PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Differenza tra reato di corruzione da quello di induzione indebita a dare o promettere utilità – Condotta prevaricatrice del funzionario pubblico – Condizione di soggezione psicologica del privato – RIFIUTI – Controlli ambientali – Pubblico ufficiale (ispettore ambientale – ARPAE) – Richiesta di elargizione di denaro o altre – Fattispecie – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Confisca per equivalente – Inapplicabilità in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore – Art. 578-bis cod. proc. pen. – Presenza di causa di estinzione del reato – Limiti del giudice d’appello – Art. 129, c.2, cod. proc. pen..
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 14 Giugno 2023
Numero: 25763
Data di udienza: 18 Aprile 2023
Presidente: CRISCUOLO
Estensore: GALLUCCI
Premassima
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Differenza tra reato di corruzione da quello di induzione indebita a dare o promettere utilità – Condotta prevaricatrice del funzionario pubblico – Condizione di soggezione psicologica del privato – RIFIUTI – Controlli ambientali – Pubblico ufficiale (ispettore ambientale – ARPAE) – Richiesta di elargizione di denaro o altre – Fattispecie – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Confisca per equivalente – Inapplicabilità in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore – Art. 578-bis cod. proc. pen. – Presenza di causa di estinzione del reato – Limiti del giudice d’appello – Art. 129, c.2, cod. proc. pen..
Massima
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 6^, 14 giugno 2023 (Ud. 18/04/2023), Sentenza n. 25763
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Differenza tra reato di corruzione da quello di induzione indebita a dare o promettere utilità – Condotta prevaricatrice del funzionario pubblico – Condizione di soggezione psicologica del privato – RIFIUTI – Controlli ambientali – Pubblico ufficiale (ispettore ambientale – ARPAE) – Richiesta di elargizione di denaro o altre – Fattispecie.
Per distinguere il reato di corruzione da quello di induzione indebita a dare o promettere utilità, l’iniziativa assunta dal pubblico ufficiale, pur potendo costituire un indice sintomatico dell’induzione, non assume una valenza decisiva ai fini dell’esclusione della fattispecie di corruzione, in quanto il requisito che caratterizza l’induzione indebita è la condotta prevaricatrice del funzionario pubblico, cui consegue una condizione di soggezione psicologica del privato.
Fattispecie: in qualità di pubblico ufficiale ed ufficiale di polizia giudiziaria, in quanto dipendente di ARPAE con qualifica di operatore professionale – ispettore ambientale, ha nelle occasioni contestate nei capi di imputazione indotto i titolari di imprese operanti nel territorio di Parma, nei confronti delle quali effettuava attività di controllo, a dargli somme di danaro e altre utilità (buoni carburanti, un orologio Mercedes Benz Classic, generi alimentari, un pacco natalizio).
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Confisca per equivalente – Inapplicabilità in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore – Art. 578-bis cod. proc. pen..
La disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore.
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Presenza di causa di estinzione del reato – Limiti del giudice d’appello – Art. 129, c.2, cod. proc. pen..
In presenza di una causa di estinzione del reato, non può il giudice d’appello, al fine di pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione di circostanze – emergenti “ictu oculi” dagli atti – idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell’imputato ovvero la sua rilevanza penale, neppure quando una tal causa di estinzione sia maturata con riferimento ad un reato oggetto di riqualificazione da parte del giudice di primo grado ed il giudice d’appello sia investito contemporaneamente della questione relativa alla legittimità di siffatta riqualificazione e di quella relativa alla fondatezza nel merito dell’accusa.
