PUBBLICO IMPIEGO – Accertamento dell’esistenza di un atteggiamento vessatorio da parte della P.A. nei confronti di un dipendente pubblico – Qualifica dirigenziale – Svolgimento di funzioni dirigenziali di studio – Idoneità professionale del dipendente pubblico – Non configurabilità di un diritto soggettivo a conservare determinate posizioni dirigenziali – Non sussistenza di ipotesi di demansionamento – Incarico di studio – art. 19, comma 10, del D.Lgs. n. 165 del 2001 – art. 2103 c.c. – art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Motivi di ricorso per cassazione – Violazione della legge e della contrattazione collettiva – art. 360, n. 3, c.p.c.– Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti – art. 360, n. 5, c.p.c. – Infondatezza (massima a cura di Luca Maria Tonelli)
Provvedimento: Ordinanza
Sezione: Lavoro
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 18 Giugno 2020
Numero: 11891
Data di udienza: 11 Dicembre 2019
Presidente: Napoletano
Estensore: Marotta
Premassima
PUBBLICO IMPIEGO – Accertamento dell’esistenza di un atteggiamento vessatorio da parte della P.A. nei confronti di un dipendente pubblico – Qualifica dirigenziale – Svolgimento di funzioni dirigenziali di studio – Idoneità professionale del dipendente pubblico – Non configurabilità di un diritto soggettivo a conservare determinate posizioni dirigenziali – Non sussistenza di ipotesi di demansionamento – Incarico di studio – art. 19, comma 10, del D.Lgs. n. 165 del 2001 – art. 2103 c.c. – art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Motivi di ricorso per cassazione – Violazione della legge e della contrattazione collettiva – art. 360, n. 3, c.p.c.– Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti – art. 360, n. 5, c.p.c. – Infondatezza (massima a cura di Luca Maria Tonelli)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro – 18 giugno 2020, ordinanza n. 11891
PUBBLICO IMPIEGO – Accertamento dell’esistenza di un atteggiamento vessatorio da parte della P.A. nei confronti di un dipendente pubblico – Qualifica dirigenziale – Svolgimento di funzioni dirigenziali di studio – Idoneità professionale del dipendente pubblico – Non configurabilità di un diritto soggettivo a conservare determinate posizioni dirigenziali – Non sussistenza di ipotesi di demansionamento – Incarico di studio – art. 19, comma 10, del D.Lgs. n. 165 del 2001 – art. 2103 c.c. – art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001.
Costituisce principio generale quello per cui, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non consente perciò – anche in difetto della espressa previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, stabilita per le Amministrazioni statali – di ritenere applicabile l’art. 2103 c.c. (e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica, nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico è soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche. In tema di dirigenza pubblica, la qualifica dirigenziale esprime esclusivamente l’idoneità professionale del dipendente, senza che sia configurabile un diritto soggettivo a mantenere o a conservare un determinato incarico; la cessazione di un incarico di funzione e la successiva attribuzione di un incarico di studio ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 10, non determina un demansionamento.
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Motivi di ricorso per cassazione – Violazione della legge e della contrattazione collettiva – art. 360, n. 3, c.p.c.– Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti – art. 360, n. 5, c.p.c. – Infondatezza.
Il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, ogni caso, prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4, i motivi per i quali chiede la cassazione, sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.
Pres. Napoletano, Est. Marotta
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro – 18 giugno 2020, ordinanza n. 11891SENTENZA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15190/2014 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI
180, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO LUIGI BRASCHI, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUCIANO GIORGIO
PETRONIO, MARCELLO MENDOGNI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PARMA, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in
ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO FOSCHINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 629/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,
depositata il 05/06/2013 R.G.N. 610/2009.
