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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Pubblica amministrazione Numero: 9047 | Data di udienza: 31 Gennaio 2018

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Whistleblowing – Tutela del dipendente pubblico che riveli illeciti – Dipendenti infedeli – Denuncia anonima – Identità del segnalante coperta dal segreto – Presupposti e limiti – Art. 329 c.p.p. – Fattispecie: in relazione ad una pluralità di episodi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, truffa aggravata e falso ideologico in atti informatici – (cessione dietro compenso di visura uso ufficio) – Responsabile per la prevenzione della corruzione (RPC) – Reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato – Concorso materiale tra i reati – Accordo corruttivo – Effetti – Induzione in errore – Fattispecie: Falso in atto informatico – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attualità del pericolo di reiterazione del reato – Possibilità di recidiva – Valutazione del giudice – Intercettazione di conversazioni o comunicazioni – Sussistenza dei gravi indizi di reato – Presupposti – Giurisprudenza WHISTLEBLOWING.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Febbraio 2018
Numero: 9047
Data di udienza: 31 Gennaio 2018
Presidente: PETRUZZELLIS
Estensore: TRONCI


Premassima

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Whistleblowing – Tutela del dipendente pubblico che riveli illeciti – Dipendenti infedeli – Denuncia anonima – Identità del segnalante coperta dal segreto – Presupposti e limiti – Art. 329 c.p.p. – Fattispecie: in relazione ad una pluralità di episodi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, truffa aggravata e falso ideologico in atti informatici – (cessione dietro compenso di visura uso ufficio) – Responsabile per la prevenzione della corruzione (RPC) – Reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato – Concorso materiale tra i reati – Accordo corruttivo – Effetti – Induzione in errore – Fattispecie: Falso in atto informatico – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attualità del pericolo di reiterazione del reato – Possibilità di recidiva – Valutazione del giudice – Intercettazione di conversazioni o comunicazioni – Sussistenza dei gravi indizi di reato – Presupposti – Giurisprudenza WHISTLEBLOWING.



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 6^ 27/02/2018 (Ud. 31/01/2018), Sentenza n.9047


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Whistleblowing – Tutela del dipendente pubblico che riveli illeciti – Dipendenti infedeli – Denuncia anonima – Identità del segnalante coperta dal segreto – Presupposti e limiti – Art. 329 c.p.p. – Fattispecie: in relazione ad una pluralità di episodi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, truffa aggravata e falso ideologico in atti informatici – (cessione dietro compenso di visura uso ufficio) – Responsabile per la prevenzione della corruzione (RPC).
 
la lettura della norma dettata dall’art. 54 bis del d. l.vo 30.03.2001 n. 165 – nella formulazione vigente all’epoca dei fatti – è esplicito nel significare che l’anonimato del denunciante – che, in realtà, è solo riserbo sulle generalità, salvo ovviamente il consenso dell’interessato alla loro divulgazione – opera unicamente in ambito disciplinare, essendo peraltro subordinato al fatto che la contestazione "sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione", giacché, ove detta contestazione si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione stessa, "l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato": ne consegue – né potrebbe essere diversamente – che, in caso di utilizzo della segnalazione in ambito penale, non vi è alcuno spazio per l’anonimato – rectius: per il riserbo sulle generalità – in tal senso essendo altresì significativa l’espressa salvezza delle ordinarie previsioni di legge operata dal comma 1 della succitata norma, per il caso che la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, ovvero ancora sia fonte di responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2043 di quel codice. Il che trova ancor più tangibile riscontro nella recentissima modifica del detto art. 54 bis di cui alla legge 30.11.2017 n. 179 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14.12.2017), ove, con disciplina più puntuale, coerentemente alla perseguita finalità di apprestare un’efficace tutela del dipendente pubblico che riveli illeciti, è precisato espressamente che, "Nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale".
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato – Concorso materiale tra i reati – Accordo corruttivo – Effetti – Induzione in errore – Fattispecie: Falso in atto informatico.
 
