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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Pubblica amministrazione, Pubblico impiego Numero: 15514 | Data di udienza: 10 Aprile 2019

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – PUBBLICO IMPIEGO – DIRITTO DEL LAVORO – Assunzione di un dirigente a tempo determinato – Procedura pubblica – Disciplina degli incarichi dirigenziali – Potestà esclusiva dello Stato – Possesso dei requisiti di accesso alla dirigenza – Formazione universitaria e postuniversitaria, pubblicazioni scientifiche e concrete esperienze di lavoro – Attività svolta in organismi ed enti pubblici o privati – Almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali – Art. 19, c.6, d.l.gs. n.165/20011. 


Provvedimento: Sentenza
Sezione: Lavoro
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 7 Giugno 2019
Numero: 15514
Data di udienza: 10 Aprile 2019
Presidente: NAPOLETANO
Estensore: TRICOMI


Premassima

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – PUBBLICO IMPIEGO – DIRITTO DEL LAVORO – Assunzione di un dirigente a tempo determinato – Procedura pubblica – Disciplina degli incarichi dirigenziali – Potestà esclusiva dello Stato – Possesso dei requisiti di accesso alla dirigenza – Formazione universitaria e postuniversitaria, pubblicazioni scientifiche e concrete esperienze di lavoro – Attività svolta in organismi ed enti pubblici o privati – Almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali – Art. 19, c.6, d.l.gs. n.165/20011. 



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE 07/06/2019 (Ud. 10/04/2019), Sentenza n.15514
 
 
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – PUBBLICO IMPIEGO – DIRITTO DEL LAVORO – Assunzione di un dirigente a tempo determinato – Procedura pubblica – Disciplina degli incarichi dirigenziali – Potestà esclusiva dello Stato – Possesso dei requisiti di accesso alla dirigenza – Formazione universitaria e postuniversitaria, pubblicazioni scientifiche e concrete esperienze di lavoro – Attività svolta in organismi ed enti pubblici o privati – Almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali – Art. 19, c.6, d.l.gs. n.165/20011.
 
In materia di assunzione di un dirigente a tempo determinato, trova applicazione l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, nella specie comma 6, in quanto la disciplina degli incarichi dirigenziali per quanto attiene ai profili normativi del rapporto è materia attratta all’ordinamento civile, e in quanto tale rimessa alla potestà esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett I, Cost. (cfr., sentenze Corte cost. n. 324 del 2010, n. 62 del 2019). Pertanto, la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» vincola gli enti ad autonomia differenziata anche con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, così come affermato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 231 del 2017, n. 77 del 2013). Nella specie è stato interpretato l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, correttamente l’alternatività tra: – l’attività svolta in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali; – il conseguimento di una particolare “specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza”. Sicché, nell’interpretare il secondo requisito alternativo il giudice di appello afferma, altresì correttamente, in ragione della lettera della disposizione e della ratio legis, anche in ragione del confronto tra i testi normativi succedutisi nel tempo, che la concreta esperienza di lavoro deve coesistere con quella scientifica e deve essere dirigenziale o ad essa equiparabile. 
 
(conferma sentenza n. 127/2012 – CORTE D’APPELLO di TRENTO, dep. 06/12/2012 R.G.N. 26/2012) Pres. NAPOLETANO, Rel. TRICOMI, Ric. COMUNE ROVERETO 

Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE 07/06/2019 (Ud. 10/04/2019), Sentenza n.15514

SENTENZA

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE 07/06/2019 (Ud. 10/04/2019), Sentenza n.15514

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. LAVORO CIVILE,
 
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 
omissis 
  
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso 4686-2013 proposto da COMUNE ROVERETO C.F. 00125390229, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE DI
RIENZO, che lo rappresenta e difende 2019 unitamente agli avvocati GIANPAOLO MANICA, FLAVIO DALBOSCO;
– ricorrente principale –
  
contro
 
PALUMBO ADDOLORATA, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato CARLO CONTALDI LA GROTTERIA, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO DE NARDIS;
 
– controricorrente – ricorrente incidentale –
 
avverso la sentenza n. 127/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 06/12/2012 R.G.N. 26/2012; 
 
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;
 
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per: in via principale eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 L.R. T.A. 3/95; per violazione articolo 117 II° comma lettera L.; in subordine rigetto del ricorso;
 
udito l’Avvocato PASQUALE DI RIENZO.
 
