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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale penale, Pubblica amministrazione Numero: 14238 | Data di udienza: 11 Gennaio 2023

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reati di peculato, corruzione propria, turbata libertà di scelta del contraente, truffa, falso ideologico – Ipotesi di patteggiamento c.d. allargato – Assenza di distinzione tra le diverse forme di patteggiamento – Giurisprudenza Penale – Artt. 323 bis, 317 bis cod. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen. – Erronea qualificazione giuridica dei fatti – Casi di errore manifesto – Art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen..


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 4 Aprile 2023
Numero: 14238
Data di udienza: 11 Gennaio 2023
Presidente: FIDELBO
Estensore: SILVESTRI


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reati di peculato, corruzione propria, turbata libertà di scelta del contraente, truffa, falso ideologico – Ipotesi di patteggiamento c.d. allargato – Assenza di distinzione tra le diverse forme di patteggiamento – Giurisprudenza Penale – Artt. 323 bis, 317 bis cod. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen. – Erronea qualificazione giuridica dei fatti – Casi di errore manifesto – Art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen..



Massima

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 6^, 4 aprile 2023 (Ud. 11/01/2023), Sentenza n. 14238

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Reati di peculato, corruzione propria, turbata libertà di scelta del contraente, truffa, falso ideologico – Ipotesi di patteggiamento c.d. allargato – Assenza di distinzione tra le diverse forme di patteggiamento – Giurisprudenza Penale – Artt. 323 bis, 317 bis cod. pen. – DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen..

La possibilità per il giudice che emetta sentenza di patteggiamento per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui all’art. 445, comma 1-ter, cod. proc. pen., di applicare le pene accessorie previste dall’art. 317-bis cod. pen. opera, oltre che nel caso di patteggiamento ordinario, anche in quello di patteggiamento cd. allargato, purché siano esplicitate, sia nell’uno che nell’altro caso, le ragioni di tale applicazione.

 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Erronea qualificazione giuridica dei fatti – Casi di errore manifesto – Art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen..

In tema di qualificazione giuridica dei fatti, anche successivamente alla introduzione della previsione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai soli casi di qualificazione palesemente eccentrica (cc.dd. casi di errore manifesto) rispetto al contenuto del capo di imputazione, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato.

(annulla limitatamente con rinvio TRIBUNALE DI MILANO), Pres. FIDELBO, Rel. SILVESTRI, Ric. Nucera ed altro


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 6^, 04/04/2023 (Ud. 11/01/2023), Sentenza n. 14238

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

composta dagli IlL.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

omissis

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Milano ha applicato a Nucera A. e Bonina R. rispettivamente la pena di anni quattro e mesi sei e anni due e mesi otto di reclusione.

Nucera, sindaco del comune di Opera, è imputato per i reati di peculato, corruzione propria, turbata libertà di scelta del contraente, truffa, falso ideologico; Bonina è invece imputato per il reato di corruzione propria.

2. Ha proposto ricorso per cassazione Nucera A. articolando due motivi.

2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’applicazione, ai sensi dell’art. 317 bis cod. pen., della pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della incapacità in perpetuo a contrattare con la pubblica amministrazione.

Il riferimento è all’art. 445, comma 1 ter, cod. proc. pen., introdotto con la legge 9 gennaio 2019, n. 3, a norma del quale con la sentenza di patteggiamento per una serie di reati il giudice può applicare le pene accessorie previste dall’art. 317 bis cod. pen.

Dunque, si argomenta, a fronte di una previsione normativa che attribuisce al giudice un potere discrezionale in relazione all’applicazione della pena accessoria, nel caso di specie il Tribunale avrebbe applicato le pene in questione in modo automatico senza nessuna motivazione.

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene al diniego della circostanza attenuante prevista dall’art. 323 bis cod. pen. che, se riconosciuta, avrebbe consentito di non applicare la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici.