È configurabile il concorso materiale tra il reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato in quanto l’accordo corruttivo non può integrare l’induzione in errore nei confronti del pubblico ufficiale che partecipa all’accordo, ma può ben indurre in errore gli altri funzionari dell’ente pubblico ed in particolare gli organi di controllo.
 
 
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Attualità del pericolo di reiterazione del reato – Possibilità di recidiva – Valutazione del giudice.
 
In tema di attualità del pericolo di reiterazione, la stessa ricorre allorché sia possibile formulare una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, all’esito di un giudizio che, senza limitarsi alla rilevazione dell’astratta gravità del titolo di reato, risulta fondato sull’analisi della personalità dell’accusato e sulla disamina delle modalità del fatto per cui si procede, al di là della previsione – per così dire – "tangibile", di una specifica occasione per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice, poiché la valutazione circa l’alta probabilità di una "prossima" ricaduta nel delitto non può che fare riferimento alla consistente possibilità di recidiva ove non siano attive le cautele.


DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Intercettazione di conversazioni o comunicazioni – Sussistenza dei gravi indizi di reato – Presupposti – Giurisprudenza.
 
In tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni, il presupposto della sussistenza dei gravi indizi di reato, non va inteso in senso probatorio (ossia come valutazione del fondamento dell’accusa), ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche (Cass., Sez. 3, sent. n. 14954 del 02.12.2014 – dep. 13.04.2015; conf. Sez. 6, sent. n. 10902 del 26.02.2010).
 
 
(conferma ordinanza del 31/07/2017 – TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI) Pres. PETRUZZELLIS, Rel. TRONCI, Ric. Castaldo

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 6^ 27/02/2018 (Ud. 31/01/2018), Sentenza n.9047

SENTENZA

 

 
 
 
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 6^ 27/02/2018 (Ud. 31/01/2018), Sentenza n.9047
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis
 
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da CASTALDO GRAZIANO nato il 21/12/1960 a RIARDO;
 
avverso l’ordinanza del 31/07/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI;
 
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;
 
sentito il PG, in persona del Sost. MARIELLA DE MASELLIS, che ha chiesto dichiarasi l’inammissibilità del ricorso;
 
udito il difensore, avv. NICOLA GAROFALO, in sostituzione dell’avv. LUIGI IANNETTONE per delega orale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
 
RITENUTO IN FATTO
 
1. I difensori di fiducia di Graziano CASTALDO, con un unico atto a firma congiunta, impugnano per cassazione l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Napoli, adito ai sensi dell’art. 309 del codice di rito, ha sostituito la misura della custodia cautelare in carcere, in origine disposta dal g.i.p. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere nei confronti del loro assistito, con quella degli arresti domiciliari (con divieto di comunicazione con persone diverse da quelle conviventi o che lo assistono), così confermando la sussistenza di un quadro di gravità indiziaria a carico del prevenuto, indagato in relazione ad una pluralità di episodi di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, truffa aggravata e falso ideologico in atti informatici, tutti incentrati sulla prassi esistente – in tesi d’accusa – in seno all’Agenzia del Territorio di Caserta, ove il detto CASTALDO prestava la sua attività quale "coordinatore del servizio di ispezioni e certificazioni ipotecarie del reparto servizi di pubblicità immobiliare di Santa Maria Capua Vetere", per cui in detto reparto taluni dipendenti infedeli
– fra i quali, appunto, il prevenuto – "effettuavano visure telematiche o manuali o di consultazioni dei volumi dell’Ufficio, intascando personalmente del denaro e consentendo agli utenti di non corrispondere i diritti dovuti" (con conseguente danno in capo alla P.A.), principalmente sulla scorta di accessi fatti figurare come eseguiti d’ufficio o "esenti", in assenza dei prescritti requisiti di legge e perciò falsamente.
 
