione al conseguimento di un profitto ingiusto – cooperazione nell’attività organizzata – Attività del tutto abusiva – Mancanza delle autorizzazioni di legge – Trattamento dei rifiuti – Costi abbattuti.

Ai fini della configurabilità del concorso nel reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, non è necessario che il singolo concorrente agisca al fine di conseguire un ingiusto profitto, essendo sufficiente che del profitto perseguito dai correi egli abbia consapevolezza. Riguardando la struttura della fattispecie, ciò che rileva non è che il singolo autore del fatto consegua il profitto o che agisca a questo esclusivo scopo, ma che l’azione sia compiuta consapevolmente contribuendo al conseguimento di un profitto ingiusto, quand’anche ottenuto da altri. E’ sufficiente, quindi, il dato acclarato che l’imputata avesse fattivamente cooperato alla realizzazione dell’attività organizzata, attività del tutto abusiva siccome inibita dalla mancanza delle autorizzazioni di legge e che, in ogni caso, quand’anche autorizzata, avrebbe imposto l’osservanza delle norme di dettaglio che disciplinano il conferimento e il trattamento dei rifiuti; osservanza che avrebbe generato costi che, al contrario, erano abbattuti, fruttando un lucro che proprio chi curava l’aspetto contabile, anche teso al mascheramento dell’organizzazione, non poteva ignorare.

 

 RIFIUTI – Ecoreati – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies cod. pen.) – Ripristino dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies cod. pen.) – Distinzioni tra “recupero” e “ripristino” – Condizioni all’ordine di recupero – Ripristino solo «ove possibile» – Osservanza delle norme del codice dell’ambiente – Attività tese al reintegro dell’ambiente – Rimozione degli elementi alteranti.

L’art. 452-duodecies cod. pen. distingue tra “recupero” e “ripristino”, adoperando due diversi termini e collegandoli con una congiunzione; tale diversità si ricava anche dalla circostanza che la norma non pone condizioni all’ordine di recupero, indicando, invece, come misura applicabile, il ripristino solo «ove possibile» e ricollegando al solo ripristino l’osservanza delle norme del codice dell’ambiente. Nell’opera di individuazione in concreto del contenuto delle due attività, il recupero è individuato come un minus rispetto al ripristino, fatto delle sole attività tese al reintegro dell’ambiente tramite la rimozione degli elementi alteranti, senza lo svolgimento di azioni più complesse – che sono ricondotte al ripristino – e che impongano la «ricollocazione o riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse». Peraltro, non vi è dubbio che le misure di cui all’art. 452-duodecies cod. pen. siano riferibili anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies, siccome anch’esso facente parte del titolo VI-bis del libro II del Codice Penale.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Travisamento della prova – Informazione inesistente – Omessa valutazione di una prova – Dato probatorio travisato o omesso – Decisività nella motivazione – Indicazione in maniera specifica e inequivoca delle prove – Prove a sostegno delle ragioni.

Il vizio del travisamento della prova si configura quando il Giudice utilizzi un’informazione inesistente o ometta la valutazione di una prova e sempre che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; tale vizio può essere dedotto in quanto siano indicate in maniera specifica e inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni e non ne abbia adottato una lettura atomistica, scevra da un inquadramento di insieme.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Motivi di ricorso per cassazione – Motivi inammissibili – Motivi intrinsecamente indeterminati – Necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento.

I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Bancarotta fraudolenta – Nesso causale – Fatti di bancarotta – Successivo fallimento – Depauperamento – Patrimonio sociale – Dissesto dell’impresa – Concorso formale – Bancarotta fraudolenta distrattiva – Bancarotta da operazioni dolose – Differenti ed autonomi comportamenti dolosi – bis in idem.

Per configurare la bancarotta fraudolenta non è richiesta l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di bancarotta e il successivo fallimento, né tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento di quest’ultima destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività. Quanto al dolo della fattispecie, va ricordato che il dolo del concorrente extraneus nella bancarotta distrattiva dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, senza alcun rapporto di tale condotta con il dissesto dell’impresa. Tuttavia, mentre non è possibile il concorso formale tra bancarotta fraudolenta distrattiva e bancarotta da operazioni dolose, è sì possibile il concorso formale, ma solo quando, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 legge fall., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento. (Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte di appello era incorsa in un errore di prospettiva, laddove ha individuato il quid pluris richiesto non già in un’ulteriore condotta del prevenuto, accompagnata a quella eminentemente distrattiva, ma nell’effetto che era scaturito dalla distrazione, vale a dire la privazione dei mezzi necessari per proseguire nell’attività di impresa. Il reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 2) legge fall. va dichiarato, quindi, assorbito in quello di bancarotta distrattiva. Ritenendo fondata, la censura secondo cui vi era un bis in idem sostanziale tra la bancarotta da operazioni dolose e la bancarotta distrattiva).

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Reato continuato – Pene accessorie – art. 77 cod. pen. – Singoli reati – Sovrapponibilità tra le pene accessorie – Reati in continuazione.

Nel caso di reato continuato per determinare le pene accessorie da applicare, ai sensi dell’art. 77 cod. pen., è necessario fare riferimento ai singoli reati per i quali è stata pronunciata la condanna, scindendo, pertanto, detto reato nelle singole violazioni che lo compongono ed applicando le pene accessorie previste per ciascun illecito “satellite”. Data tale necessità, non si rinviene ragione per la quale qualora anche vi sia una sovrapponibilità tra le pene accessorie previste per ciascuno dei reati in continuazione, esse non possano trovare comunque applicazione, nella misura individuata per ciascuna ipotesi di reato in concorso.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Motivi nuovi – Impugnazione – Art. 585, quarto comma, cod. proc. pen. – Procedimento in camera di consiglio – Art. 611, primo comma, cod. proc. pen. – Capi della decisione impugnata – Punti della decisione impugnata – Originario atto di gravame – Art. 581, lett. a), cod. proc. pen.

I motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quanto nella norma che disciplina il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen.

