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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro Numero: 6468 | Data di udienza: 23 Gennaio 2024

DIRITTO DEL LAVORO – Abuso di permessi ex L. n. 104/1992 – Lavoratore dipendente – Giusta causa di licenziamento – Sussiste – Controllo del datore di lavoro – Per mezzo di agenti investigativi – Adempimento della prestazione – Illegittimità – Verifica comportamenti penalmente rilevanti – Legittimità – Legge 104 natura e finalità – Licenziamento per abuso – Sacrificio organizzativo per il datore di lavoro e dell’Ente assicurativo – Nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile mancante – Violazione dei doveri di correttezza e buona fede – Accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio – Giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato – Limiti di sindacabilità in sede di legittimità – Onere probatorio e principio di specificità del ricorso. (Segnalazione e massime a cura di Costanza Ziani)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 12 Marzo 2024
Numero: 6468
Data di udienza: 23 Gennaio 2024
Presidente: DORONZO
Estensore: AMENDOLA


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Abuso di permessi ex L. n. 104/1992 – Lavoratore dipendente – Giusta causa di licenziamento – Sussiste – Controllo del datore di lavoro – Per mezzo di agenti investigativi – Adempimento della prestazione – Illegittimità – Verifica comportamenti penalmente rilevanti – Legittimità – Legge 104 natura e finalità – Licenziamento per abuso – Sacrificio organizzativo per il datore di lavoro e dell’Ente assicurativo – Nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile mancante – Violazione dei doveri di correttezza e buona fede – Accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio – Giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato – Limiti di sindacabilità in sede di legittimità – Onere probatorio e principio di specificità del ricorso. (Segnalazione e massime a cura di Costanza Ziani)



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 12 marzo 2024 (Ud. 23/01/2024), Ordinanza n. 6468

 

DIRITTO DEL LAVORO – Abuso di permessi ex L. n. 104/1992 – Lavoratore dipendente – Giusta causa di licenziamento – Sussiste – Controllo del datore di lavoro – Per mezzo di agenti investigativi – Adempimento della prestazione – Illegittimità – Verifica comportamenti penalmente rilevanti – Legittimità.

L’utilizzo da parte del lavoratore dei permessi ex lege n. 104/1992 per attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, violando le finalità per cui il beneficio è concesso, costituisce giusta causa di licenziamento. L’assenza dal lavoro per usufruire del permesso deve essere in relazione diretta con l’assistenza del disabile: la normativa di riferimento non consente, infatti, di utilizzare il permesso per motivi diversi da quelli propri della funzione cui l’assenza è preordinata. In questo contesto è legittimo il controllo del dipendente da parte del datore di lavoro per mezzo di agenti investigativi, il controllo demandato all’agenzia è legittimo se non ha per oggetto l’adempimento della prestazione, ma la verifica di comportamenti che possono configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente.

 

DIRITTO DEL LAVORO – Legge 104 natura e finalità – Licenziamento per abuso – Sacrificio organizzativo per il datore di lavoro e dell’Ente assicurativo – Nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile mancante – Violazione dei doveri di correttezza e buona fede – Accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio – Giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato – Limiti di sindacabilità in sede di legittimità – Onere probatorio e principio di specificità del ricorso.

Il beneficio di cui alla L. n. 104/1992, comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela, ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto, o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo. Ciò posto, la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito, esorbitando dai poteri la pretesa di altro apprezzamento sui fatti in sindacato di legittimità. Infatti, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione sul punto della sentenza impugnata manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili. Sicché il ricorrente, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità. Infine, il lamentato principio secondo cui è necessario che il datore di lavoro “offra all’incolpato la documentazione necessaria al fine di consentirgli un’adeguata difesa”, compete al giudice del merito, sulla base degli atti di causa, scrutinare la sussistenza di tale rapporto di necessarietà, incombendo inoltre sul lavoratore l’onere di specificare “quali sarebbero stati i documenti la cui messa a disposizione – in tesi negata – sarebbe stata necessaria al predetto fine”.

(conferma sentenza n. 434/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA) Pres. DORONZO, Rel. AMENDOLA, Ric. Sabatini c. BPER Banca S.p.A.