2. Avverso detto provvedimento la difesa del ricorrente formula molteplici doglianze.
 
2.1 La prima di esse, ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., s’incentra sulla eccezione d’inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni in atti, sia per aver valorizzato, in funzione dell’integrazione dei gravi indizi di reato, elementi tratti da una denuncia anonima, in spregio al dettato dell’art. 203 dello stesso codice di rito – nessun rilievo potendo avere la successiva identificazione del denunciante, come invece opinato dal Tribunale, peraltro contraddicendo l’assunto del g.i.p. – sia per insussistenza del requisito della indispensabilità delle captazioni, quale chiaramente risultante dalle indicazioni provenienti dal funzionario firmatario della comunicazione della Direzione Centrale Audit e Sicurezza dell’Agenzia delle Entrate da cui ha preso le mosse il presente procedimento, esplicito nell’indicare "la <<strada maestra>> degli accertamenti da effettuare", attraverso l’esame dei fascicoli presenti nel reparto servizi di pubblicità immobiliare di Santa Maria Capua Vetere e la loro comparazione con il dato informatico. 
 
2.2 La seconda censura – sempre ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e), "per violazione ed erronea applicazione dell’art. 125, 121, 292 cpp in relazione all’art. 273 cpp anche in relazione all’art. 15, 319, 319 bis, 318, 321 e 640 cp, mancanza e contraddittorietà della motivazione" – si articola attraverso svariati profili, in forza dei quali si deduce:
> l’assenza di autonoma valutazione della richiesta di applicazione della misura cautelare da parte del g.i.p., come pure di delibazione, ad opera del Tribunale distrettuale, dei "molteplici rilievi (posti) nella memoria difensiva prodotta";
> l’erroneità della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dei capi d’imputazione provvisoria da 1) a 5), da inquadrarsi non già nel paradigma della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, essendo "al più astrattamente ascrivibil(i) all’ipotesi di truffa ovvero di cui all’art. 318 cp", laddove sia il provvedimento genetico che l’ordinanza impugnata hanno malamente affrontato e risolto detto problematica, avendo "imperniato l’accertamento della fattispecie su un segmento della condotta (uso del canale ‘ufficio’ o ‘esente’) che rappresenta invece il mezzo attraverso cui il funzionario compiva l’atto del suo ufficio (che è il rilascio della certificazione)", così asseritamente incorrendo nell’errata individuazione dell’oggetto della condotta, che "irrimediabilmente vizia l’intero percorso ricostruttivo". Tanto restando fermo che la gravità indiziaria dei fatti in questione "si fonda essenzialmente sulle sole intercettazioni", di cui il ricorrente richiama la già dedotta inutilizzabilità, atteso che "le attività di riscontro della p.g. restano un dato meramente assertivo e non dichiarato", in particolare non essendo "esplicitato nell’ordinanza impugnata in cosa consistano questi riscontri e se e in che misura potevano realmente dirsi riferibili al CASTALDO";
> la sostanziale mancata valutazione della pure dedotta irrilevanza penale del fatto, in ragione dell’assoluta modestia delle dazioni di denaro, tali da rientrare nell’ambito della previsione dell’art. 4 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, con conseguente valenza sul solo piano disciplinare;
> "omessa valutazione e assenza di motivazione" con riferimento ai capi da 6) a 32), che, quanto a quelli contrassegnati dai numeri 6), 7L 8L 9), 10) e 14) – tutti relativi ad ipotesi di truffa aggravata – altro non sarebbero che la "riscrittura di una parte della condotta di cui ai capi da 1) a 5)", in violazione del principio del ne bis in idem, mentre l’addebito di falso di cui al capo 14 bis) sarebbe insussistente, per via del rapporto di
assorbimento che ricorre tra il reato di falso e quello di abuso d’ufficio. Inoltre, per il già citato addebito sub 14) e per quello sub 32), sarebbe stata ritenuta "raggiunta la prova della gravità indiziaria dell’art. 640 cp pur in assenza di dazioni illecite e della non riferibilità al CASTALDO ma ad altri indagati"; per il capo 14 bis) di cui sopra e per quello sub 32 bis)
 
– l’ultimo per cui si procede nei confronti del prevenuto – il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare esistenti i dati indiziari, sulla scorta di una motivazione "del tutto generica".
 