SVOLGIMENTO DEL FATTO
 
1. La Corte d’Appello di Trento, cori la sentenza n. 127 del 2012, ha rigettato l’impugnazione proposta dal Comune di Rovereto nei confronti di Palumbo Addolorata e di Roverato Cristian, avverso la sentenza emessa dalle parti dal Tribunale di Rovereto.
 
Ha rigettato, altresì, l’appello proposto da Roverato Cristian, e ha compensato tra le parti le spese di giudizio.
 
2. Palumbo Addolorata, con ricorso in riassunzione a seguito di pronuncia di difetto di giurisdizione del TRGA, aveva adito il Tribunale di Rovereto premettendo di aver partecipato alla procedura di selezione pubblica per l’assunzione di un dirigente a tempo determinato da assegnare al servizio verde e tutela ambientale del Comune di Rovereto. Senza aver sostenuto alcun colloquio, aveva solo in seguito appreso della propria mancata considerazione quando le era stato comunicato che il vincitore era Cristan Roverato. Aveva, quindi, appreso che il Comune aveva provveduto alla verifica dei curricula senza, peraltro, attribuire punteggi, compiere comparazioni e predisporre verbali. La Palumbo lamentava, quindi, la illegittimità dell’incarico conferito al Roverato.
 
3. Il Tribunale accoglieva la domanda annullando l’atto di conferimento incarico e condannando il Comune a svolgere nuovamente il confronto tra i candidati partecipanti alla procedura in possesso dei requisiti di cui all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001. Dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento dei danni. 
 
4. La Corte d’Appello dopo aver richiamato l’art. 65 del dPR 670 del 1972 che prevede: «L’ordinamento del personale dei Comuni è regolato dai Comuni stessi, salva l’osservanza dei principi generali che potranno essere stabiliti da una legge regionale», ha ritenuto che nella specie trovava applicazione la disciplina statale sulla dirigenza riconducibile alla materia “ordinamento civile”, rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, e ha confermato la decisione Tribunale in ragione dei principi enunciati dalla Corte cost. con la sentenza n. 324 del 2010.
 
Ha affermato, inoltre, che, come già statuito dal Tribunale, l’art. 19 cit., vigente ratione temporis, non pone in via alternativa i requisiti previsti.
 
Infine, la Corte d’Appello ha ritenuto priva di rilevanza e di non manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale prospettata dal Comune.
 
5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Comune di Rovereto prospettando due motivi di impugnazione.
 
6. Resiste con controricorso e ricorso incidentale Addolorata Palumbo. 
 
7. Cristian Roverato non si è costituito.
 
8. All’adunanza camerale del 24 settembre 2018 la causa è stata rimessa all’udienza pubblica.
 
RAGIONI DELLA DECISIONE
 
1. Prima di passare ad esaminare i motivi del ricorso principale è opportuno riepilogare l’oggetto della controversia, anche al fine della corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta (cfr., Cass., n. 18715 del 2016). 
 
2. Come si legge nella sentenza, e non è contestato dalle parti, il Comune di Rovereto indiceva (15 febbraio 2011) una procedura pubblica per l’assunzione di un dirigente a tempo determinato. 
 
3. Tra i requisiti era prescritto, oltre il titolo di studio, il requisito professionale.
 
Quest’ultimo, secondo l’avviso di selezione pubblica, poteva essere integrato come segue: «esperienza di servizio di almeno cinque anni, adeguatamente documentata, presso pubbliche amministrazioni in posti per i quali è richiesta la laurea come titolo di accesso oppure presso enti, aziende pubbliche o private in posti con mansioni direttive e con regolare rapporto di impiego; ovvero in alternativa al requisito dell’esperienza di servizio, aver conseguito particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica, desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o concrete esperienze di lavoro, o provenienti da settori della ricerca e/o della docenza universitaria».
 