(in parte riforma e annulla con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione – sentenza del 28/02/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO), Pres. ZAZA, Est. BORRELLI, Ric. De Cristofaro e altra

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 5^, 27/03/2024 (Ud. 11/01/2024), Sentenza n. 12722

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
D. C. M. nato a SARONNO il –/–/—-;
P. S. nata a SARONNO il –/–/—-;

avverso la sentenza del 28/02/2023 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI;

udite le conclusioni del Procuratore generale, TOMASO EPIDENDIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

udite le conclusioni dell’Avv. ELIANA ZECCA, per i ricorrenti, che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza al vaglio odierno di questa Corte è stata deliberata il 28 febbraio 2023 dalla Corte di appello di Milano, che ha parzialmente riformato la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato S. P. e M. D. C. (madre e figlio) per i reati di seguito indicati. Entrambi, per il reato di cui agli artt. 110, 452-quaterdecies cod. pen. per avere gestito un’attività di traffico organizzato di rifiuti anche attraverso la società “Generai Service s.r.l.”, di cui i due imputati erano dipendenti e la P. era anche socia.

Il solo D. C. anche per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e da operazione dolose in relazione al fallimento della “Generai Service s.r.l.”, dichiarato dal Tribunale di Como il 23 marzo 2021, reato di cui il predetto è chiamato a rispondere quale concorrente extraneus siccome legale rappresentante della “GM service s.r.l.”, società beneficiaria di plurime distrazioni attuate ai danni della “Generai Service s.r.l.”

La riforma in appello è consistita nella rimodulazione in mitius del trattamento sanzionatorio per la P..

In definitiva, tenuto conto della parziale riforma in appello, all’esito dei gradi di merito:
– alla P. è stata inflitta la pena di un anno e quattro mesi di reclusione (con sospensione condizionale della pena) e al D. C. quella di tre anni e quattro mesi di reclusione, nei confronti di entrambi è stata ordinata la confisca ex art. 452-quaterdecies, comma 5, cod. pen. (nei limiti di euro 285.395,07) e l’ordine di recupero dello stato dei luoghi ex art. 452-duodecies cod. pen., il solo D. C. è stato altresì condannato al risarcimento del danno a favore della curatela fallimentare della “General Service s.r.l.” (con provvisionale) e si è visto infliggere 1) l’interdizione temporanea dai PPUU ex art. 28 cod. pen. 2) le pene accessorie di cui al combinato disposto degli artt. 452-quaterdecies, comma 3, 32-bis cod. pen. (interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per tre anni) e 32-ter cod. pen. (incapacità di contrattare con la P.A. per tre anni), 3) le pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall. (l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per sei anni).

Nel processo erano coinvolti anche altri soggetti, oggi non ricorrenti:
– G. D. C., padre di Mario e marito della P., amministratore di fatto della “General Service s.r.l.”, che è stato anch’egli condannato in primo grado, oltre che per i reati di cui risponde anche il figlio, anche per bancarotta documentale e per alcuni illeciti tributari (egli aveva originariamente appellato la sentenza di primo grado e poi ha rinunziato all’appello);
– Patrizia Ruggeri, amministratore di diritto della fallita, che ha patteggiato la pena per la bancarotta e i reati tributari (e che ha reso dichiarazioni eteroaccusatorie nei confronti dei coimputati).
– la “General Service s.r.l.”, che è stata condannata per l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a) e 25-undecies d.lgs 231 del 2001.

Secondo la sentenza impugnata, l’attività di indagine – fatta di sopralluoghi, perquisizioni e sequestri – aveva permesso di accertare che gli imputati, utilizzando la struttura imprenditoriale della “General Service s.r.l.”, non autorizzata alla gestione dei rifiuti, avevano effettuato una perdurante e continuativa attività organizzata di gestione di questi ultimi, grazie alla realizzazione di un sito di lavorazione del tutto abusivo e all’apporto costante di micro conferitori, che scaricavano nel sito residui di demolizione, che venivano trattati e poi rivenduti come “inerti riciclati”, senza alcuna attestazione che ne comprovasse l’idoneità quale materiale da costruzione. Tali materiali – come pure ricostruito dagli inquirenti – erano utilizzati da varie società di costruzione per la realizzazione anche di opere pubbliche, in difformità da quanto previsto nei rispettivi capitolati d’appalto.

La bancarotta – per distrazione e da operazioni dolose – di cui risponde il solo D. C. concerne alcune attività depauperative poste in essere ai danni della fallita quale legale rappresentante della beneficiaria “GM service s.r.l.” (vendita a prezzo vile di alcuni beni ed emissione di note di credito in relazione ad importi già fatturati per provvigioni maturate, contestate al capo 8 lett. b) e c).

2. S. P. e M. D. C. hanno proposto ricorso a mezzo del comune difensore di fiducia Avv. Marco Turconi, che ha redatto due distinti atti.

3. Il ricorso proposto nell’interesse della P. si compone di quattro motivi.

3.1. Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto al giudizio di penale responsabilità e, in particolare, circa il ruolo concorsuale attribuito alla ricorrente nel reato di traffico illecito di rifiuti nonostante – come sostenuto nell’atto di appello – la predetta svolgesse solo mansioni contabili. Secondo l’impugnativa di legittimità, la Corte di appello si sarebbe limitata a validare un giudizio di responsabilità “da posizione”, legato all’inserimento della P. nel nucleo familiare degli altri imputati, senza uno scrutinio circa la decisività dell’attività da lei svolta nell’ambito di quella oggetto del processo. La decisione avversata sarebbe affetta da travisamento della prova – prosegue il ricorso – laddove ha ritenuto che la P. si fosse occupata anche della redazione dei “pizzini” contenenti le annotazioni che riflettevano l’attività illecita e della ricezione delle somme dai conferitori, evenienze neanche mai prospettate dagli investigatori e dal Giudice del rito abbreviato. Piuttosto, quello che è emerso è che la P. si limitava, in collaborazione con la commercialista della società, a raccogliere i suddetti “pizzini”, che erano però redatti da terzi, cioè da coloro che si occupavano della ricezione dei rifiuti.

La sentenza impugnata sarebbe viziata anche avuto riguardo allo scrutinio circa il coefficiente soggettivo. Poiché la norma precettiva richiede il fine di conseguimento di un ingiusto profitto, la Corte distrettuale avrebbe illogicamente evinto la prova di tale direzione della condotta della P. dalla mera consapevolezza dell’illiceità del profitto perseguito dai coimputati. Sostiene, ancora, la ricorrente che, poiché era la “Generai Service s.r.l.” ad avere conseguito un ingiusto profitto nel senso di poter praticare prezzi concorrenziali, la Corte di merito non avrebbe spiegato quale specifico contributo causale avesse fornito la P. nella definizione di tali prezzi concorrenziali.