2.3 La terza doglianza tocca la tematica delle esigenze cautelari, che la difesa lamenta essere state reputate sussistenti dal giudice distrettuale in forza di una stringata motivazione, che non darebbe risposta alle deduzioni difensive formalizzate con apposita memoria ed a tal fine integralmente ritrascritte, con conseguente violazione dell’obbligo sancito dall’art. 292, co. 2 lett. c bis), cod. proc. pen. Non senza aggiungere, in ogni caso, la dedotta inesistenza del pur ritenuto rischio di reiterazione della condotta illecita, da apprezzarsi alla luce della oggettiva risalenza dei fatti a due anni or sono, del ristretto periodo in cui sono circoscritti e del modesto danno patrimoniale di cui sono stati causa, da parte "di un soggetto, il CASTALDO, per l’appunto, che vanta un curriculum di degno rispetto foriero di dedizione e sacrificio al lavoro", essendo del tutto carente la doverosa valutazione in ordine alla concretezza ed attualità del pericolo in questione.
 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il proposto ricorso deve essere disatteso, alla stregua delle considerazioni che seguono.
 
2. Va innanzi tutto rigettata l’eccezione d’inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni in atti, in ordine alla quale è appena il caso di osservare che essa va ricondotta innanzi tutto alla lettera c) dell’art. 606 cod. proc. pen.
 
2.1 In relazione al requisito della gravità indiziaria, del tutto correttamente il Tribunale napoletano ha valutato l’esposto interno al Reparto servizi di pubblicità immobiliare dell’Agenzia del Territorio di Santa Maria Capua Vetere – il cui autore è stato individuato nel dipendente Rosario BELLEZZA e che il g.i.p. ha considerato alla stregua di un anonimo, salvo di fatto recuperarne il contenuto attraverso la nota della Direzione Centrale Audit dell’Agenzia delle Entrate di cui infra e la successiva informativa di p.g. – come pienamente utilizzabile ai fini dell’integrazione del requisito medesimo, poiché estraneo alla sfera di operatività del pur invocato art. 203 dello stesso codice. Ciò in quanto – come leggesi nel provvedimento impugnato – il c.d. "canale del whistleblowing", deputato alla segnalazione all’ufficio del Responsabile per la prevenzione della corruzione (RPC) di possibili violazioni commesse da colleghi e di cui si è avvalso il detto BELLEZZA, realizza "un sistema che garantisce la riservatezza del segnalante nel senso che il dipendente che utilizza una casella di posta elettronica interna al fine di segnalare eventuali abusi non ha necessità di firmarsi, ma il soggetto effettua la segnalazione attraverso le proprie credenziali ed è quindi individuabile seppure protetto".
 
D’altro canto, la lettura della norma dettata dall’art. 54 bis del d. l.vo 30.03.2001 n. 165 – nella formulazione vigente all’epoca dei fatti – offre puntuale conferma dell’esattezza dell’impostazione seguita dai giudici napoletani, atteso che il secondo comma dell’articolo in questione è esplicito nel significare che l’anonimato del denunciante – che, in realtà, è solo riserbo sulle generalità, salvo ovviamente il consenso dell’interessato alla loro divulgazione – opera unicamente in ambito disciplinare, essendo peraltro subordinato al fatto che la contestazione "sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione", giacché, ove detta contestazione si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione stessa, "l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato": ne consegue – né potrebbe essere diversamente – che, in caso di utilizzo della segnalazione in ambito penale, non vi è alcuno spazio per l’anonimato – rectius: per il riserbo sulle generalità – in tal senso essendo altresì significativa l’espressa salvezza delle ordinarie previsioni di legge operata dal comma 1 della succitata norma, per il caso che la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, ovvero ancora sia fonte di responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2043 di quel codice. Il che trova ancor più tangibile riscontro nella recentissima modifica del detto art. 54 bis di cui alla legge 30.11.2017 n. 179 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14.12.2017), ove, con disciplina più puntuale, coerentemente alla perseguita finalità di apprestare un’efficace tutela del dipendente pubblico che riveli illeciti, è precisato espressamente che, "Nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale".
 