(rigetta il ricorso avverso sentenza del 04/05/2022 – CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA), Pres. CRISCUOLO, Rel. GALLUCCI, Ric. Lovati
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 6^, 14/06/2023 (Ud. 18/04/2023), Sentenza n. 25763SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Lovati xxx nato a Salsomaggiore Terme il xxx;
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna il 04/05/2022;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Gallucci;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Riccardi, che ha chiesto che il ricorso venga accolto in riferimento al reato di cui al capo 10, da dichiararsi estinto per prescrizione intervenuta prima della sentenza di primo grado, con conseguente annullamento senza rinvio delle statuizioni civili sul punto e trasmissione degli atti al giudice civile competente in appello per la rideterminazione del risarcimento dovuto alla Parte civile;
letta la memoria scritta,depositata dal difensore della Parte civile ARPAE, Avvocato Pietro Giampaolo, che ha chiesto che il ricorso venga respinto con conseguente condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di giudizio in favore della Parte civile;
letta la nota scritta depositata dal difensore dell’imputato, Avvocato Gabriele Bordoni, che ha contestato le conclusioni del Procuratore generale e della Parte civile insistendo per l’accoglimento integrale del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 4 maggio 2022 (motivazione depositata il successivo 31 maggio), in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Parma in data 12 febbraio 2020, ha dichiarato estinti per prescrizione una serie di capi contestati all’imputato, qualificati come art. 319 quater cod. pen., e in relazione ai quali era stata pronunciata condanna in primo grado (altri reati analoghi erano già stati dichiarati prescritti dal Tribunale), riducendo la somma di denaro oggetto di confisca ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen. a 1.300 euro e diminuendo a 35.000 euro l’entità del risarcimento del danno posto a carico dell’imputato in favore della parte civile ARPAE.
2. Avverso la indicata sentenza di appello l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale deduce due motivi.
2.1. Con il primo motivo si censura la sentenza di secondo grado sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione in ordine all’erronea riqualificazione dei reati – originariamente rubricati sub art. 317 cod. pen. – come violazione dell’art. 319 quater – anziché ai sensi degli artt. 318 o 319 cod. pen. – ed all’impropria applicazione dei metodi di valutazione della prova, con particolare riferimento alle dichiarazioni delle persone offese, evidenziandosi che l’accoglimento della censura comporterebbe l’estinzione dei reati, da qualificare come corruzione propria o impropria, prima della sentenza di primo grado, con conseguente revoca delle statuizioni civili.
Si deduce che, comunque, i reati di cui ai capi 10 (nel proc. n. 564/2008) e F (nel proc. n. 3565/2009), quand’anche ritenuti integranti fattispecie di induzione indebita, risultano comunque prescritti prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
2.2. Con il secondo motivo si censura la statuizione della Corte bolognese in merito alla confisca delle somme di denaro; ciò in quanto, trattandosi di misura disposta a norma dell’art. 322 ter cod. pen. (introdotta con la legge n. 3 del 2019), essa non poteva essere applicata in relazione a fatti di reato avvenuti prima della sua entrata in vigore.
2.3. Con memoria depositata il 27 marzo 2023, contenente “Motivi aggiunti”, detti motivi sono stati reiterati e approfonditi; in particolare – in riferimento alla doglianza in merito alla confisca – si evidenzia che sul punto sono intervenute recentemente le Sezioni unite affermando il principio secondo cui attesa la natura sanzionatoria della confisca per equivalente essa non è applicabile retroattivamente.
4. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato in riferimento alla dedotta carenza probatoria circa la penale responsabilità dell’imputato e la qualificazione giudica dei fatti. Sul punto, la sentenza di appello, nell’escludere la possibilità di prosciogliere nel merito l’imputato ai sensi del secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., motiva in modo adeguato in ordine alla commissione dei fatti induttivi da parte del Lovati indicando, alla luce della giurisprudenza di legittimità, le ragioni per le quali questi (originariamente contestati come concussione “per induzione”) debbono qualificarsi come induzione indebita presentando tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, della fattispecie di cui all’art. 319 quater cod. pen.
2.1. In tal modo, ha fatto buon governo del principio, già affermato da questa Sezione, in base al quale «In presenza di una causa di estinzione del reato, non può il giudice d’appello, al fine di pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione di circostanze – emergenti “ictu oculi” dagli atti – idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell’imputato ovvero la sua rilevanza penale, neppure quando una tal causa di estinzione sia maturata con riferimento ad un reato oggetto di riqualificazione da parte del giudice di primo grado ed il giudice d’appello sia investito contemporaneamente della questione relativa alla legittimità di siffatta riqualificazione e di quella relativa alla fondatezza nel merito dell’accusa» (Sez. 6, n. 27725 del 22/03/2018, Princi, Rv. 273679 – 01).