3.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione e violazione di legge quanto al trattamento sanzionatorio.

Benché la Corte territoriale abbia rimodulato in mitius la pena – applicando nella massima estensione la diminuzione per le circostanze attenuanti generiche già concesse in primo grado – pur tuttavia ha lasciato inalterata la pena base di tre anni di reclusione, molto più elevata di quella minima prevista per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., pari a un anno di reclusione. Così facendo, i Giudici di appello hanno mostrato di avere ignorato la proposta di patteggiamento formulata dall’imputata e di non avere effettuato alcuna valutazione personalizzata.

3.3. Il terzo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione e violazione di legge quanto all’ordine di recupero e/o di ripristino ex art. 452-duodecies cod. pen. La Corte di appello ha scorporato l’obbligo imposto, affermando che, poiché non vi era stato danno ambientale, l’imputata doveva essere condannata ad eseguire le sole opere di recupero. Tale conclusione sarebbe errata in diritto perché:
– l’art. 452-quaterdecies, comma 4, e l’art. 452-duodecies fanno riferimento al solo “ripristino”;
– contraria alla definizione di “ripristino” di cui all’art. 240, lett. q) del codice dell’ambiente;
– le due attività – recupero e ripristino – sarebbero strettamente connesse e non potrebbero essere scorporate.
E’ il codice dell’ambiente che prevede quando il ripristino debba essere effettuato e, nel caso di specie, non vi era stato danno ambientale.

3.4. Il quarto e ultimo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione e violazione di legge quanto al punto della sentenza che riguarda la confisca, perché la Corte di appello avrebbe del tutto omesso di rispondere alle censure dell’imputata in ordine all’irrogazione della confisca nei suoi confronti e alla determinazione del quantum del profitto confiscabile, che, sulla base di una revisione critica della quantificazione attuata dagli operanti, doveva essere ridimensionato a euro 238.882,21 invece che euro 285.395,07.

4. Il ricorso a firma dell’Avv. Turconi per M. D. C. si compone di sei motivi.

4.1. Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione, in particolare da travisamento della prova, e violazione di legge quanto al giudizio circa l’effettivo contributo causale del ricorrente al reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., ingiustamente equiparato a quello di Giuliano D. C. nonostante il ricorrente fosse un mero dipendente con mansioni esecutive, diverse da quelle del padre. La motivazione della Corte di appello secondo cui la prova del suo coinvolgimento si evincerebbe dalla circostanza di essere stato osservato mentre riceveva i conferitori sarebbe semplicistica – tanto da essere stata fermamente contestata nell’atto di appello – perché tale dato probatorio non dimostrerebbe che egli fosse consapevolmente partecipe dell’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti.

Come ripetutamente evidenziato nell’atto di appello:
– M. D. C. aveva iniziato a lavorare per la “General Service s.r.l.” solo nel 2015, nonostante la società fosse operativa da oltre un anno,
– era privo di poteri direttivi,
– si era attenuto ad un modus operandi già collaudato sia quanto alla ricezione dei rifiuti che all’applicazione dei prezzi,
– non era stato provato che fosse a conoscenza della mancanza del titolo autorizzativo,
– il vincolo familiare non poteva surrogare la prova della colpevolezza.

La Corte distrettuale – prosegue il ricorso – avrebbe mancato di approfondire il contributo causale del ricorrente, anche rispetto ad altri dipendenti della società. Sarebbe contraddittorio esaltare la centralità dell’elemento organizzativo per poi attribuire al prevenuto mere mansioni operative. La decisione avversata sarebbe altresì viziata quanto alla prova del dolo della fattispecie perché, quando, nel 2015, a ventuno anni, M. D. C. fu assunto come lavoratore subordinato, il modus operandi ed i prezzi applicati oltre che il parco clienti erano già definiti da tempo.

4.2. Il secondo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla conferma del giudizio di responsabilità in ordine alla bancarotta fraudolenta. Innanzitutto il ricorrente segnala, a confutazione di uno degli argomenti adoperati dalla Corte di merito, che il suo inserimento nell’attività non era affatto risalente, ma limitato a quattro anni.

4.2.1. Più in particolare, quanto alle condotte di cui al capo 8), lett. b) (la vendita di impianti e automezzi da “General Service s.r.l.” a GM Service s.r.l.), il ricorrente lamenta la pretermissione di un documento prodotto dalla difesa, che comprovava che, in altre e diverse occasioni, la “GM service s.r.l.” aveva rivenduto altri veicoli, dopo soli due/tre giorni dall’acquisto, a un prezzo anche raddoppiato.

Inoltre la difesa aveva prodotto anche le fatture di acquisto degli automezzi di cui all’imputazione, a dimostrazione che la vendita a “GM service s.r.l.” non era stata affatto antieconomica (considerato che essa era avvenuta al prezzo di acquisto dei beni) e che gli importi indicati in tabella erano errati. La documentazione prodotta – a dispetto di quanto asserito dalla Corte di merito – non era affatto «difficilmente intellegibile».

Il ricorrente, quindi, a conferma della consistenza delle censure mosse alla sentenza di primo grado, trascrive due ampi tratti dell’appello contenenti considerazioni che sarebbero state ignorate dalla Corte territoriale e sostiene che le vendite in discorso non sarebbero distrattive, in quanto si trattava di operazioni realmente avvenute e correttamente contabilizzate. Il ricorso si diffonde, poi, nel contestare il giudizio circa le ricadute della presunta condotta depauperativa rispetto al fallimento, avvenuto nel 2021, mentre le vendite erano del 2019, avevano portato a un incasso di 69.880 euro e, nel periodo di imposta 2019, “GM service s.r.l.” aveva corrisposto a “General Service s.r.l.” 124.524,95 euro quale corrispettivo delle vendite mentre, al momento del fallimento, il passivo era di 780.712,57 euro, per l’80% per debiti erariali.