La prospettazione difensiva va, dunque, senz’altro disattesa, per l’effetto risultando irrilevanti i copiosi richiami alla condivisibile giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, in tema di anonimato.
 
2.2 Non ha alcun pregio neppure l’eccezione comunque mossa in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità.
 
Alla stregua di quanto appena sopra rilevato, va innanzi tutto ribadito che, al di là di quanto opinato dallo stesso g.i.p., il contenuto delle rivelazioni del "whistleblower” circa le compravendite di visure immobiliari in uso nell’ufficio di Santa Maria Capua Vetere, quale trasfuso nella segnalazione 16.09.2015 inviata dalla Direzione Centrale Audit dell’Agenzia delle Entrate cui fa riferimento il contestato decreto del 07.11.2015, non costituisce mero spunto investigativo, bensì assurge al rango di vera e propria dichiarazione accusatoria, cui si sommano le (valorizzate) risultanze degli accertamenti compiuti dalla detta Direzione Centrale Audit, aventi valenza di riscontro nei confronti dei dipendenti Graziano CASTALDO e Raffaele GAGLIARDI, ossia giusto dell’odierno ricorrente e di altro addetto al suo stesso reparto, a carico dei quali veniva rilevato un numero assolutamente abnorme di visure richieste per uso ufficio o in esenzione di pagamento nei mesi immediatamente precedenti (CASTALDO), ovvero un numero comunque inopinatamente elevato di tali visure (GAGLIARDI).
 
Per finire con le inequivoche indicazioni tratte dalla pure richiamata informativa del 27.10.2015, in cui si dà conto, sulla scorta di pregresse intercettazioni ambientali debitamente autorizzate, della condotta illecita tenuta dal CASTALDO, che si appropriava, inserendola nel proprio portafoglio, della banconota consegnatagli da ignote terze persone, dopo aver eseguito alla loro presenza una visura uso ufficio ed aver consegnato la relativa stampa, a probante conferma della generale veridicità della segnalazione eseguita, prima, dal "whistleblower", e, poi, dalla Direzione Centrale Audit.
 
Da ultimo, va inoltre debitamente evidenziato che, per insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, "In tema di intercettazione di conversazioni o comunicazioni, il presupposto della sussistenza dei gravi indizi di reato, non va inteso in senso probatorio (ossia come valutazione del fondamento dell’accusa), ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche" (così, da ultimo, Sez. 3, sent. n. 14954 del 02.12.2014 – dep. 13.04.2015, Rv. 263044; conf. Sez. 6, sent. n. 10902 del 26.02.2010, Rv. 246688): ciò che, alla stregua di quanto precede, non può essere seriamente posto in discussione nella presente fattispecie.
 
2.3 Va infine disattesa anche l’ulteriore questione – cui il ricorrente attribuisce rilievo pari a quello concernente il presunto carattere anonimo della denuncia del BELLEZZA – sollevata dalla difesa sul punto, con riferimento al requisito dell’assoluta indispensabilità delle autorizzate captazioni.
 
