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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto processuale civile, Pubblica amministrazione, Pubblico impiego, Risarcimento del danno Numero: 28918 | Data di udienza: 3 Ottobre 2023

PUBBLICO IMPIEGO – Rapporto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Reiterazione contratti a tempo determinato – Tempestività impugnazione – Decadenza – Risarcimento dei danni – Determinazione del risarcimento – Sindacato della Corte di Cassazione – Stato di persistente disoccupazione – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Criterio di un prioritario ricorso al personale interno (art. 90 T.U.E.L.) – Limiti al ricorso a collaborazioni di soggetti esterni – Mancanza di personale di ruolo adeguato – Onere della prova – Necessità – RISARCIMENTO DEL DANNO – Importo forfettario dell’indennità liquidata dal giudice – Prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore – Non necessario – Criteri dell’art. 8 L. n. 604/1966, richiamati dall’art. 32 c.5 L. n. 183/2010 e parametri considerati – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Decisione impugnata fondata su una pluralità di ragioni – Motivi specifici del ricorso – Sindacato della Corte di cassazione sulla misura dell’indennità – Presupposti. (Massima a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 18 Ottobre 2023
Numero: 28918
Data di udienza: 3 Ottobre 2023
Presidente: TRIA
Estensore: CASCIARO


Premassima

PUBBLICO IMPIEGO – Rapporto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Reiterazione contratti a tempo determinato – Tempestività impugnazione – Decadenza – Risarcimento dei danni – Determinazione del risarcimento – Sindacato della Corte di Cassazione – Stato di persistente disoccupazione – PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Criterio di un prioritario ricorso al personale interno (art. 90 T.U.E.L.) – Limiti al ricorso a collaborazioni di soggetti esterni – Mancanza di personale di ruolo adeguato – Onere della prova – Necessità – RISARCIMENTO DEL DANNO – Importo forfettario dell’indennità liquidata dal giudice – Prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore – Non necessario – Criteri dell’art. 8 L. n. 604/1966, richiamati dall’art. 32 c.5 L. n. 183/2010 e parametri considerati – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Decisione impugnata fondata su una pluralità di ragioni – Motivi specifici del ricorso – Sindacato della Corte di cassazione sulla misura dell’indennità – Presupposti. (Massima a cura di Alessia Riommi)



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 18 ottobre 2023 (Ud. 03/10/2023), Ordinanza n.28918

 

 

PUBBLICO IMPIEGO – Rapporto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Reiterazione contratti a tempo determinato – Tempestività impugnazione – Decadenza – Risarcimento dei danni – Determinazione del risarcimento – Sindacato della Corte di Cassazione – Stato di persistente disoccupazione.

Nell’ambito del pubblico impiego, in caso di azione promossa dal lavoratore per l’accertamento dell’abuso risultante dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato, il termine di impugnazione previsto a pena di decadenza dall’art. 32, comma 4, lett. a), della legge n. 183 del 2010, deve essere osservato e decorre dall’ultimo (“ex latere actoris“) dei contratti intercorsi tra le parti, atteso che la sequenza contrattuale che precede l’ultimo contratto rileva come dato fattuale, che concorre ad integrare l’abusivo uso dei contratti a termine e assume evidenza proprio in ragione dell’impugnazione dell’ultimo contratto. Accertata l’illegittimità dei contratti, in materia di ammontare del risarcimento per i danni causati dalla nullità del termine, la determinazione operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo dell’indennità di cui alla l. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, è censurabile solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria.

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Criterio di un prioritario ricorso al personale interno (art. 90 T.U.E.L.) – Limiti al ricorso a collaborazioni di soggetti esterni – Mancanza di personale di ruolo adeguato – Onere della prova – Necessità.