Quanto al dolo della fattispecie concernente le condotte di cui al capo 8), lett. b), il ricorso cita un precedente di questa Corte a sostegno della tesi secondo cui, fra i fattori che possono testimoniare il dolo dell’extraneus, vi sono anche la natura fittizia dell’operazione o l’entità della stessa; a dispetto di tale insegnamento, entrambi i Giudici di merito avrebbero omesso di confrontarsi con un dato più volte valorizzato dalla difesa, vale a dire la non antieconomicità dell’operazione – propugnata come sopra – e la mancanza di eziologia con il fallimento.

4.2.2. Con riferimento al sottocapo di imputazione 8, lett. c) (l’emissione di note di credito fittizie a favore di GM service e la connessa mancata esazione dei crediti per provvigioni maturati nei confronti di quest’ultima), la Corte di appello avrebbe omesso di valutare la documentazione prodotta, che aveva comprovato che la “Generai Service s.r.l.” aveva emesso nuove fatture relativamente alle prestazioni realmente effettuate.

4.2.3. Con riferimento alle condotte di cui al capo 8, lett. e) (fallimento da operazioni dolose), la Corte distrettuale avrebbe reso una motivazione illogica laddove non ha ammesso la genericità del capo di imputazione, pur avendo escluso che M. D. C. potesse essere chiamato a rispondere di frode fiscale e di sistematico inadempimento delle obbligazioni erariali e contributive. A seguire, il ricorrente, come già fatto nell’appello, lamenta bis in idem sostanziale perché le condotte per cui vi è stata condanna per bancarotta da operazioni dolose sono le medesime che danno luogo sia all’addebito ex art. 452-quaterdecies cod. pen. sia alla bancarotta da distrazione e dissipazione. Ciò nonostante, nulla si legge a proposito nella sentenza impugnata.

4.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione e violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio.

L’individuazione della pena di quattro anni di reclusione posta a base del calcolo non sarebbe stata giustificata secondo i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., l’escursione sanzionatoria ex art. 81, comma 2 cod. pen. sarebbe immotivata e non si sarebbe tenuto conto della giovane età del prevenuto, della sua incensuratezza, del tentativo di patteggiare e dell’insussistenza delle aggravanti. Analogo vizio caratterizzerebbe la decisione avversata quanto alla determinazione della durata delle pene accessorie, in sé sproporzionate rispetto a quella della pena principale. Vizio di motivazione e violazione di legge contraddistinguerebbero anche la scelta di cumulare la pena accessoria di cui all’art. 32-bis cod. pen. con quelle ex art. 216, ultimo comma, legge fall.

4.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto all’ordine di recupero ex art. 452-duodecies cod. pen. e ricalca le argomentazioni del terzo motivo di ricorso P., cui si rinvia.

4.5. Lo stesso dicasi per il quinto motivo di ricorso – che attiene al ridimensionamento del quantum della confisca – per cui può farsi rinvio all’illustrazione del quarto motivo del ricorso P..

4.6. Il sesto motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla determinazione dell’entità della provvisionale liquidata a favore della parte civile.

5. Il 23 dicembre 2023 l’Avv. Eliana Zecca ha depositato motivi nuovi per entrambi gli imputati.

5.1. Riferendo le nuove argomentazioni al primo motivo di ricorso, il motivo nuovo sostiene che non vi sia stato alcun approfondimento sulla nozione di “rifiuto” da attribuire al materiale trattato dalla “General Service s.r.l.” Richiamando la nozione di “rifiuto” del TU ambientale, la giurisprudenza europea a quella interna di legittimità, i ricorrenti indulgono sul sistema di classificazione dei rifiuti e contestano che la Corte di appello abbia fatto riferimento ad un verbale dell’Arpa, senza aver effettuato nessuna analisi e nessuno specifico studio – per cui sarebbe stato necessario un accertamento peritale – sul materiale in sequestro.

5.2. Il secondo motivo nuovo si collega ai motivi principali che riguardano l’ordine di recupero di cui all’art. 452-duodecies cod. pen. Dopo una premessa sulla confisca di cui all’art. 452-undecies cod. pen., i ricorrenti sostengono che l’ordine di recupero di cui all’art. 452-duodecies non possa applicarsi al reato di traffico illecito di rifiuti, per poi tornare sul problema della mancata classificazione dei rifiuti, che inciderebbe anche sulla possibilità di attuare il disposto recupero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono parzialmente fondati.

1. Queste le conclusioni cui il Collegio è giunto quanto al ricorso P..

1.1. Il primo motivo di ricorso vede ripartite le censure tra quelle dirette verso il ritenuto coinvolgimento della P. nell’attività della “General Service s.r.l.” concernente il traffico illecito di rifiuti e quelle riguardanti il coefficiente soggettivo che ha animato la sua condotta.

1.1.1. Quanto al primo versante, il ricorso è privo di confronto con la sentenza impugnata e, in definitiva, esso è animato dalla pretesa di vedere riscritto il ragionamento probatorio.

In primo luogo, la parte trascura del tutto la premessa del ragionamento della Corte di appello che, facendo leva sui caratteri tipici della fattispecie in discorso, esclude che occorra un assetto imprenditoriale per dare luogo all’attività organizzata propria del reato e che svilisce, così, ogni argomentazione che indulga sulla qualifica della ricorrente all’interno della “General Service s.r.l.”. Proprio in linea con tale impostazione, infatti, la Corte distrettuale ha reputato irrilevante, quale elemento a discarico, che la P. non avesse un ruolo gestorio nell’ambito della “Generai Service s.r.l.”, valorizzando, tuttavia, diversi dati che lasciavano escludere che il suo fosse un compito di mera addetta contabile, ignara di ciò che la documentazione che maneggiava significasse.