Come detto, la prospettazione difensiva trae fondamento dalle parole del dirigente dell’Agenzia delle Entrate, dott. Leonardo ZAMMARCHI – le cui s.i.t. il  Tribunale dà atto essere allegate alla già citata informativa del 27 .10.2015 – di cui la difesa valorizza il passaggio in cui il funzionario evidenzia come la definitiva fondatezza della originaria segnalazione del BELLEZZA debba passare attraverso la disamina dei fascicoli esistenti presso l’ufficio interessato e la loro comparazione con il dato informatico, così indicando una via d’indagine che gli inquirenti avrebbero dovuto percorrere senza accedere all’invasivo strumento delle intercettazioni.
 
L’assunto – come anticipato – non riveste reale fondamento.
 
Duplici sono le considerazioni che legittimano siffatta conclusione (al di là del preliminare rilievo per cui l’obiezione difensiva viene formulata senza rapportarsi alla totalità del quadro indiziario messo in risalto dal decreto del g.i.p., omettendo del tutto di prendere in esame le ulteriori ed oggettive risultanze acquisite a carico del CASTALDO, della cui significatività, anche nei riguardi del GAGLIARDI, si è già detto, viepiù alla luce dei già rimarcati limiti in cui va correttamente intesa la nozione di gravi indizi di reità):
 
– in primo luogo, si rileva che l’indicazione offerta dal dott. ZAMMARCHI riveste valenza parziale, non essendo estensibile alle ipotesi in cui la condotta illecita denunciata si sia concretizzata nell’effettuazione a pagamento di visure cartacee, senza alcun accesso informatico;
– secondariamente – ma non certo in ordine d’importanza – l’ipotesi di reato considerata dal decreto di cui trattasi è quella della corruzione, reato notoriamente a concorso necessario, rispetto alla quale il g.i.p. è esplicito nel significare che l’assoluta indispensabilità del ricorso allo strumento captativo trova la propria ragion d’essere nell’esigenza – destinata diversamente a restare inevasa – di acquisire elementi di prova "in ordine all’identità dei soggetti a vario titolo coinvolti nella perpetrazione dei fatti delittuosi per cui si procede", oltre che per quelli "di presumibile futura realizzazione".
 
Conclusivamente, è appena il caso di osservare che si palesa irrilevante il fatto che il Tribunale non abbia risposto sul punto dell’assoluta indispensabilità del mezzo captativo, giacché, nonostante il richiamo (improprio) anche all’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., il ricorrente ha inteso dedurre una violazione di legge ed effettivamente ci si trova in presenza di inottemperanza alla legge processuale, a pena d’inutilizzabilità – come tale, rilevabile anche d’ufficio – onde il dato decisivo poggia sulla fondatezza o meno della relativa eccezione e non sulla motivazione svolta che può anche al limite mancare, come nel caso – pur difforme da quello di specie – in cui la questione sia sollevata per la prima volta in sede di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. n. 31046 del 21.09.2016 – dep. 21.06.2017, rv. 270903). 
 
3. Proseguendo nella disamina delle doglianze difensive, nel rispetto dell’ordine in cui sono state prospettate, relativamente sia al preteso difetto di autonoma valutazione della domanda cautelare ad opera del g.i.p., sia alla mancata disamina delle deduzioni difensive da parte del Tribunale adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., osserva il Collegio che trattasi di doglianze del tutto generiche, essendosi risolte solo nel richiamo a condivisibili massime della giurisprudenza di legittimità, al di fuori di ogni riferimento concreto al caso di specie.
 
4. Quanto, poi, alla tematica sollevata in tema di qualificazione giuridica dei fatti, è agevole rilevare, in via preliminare, che la prospettazione difensiva si basa su di un gratuito frazionamento della condotta posta in essere dal CASTALDO, tesa ad isolare indebitamente l’innegabile potere di rilascio delle certificazioni, esistente in capo allo stesso in ragione delle mansioni svolte all’interno dell’ufficio di cui era capo reparto, dalla preordinata violazione di tutta la normativa inerente alla legittima richiesta di atti da parte dell’utenza, così al contempo mercificando, di concerto con il singolo privato, le proprie funzioni (badando altresì di non lasciare, ovvero di limitare le tracce del proprio comportamento) e frodando l’Amministrazione statale, privata dell’incasso dei tributi ad essa spettanti.
 