2.2. Nella specie, la Corte territoriale, richiamando le conclusioni cui è pervenuta la sentenza di primo grado, ha ritenuto dimostrate le condotte del Lovati che in qualità di pubblico ufficiale ed ufficiale di polizia giudiziaria, in quanto dipendente di ARPAE con qualifica di operatore professionale – ispettore ambientale, ha nelle occasioni contestate nei capi di imputazione indotto i titolari di imprese operanti nel territorio di Parma, nei confronti delle quali effettuava attività di controllo, a dargli somme di danaro e altre utilità (buoni carburanti, un orologio Mercedes Benz Classic, generi alimentari, un pacco natalizio).
Peraltro – rileva la Corte di appello – detti fatti non sono negati dall’imputato che “aveva ammesso che il proprio contegno era certamente irregolare e non consono alla funzione esercitata, negando tuttavia di avere mai prevaricato alcun soggetto, viceversa limitandosi a stimolare o ricevere gratifiche per la propria disponibilità a venire incontro ai problemi, alla lacune, ai difetti e alle irregolarità dei controllati – anziché operare sequestri e verbalizzare violazioni che sarebbero state oggetto di repressione – senza peraltro mai avallare o coprire situazioni che potessero comportare ricadute pericolose per l’ambiente” (sentenza di appello, pag. 11).
2.3. Congrua è anche la motivazione della Corte territoriale in punto di qualificazione giuridica dei fatti (pag. 18) nella quale si rileva come la condotta del Lovati fosse stata connotata da modalità chiaramente “induttive”, caratterizzate dalla prospettazione di gravi violazioni nelle normative ambientali e di conseguenti rilevanti sanzioni, per evitare le quali si richiedeva l’elargizione del denaro e delle altre utilità. Pertanto, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del principio affermato da questa Sezione secondo cui «Per distinguere il reato di corruzione da quello di induzione indebita a dare o promettere utilità, l’iniziativa assunta dal pubblico ufficiale, pur potendo costituire un indice sintomatico dell’induzione, non assume una valenza decisiva ai fini dell’esclusione della fattispecie di corruzione, in quanto il requisito che caratterizza l’induzione indebita è la condotta prevaricatrice del funzionario pubblico, cui consegue una condizione di soggezione psicologica del privato» (Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016, Beccari Migliorati, Rv. 268520 – 01); soggezione psicologica chiaramente sussistente, in base a quanto evidenziato dalla Corte territoriale.
3. Residua il profilo relativo al tempus commissi delicti in merito ai reati contestati al capo F (nel proc. n. 3565/2009: induzione indebita a danno di Furia s.r.l.) e al capo 10 (nel proc. n. 564/2008: induzione indebita a danno della soc. Riccoboni). Sul punto il ricorrente sostiene che la prescrizione fosse maturata in data precedente alla pronuncia della sentenza di primo grado e tale accertamento dovrebbe quindi travolgere le statuizioni sulla confisca e sul risarcimento del danno relative a detti reati.
3.1. In ordine al capo 10, il Procuratore generale si è associato al ricorso, ritenendo che in effetti detto reato fosse prescritto prima della pronuncia della sentenza di condanna in primo grado, e ha dunque chiesto l’annullamento senza rinvio e la trasmissione degli atti al giudice civile di appello per la rideterminazione del risarcimento dovuto alla parte civile.
Tale fatto è stato contestato come commesso “in Parma nell’anno 2008”.
Secondo quanto ritenuto dal Tribunale – e recepito dalla Corte di appello – le condotte induttive dell’imputato sono state poste in essere dapprima nel dicembre del 2007 – per tali fatti è stata dichiarata la prescrizione già in primo grado – e quindi nell’anno 2008.
3.2. Risulta dalle sentenze di merito che il reato di induzione indebita contestata al capo F è stato commesso in data 8 settembre 2008 (v. sentenza di primo grado, pag. 87; sentenza di appello, pag. 9 e 22). Pertanto, esso non era prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado (che è del 12 febbraio 2020), dal momento che – come riconosciuto dalla difesa dell’imputato nell’atto di appello – “la fattispecie così come rubricata si, sarebbe in ogni caso estinta per prescrizione alla data del 13/2/2020, all’indomani della sentenza di appello” (sentenza impugnata, pag 14).