La Corte di merito ha, infatti, ricordato che la P. era amministratore della società che, prima della “General Service s.r.l.”, aveva avuto sede operativa presso il sito di smaltimento, che aveva lei stessa “reclutato” la Ruggeri – grazie ad un rapporto personale di conoscenza che le legava – affinché assumesse la carica di amministratore della “General Service s.r.l.”, di cui era socia e della quale teneva la contabilità, contribuendo, quindi, fattivamente alla realizzazione di un’attività svolta nella conclamata assenza di qualsiasi titolo autorizzativo e connotata dalla clamorosa falsità della documentazione di supporto, la cui predisposizione era proprio il compito cui la ricorrente era deputata e che serviva ad ammantare di regolarità i conferimenti illegali. Quanto, in particolare, alla contestata deduzione della Corte distrettuale circa la possibilità che la stessa P. avesse ricevuto personalmente i pagamenti dai conferitori, il Collegio deve obiettare che il ragionamento della sentenza impugnata non è manifestamente illogico né congetturale, laddove la deduzione è ancorata a un dato obiettivo ricavato dall’attività di osservazione, ossia che, in assenza di Giuliano e M. D. C., gli autisti venivano visti accedere agli uffici dove la donna si trovava stabilmente. Né, su questo argomento, il paventato travisamento della prova è stato correttamente dedotto, posto che, per farlo, la ricorrente avrebbe dovuto evidenziare specificamente il dato probatorio travisato o ignorato e illustrare la sua decisività. Tale vizio si configura, infatti, quando il Giudice utilizzi un’informazione inesistente o ometta la valutazione di una prova e sempre che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; si ricorda altresì che tale vizio, intanto può essere dedotto, in quanto siano indicate in maniera specifica e inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni e non ne abbia adottato una lettura atomistica, scevra da un inquadramento di insieme (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).

Peraltro non va trascurato che il ragionamento probatorio così ricostruito, a dispetto delle allusioni del ricorso, non ha fatto leva su un altro dato che pure, insieme agli altri, avrebbe avuto una sua indubbia significatività probatoria, vale a dire che la ricorrente è la moglie del dominus della attività illecita Giuliano De Cristofaro e la madre del coprotagonista Mario.

1.1.2. La doglianza che concerne il coefficiente soggettivo è manifestamente infondata perché muove da un presupposto teorico fallace, vale a dire che non basterebbe la mera consapevolezza del profitto conseguito dagli altri imputati a sostenere l’addebito. Così non è, posto che – come correttamente precisato dalla Corte di appello – questa Corte insegna che, ai fini della configurabilità del concorso nel reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, non è necessario che il singolo concorrente agisca al fine di conseguire un ingiusto profitto, essendo sufficiente che del profitto perseguito dai correi egli abbia consapevolezza (Sez. 3, n. 2842 del 18/11/2021, dep. 2022, Natale, Rv. 282697). Riguardando la struttura della fattispecie, infatti, ciò che rileva non è che il singolo autore del fatto consegua il profitto o che agisca a questo esclusivo scopo, ma che l’azione sia compiuta consapevolmente contribuendo al conseguimento di un profitto ingiusto, quand’anche ottenuto da altri. E’ sufficiente, quindi, come in sostanza ritenuto dalla Corte di merito, il dato acclarato che l’imputata avesse fattivamente cooperato alla realizzazione dell’attività organizzata, attività del tutto abusiva siccome inibita dalla mancanza delle autorizzazioni di legge e che, in ogni caso, quand’anche autorizzata, avrebbe imposto l’osservanza delle norme di dettaglio che disciplinano il conferimento e il trattamento dei rifiuti; osservanza che avrebbe generato costi che, al contrario, erano abbattuti, fruttando un lucro che proprio chi – come la P. – curava l’aspetto contabile, anche teso al mascheramento dell’organizzazione, non poteva ignorare.

1.2. Il ricorso di S. P. è manifestamente infondato anche per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio. La Corte di appello, infatti, ha diffusamente spiegato le ragioni per cui ha ritenuto di confermare l’individuazione della pena in misura maggiore rispetto al minimo edittale, rimarcando la particolare odiosità della condotta, costituita dall’ammantare, per più anni, di una veste contabile un’attività del tutto illecita, con il rischio di contribuire alla commissione di altri reati in materia ambientale, dato l’utilizzo del prodotto realizzato nel sito in cantieri pubblici e privati.

1.3. Il terzo motivo di ricorso – che concerne l’ordine di recupero dello stato dei luoghi imposto all’imputata – è infondato.

Su questo tema si sovrappongono due norme.

L’art. 452-duodecies cod. pen. prevede che, per tutti i reati del titolo VI-bis del libro II del codice penale, in caso di condanna o di patteggiamento, il Giudice ordina il «recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi». Nell’art. 452-quaterdecies cod. pen., al quarto comma, invece, vi è una norma specifica, secondo cui, in caso di condanna o di patteggiamento per il reato ivi contemplato, il Giudice ordina «il ripristino dello stato dell’ambiente» e può subordinare la sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente. Poiché la Corte di appello ha escluso l’ordine di ripristino ma ha confermato quello di recupero, occorre concentrare l’attenzione esclusivamente sulla possibilità di ordinare tale “recupero” nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. Ora non vi è dubbio che le misure di cui all’art. 452-duodecies cod. pen. siano riferibili anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies, siccome anch’esso facente parte del titolo VI-bis del libro II del codice penale; di tale possibilità non pare dubitare neanche la ricorrente. Probabilmente la sovrapposizione con la disposizione presente nell’articolo 452-quaterdecies deriva dalle diverse fonti a cui si devono le disposizioni, la prima frutto della novella di cui alla I. 22 maggio 2015 n. 68, mentre l’inserimento dell’art. 452-quaterdecies cod. pen. discende dalla legge sulla riserva di codice (I. 1 marzo 2018, n. 21), che ha trasferito integralmente nel codice penale la preesistente disposizione di cui all’art. 260 d.lgs 3 aprile 2006, n. 152. Non vi è dubbio, altresì, che il legislatore dell’art. 452-duodecies abbia inteso distinguere tra “recupero” e “ripristino”, adoperando due diversi termini e collegandoli con una congiunzione; tale diversità si ricava anche dalla circostanza che la norma non pone condizioni all’ordine di recupero, indicando, invece, come misura applicabile, il ripristino solo «ove possibile» e ricollegando al solo ripristino l’osservanza delle norme del codice dell’ambiente. Nell’opera di individuazione in concreto del contenuto delle due attività, dunque, non è manifestamente illogica la motivazione della Corte di appello laddove ha definito i rispettivi ambiti delle due nozioni, individuando il recupero come un minus rispetto al ripristino, fatto delle sole attività tese al reintegro dell’ambiente tramite la rimozione degli elementi alteranti, senza lo svolgimento di azioni più complesse – che ha ricondotto al ripristino – e che impongano la «ricollocazione o riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse».