4.1 Non ha dunque alcun pregio la pretesa di ricondurre i fatti ascritti nell’alveo della figura di reato disciplinata dall’art. 318 cod. pen., per giurisprudenza consolidata destinata a venir meno – così come il Tribunale non ha mancato opportunamente di richiamare – in presenza di un atto contrario ai doveri d’ufficio (cfr. di recente, peraltro con riferimento all’ipotesi, diversa dal caso di specie, di atti formalmente legittimi, ma frutto dell’asservimento della  discrezionalità del p.u. agli interessi del terzo, Sez. 6, sent. n. 46492 del 15.09.2017, Rv. 271383, nonché Sez. 6, sent. n. 40237 del 07.07.2016, Rv. 267634, con riguardo all’ipotesi dello stabile asservimento del p.u. in cui s’inseriscano, appunto, atti contrari ai doveri d’ufficio). Essendo appena il caso di aggiungere che quanto precede comporta l’automatico superamento del connesso assunto della irrilevanza penale delle condotte oggetto di contestazione provvisoria al CASTALDO, per via della dedotta modestia delle singole dazioni di denaro, che nulla hanno a che vedere con le regalie d’uso disciplinate dall’art. 4 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a cui la difesa vorrebbe ricondurle.
 
4.2 Allo stesso modo, è senza meno destituita di fondamento la tesi difensiva della qualificazione – s’intende esclusiva – dei fatti medesimi in termini di truffa aggravata, atteso che la giurisprudenza di questa Corte, con ripetute pronunce anche assai risalenti nel tempo ma sempre valide, ha avuto modo di affermare che "È configurabile il concorso materiale tra il reato di corruzione ed il reato di truffa in danno dello Stato in quanto l’accordo corruttivo non può integrare l’induzione in errore nei confronti del pubblico ufficiale che partecipa all’accordo, ma può ben indurre in errore gli altri funzionari dell’ente pubblico ed in particolare gli organi di controllo" (così Sez. 1, sent. n. 10371 dell’08.07.1995, Rv. 202738; ma v. già, in senso conforme, Sez. 3, sent. n. 8116 del 25.06.1984, Rv. 165961 e, prima ancora, Sez. 6, sent. n. 851 del 15.10.1971, Rv. 119544 e n. 104 del 29.01.1971, Rv. 117478). Il che comporta l’ovvia inconsistenza dell’ulteriore obiezione per cui i capi da 6) a 10) e 14), appunto per truffa aggravata, sarebbero la "riscrittura di una parte della condotta di cui ai capi da 1) a 5)" – in realtà, tanto vale per i capi da 6) a 9), con riferimento a quelli da 1) a 4) – in violazione del principio del ne bis in idem.
 
Trattandosi di violazione di legge, in entrambi casi, si ribadisce essere irrilevante che il Tribunale abbia omesso di motivare sul punto, stante l’inconsistenza della tesi difensiva.
 
5. Per il resto, in ordine alla tematica della (denegata) sussistenza della gravità indiziaria a carico del CASTALDO, è agevole rilevare:
 
> quanto ai capi 14) e 32), che la doglianza difensiva è formulata in termini totalmente generici, non essendo state peraltro a suo tempo formulate specifiche censure innanzi al Tribunale, conseguentemente non tenuto all’obbligo di motivazione di sorta in proposito;
 
> quanto al capo 14 bis), in tema di falso in atto informatico, che il principio ricordato dalla difesa comporta l’assorbimento del resto di abuso d’ufficio, allorché la condotta ascritta al pubblico ufficiale in relazione a tale ultima fattispecie si risolva nella commissione di un fatto qualificabile, appunto, come falso in atto pubblico: onde in nessun caso potrebbe da ciò scaturire il venir meno dell’ipotesi criminosa di cui al predetto capo d’imputazione provvisoria;
 
> quanto allo stesso capo 14 bis) ed a quello sub 32 bis), che valgono le medesime considerazioni di cui sopra, circa la genericità dei rilievi difensivi e l’assenza di doglianze sul punto innanzi al Tribunale distrettuale.
 