La disposizione contenuta nell’art. 90 T.U. Enti Locali, è chiara nell’indicare il criterio di un prioritario ricorso al personale interno, poiché gli uffici in questione devono essere costituiti da dipendenti dell’ente, e anche ove ammette il ricorso a collaborazioni di soggetti esterni, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, considera che la scelta di tali soggetti possa cadere su dipendenti di altra pubblica amministrazione: in sostanza, un criterio di gradualità, che privilegia il personale già in forza all’ente (e alla P.A.) e che appare del tutto coerente con l’esigenza di un contenimento della spesa pubblica, esplicitamente affermata a proposito degli enti dissestati o strutturalmente deficitari ma che non può ritenersi limitata a questi ultimi. Nel caso in esame, nulla dice la Città metropolitana in merito all’applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova con riferimento al primo aspetto (mancanza di personale di ruolo adeguato), bastevole di per sé a inficiare il termine apposto al contratto.

 

RISARCIMENTO DEL DANNO – Importo forfettario dell’indennità liquidata dal giudice – Prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore – Non necessario – Criteri dell’art. 8 L. n. 604/1966, richiamati dall’art. 32 c.5 L. n. 183/2010 e parametri considerati.

In tema di risarcimento del danno, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore, senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”, trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio”), la quale è stata in concreto qui commisurata alle condizioni personali, di precariato, della lavoratrice, come riscontrate all’esito del rapporto a termine. Non ha neppure rilievo il fatto che il giudice di merito abbia considerato solo alcuni dei criteri dell’art. 8 legge n. 604/1966, richiamati dall’art. 32 comma 5 legge n. 183/2010, e non tutti: l’incentrarsi della motivazione solo su taluni elementi non significa, infatti, attribuzione di irrilevanza dei criteri residui, ma fa più semplicemente presumere che, nell’economia del giudizio di merito, la gravità dei parametri considerati (qui, lo stato di persistente disoccupazione) sia stata ritenuta prevalente e assorbente rispetto ad ogni diverso aspetto.

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Decisione impugnata fondata su una pluralità di ragioni – Motivi specifici del ricorso – Sindacato della Corte di cassazione sulla misura dell’indennità – Presupposti.

Qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggere il decisum, i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni. Sicché, l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente a una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata. Inoltre, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., sulla misura dell’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, la determinazione, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo è censurabile – al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui all’art. 8 della l. n. 604 del 1966 – solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria.

(conferma sentenza n. 341/2017 – CORTE D’APPELLO di GENOVA) – Pres. TRIA, Est. CASCIARO, Ric. Citta Metropolitana di Genova (avv. Iasiello) c. U.M.B. (avv.ti Genovesi e Ivaldi)

 
 

 

 


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 18/10/2023 (Ud. 03/10/2023), Ordinanza n.28918

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 3681-2018 proposto da:
CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA, già PROVINCIA DI GENOVA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso lo studio dell’avvocato FLAMINIA AGOSTINELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO IASIELLO;

– ricorrente –

CONTRO

U. — —-, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SIMONE DE SAINT BON 89, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO GENOVESI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO IVALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 341/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 20/07/2017 R.G.N. 144/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/10/2023 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO.

RILEVATO CHE:

1. M. B. U. ha convenuto in giudizio la Città Metropolitana di Genova esponendo di aver lavorato alle dipendenze della Provincia di Genova, con mansioni di segretaria del Presidente della Provincia e, da ultimo, del Commissario Straordinario, in virtù di una serie di contratti a termine succedutisi dall’agosto 2002 al giugno 2014; ha dedotto l’illegittimità del termine apposto a tali contratti, in quanto stipulati in violazione del d.lgs. n. 368/2001, e ne ha chiesto la conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, oltre al risarcimento dei danni;

2. il Tribunale di Genova, esclusa la conversione per il divieto di cui all’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165/2001, ha condannato l’Amministrazione al risarcimento del danno, determinandone l’ammontare in dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ex art. 18, comma 5, legge n. 300/1970;