Fatto
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 629, resa in data 5 giugno 2013, la Corte d’appello di Bologna confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda di C.L., dipendente del Comune di Parma dal 17/3/1973 al 3/3/2004, da ultimo quale dirigente, intesa ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un atteggiamento vessatorio posto in essere dal Comune ai suoi danni costituito da dequalificazione ed emarginazione professionale e da note personali negative – che le aveva comportato un pregiudizio economico per perdita di maggiori retribuzioni anche a titolo di retribuzione di risultato e di posizione e che le aveva cagionato uno stato depressivo con conseguente ulteriore danno patrimoniale e non patrimoniale;
2. riteneva la Corte territoriale che la mancata conferma della C. nell’incarico di direzione del Servizio di Supporto alle scuole non fosse censurabile essendo conforme al disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19;
evidenziava che non fosse configurabile un diritto soggettivo alla conservazione di determinate tipologie di incarico dirigenziale e che, nello specifico, non sussistesse alcun demansionamento essendo gli incarichi successivamente conferiti alla C. corrispondenti alla professionalità di un dirigente comunale;
rilevava che, non essendo stata affidata alla C. la titolarità di una struttura, la stessa, conformemente al disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, medesimo art. 19, fosse stata assegnata a svolgere funzioni dirigenziali di studio;
riteneva che non vi fossero riscontri probatori in ordine alla lamentata dequalificazione professionale;
in particolare, quanto all’incarico in staff presso la Direzione Centrale con il compito di svolgere funzioni dirigenziali di studio, ricerca ed elaborazione, mirati alla costituzione di una nuova attività amministrativa inerente il progetto Europa, rilevava che la C. fosse stata, in concreto, posta in condizione di poter espletare i compiti a lei affidati per la creazione di un ufficio ex novo;
riteneva che conclusioni non difformi potessero trarsi con riguardo al successivo incarico di supporto e consulenza agli organi di decentramento presso la Segreteria Generale essendo emerso che la C., nel pur breve periodo di assegnazione, fosse stata coinvolta nell’elaborazione degli obiettivi concordati;
sosteneva che le valutazioni negative del datore di lavoro non potessero essere, in conseguenza, ricollegate ad una condotta del Comune di Parma (che secondo la prospettazione attorea, avrebbe posto la C. in condizioni di totale inattività);
3. avverso tale sentenza di appello C.L. ha proposto ricorso affidato a tre motivi;
4. il Comune di Parma ha resistito con controricorso;
5. la ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, violazione dell’art. 97 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19,D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 109, art. 22 del c.c.n.l. Area II dirigenziale del 10.4.1996 così come sostituito dall’art. 13 del c.c.n.l. Area II dirigenziale del 23.12.1999 ed ancora, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, nullità della sentenza per non avere la stessa pronunciato “iuxta allegata et probata” e per aver omesso di esaminare un documento decisivo, discusso tra le parti;
sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’assegnazione della ricorrente ad un diverso incarico non necessitasse di alcuna motivazione;
assume che l’incarico di staff conferitole fosse un vero e proprio incarico dirigenziale così come previsto dall’art. 6 del regolamento per il conferimento degli incarichi dirigenziali approvato con deliberazione n. 9/2001;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame di uno dei motivi di appello, nullità della sentenza per non avere la stessa pronunciato “iuxta allegata et probata”;
censura la sentenza impugnata per non aver preso in esame il motivo di impugnazione concernente la denunciata irregolarità delle valutazioni negative del Comune circa l’operato della ricorrente sotto il profilo dei risultati raggiunti, con i conseguenti effetti;
2. con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della legge e della contrattazione collettiva per non aver esattamente identificato le prerogative di un dirigente di staff e, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per non avere pronunciato “iuxta allegata et probata” nonché, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti;
censura la sentenza impugnata per non aver dato il giusto rilievo alle funzioni tipiche di un dirigente di staff che, in quanto dirigenziali, non sarebbero potute essere caratterizzate dai compiti connessi alla costituzione ex novo di un ufficio;
sostiene che, nel momento in cui la Corte territoriale ha identificato le funzioni che avrebbe dovuto svolgere la C. non già in quelle proprie di un dirigente di staff (giusta la determinazione assunta dal Comune di Parma) ma in quelle di un dirigente di struttura (una struttura addirittura nuova e tutta da creare), si è posta in una prospettiva erronea tale da non poter intendere se davvero la C. fosse stata messa nelle condizioni di poter espletare i compiti a lei affidati;
4. i motivi da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono infondati;
4.1. va innanzitutto rilevato che tutti i motivi contengono promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonché di ipotetici vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza adeguata specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dell’art. 360 c.p.c., comma 1, così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, ‘di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità’ (v. Cass., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242; Cass. 13 luglio 2016, n. 14317; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862);