I tentativi della ricorrente di ricavare dalla disposizione dell’art. 240 lett. q) del codice dell’ambiente la riprova di una sovrapponibilità dei due concetti non smentiscono questa ricostruzione perché fanno leva sul mero utilizzo del verbo “recuperare” nell’ambito della nozione di ripristino, senza confrontarsi con la precisa delineazione delle due diverse attività nell’ambito della norma codicistica di riferimento.

2.4. Il quarto ed ultimo motivo del ricorso principale della P. è, invece, fondato nei termini di seguito precisati.

Non lo è per quanto riguarda l’an della confisca, in quanto esso è del tutto generico.

Coglie nel segno, invece, la ricorrente quando contesta che, in relazione al quantum della confisca non vi sia stata una risposta esaustiva. La risposta vi è stata, infatti, solo in relazione alla porzione di profitto, cui pure è stato parametrato il sequestro di valore, che concerne gli introiti dell’anno 2014, quelli ottenuti dalla “General Cantieri s.r.l.”, la società che, prima della “General Service s.r.l.”, era stata utilizzata dai D. C. per svolgere l’attività di illecita gestione dei rifiuti. In questo senso appare corretta in diritto e non manifestamente illogica la considerazione svolta dalla Corte territoriale, secondo la quale non rileva la – mutata – veste imprenditoriale assunta dagli imputati per svolgere l’attività, dovendosi valorizzare la continuità delle persone fisiche che l’hanno realizzata. Tale risposta non è stata oggetto di una specifica contestazione nel ricorso sicché, in parte qua, esso deve dirsi aspecifico siccome formulato in spregio alle regole che presidiano l’impugnativa di legittimità. E’ incontrastato, infatti, il principio ricordato da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli Rv. 268823, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.

La decisione avversata patisce, invece, un deficit argomentativo laddove l’atto di appello contestava anche gli importi riferiti a “Generai Service s.r.l.” e successivi al 2014, ma su questo la Corte di appello non ha risposto, omissione cui consegue l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

2. Riguardo al ricorso di M. D. C., si osserva quanto segue.

2.1. Anche questo ricorso, quando affronta il tema dell’addebitabilità oggettiva e soggettiva del reato al prevenuto, è inammissibile perché la Corte di appello ha reso ampia motivazione sul punto, che il ricorrente non fa altro che cercare di contrastare adducendo una propria, alternativa lettura delle fonti di prova.

In primo luogo, la Corte di merito ha sottolineato che M. D. C. è stato visualizzato dalla polizia giudiziaria – sia da solo che insieme al padre – nell’atto di ricevere i rifiuti, di dare disposizioni circa il loro deposito nel sito e di ricevere il pagamento del corrispettivo. A questo proposito, la Corte di merito ha anche smentito l’argomentazione pure adoperata nel ricorso – quella cioè di una mancanza di tangibile differenza della posizione del ricorrente rispetto a quella dei dipendenti R.e E. – giacché è stato sottolineato che questi ultimi, a differenza del primo, non erano mai stati osservati mentre gestivano direttamente i rapporti con i conferitori. Inoltre un veicolo della “GM service s.r.l.” – società amministrata da M. D. C. e coinvolta nelle attività depauperative ai danni della “Generai Service s.r.l.” – era stato visto entrare nell’area e, infine, lo stesso M. D. C. era presente in ogni accesso autorizzato presso il sito successivamente al sequestro, «collaborando nelle operazioni ed interfacciandosi con i dipendenti e i tecnici» (così la decisione avversata). Si tratta di un costrutto solido e logicamente articolato, che rende ragione del giudizio di piena addebitabilità oggettiva e soggettiva del reato e che resiste, con tutta evidenza, alle deboli argomentazioni critiche dell’impugnativa, che non individuano una falla logica nel ragionamento, ma che si limitano a propugnare una tesi alternativa. Peraltro che, all’ingresso di M. D. C. sulla scena del traffico di rifiuti, l’attività illecita fosse già avviata dal padre, non implica alcuna conseguenza in bonam partem in punto di coefficiente soggettivo – come pretenderebbe il ricorrente – laddove il compendio valorizzato dalla Corte distrettuale rende ragione di un coinvolgimento pieno del ricorrente nel meccanismo illecito, cui non gioverebbe agitare, quale elemento a discarico, che tale inserimento fosse solo successivo agli esordi dell’organizzazione, perché a tale inserimento ha comunque fatto seguito un pieno recepimento del sistema.

2.2. Sulla responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta e da operazioni dolose – obiettivo del secondo motivo di ricorso – appare necessario una risposta differenziata in ragione delle diverse condotte che sono addebitate a M. D. C..

2.2.1. Il ricorso è infondato quando affronta il tema della natura depauperativa delle vendite dei veicoli e degli impianti.

La sentenza impugnata non è, sul punto, né manifestamente illogica né priva di un adeguato apparato argomentativo.

In premessa va sottolineato che la Corte di appello ha individuato alcuni dati di contesto che connotano negativamente l’intera operazione, siccome eloquenti di un complessivo disegno spoliativo della “Generai Service s.r.l.” a favore della “GM service s.r.l.”. A parte il coinvolgimento del ricorrente in entrambe le realtà imprenditoriali (nella prima come dipendente e addetto, nell’altra come amministratore e socio), innegabilmente strutturate intorno al suo nucleo familiare, la sentenza impugnata ha valorizzato negativamente la pubblicazione, sulla pagina Facebook della GM quando la Generai Service era ancora attiva, delle medesime foto concernenti gli impianti di quest’ultima, quasi a segnare la continuità imprenditoriale dei due aggregati.