3. il Tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione di decadenza ex art. 32 della legge n. 183/2010 in relazione ai contratti precedenti l’ultimo, del 21.1.2014, osservando tuttavia come tali contratti dovessero valutarsi quali “elementi fattuali rilevanti” per l’accertamento della legittimità o meno del termine apposto all’ultimo contratto tempestivamente impugnato;

4. la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 341/2017, pubblicata il 20 luglio 2017, ha confermato la decisione di primo grado, salvo che nel capo relativo al risarcimento dei danni, il cui ammontare ha liquidato in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, applicando, in adesione a Cass., Sez. U, n. 5072/2016, il parametro di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010;

5. condividendo i rilievi del giudice di primo grado, la Corte di merito ha osservato come i contratti in questione risultassero illegittimamente stipulati, alla stregua delle previsioni dell’art. 90 d.lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e dell’art. 21 del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi della Provincia di Genova, norme in forza delle quali l’utilizzo della collaborazione di soggetti “fuori ruolo” è ammesso soltanto in via residuale, quando non sia possibile valersi di personale già dipendente dell’ente o di altre pubbliche amministrazioni: nulla, invece, era stato indicato in questo senso nei vari contratti succedutisi nel tempo e, d’altra parte, avuto riguardo alle attività svolte in concreto dalla lavoratrice, non vi era ragione di ritenere che le medesime non potessero essere prestate da personale interno;

6. la Corte ha inoltre osservato che non poteva essere accolta l’eccezione di decadenza, poiché nel caso di specie i contratti a termine si erano succeduti senza sostanziale soluzione di continuità, così che la U., a decorrere dall’agosto 2002 e fino al 30 giugno 2014, aveva prestato la propria attività lavorativa a favore dell’Ente territoriale in una situazione che di fatto aveva costituito un unico e continuativo rapporto di lavoro;

7. avversa detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Città Metropolitana di Genova (già Provincia di Genova), affidandosi a cinque motivi, cui ha resistito la Ugolino con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n.3 cod. proc. civ., in relazione all’art. 32 della legge n. 183/2010 e all’art. 1, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001 (come modificato dall’art. 7 d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99), la Città Metropolitana di Genova censura la sentenza impugnata per non avere spiegato in alcun modo i motivi per i quali aveva ritenuto di condividere l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui, pur a fronte dell’intervenuta decadenza dell’attrice, i contratti precedenti andrebbero considerati quali elementi fattuali rilevanti per l’accertamento della legittimità o meno del termine apposto all’ultimo contratto;

2. con il secondo motivo, deducendo la violazione degli artt. 90 e 141 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U. Enti Locali), dell’art. 21 del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi della Provincia di Genova, nonché dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363 e 1369 cod. civ. in relazione al contenuto di detta norma regolamentare, la ricorrente censura la lettura che delle indicate disposizioni risulta fornita nella sentenza di appello: in particolare, rileva come la norma di legge ponga il ricorso al personale fiduciario sullo stesso piano del ricorso al personale già presente nella dotazione organica dell’ente, sicché il rapporto tra le due ipotesi è da ritenersi costruito dal legislatore in termini di alternatività e non ‒ come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale ‒ in termini di gerarchia o di gradualità; a conclusione diversa non poteva condurre la locuzione “in primo luogo” presente nell’art. 21 del Regolamento cit., la quale non vale a istituire una relazione gerarchica tra il ricorso a personale interno o esterno all’ente ma indica unicamente il primo punto di un elenco; poiché i contratti in questione hanno natura fiduciaria la scelta se ricorrere a personale già assunto oppure a personale esterno viene a dipendere dalle valutazioni discrezionali degli organi di indirizzo dell’ente; era poi del tutto improprio far discendere limiti all’utilizzo di contratti fiduciari a termine dal processo legislativo di soppressione delle province, poiché tale processo era stato avviato solo nel 2011 quando il T.U. Enti Locali era già da molti anni in vigore;