infatti il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (“id est”: del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, ogni caso, prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4, i motivi per i quali chiede la cassazione (v. Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348), sicchè il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti; nei motivi in esame mal si comprende in quali sensi convivano i differenti vizi denunciati, articolati in una intricata commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, argomentazioni giuridiche, frammenti di sentenza impugnata, rendendo i motivi medesimi inammissibili per difetto di sufficiente specificità;
4.2. si osserva, in ogni caso, che tutti i motivi in cui si articola l’impugnazione qui formulata, discendono dalla riproposizione di una ricostruzione della vicenda per la quale la ricorrente sarebbe stata vittima di un demansionamento all’atto dell’attribuzione dell’incarico di dirigente in posizione di staff presso la Direzione Generale (con il compito di svolgere funzioni dirigenziali di studio, ricerca ed elaborazione miranti alla costruzione di una nuova attività amministrativa inerente il Progetto Europa) e di successivi incarichi (e così, in particolare, di quello presso la Segreteria Generale per attività di supporto e consulenza in particolare agli Organi di Decentramento) che, di fatto, per le problematiche attinenti, da una parte, alla mancata predisposizione di risorse umane e strumentali oltre che di una specifica formazione e, dall’altro, all’indeterminatezza dei compiti da svolgersi, avrebbero di fatto determinato uno svilimento della sua dignità professionale e personale con pregiudizio le la sua salute;
4.3. sul punto la Corte territoriale ha offerto una motivazione che, come sintetizzata nello storico di lite, risulta del tutto logica e comprensibile ed alla stessa la ricorrente contrappone una diversa lettura delle risultanze di causa e sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede specie considerati i ristretti limiti ora imposti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante in seguito alla modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, così come rigorosamente interpretato da Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 secondo cui non è più consentito denunciare un vizio di motivazione se non quando esso dia luogo, in realtà, ad una vera e propria violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (ciò si verifica soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, di motivazione del tutto apparente, di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie);
4.4. del resto non pare dubitabile, sulla base della stessa motivazione della sentenza impugnata (fondata sull’esame dei provvedimenti del Comune resistente, esame non rivedibile in questa sede), che l’assegnazione alla C., dopo la cessazione dell’incarico di direzione del Servizio Supporto alle Scuole, del compito di svolgere funzioni dirigenziali di studio e ricerca (v. pag. 5 della sentenza: “alla C., alla scadenza dell’incarico di direzione… non è stata affidata la titolarità di una struttura ma… il compito di svolgere funzioni dirigenziali di studio…”), fosse riconducibile alla previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 10, norma di carattere generale che si riferisce anche alle amministrazioni locali e si aggiunge alle previsioni specifiche contenute nel D.Lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico degli enti locali) e in particolare negli artt. 109 e 110 (si consideri che la vicenda in esame si colloca prima delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, dal D.Lgs. n. 150 del 2009);
del tutto impropria è, allora, una lettura della sentenza quale quella offerta dalla ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe considerato anche l’incarico in staff quale incarico dirigenziale di struttura (nuova e tutta da creare);
4.5. questa Corte ha più volte affermato che fanno capo al dirigente due distinte situazioni giuridiche soggettive, perché rispetto alla cessazione anticipata dell’incarico lo stesso è titolare di un diritto soggettivo che, ove ritenuto sussistente, dà titolo alla reintegrazione (se possibile) nella funzione dirigenziale ed al risarcimento del danno, mentre a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico può essere fatto valere un interesse legittimo di diritto privato, che, se ingiustamente mortificato, non legittima il dirigente a richiedere l’attribuzione dell’incarico non conferito ma può essere posto a fondamento della domanda di ristoro dei pregiudizi ingiustamente subiti (v. Cass. 13 novembre 2018, n. 29169; Cass. 1 dicembre 2017, n. 28879; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2972; Cass. 18 giugno 2014, n. 13867);
4.6. non vanno, dunque, confusi il diritto soggettivo al conferimento dell’incarico e l’interesse legittimo di diritto privato correlato all’obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buon andamento consacrati nell’art. 97 Cost., sicchè il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l’attribuzione dell’incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all’inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministrazione (v. Cass. 23 settembre 2013, n. 21700; Cass. 24 settembre 2015, n. 18972; Cass. 14 aprile 2015, n. 7495);
4.7. quanto a quest’ultima azione è stato richiamato il principio generale secondo cui, nel lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni (per i dirigenti statali in virtù di espressa previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19), alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e pertanto non è applicabile l’art. 2103 c.c., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico (v. Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621; Cass. 20 luglio 2018, n. 19442);