L’attenuante avrebbe dovuto essere configurata in ragione della esiguità del danno, del comportamento comunque collaborativo dell’imputato, che ha restituito il profitto e risarcito il danno cagionato; la circostanza, si aggiunge sarebbe stata riconosciuta in favore di altro imputato con posizione omogenea.

Sotto altro profilo si assume che del peculato non sussisterebbero gli elementi costituivi.

2.3. Sono stati presentati motivi nuovi con cui si pone anche il tema della legittimità costituzionale dell’art. 317 bis cod. pen., richiamato dall’art. 445, comma 1 ter, cod. proc. pen.

3. Ha proposto ricorso per cassazione Rosario Bonina articolando tre motivi.

3.1. Con il primo si deduce violazione di legge quanto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti; sul punto la motivazione sarebbe stata completamente omessa.

Il fatto corruttivo avrebbe ad oggetto la preventiva comunicazione alla società Veria s.r.l., di cui sarebbe stato amministratore di fatto l’imputato, dell’entità del preventivo presentato da altra società concorrente onde consentire alla società favorita un ribasso funzionale all’affidamento del lavoro.

L’assunto è che detta comunicazione preventiva non costituirebbe un atto contrario ai doveri di ufficio perché nella specie sarebbe stato possibile un affidamento diretto dei lavori; vi sarebbe stato solo un confronto informale da parte degli amministratori finalizzato a favorire l’ente, atteso che, dato per assodato che l’importo dell’appalto fosse inferiore ai 40.000 euro, se si fosse voluto favorire l’impresa si sarebbe potuto procedere direttamente senza la necessità di confrontare alcunchè.

Dunque una condotta non preordinata a favorire un terzo; né nella specie sarebbe ravvisabile uno stabile asservimento del pubblico ufficiale, sicchè non potrebbe essere configurato nemmeno il reato di cui all’art. 318 cod. pen.

3.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge quanto alla qualificazione del fatto in relazione all’art. 323 bis cod. pen.

L’imputato avrebbe confessato l’addebito in modo così convincente che da essa sarebbe derivata l’assoluzione dell’amministratore di diritto della società; ciò avrebbe dovuto comportare il riconoscimento della invocata circostanza attenuante.

3.3. Con il terzo motivo si deduce omessa motivazione quanto alla liquidazione delle spese processuali alla parte civile.

3.4. Sono stati presentati motivi aggiunti con cui si deduce il tema dell’applicazione delle pene accessorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati limitatamente ai motivi relativi all’applicazione delle pene accessorie.

2. Sono inammissibili, perché non consentiti dalla legge, il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di A. Nucera e i primi due motivi proposti nell’interesse di R. Bonina.

2.1. Quanto al tema della qualificazione giuridica dei fatti, la Corte di cassazione ha chiarito che anche successivamente alla introduzione della previsione dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto é limitata ai soli casi di qualificazione palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 23150 del 17/04/2019, Ei Zitoumi, Rv. 275971).

La possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è cioè limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619).

In ragione dei principi indicati, nel caso di specie, l’esame formale del contenuto delle imputazioni- da cui emerge chiaramente la descrizione di un fatto corruttivo- rivela l’inammissibilità dei motivi di ricorso che invece presuppongono valutazioni sulla fondatezza delle contestazioni.

2.2. Non diversamente, sono inammissibili i motivi relativi al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’art. 323 bis cod, pen. perché la censura esula da quelle che, a seguito delle modifiche apportate al codice di rito dalla legge n. 103 del 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, possono essere proposte, con il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti.

Il ricorso è infatti ammesso ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, alla erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza, nessuno dei quali dedotto dal ricorrente.

3. Sono invece fondati i motivi relativi all’applicazione delle pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della incapacità in perpetuo di contattare con la pubblica amministrazione.

Va premesso che, nel caso di specie, in cui la statuizione è facoltativa e non ha costituito oggetto dell’accordo tra le parti, il ricorso è proponibile ai sensi della disciplina generale di cui all’art. 606 cod. proc. pen. e, dunque, non si pone una questione di ammissibilità ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (in questo senso Sez. U, n. 21368 del 26/9/2019, Savin, Rv. 279348-03).