4. Nell’avviso di selezione si richiamava l’art. 119 del Regolamento organico del personale dipendente e di organizzazione degli uffici e servizi del Comune di Rovereto approvato con deliberazione del Consiglio comunale 3 febbraio 2004, n. 9, che stabiliva: «1. L’incarico ai dirigenti assunti a tempo determinato con deliberazione della giunta comunale è conferito con provvedimento del sindaco, accertata l’adeguata professionalità documentata da specifico curriculum ed in possesso dei requisiti generali e speciali per l’accesso agli impieghi presso l’amministrazione comunale, secondo quanto previsto dal presente regolamento, o abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o concrete esperienze di lavoro, o provenienti da settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.
 
2. Il conferimento dell’incarico è predisposto sulla base della valutazione del curriculum e dei requisiti culturali e professionali previo avviso al pubblico contenente la funzione dirigenziale, i requisiti richiesti, il trattamento economico base e il termine per la presentazione delle domande (….)».
 
5. In proposito, occorre ricordare che l’art. 65 dello statuto di autonomia (dPR n. 670 del 1972) stabilisce: “L’ordinamento del personale dei comuni è regolato dai comuni stessi, salva l’osservanza dei principi generali che potranno essere stabiliti da urla legge regionale”. 
 
6. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado che disponeva l’annullamento dell’atto di conferimento dell’incarico al Roverato, con conseguente risoluzione del contratto con lo stesso e la condanna del Comune a svolgere nuovamente il confronto tra i soli partecipanti alla procedura in possesso dei requisiti di accesso alla dirigenza di cui all’art. 19, comma 6, del d.l.gs. 165 del 2001.
 
Il giudice di secondo grado ha, inoltre, affermato che la sussistenza del requisito professionale di cui alla “particolare specializzazione professionale” doveva essere desunto non solo dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche, ma anche dalla concreta esperienza quinquennale di lavoro in posizioni funzionali per l’accesso alla dirigenza, cioè da una esperienza di lavoro equiparabile a quella per l’accesso alla dirigenza, e dunque da un’esperienza di tipo dirigenziale o ad essa equiparabile. Nella specie, il Roverato non aveva maturato l’esperienza lavorativa di tipo dirigenziale o ad essa equiparabile (si v., pagg. 22 e 23 della sentenza di appello).
 
7. Tanto premesso, può passarsi ad esaminare i motivi del ricorso principale.
 
8. Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ..
 
Il ricorrente ricostruisce, richiamando il contenuto precettivo delle plurime disposizioni indicate nell’epigrafe del motivo (Accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946, Accordo Austria-Italia del 5 settembre 1946, art. 117, secondo comma, lett. I, Cost., art. 10 legge cost. n. 10 del 2001, d.lgs. n. 266 del 1992, d.P.R. n. 670 del 1972, d.P.Reg. n. 2 del 2005 e succ. mod., d.lgs. n. 150 del 2009, legge reg. n. 2 del 2007, L.A.C. 2248 del 1865, all. E, art. 119 reg. comunale, art. 37 statuto del Comune di Rovereto), anche in una prospettiva storica, il quadro dei rapporti competenziali tra Stato e Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, prospettando che erroneamente la Corte d’Appello ha affermato che nella specie non veniva in rilievo la materia attinente all’ordinamento degli enti locali e alla disciplina del relativo personale, rimessa alla potestà legislativa regionale, ma la materia ordinamento civile. 
 
9. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. (art. 111 Cost., art. 132 cod. proc. civ., art. 156 cod. proc. civ., art. 161 cod. proc. civ.), in relazione all’applicazione dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, anche in relazione agli artt. 4 e 5 della L.A.C., all. E.
 