Secondo il PG, invece, non essendo possibile affermare con certezza che il fatto sub 10 sia avvenuto entro l’8 settembre 2008 – termine prima del quale il reato si sarebbe estinto precedentemente all’intervento della sentenza del Tribunale -, per il principio del favor rei (viene citata Sez. 6, n. 16202 del 11/03/2021, Voza, Rv. 280900, secondo cui «qualora il reato sia contestato come commesso genericamente fino ad un certo anno o mese, senza ulteriore specificazione, il termine di prescrizione, in applicazione del principio del “favor rei”, comincia a decorrere dal primo giorno utile dell’anno o del mese indicato») non può che concludersi per l’estinzione precedente alla condanna in primo grado.
Rileva peraltro il Collegio che dalla sentenza di primo grado (pag. 87) la consumazione dell’induzione indebita nei confronti di Riccoboni – capo 10 appunto – è indicata come avvenuta il “1 0 dicembre 2008” (e quindi il reato non era prescritto al momento della condanna di primo grado). Va in proposito evidenziato che il profilo relativo alla data di consumazione del reato di cui al capo 10 non è stato oggetto di motivo di appello (infatti la difesa ha invocato la prescrizione per effetto di una diversa qualificazione giuridica dei fatti e non a seguito di un’anticipazione della data di commissione del fatto). Pertanto, dovendosi individuare la commissione di detto reato alla data del 10 dicembre 2008 esso quando è stata pronunciata la sentenza di primo grado non era prescritto.
4. Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla confisca del denaro (ridotta dalla sentenza impugnata a complessivi 1.300 euro), risulta infondato.
Effettivamente, la motivazione della Corte di appello non è corretta, in quanto fondata sul presupposto che l’art. 578 bis cod. proc. pen. – che ha consentito la confisca per equivalente, quale quella di cui all’art. 322 ter cod. pen., anche in caso di condanna per prescrizione purchè fosse stata precedentemente accertata la sussistenza del fatto di reato e la responsabilità dell’imputato – ha “natura processuale” ed è quindi applicabile retroattivamente. A tale riguardo si richiama un orientamento giurisprudenziale (Sez. 2, n. 19645 del 02/04/2021, Cosentino, Rv. 281421) che è stato però superato dalle Sez. U., secondo cui «La disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore» (sent. n. 4145 del 29/09/2022 – dep. 2023, Esposito, Rv. 284209).
4.1. Il Procuratore generale nelle sue conclusioni scritte ha evidenziato che, nonostante l’erronea motivazione, la confisca è comunque corretta, atteso che la misura ha ad oggetto somme di denaro, che costituiscono il profitto dei reati di cui ai capi F (1000 euro) e 13 (300 euro). Al riguardo, dunque, viene in rilievo non già l’art. 578 bis cod. proc. pen., bensì il principio già affermato, tra l’altro, dalle Sezioni Unite ‘Lucci’, secondo cui qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264437; in senso conforme (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, Coppola, Rv. 282037).
4.2. Rileva la Corte che, a prescindere dalla possibilità di individuare direttamente in sede di legittimità la corretta tipologia della misura ablatoria, nel caso di specie è stato il Tribunale (pag. 89 della sentenza di primo grado) a qualificare, correttamente, tale confisca come “diretta e non già per equivalente, il che sarebbe precluso dalla natura eminentemente sanzionatoria che assume questa seconda ipotesi ai sensi dell’articolo 2 del codice penale”.
Quindi, non si tratta di attribuire in questa sede una diversa qualificazione alla confisca ritenuta dai giudici di merito “per equivalente”, ma di rettificare l’erronea motivazione della sentenza di appello a fronte di quella, corretta, dei primi giudici. Operazione consentita a questa Corte ai sensi dell’art. 619, comma 1, cod. proc. pen.
5. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla Parte civile ARPAE Emilia-Romagna, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla Parte civile ARPAE Emilia-Romagna, che liquida in complessivi euro 3.868,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2023