Ciò detto, la sentenza impugnata ha applicato agli imputati una pena principale superiore ai due anni di reclusione e le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici in perpetuo e della incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione.

Le pene accessorie sono state applicate senza nessuna motivazione.

4. Per effetto dell’art. 1, comma 4, lettera d), della legge n. 3 del 2019 è stato aggiunto all’art. 444 cod. proc. pen, il comma 3-bis, ai cui sensi, nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis cod. pen., «la parte, nel formulare la richiesta, può subordinarne l’efficacia all’esenzione dalle pene accessorie previste dall’articolo 317-bis del codice penale ovvero all’estensione degli effetti della sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. In questi casi il giudice, se ritiene di applicare le pene accessorie o ritiene che l’estensione della sospensione condizionale hon possa essere concessa, rigetta la richiesta».

Con l’art. 1, comma 4, lettera e), numeri 1) e 2), della legge indicata, inoltre, il legislatore ha, rispettivamente, modificato il comma 1 dell’art. 445 cod. proc. pen., e introdotto nella stessa norma un nuovo comma 1-ter.

La prima modifica, incidente sulla disposizione che prevede il beneficio della esenzione dalle pene accessorie per i casi in cui il rito si concluda con l’applicazione di una pena detentiva non superiore ai due anni (cosiddetto “patteggiamento ordinario”), introduce la specificazione in forza della quale «nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l’applicazione del comma 1-ter».

La seconda modifica aggiunge all’art. 445 cod. proc. pen. il comma 1-ter, in cui si stabilisce che «con la sentenza di applicazione della pena di cui all’articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis del codice penale, il giudice può applicare le pene accessorie previste dall’articolo 317-bis del codice penale».

Quanto all’ambito applicativo della nuova disciplina, non è in contestazione che essa incida sul ‘patteggiamento ordinario”; in tal senso depone il rinvio all’art. 445, comma 1-ter, contenuto nella clausola aggiunta al comma 1, norma
quest’ultima che, come detto, si riferisce alle pene patteggiate di entità non superiore ai due anni di reclusione.

Dunque, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 3 del 2019, gli imputati per i reati contro la pubblica amministrazione non si giovano più automaticamente, in caso di “patteggiamento ordinario”, del beneficio della esenzione dalle pene accessorie previste dall’art. 317-bis cod. pen., poiché la valutazione sul punto è ora rimessa al giudice.

In tal senso, si è fatto correttamente notare in dottrina, il primo dato che emerge dalla novellata disposizione normativa è che le modifiche apportate art. 445 cod. proc. pen. incidono su uno dei principali profili di premialità tradizionalmente tipici del patteggiamento ordinario.

Nella versione previgente, come è noto, il principio generale contenuto nell’art. 445, comma 1, cod. proc. pen. era quello del divieto di applicazione delle pene accessorie nei casi in cui la pena applicata fosse contenuta nel limite di due anni di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria.

La nuova clausola di salvezza posta al termine della disposizione in esame, richiamando in modo simmetrico la previsione normativa che ha introdotto il potere del giudice del patteggiamento di decidere, per alcune tipologie di reati contro la pubblica amministrazione, se applicare o meno le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 445, comma 1 ter, cod. proc. pen.), implica che, nei casi ed entro i limiti indicati, l’applicazione delle pene accessorie, da oggetto di un rigido divieto, viene attualmente rimodulata ad opzione decisoria, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.