I requisiti cui all’art. 19, comma 6, erano alternativi e non dovevano sussistere entrambi in capo al Roverato, come invece affermato dalla Corte d’Appello.
 
10. Inoltre, il ricorrente ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione ai parametri costituzionali e statutari competenziali.
 
11. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
 
Gli stessi non sono fondati.
 
12. La fattispecie in esame è regolata, in primis, dal bando di selezione adottato dal Comune richiamando l’art. 119 del reg. comunale. 
 
Trova, inoltre, applicazione l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, nella specie comma 6, in quanto la disciplina degli incarichi dirigenziali per quanto attiene ai profili normativi del rapporto è materia attratta all’ordinamento civile, e in quanto tale rimessa alla potestà esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett I, Cost. (cfr., sentenze Corte cost. n. 324 del 2010, n. 62 del 2019). 
 
Come affermato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 231 del 2017, n. 77 del 2013), la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile» vincola gli enti ad autonomia differenziata anche con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro con i propri dipendenti. 
 
Si può ricordare, inoltre che, ai sensi dell’art. 4 dello statuto, la potestà legislativa primaria della Regione Trentino-Alto Adige, in materia di “ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto” è esercitata, tra l’altro, nei limiti principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica.
 
13. Il citato regolamento comunale, il cui art. 119 si è riportato sopra al §. 4, che ai sensi dell’art. 65 dello statuto deve osservare i principi generali stabiliti dalla legge regionale, veniva approvato nel 2004, nella vigenza dall’art. 21 della legge reg. n. 1 del 1993, e dell’art. 18, comma 114, della legge reg. n. 10 del 1998.
 
L’art. 21 cit. stabiliva: «I comuni disciplinano con appositi regolamenti, nel rispetto dei principi generali stabiliti dalla legislazione regionale in materia di stato giuridico e trattamento economico dei segretari comunali e dei dipendenti comunali ed in conformità allo statuto, la dotazione organica del personale, l’organizzazione degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità».
 
Il comma 114 dell’art. 18 della legge reg. 10 del 1998, a sua volta, sanciva, in particolare, che «Il regolamento previsto dall’articolo 21 della legge regionale 4 gennaio 1993, n. 1, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati con soggetti esterni all’ente contratti a tempo determinato per gli incarichi dirigenziali e di direzione previsti nella dotazione organica. Tali contratti (…) sono stipulati con persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione, in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire».
 
14. Successivamente, con l’art. 1 della legge reg. 20 marzo 2007, n. 2, si stabilivano alcuni principi per l’esercizio della potestà regolamentare del Comune sull’ordinamento del personale (venendo contestualmente abrogato il citato comma 114 dell’art. 18 della legge reg. n. 10 del 1998), tra cui:
l’economicità, la trasparenza, l’imparzialità e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa, perseguendo l’efficienza del sistema organizzativo comunale;
la funzionalità e l’ottimizzazione delle risorse per il migliore funzionamento dei servizi, compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio;
l’adeguatezza delle competenze professionali alla complessità degli affari demandati alle singole strutture organizzative dell’ente.
 
15. Dunque la disciplina regionale, come stabilito dall’art. 65 dello statuto di autonomia, ha fissato alcuni principi per l’esercizio della potestà regolamentare comunale, volti in particolar modo ad assicurare la professionalità del personale dirigenziale.
 
16. Il bando di selezione, nel richiamare l’art. 119 del reg. comunale, prevedeva (si v. sopra, §. 3) in alternativa al requisito dell’esperienza di servizio, il requisito dell’aver conseguito una particolare specializzazione professionale culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e post-universitaria, da pubblicazioni scientifiche o concrete esperienze di lavoro, o provenienti da esperienze della ricerca o della docenza.
 
Al momento del bando di selezione vigeva il testo dell’art. 19, comma 6, che richiedeva quale requisito professionale “l’aver svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o l’aver conseguito particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza”.
 
17. La Corte d’Appello, nell’interpretare l’art. 19, comma 6. cit., afferma correttamente l’alternatività tra:
– l’attività svolta in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;
– il conseguimento di una particolare “specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza”.
 