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 12/03/2024 (Ud. 23/01/2024), Ordinanza n. 6468

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28957-2020 proposto da:
S. L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI PIGORINI 21, presso lo studio dell’avvocato TERESA VISCOMI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA DE ANNUNTIIS;

– ricorrente –

CONTRO

BPER BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato ANNACLARA CONTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO ANTONINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 434/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/09/2020 R.G.N. 306/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO CHE

1. la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di prime cure con cui, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, era stato ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato in data 11 agosto 2016 da BPER Banca Spa a L. S. “per assenza ingiustificata a seguito di anomali allontanamenti dal posto di lavoro, soprattutto in connessione con la fruizione di permessi ex lege n. 104/1992 in favore di genitori infermi, in particolare nelle giornate del 14, 16, 17, 20, 21, 22 e 24 giugno 2016 nonché 13 e 19 luglio 2016”;

2. la Corte – in sintesi e per quanto qui rileva – ha, innanzitutto, ritenuto provato che “la lavoratrice, nelle ore imputate a permesso per l’assistenza a genitori disabili […] non l’ha affatto prestata in modo rilevante e significativo, essendosi dedicata ad altre attività”; sicché, secondo la Corte, “pur volendosi interpretare la normativa de qua nel senso ragionevole di non imporre la perfetta ed assoluta coincidenza delle ore di permesso con l’assistenza effettiva prestata al disabile, ciò non potrebbe giustificare la carenza di assistenza, in favore del disabile, per una buona parte delle ore di permesso retribuito concesse a tale scopo”;

– la Corte territoriale ha anche respinto il motivo di doglianza con cui la reclamante lamentava l’indebito controllo a mezzo di agenti investigativi, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui “la legittimità del ricorso a siffatti controlli si fonda sul fatto che oggetto della investigazione non è la mera violazione di obblighi contrattuali nell’esecuzione della prestazione lavorativa, ma soltanto il comportamento illecito del lavoratore non riconducibile al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale prospettata”;

– i giudici d’appello, rispetto al gravame con cui la S. denunciava la violazione dell’art. 7 dello S.d.L. per “la mancata consegna da parte della Banca di documenti asseritamente necessari per approntare le sue difese”, ha ritenuto che “la Banca non solo ha specificato chiaramente nella contestazione di addebito tutte le condotte imputate alla S., ma ha messo a sua disposizione tutta la documentazione posta a base degli accertamenti ispettivi”;

– la Corte ha, infine, argomentato che “il complessivo comportamento tenuto dalla S., all’origine del disposto licenziamento, si è tradotto in un atto illecito, avendo dimostrato un sostanziale disinteresse della lavoratrice per le esigenze aziendali, integrando una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. idoneo a legittimare il recesso per giusta causa del datore di lavoro […] a maggiore ragione relativamente ad un settore di particolare delicatezza come quello bancario, nonché ad una qualifica così elevata come quella in possesso della S., dalla quale la Banca si sarebbe attesa un corretto svolgimento delle mansioni affidatele”; pertanto, “l’utilizzo dei permessi per scopi estranei a quelli per i quali sono stati concessi, infatti, costituisce comportamento oggettivamente grave, tale da determinare nel datore di lavoro la perdita della fiducia nei successivi adempimenti, ed idoneo a giustificare il recesso per giusta causa”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con cinque motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

CONSIDERATO CHE

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;

1.1. il primo denuncia: “Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento alla Legge 104/1992, in relazione alla corretta fruizione dei permessi concessi per l’assistenza l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. / Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento all’art. 24 Cost., in relazione alla mancata audizione degli ulteriori testimoni richiesti dalla lavoratrice. / Violazione o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 115-116 c.p.c. in relazione alla documentazione offerta dalle parti.”; si sostiene che la Corte di Appello avrebbe “errato a giudicare le attività svolte dalla ricorrente non connesse con l’assistenza ai genitori disabili”;

1.2. col secondo motivo si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento agli artt. 2, 3 e 4 della Legge 300/1970, in relazione al controllo illegittimo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna”; si sostiene che detti controlli erano finalizzati a verificare la prestazione lavorativa della dipendente;

1.3. il terzo motivo deduce: “Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) in relazione all’inattendibilità della lettera anonima che ha dato origine alle investigazioni a carico della lavoratrice. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) in relazione alle testimonianze dei sigg.ri Fellone e Notarianni”;

1.4. il quarto mezzo denuncia: “Violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento agli artt. 24 Cost. e 7 Legge 300/70, in relazione alla violazione del diritto di difesa del lavoratore e al mancato rispetto delle garanzie poste dallo Statuto dei Lavoratori”; si lamenta che la Banca non avrebbe messo a disposizione della lavoratrice i documenti richiesti al fine di esercitare il diritto di difesa;