4.8. anche il sistema normativo del lavoro pubblico dirigenziale negli enti locali (trasfuso, come detto, nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 109) esclude la configurabilità di un diritto soggettivo del dirigente a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale, ancorché corrispondenti all’incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro, pure anteriormente alla cosiddetta “privatizzazione” (v. Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451; Cass. 22 dicembre 2017, n. 4621; Cass. 20 luglio 2018, n. 19442);
lo stesso sistema, peraltro, conferma il principio generale che, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non consente perciò – anche in difetto della espressa previsione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, stabilita per le Amministrazioni statali – di ritenere applicabile l’art. 2103 c.c. (e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico locale, con la sola eccezione della dirigenza tecnica, nel senso che il dirigente tecnico, il cui incarico è soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione, deve comunque svolgere mansioni tecniche (v. Cass. n. 23760/2004 cit.; Cass. n. 3451/2010 cit.; Cass. n. 4621/2017 cit.; Cass. n. 19442/2018 cit.);
4.9. tale essendo il sistema, gli incarichi di studio conferiti alla C. dopo la cessazione di quello di direzione di struttura non potevano essere letti in termini di dequalificazione;
ed infatti, come è stato da questa Corte già affermato, proprio sulla base dell’assunto secondo cui, in tema di dirigenza pubblica, la qualifica dirigenziale esprime esclusivamente l’idoneità professionale del dipendente, senza che sia configurabile un diritto soggettivo a mantenere o a conservare un determinato incarico, la cessazione di un incarico di funzione e la successiva attribuzione di un incarico di studio ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 10, non determina un demansionamento (così Cass. 9 aprile 2018, n. 8674; si veda anche la già citata Cass. n. 19442/2018 riguardante proprio l’assegnazione di un dirigente di Ente locale ad una struttura di staff denominata Ufficio studi e ricerche);
ed allora non può essere addebitato alla Corte territoriale alcun errore di diritto laddove ha escluso ogni demansionamento nell’attribuzione alla C., dopo la cessazione di un incarico di funzione, di incarichi di studio ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 10, attenendo la verifica dell’effettività e pienezza delle mansioni di cui ai nuovi incarichi all’accertamento di merito della Corte territoriale non suscettibile di revisione in questa sede;
4.10. nè fondatamente la ricorrente lamenta, quale pregiudizio, la perdita della retribuzione di posizione e di risultato atteso che, come non integra un demansionamento l’attribuzione di un incarico di studio, non può riconoscersi come danno la perdita (di quota) della retribuzione di posizione e di risultato, non configurandosi, per quanto sopra detto, un diritto del dirigente alla preposizione ad un ufficio di direzione di struttura, alle quali le predette voci siano connesse;
4.11. quanto, poi, alla ritenuta omessa considerazione dei rilievi concernenti le valutazioni negative della C. sotto il profilo dei risultati raggiunti ed in particolare dell’omesso esame di quello che la stessa sentenza impugnata indica come “terzo motivo di ricorso”, le doglianze non meritano accoglimento;
la Corte territoriale, infatti, dopo aver ritenuto infondato il primo motivo di ricorso ha esaminato congiuntamente, in quanto logicamente connessi, il secondo ed il terzo motivo di ricorso ed ha ritenuto entrambi infondati considerando che la versione dei fatti rappresentata dal Comune di Parma, secondo cui la C. aveva dimostrato “scarsa attitudine alle scelte autonome di sua competenza” oltre che manifestato “la propria insoddisfazione per il ruolo assegnatole con frequenti assenze, rigidità di orario e ridotta disponibilità”, avesse trovato conferma nell’istruttoria svolta (e ciò sia per quanto atteneva al progetto Europa sia per quanto riguardava i periodi pregressi);
ciò costituisce un’adeguata risposta ai rilievi di parte appellante secondo la quale, al contrario, per quanto si evince dalla stessa sentenza impugnata, le valutazioni negative effettuate dal datore di lavoro, lungi dall’essere ricollegabili alle attitudini professionali della C. erano piuttosto da porsi in relazione alla stessa condotta del Comune di Parma che la aveva posta in condizioni di totale inattività;
anche con riguardo a tale aspetto la ricorrente pretende, allora, in modo inammissibile, una diversa e personale lettura delle risultanze di causa;
4.12. quanto, infine alle censure relative all’asserito difetto di motivazione dei provvedimenti attributivi degli incarichi di studio la ricorrente non ha specificato se ed in quali termini la questione fosse stata sottoposta già in sede di ricorso di primo grado, non potendo il suddetto onere ritenersi soddisfatto mediante la trascrizione della sentenza di appello riportante i motivi di gravame (v. pag. 24 del ricorso per cassazione) ovvero mediante il richiamo al passaggio argomentativo di tale sentenza (riportato alla medesima pag. 24 ed alla successiva pag. 25), specie a fronte dell’eccezione di novità della questione formulata in sede di controricorso dal Comune di Parma, per non essere stata la stessa esplicitata nel ricorso di primo grado e per essere state le conclusioni assunte, sul punto, assolutamente generiche;
peraltro la questione è stata dalla ricorrente posta esclusivamente in relazione alla ritenuta (e qui esclusa) configurazione da parte della Corte territoriale dell’incarico di staff quale incarico dirigenziale ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, laddove, come sopra evidenziato, si era trattato di un incarico di studio ex art. 19, comma 10, del medesimo D.Lgs.;
5. da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato;
6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo prescritto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020