Si è osservato come, per effetto dell’intervento legislativo, si sia realizzato un sistema obiettivamente mutato in quanto il combinato disposto dei commi 1 e 1 ter dell’art. 445 così come modificati dalla legge in esame implica, infatti, che il giudice “non è più confinato al ruolo di mero veicolo di decisioni – id est, applicazione obbligatoria, nella generalità dei casi; divieto di applicazione, nel caso di patteggiamento ordinario – prese a monte dal legislatore alle quali egli, pertanto, può solo passivamente conformarsi, ma assurge all’inedito ruolo di organo chiamato a decidere, su base discrezionale, ….. sull’an di applicazione delle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione”,

Quanto alla estensione di tale potere discrezionale del giudice anche al patteggiamento cosiddetto “allargato”, in cui l’accordo processuale si riferisce a pene detentive di entità superiore ai due anni, la Corte Costituzionale ha già fatto notare che “mentre i lavori preparatori della legge n. 3 del 2019 potrebbero orientare verso la soluzione negativa – la relazione illustrativa al disegno di legge AC n. 1189 afferma, infatti, che si intendeva rimettere alla «valutazione discrezionale del giudice l’applicazione delle sanzioni accessorie, nel caso di irrogazione di una pena che non superi i due anni di reclusione» – la stessa conclusione non è affatto autorizzata dal tenore letterale degli artt. 444, comma 3-bis, e 445, comma 1-ter, cod. proc. pen.” (in tal senso, cfr., Corte cost. n. 231 del 2021).

Si è sottolineato, in particolare, come nessuna delle due disposizioni indicate faccia esplicito riferimento, così come verosimilmente il legislatore intendeva, a specifiche soglie di pena detentiva concordata tra le parti.

La frattura tra il contenuto della relazione di accompagnamento al disegno di legge e il testo normativo era stata segnalata.

Infatti proprio l’assenza di distinzione tra le diverse forme di patteggiamento era stata evidenziata in sede di parere sul citato disegno di legge AC n. 1189 dal Consiglio superiore della magistratura che aveva evidenziato come la formulazione del proposto art. 444, comma 3-bis, cod. proc. pen., «che richiama specificamente e senza limitazioni di pena [taluni] delitti contro la p.a., rende possibile un’interpretazione che includa nel suo ambito di operatività non solo il caso del patteggiamento a pena contenuta nei due anni […] ma anche le ipotesi di patteggiamento a pena superiore a due anni di reclusione» (Parere del 19 dicembre 2018 sul disegno di legge AC n. 1189 “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici).

Nonostante le segnalazioni in questione, il legislatore non ha ritenuto di intervenire; dunque la lettera della legge, nel delineare il raggio d’azione delle nuove disposizioni, fa leva solo sul riferimento a determinati reati, con la sola aggiunta – nel caso dell’art. 445, comma 1 ter, cod. proc. pen. – del rinvio all’art. 444, comma 2, cod. proc. pen.

Si è fatto correttamente notare come ne sia conseguito un sistema per cui, da una parte, l’introduzione del potere del giudice di decidere se applicare o meno le pene accessorie per il patteggiamento non allargato, riveli il venir meno di uno dei principali profili di premialità generalmente riconosciuti dalla legge – id est, il divieto di applicazione delle pene accessorie -, ma, dall’altra, con particolare riguardo al caso di patteggiamento allargato, si siano delineati per l’imputato vantaggi altrimenti non previsti.

Ne deriva che, in ragione del dato letterale della norma, la novella attrae nella sua sfera di efficacia non solo i casi di sentenze che applichino una pena non superiore ai due anni di reclusione ma anche le ipotesi di patteggiamento c.d. allargato (in tal senso, sez. 6, n. 18510 del 22/04/2022, Bellini, non massimata, Sez. 6, n. 6614 del 19/11/2020, dep. 2021, Farina, non massimata).

5. Sul punto la sentenza impugnata è obiettivamente silente e deve quindi essere annullata; il Tribunale applicando i principi indicati valuterà se gli imputati debbano essere condannati alle pene accessorie previste dalla legge e motiverà anche in relazione alla condanna degli imputati alla rifusione delle spese in favore della parte civile

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie applicate nei confronti dei ricorrenti e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Milano.

Rigetta nel resto i ricorsi.

Così deciso in Roma, l’11 gennaio 2023.

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