Nell’interpretare il secondo requisito alternativo il giudice di appello afferma, altresì correttamente, in ragione della lettera della disposizione e della ratio legis, anche in ragione del confronto tra i testi normativi succedutisi nel tempo, che la concreta esperienza di lavoro deve coesistere con quella scientifica e deve essere dirigenziale o ad essa equiparabile. 
 
Tale requisito, come accertato dal Tribunale, con statuizione che non costituiva oggetto di appello, mancava in capo al Roverato.
 
18. Osserva il Collegio che, come affermato dalla Corte d’Appello, i requisiti stabiliti dal bando di selezione, che richiama l’art. 119 del reg. comunale, non sono conformi all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, vigente ratione temporis.
 
Ma ciò non dà luogo a questione di riparto competenziale della potestà legislativa tra Stato e Regione Autonoma Trentino – Alto Adige (e dunque a dubbio di legittimità costituzionale con riguardo a disposizioni regionali o all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001), in quanto la legislazione regionale che, ex art. 65 del d.P.R. n. 670 del 1972, conforma la potestà regolamentare dei Comuni, non ha escluso i requisiti stabiliti dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, che dunque non incontra un vulnus alla propria applicazione nella fattispecie in esame, né, a sua volta, interferisce con la potestà legislativa attribuita alla Regione Trentino – Alto Adige dallo statuto di autonomia, e da quest’ultimo al Comune nel rispetto della legislazione regionale.
 
Anzi, la legislazione regionale sopra richiamata, ha dato una chiara indicazione circa la rispondenza dei requisiti professionali per accedere all’incarico dirigenziale all’economicità, trasparenza, imparzialità e pubblico interesse dell’azione amministrativa, così affermando principi autonomi ma del tutto conferenti con la previsione dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, non osservati dall’art. 119 del reg. comunale, come richiesto dall’art. 65 dello statuto.
 
Pertanto, correttamente la Corte d’Appello, da un lato, ha, nella sostanza, disapplicato l’art. 119 del regolamento comunale, atteso che quest’ultimo, in quanto esula dai principi generali sanciti dalla legislazione regionale, ha natura provvedimentale e non è riconducibile alla potestà normativa regolamentare sancita dall’art. 65 dello statuto; dall’altro, ha fatto applicazione dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
 
Consegue a ciò l’illegittimità del bando di selezione e della relativa procedura, nonché dell’atto di conferimento dell’incarico che veniva annullato.
 
19. Il ricorso incidentale denuncia, con un solo motivo, la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., in quanto pur in presenza di soccombenza, era intervenuta la compensazione delle spese di giudizio, non concorrendo gravi ed eccezionali ragioni, atteso che la Corte d’Appello aveva motivato la compensazione in ragione della complessità della vicenda, involgente anche questioni interpretative complesse sottoposte al vaglio di costituzionalità. 
 
20. Il motivo non è fondato.
 
Come già affermato dalla Corte (si v., Cass., n. 24234 del 2016) in tema di compensazione delle spese processuali, ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, ratione temporis applicabile), tra l’altro, quando la decisione sia stata assunta in base ad atti o argomentazioni esposti solo in sede contenziosa, a fronte della novità o dell’oggettiva incertezza delle questioni di fatto o di diritto rilevanti nel caso specifico.
 
Dunque nella specie la motivazione della Corte d’Appello, che pone in evidenza la complessità della vicenda e delle questioni interpretative, è conferente alla sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione.
 
21. La Corte rigetta entrambi i ricorsi.
 
22. Le spese del giudizio di legittimità, valutato l’oggetto della lite nel suo complesso (si v., Cass., n. 1703 del 2013, n. 30592 del 2017) seguono la soccombenza del ricorrente principale e sono liquidate come in dispositivo.
 
23. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
 
P.Q.M.
 
La Corte rigetta entrambi i ricorsi. 
 
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00, per compensi professionali, euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis. 
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 aprile 2019.

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