6. Neppure in ordine alla problematica della valutazione delle esigenze cautelari ad opera del Tribunale, le pur ampie censure mosse dal ricorrente colgono nel segno. 
 
Il giudice distrettuale – cui ovviamente competeva di rispondere alla censure difensive in proposito, esplicitando i punti qualificanti e dirimenti del proprio convincimento, senza necessità di confutare, punto per punto, le singole doglianze – ancorché sinteticamente, ha ribadito e fatto proprie le considerazioni già spese dal g.i.p. nel provvedimento genetico, tese a porre in evidenza, sulla scorta del puntuale riferimento a conversazioni intercettate che vedono quali protagonisti principali giusto il CASTALDO ed il GAGLIARDI: a) la significativa reiterazione delle condotte illecite, sintomatiche del vero e proprio sistema fraudolento e di corruttela instaurato nella sede di Santa Maria Capua Vetere dell’Agenzia delle Entrate, stante l’allarmante coinvolgimento di un numero rilevante di dipendenti, primi fra tutti l’attuale ricorrente (capo reparto dell’ufficio "inquinato") ed il GAGLIARDI; b) il profilo fortemente negativo della personalità di entrambi i prevenuti, quale discende, oltre che dalle condotte in sé, sia dalla sfrontata prosecuzione del proprio comportamento pur nella consapevolezza di una ispezione interna in atto, tesa proprio a verificare la sussistenza di pratiche illecite, sia dalla ritorsione attuata nei confronti del BELLEZZA, con il proposito di ricorrere a forme ancore più cruente di "punizione" nei confronti del collega "non allineato", improntate a vera e propria violenza fisica.
 
Discende da ciò, in ossequio ai principi tratteggiati in parte motiva dalla sentenza Lovisi delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 20769 del 28.04.2016), sia l’indiscutibile concretezza del pericolo di reiterazione delle condotte illecite
– sulla quale non mette conto di soffermarsi oltre – sia l’attualità del pericolo medesimo, per la palesata capacità del CASTALDO di intessere rapporti e di creare un vero e proprio sistema illecito in seno all’ufficio di appartenenza, così dimostrando il possesso delle attitudini per la commissione di fatti analoghi, pur se il tempo decorso ha opportunamente indotto il Tribunale a ritenere maggiormente adeguata la meno gravosa misura in atto degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione con soggetti terzi, così implicitamente reputando inadeguate, in coerenza con il quadro in precedenza delineato, misure ancor meno afflittive. Non senza puntualizzare, sempre in tema di attualità del pericolo di reiterazione, che la stessa ricorre allorché – come nel caso di specie, alla stregua del ragionamento del Tribunale – sia possibile formulare una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, all’esito di un giudizio che, senza limitarsi alla rilevazione dell’astratta gravità del titolo di reato, risulta fondato sull’analisi della personalità dell’accusato e sulla disamina delle modalità del fatto per cui si procede, al di là della previsione – per così dire – "tangibile", di una specifica occasione per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice, poiché la valutazione circa l’alta probabilità di una "prossima" ricaduta nel delitto non può che fare riferimento alla consistente possibilità di recidiva ove non siano attive le cautele (v., in proposito, Sez. 6, sent. n. 15978 del 27.11.2015 – dep. 2016, Rv. 266988; Sez. 5, sent. n. 33004 del 03.05.2017, Rv. 271216).
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
 
Così deciso in Roma, il 31.01.2018
 

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