1.5. con l’ultimo motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) con riferimento agli artt. 7 Legge 300/1970, 2119 cod. civ., 87 CCNL di riferimento, in relazione alla proporzione della sanzione applicata ed alla lesione dell’elemento fiduciario”; si eccepisce che “il comportamento dell’esponente non ha prodotto danno e non ha dato luogo ad alcun illecito nei confronti di BPER Banca Spa” e che “gli asseriti allontanamenti dal luogo di lavoro, contestati alla ricorrente, sono destituiti di fondamento”, anche perché la S. fruiva di un orario flessibile;

2. il primo e il quinto motivo, che possono valutarsi congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento;

2.1. essi presentano diffusi profili di inammissibilità laddove prospettano come errores in iudicando ciò che è l’apprezzamento dei giudici del merito in ordine alla valutazione del materiale probatorio e al governo delle prove, nella sostanza proponendo una inammissibile diversa ricostruzione fattuale, asserendo che le attività svolte dalla S. erano comunque connesse con l’assistenza ai genitori disabili;

2.2. in diritto, poi, la sentenza è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l’assistenza o la cura di soggetti protetti; invero, per pacifica giurisprudenza di legittimità può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi ex lege n. 104 del 1992 in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 de1 2016; più di recente: Cass. n. 23891 del 2018; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 21529 del 2019); in coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile; tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217 del 2016); ciò posto, la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018; v. anche Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 30676 del 2018; Cass. n. 21529 del 2019), sicché la pretesa di un sindacato di legittimità sul punto esorbita dai poteri di questa Corte (ancora di recente: Cass. n. 25290 del 2022; Cass. n. 8306 del 2023; Cass. n. 17993 del 2023);

2.3. infine, si critica con modalità inammissibili anche il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, che, secondo un costante insegnamento (da ultimo, v. Cass. n. 36427 del 2023), è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); difatti, la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione sul punto della sentenza impugnata manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, deve denunciare l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016);

3. il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta la legittimità dei controlli operati per il tramite di agenzie investigative, è infondato; la sentenza impugnata è conforme al principio secondo cui il controllo demandato all’agenzia investigativa è legittimo ove non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come proprio nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. 6 maggio 2016, n. 9217; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019); non è, pertanto, pertinente il richiamo della difesa di parte ricorrente a Cass. n. 25287 del 2022 che, pur pronunciata in una vicenda fattualmente connessa a quella all’attenzione del Collegio, si riferisce ad una ipotesi in cui non era oggetto di contestazione l’abusivo utilizzo dei permessi ex lege n. 104 del 1992;

4. le censure contenute nel terzo motivo sono inammissibili in quanto evocano il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare in ricorso le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019), e, comunque, prefigurando l’omesso esame di fatto decisivo in relazione alla valutazione di documenti e di testimonianze, al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014;

5. il quarto motivo lamenta la mancata consegna, da parte della Banca, della documentazione richiesta a seguito della contestazione dell’addebito e aggiunge che nel corso del procedimento disciplinare era stato fatto esaminare alla esponente un rapporto investigativo diverso da quello depositato poi in giudizio; la doglianza non merita di essere condivisa; la Corte territoriale ha fatto dichiarata applicazione del principio secondo cui la L. n. 300 del 1970, art. 7, non prevede, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti, la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, salvo che ciò non sia necessario per consentire al lavoratore di difendersi (tra le altre: Cass. n. 27093 del 2018); la Corte ha argomentato, poi, che non solo la Banca aveva specificato chiaramente nella contestazione di addebito tutte le condotte imputate alla S., ma aveva anche messo a sua disposizione tutta la documentazione posta a base degli accertamenti ispettivi, con ciò inequivocamente ritenendo che la datrice di lavoro avesse portato a conoscenza, anche per il dettaglio della contestazione disciplinare, tutti gli elementi necessari a consentire l’esercizio del diritto di difesa dell’incolpato, con un apprezzamento che involge chiaramente valutazioni di merito non sindacabili innanzi a questa Corte (Cass. n. 7581 del 2018); affatto decisivo è quindi il richiamo al già citato precedente rappresentato da Cass. n. 25287 del 2022, che si limita ad affermare, in diritto, il principio secondo cui è necessario che il datore di lavoro “offra all’incolpato la documentazione necessaria al fine di consentirgli un’adeguata difesa”, principio che qui viene ribadito, fermo restando che compete al giudice del merito, sulla base degli atti di causa, scrutinare la sussistenza di tale rapporto di necessarietà, incombendo inoltre sul lavoratore l’onere di specificare “quali sarebbero stati i documenti la cui messa a disposizione – in tesi negata – sarebbe stata necessaria al predetto fine” (cfr. Cass. n. 23304 del 2010);

6. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con condanna alle spese secondo il regime della soccombenza; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 23 gennaio 2024

 
 

 

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