Venendo allo specifico, poi, la Corte di merito ha indicato, operazione per operazione, data e margine di guadagno, tenendo conto anche delle somme percepite in nero e ricavandone, con ragionamento logico-inferenziale, la prova della matrice depauperativa delle transazioni, siccome la GM service aveva rivenduto veicoli e impianti, a poca distanza temporale dall’acquisto da “Generai Service s.r.l.”, a un prezzo decisamente maggiorato, da ciò desumendo la viltà del prezzo di acquisto dalla fallita A quest’ultimo proposito, la decisione avversata osserva molto perspicuamente che tale differenza era indicativa della anti economicità dell’operazione per “Generai Service s.r.l.”, che avrebbe potuto ricavare dai suoi cespiti una somma ben più alta ove avesse provveduto direttamente alla vendita giacché i beni evidentemente avevano un valore di mercato ben più alto di quello a cui erano stati acquistati. Peraltro il ricorrente contrasta questo ragionamento solo adducendo, a comprova della fisiologia di questo discostamento, l’esistenza di altre compravendite di veicoli da parte di GM service, trascurando la contestualizzazione dell’operazione sub iudice e dei suoi indici di anomalia nell’ambito della già accennata continuità tra le due realtà imprenditoriali – venditrice e acquirente – e del medesimo nucleo familiare, laddove M. D. C. aveva assunto il ruolo di amministratore della “GM service s.r.l.” quando ancora era dipendente di “Generai Service s.r.l.”, con le mansioni da comprimario di cui già si è detto.

Il ricorrente si è poi lamentato che la Corte di merito abbia ritenuto “difficilmente intellegibile” la documentazione prodotta. Ebbene, a questo proposito il Collegio osserva, in primo luogo, che la Corte di appello ha affermato di non reputare chiaramente enunciata la questione dell’I.V.A. relativa agli impianti di frantumazione e vagliatura, giacché i valori di acquisto e di rivendita erano stati comparati entrambi con l’indicazione dell’I.V.A. Questa proposizione non presenta profili di manifesta illogicità laddove mette in risalto un dato fondamentale, vale a dire che sono stati messi a confronto valori omogenei (giacché per entrambi è stata considerata l’imposta) e l’imposta pagata da GM all’atto dell’acquisto dalla fallita è stata poi incamerata dalla prima in occasione della rivendita dei beni, il che ha reso la comparazione attendibile; comparazione che condurrebbe comunque a un giudizio di sproporzione anche laddove – si legge nella sentenza impugnata – si paragonassero gli importi al netto dell’imposta. Di contro il ricorrente non chiarisce la sua critica se non trascrivendo il passaggio dell’atto di appello che la riportava.

In secondo luogo, la Corte territoriale ha reputato non comprensibili le argomentazioni difensive quanto al computo della quota parte del prezzo di alcuni beni pagata “in nero”. Ebbene, a dispetto di quanto sostiene il ricorrente, che lamenta un’omissione motivazionale sul punto, la sentenza impugnata affronta questo tema, neutralizzandone tuttavia la portata pro reo innanzitutto ricordando sulla base di quali elementi la Guardia di Finanza aveva ricostruito il pagamento ufficioso ma, soprattutto, chiarendo che, quand’anche si volesse prescindere dagli importi in nero, resterebbe fermo il giudizio di sproporzione che la Corte distrettuale ha svolto ragionando sui valori fatturati.

Il passaggio del ricorso che riguarda l’incidenza della condotta depauperativa rispetto al fallimento incontra due limiti: in primo luogo è versato in fatto e, in secondo luogo, pare muovere da un presupposto teorico errato, vale a dire che sia necessaria, per configurare la bancarotta fraudolenta distrattiva, un’eziologia tra atto predatorio e dichiarazione di fallimento. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, non è richiesta l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di bancarotta e il successivo fallimento (reputato evento estraneo alla condotta stessa), né tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento di quest’ultima destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269389; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi ed altri, Rv. 261942). Quanto al dolo della fattispecie, il ricorso è manifestamente infondato laddove pare indugiare nuovamente sul tema dell’eziologia della condotta depauperativa rispetto al fallimento. Ebbene, a questo proposito, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa sezione, il dolo del concorrente extraneus nella bancarotta distrattiva dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, senza alcun rapporto di tale condotta con il dissesto dell’impresa (Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Bolzoni, Rv. 271123 – 01; Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, Bratomi, Rv. 271837).

2.2.2. Sulla distrazione di cui al capo 8, lett. c) (l’emissione di note di credito fittizie a favore di GM service e la connessa mancata esazione dei crediti per provvigioni maturati nei confronti di quest’ultima), la doglianza è del tutto aspecifica perché la Corte di appello ha spiegato che, quand’anche fossero state emesse nuove fatture dalla “General Service s.r.l.”, non vi era prova che esse fossero state pagate. Su questo il ricorrente nulla ha osservato, limitandosi ad agitare le medesime argomentazioni di fatto già sottoposte alla Corte di appello e da quest’ultima disattese.

2.2.3. Il versante del ricorso che attiene alla bancarotta da operazioni dolose ex art. 223, comma 2, n. 2) legge fall. è fondato per quanto di ragione, sicché la sentenza impugnata, in parte qua, va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

E’ fondata, in particolare, la censura secondo cui vi è un bis in idem sostanziale tra la bancarotta da operazioni dolose e la bancarotta distrattiva.

Occorre premettere che la Corte di appello (pag. 44 della sentenza impugnata) ha avuto cura – rispetto al capo di imputazione sub 8 lett e), che riguardava anche condotte causative del dissesto concernenti G. D. C. – di circoscrivere la responsabilità di M. D. C. alle sole attività di cui al terzo capoverso, vale a dire «le condotte distrattive e di dissipazione indicate ai punti b), c) e d) in favore della G.M. service s.r.l. in tal modo privando la fallita della possibilità di continuare l’attività aziendale e destinandola al fallimento». La posizione assunta dai Giudici di appello che hanno individuato l’oggetto della condotta causativa nelle spoliazioni già addebitate al ricorrente ex art. 216 legge fall. – rende concreta la necessità di confrontarsi con la giurisprudenza di legittimità sul tema.

Quanto ai rapporti tra le due fattispecie, questa Corte insegna che, mentre non è possibile il concorso formale tra bancarotta fraudolenta dístrattiva e bancarotta da operazioni dolose, è sì possibile il concorso formale, ma solo quando, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 legge fall., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento (Sez. 5, n. 348 del 07/12/2021, dep. 2022, D’ambrosi, Rv. 282396; Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria e altro, Rv. 269019; Sez. 5, n. 24051 del 15/05/2014, Lorenzini e altro, Rv. 260142; Sez. 5, n. 34559 del 19/05/2010, Biole’ e altro, Rv. 248167; Sez. 5, n. 17978 del 17/02/2010, Pagnotta e altri, Rv. 247247).

