DIRITTO DEL LAVORO – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Obbligo di repêchage – APPALTI – Clausole sociali nell’ambito della successione di appalti – Passaggio diretto e immediato alle dipendenze dell’impresa subentrante – Continuità giuridica del rapporto – Nuova occupazione – Impugnazione dell’atto di recesso – Rinuncia all’impugnazione – Illegittimità del recesso – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Disponibilità delle prove – Art. 115 c.p.c. – Decisione del giudice – Prove poste a fondamento della decisione – Prove non introdotte dalle parti – Forza di convincimento delle prove. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)
Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Novembre 2023
Numero: 31419
Data di udienza: 4 Ottobre 2023
Presidente: DORONZO
Estensore: AMENDOLA
Premassima
DIRITTO DEL LAVORO – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Obbligo di repêchage – APPALTI – Clausole sociali nell’ambito della successione di appalti – Passaggio diretto e immediato alle dipendenze dell’impresa subentrante – Continuità giuridica del rapporto – Nuova occupazione – Impugnazione dell’atto di recesso – Rinuncia all’impugnazione – Illegittimità del recesso – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Disponibilità delle prove – Art. 115 c.p.c. – Decisione del giudice – Prove poste a fondamento della decisione – Prove non introdotte dalle parti – Forza di convincimento delle prove. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)
Massima
CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 13 novembre 2023 (Ud. 04/10/2023), Ordinanza n. 31419
DIRITTO DEL LAVORO – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Obbligo di repêchage – APPALTI – Clausole sociali nell’ambito della successione di appalti – Passaggio diretto e immediato alle dipendenze dell’impresa subentrante – Continuità giuridica del rapporto – Nuova occupazione – Impugnazione dell’atto di recesso – Rinuncia all’impugnazione – Illegittimità del recesso.
Ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione dell’appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione “ex novo” di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario. Né la scelta effettuata per la costituzione di un nuovo rapporto implica, di per sé, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo. Pertanto, nella valutazione della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve sempre essere verificata la prova dell’assolvimento da parte della datrice di lavoro dell’obbligo di repêchage.
DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Disponibilità delle prove – Art. 115 c.p.c. – Decisione del giudice – Prove poste a fondamento della decisione – Prove non introdotte dalle parti – Forza di convincimento delle prove.
Per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte, invece, di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio. Detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
(Conferma sentenza n. 306/2020 – CORTE DI APPELLO DI CATANZARO) – Pres. Doronzo, Est. Amendola – Sicurtransport S.p.a. (avv. Raimondi) c. Scorzafava Andrea (avv. Zimatore)
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 13/11/2023 (Ud. 04/10/2023), Ordinanza n. 31419SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 19906-2020 proposto da:
SICURTRANSPORT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GUGLIELMO MARCONI 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA SCUTIERI, rappresentata e difesa dall’avvocato NUNZIO RAIMONDI;
– ricorrente –
CONTRO
S. A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. SECCHI 9, presso lo studio dell’avvocato VALERIO ZIMATORE, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 306/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 03/03/2020 R.G.N. 456/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, aveva affermato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 2 febbraio 2017 dalla Sicurtransport Spa ad A. S. per la perdita dell’appalto al quale il lavoratore era adibito, in quanto la datrice di lavoro non aveva fornito allegazione e prova dell’impossibilità di adibire il dipendente ad altre mansioni, ordinando alla società la reintegrazione del dipendente; la Corte ha poi modificato la sentenza di primo grado, limitando la condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità, oltre accessori;
2. la Corte territoriale, in sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha innanzitutto rammentato che il rispetto delle cc.dd. clausole sociali nell’ambito della successione degli appalti non svincola il datore di lavoro dell’impresa cessante “dall’osservanza delle norme di legge che regolano lo scioglimento del rapporto di lavoro”; ha, poi, condiviso l’assunto del primo giudice circa il mancato l’assolvimento dell’obbligo di repêchage argomentando che la società, documentalmente, risultava avere “numerose sedi e unità locali ulteriori a quelle in cui si sono conclusi gli appalti sopra indicati, sia in Calabria sia in Sicilia, e rispetto ad esse non vi è alcuna allegazione né articolazione di mezzi istruttori circa l’impossibilità di una utile ricollocazione del reclamato in mansioni equivalenti o inferiori”; ha poi aggiunto che, ove “per assurdo”, si potesse ritenere superato “il deficit assertivo”, comunque la prova testimoniale richiesta era irrilevante, “atteso che la capitolazione verte sulla situazione delle sole sedi di lavoro di Crotone e Catanzaro”, così come risultava “irrilevante la documentazione prodotta”; dal punto di vista della tutela, la Corte ha confermato che la violazione dell’obbligo di ricollocazione del lavoratore si risolveva nella insussistenza di uno dei presupposti legittimanti il recesso, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria;
3. avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, notificato in data 4 luglio 2020; ha resistito l’intimato con controricorso notificato il 9 settembre 2020; parte ricorrente ha comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
1. preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso notificato dall’intimato oltre il termine previsto dall’art. 370, comma 1, c.p.c.;
2. col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e ss. del CCNL applicabile alla fattispecie nonché degli artt. 3 e 5 della l. n. 604 del 1966 e dell’art. 2697 c.c., “per avere la Corte territoriale ritenuto non assolto l’onere della prova del giustificato motivo oggettivo del licenziamento e non assolto l’onere della prova sull’impossibilità di repêchage”; col secondo motivo si denuncia: “Violazione e falsa applicazione della legge n. 604/1966 artt. 3 e 5, anche in relazione all’art. 41 Cost., per avere la Corte di merito accertato l’effettiva perdita dell’appalto e la soppressione del posto di lavoro e nell’avere ritenuto non assolto l’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. e dichiarato non provata l’impossibilità di ricollocamento del lavoratore in mansioni equivalenti e/o inferiori. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. per avere ritenuto non provati fatti rimasti incontestati. Errore in procedendo ex art. 360, comma 4, c.p.c.”;
3. i primi due motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non possono trovare accoglimento; innanzitutto, la sentenza impugnata è conforme al pacifico principio secondo cui: “Ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione dell’appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione “ex novo” di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario. Né la scelta effettuata per la costituzione di un nuovo rapporto implica, di per sé, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo.” (Cass. n. 12613 del 2007; conf. Cass. n. 29922 del 2018); ciò posto, ogni altra censura attiene all’apprezzamento di merito compiuto dai giudici ai quali esso compete in ordine alla mancata prova dell’assolvimento da parte della datrice di lavoro dell’obbligo di repêchage, non sindacabile in questa sede di legittimità; invero, la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella specie parte ricorrente critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa la prova dell’assolvimento dell’obbligo di repêchage, opponendo una diversa valutazione; come poi come di recente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
4. il terzo motivo, in subordine, denuncia la nullità della sentenza “per contraddittorietà della motivazione”, oltre alla violazione e falsa applicazione dell’art. 18. L. n. 300 del 1970, lamentando che la violazione del repêchage riscontrata dalla Corte territoriale avrebbe dovuto dare luogo ad una tutela indennitaria e non reintegratoria; il motivo è infondato in conformità all’attuale assetto normativo delineato dall’art. 18, S.d.L., quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, successive al deposito dell’impugnazione; costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l’efficacia delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge, quali quelle sopra citate, non si estende ai soli rapporti già esauriti per formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, mentre tale efficacia si dispiega pienamente in tutte le altre ipotesi (Cass. n. 2406 del 2003; Cass. n. 1277 del 2002; Cass. n. 1203 del 1999; Cass. n. 891 del 1974); orbene, con la sentenza n. 125 del 2022, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della l. n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta», con la conseguenza che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la “insussistenza dei fatto” -fatto da intendersi nella giurisprudenza consolidata di questa Corte inaugurata da Cass. n. 10435 del 2018 comprensivo della impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore- va applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti dì legittimità del recesso; inoltre, con la sentenza n. 59 del 2021, era già stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione nella parte in cui prevedeva, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, un potere discrezionale del giudice in ordine all’applicazione della tutela reale (cfr. Cass. n. 16975 del 2022; Cass. n. 30167 del 2022; Cass. n. 34049 del 2022; Cass. n. 34051 del 2022; Cass. n. 35496 del 2022; Cass. n. 36956 del 2022; Cass. n. 37949 del 2022; Cass. n. 38183 del 2022; Cass. n. 1299 del 2023; alle quali tutte si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
5. in conclusione il ricorso deve essere respinto nel suo complesso; nulla per le spese, stante la tardiva proposizione del controricorso da parte dell’intimato; invece, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 ottobre 2023.