Evidentemente conscia della necessità di giustificare la condanna superando tale esegesi, la Corte territoriale ha motivato la conferma della condanna dell’imputato anche quanto a questo addebito, sostenendo che esso non aveva ad oggetto le singole condotte distrattive, ma la complessiva attività spoliativa che aveva privato la “General Service s.r.l.” dei mezzi strumentali per proseguire l’attività illecita e l’aveva condotta al fallimento.

Ebbene, il Collegio ritiene che la Corte di appello sia incorsa in un errore di prospettiva, laddove ha individuato il quid pluris richiesto dall’esegesi di questa Corte non già in un’ulteriore condotta del prevenuto, che si sia accompagnata a quella eminentemente distrattiva, ma nell’effetto che è scaturito dalla distrazione, vale a dire la privazione dei mezzi necessari per proseguire nell’attività di impresa.

Il reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 2) legge fall. va dichiarato, quindi, assorbito in quello di bancarotta distrattiva e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio quanto a questa imputazione.

2.3. Il terzo motivo di ricorso – che riguarda il trattamento sanzionatorio – è assorbito dall’annullamento per il reato di cui al capo 8, lett. e), in quanto la quantificazione della pena principale va completamente rivista, a partire dal fatto che occorre procedere nuovamente al giudizio di comparazione, già attestatosi in termini di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e le circostanze aggravanti del danno patrimoniale di rilevante gravità e della pluralità di fatti di bancarotta. Quanto alla durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., essa va nuovamente determinata alla luce del ridimensionamento dell’addebito di bancarotta Circa l’aumento per la continuazione con il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., il motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato giacché la Corte distrettuale, a pag. 47 della sentenza impugnata, ha chiarito le ragioni (quotidianità e pervasività dell’impegno di M. D. C. nell’attività di traffico illecito, tanto da essere interscambiabile con il padre nei rapporti con clienti e dipendenti) dell’aumento. Priva di confronto con la sentenza impugnata è, infine, la doglianza circa la non cumulabilità delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall. con quelle ex art. 32-bis cod. pen., giacché la Corte di merito ha correttamente individuato due ragioni per cui non vi sarebbe ostacolo a tale applicazione cumulativa, ragioni con le quali il ricorrente non si è per nulla soffermato.

La prima è che si tratta di previsioni specifiche dei due reati. Orbene, benché la Corte distrettuale non abbia sviluppato il suo ragionamento sul punto, deve ritenersi che abbia fatto implicito riferimento alla regola di cui all’art. 77, comma 2, cod. pen., per cui, qualora concorrano pene accessorie della stessa specie, esse si applicano tutte e per intero. Tale regola è stata precisata dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «Nel caso di reato continuato, per determinare le pene accessorie da applicare, ai sensi dell’art. 77 cod. pen., è necessario fare riferimento ai singoli reati per i quali è stata pronunciata la condanna, scindendo, pertanto, detto reato nelle singole violazioni che lo compongono ed applicando le pene accessorie previste per ciascun illecito “satellite”» (Sez. 3, n. 36308 del 21/05/2019, Candeloro, Rv. 277502). Data tale necessità, non si rinviene ragione per la quale -come sembra sostenere il ricorrente – qualora anche vi sia una sovrapponibilità tra le pene accessorie previste per ciascuno dei reati in continuazione, esse non possano trovare comunque applicazione, nella misura individuata per ciascuna ipotesi di reato in concorso. La seconda ragione su cui fonda la statuizione della Corte di merito che si impugna e con la quale la parte non si confronta è che non vi è una piena sovrapponibilità tra le due previsioni, giacché l’art. 32-bis cod. pen. è incentrato sull’interdizione all’esercizio degli uffici direttivi e delle funzioni di sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore. L’ambito delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., invece, è parzialmente diverso, in quanto esso preclude lo svolgimento di attività di impresa anche in forma individuale e non concerne le cariche diverse da quelle dagli uffici direttivi.

2.4. Il quarto e il quinto motivo di ricorso di M. D. C. – che riguardano, rispettivamente, l’ordine di recupero ex art. 452-duodecies cod. pen. e il quantum della confisca – sono del tutto sovrapponibili a quelli della P. e sono destinati, pertanto, l’uno al rigetto del ricorso e l’altro all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

2.5. Il quinto motivo di ricorso – che si concentra sull’entità della provvisionale – è inammissibile in quanto tale statuizione non può essere oggetto di ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 44859 dei 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).

3. Sui motivi nuovi tempestivamente presentati dall’Avv. Eliana Zecca per i ricorrenti si osserva quanto segue.

3.1. Il primo motivo di ricorso – che lamenta l’assenza di approfondimenti sulla nozione di “rifiuto” da attribuire al materiale trattato dalla “General Service s.r.l.” – è inammissibile siccome non si collega ad alcuno dei motivi principali che, quanto al giudizio di responsabilità, riguardavano solo il coinvolgimento soggettivo di ciascuno degli imputati nell’attività organizzata di rifiuti. Va ricordata, a questo riguardo, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui i motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quanto nella norma che disciplina il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 dei 25/02/1998, Bono ed altri, Rv. 210259; Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli , Rv. 272821; si vedano altresì Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980; Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, dep. 2015, Giannetti, Rv. 262180 e Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011, dep. 2012, Aguì, Rv. 251780, che hanno ribadito il principio anche quanto alle circostanze aggravanti).

3.2. Il secondo motivo aggiunto – che riguarda l’ordine di recupero di cui all’art. 452 -duodecies cod. pen. – è infondato per le stesse ragioni dei corrispondenti motivi principali, cui nulla aggiunge, se non una non ben comprensibile riflessione che coinvolge anche la confisca ex art. 452 -undecies cod. pen.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di D. C. M. limitatamente al reato di cui capo 8, lett. e), perché il fatto non sussiste, e con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano nei confronti di D. C. M. limitatamente al trattamento sanzionatorio, e nei confronti di D. C. M. e P. S. limitatamente alla confisca. Rigetta i ricorsi nel resto.

Così deciso l’11/1/2024.

 

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