3. con il terzo motivo si denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697 cod. civ. per avere la Corte genovese ritenuto che fosse onere della Città Metropolitana dimostrare di non essere in condizione di dissesto, presupposto fattuale previsto dall’art. 90 del TUEL per ricorrere alla stipula di contratti a termine fiduciari; 4. con il quarto mezzo si deduce, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia (artt. 112 cod. proc. civ. e 437 cod. proc. civ.) sull’istanza della Città metropolitana di ammettere la produzione in appello del documento n. 29 (i.e., dichiarazione del responsabile dei servizi finanziari dell’ente attestante che lo stesso non versava in condizioni di dissesto dal 2005 al 2012), indispensabile ai fini della decisione, nonché violazione degli artt. 101 comma 2 e 115 comma 1 cod. proc. civ.;

5. con il quinto motivo deduce, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per mancanza di motivazione in punto di liquidazione del risarcimento dei danni nella misura massima (dodici mensilità) prevista dalla legge ex art. 8 legge n. 604/1966; la ricorrente si duole che, nel determinare l’indennità risarcitoria, la Corte d’appello abbia fatto applicazione di alcuni soltanto dei vari criteri previsti da tale norma e che sia entrata in insanabile contraddizione, da un lato ritenendo irrilevante l’accertamento sui redditi della lavoratrice per la natura forfettaria dell’indennità (che esclude ogni rilievo all’aliunde perceptum) e, dall’altro, valorizzando lo stato di disoccupazione al termine del periodo di precariato;

6. il primo motivo è infondato per le ragioni (qui richiamate, anche ex art. 118 att. cod. proc. civ.) espresse da Cass., Sez. L, n. 22106 del 13.7.2022 relativa a vicenda in parte sovrapponibile;

6.1. la Corte di appello di Genova ha ritenuto, con adeguata motivazione, che non potesse essere accolta l’eccezione di decadenza sollevata dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 32 legge n. 183/2010 «poiché nel caso di specie i contratti si sono succeduti senza sostanziale soluzione di continuità»;

6.2. in particolare, previo esame della documentazione prodotta, la Corte ha accertato che la Ugolino «a decorrere dall’agosto 2002 e sino al 30.6.2014 ha prestato la propria attività lavorativa per l’appellante in una situazione che di fatto costituisce un unico e continuativo rapporto di lavoro»: era, pertanto, da escludere che nella specie potesse operare l’invocata decadenza «in quanto la relativa disciplina presuppone che nella successione dei contratti a termine vi sia stato un effettivo e significativo intervallo temporale, che nel caso della Ugolino non vi è stato, come risulta dalla documentazione prodotta in atti»;

6.3. doveva, quindi, «in tale contesto» essere condivisa «la valutazione del primo giudice che, pur non escludendo la fondatezza della eccezione di decadenza in relazione ai contratti stipulati prima dell’ultimo, considera tali contratti come elementi fattuali rilevanti ai fini dell’accertamento della legittimità o meno del termine apposto all’ultimo contratto tempestivamente impugnato» (cfr. sentenza, pp. 6-7);

6.4. orbene, l’accertamento così svolto dalla Corte di appello non ha formato oggetto di censura sul versante della ricostruzione fattuale (impedita, d’altra parte, dall’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 n. 5 in presenza di c.d. “doppia conforme”: art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ.); quanto poi alla censura di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, essa risulta solo genericamente dedotta, in contrasto con il consolidato principio ribadito da Cass. n. 16038/2013 e da molte pronunce conformi, anche tenuto conto della conclusione cui è motivatamente pervenuto il giudice di merito nell’indagine sul caso concreto;

6.5 peraltro, la sentenza impugnata si appalesa pienamente conforme al principio secondo cui in tema di contratto di lavoro a termine, in caso di azione promossa dal lavoratore per l’accertamento dell’abuso risultante dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato, il termine di impugnazione previsto a pena di decadenza dall’art. 32, comma 4, lett. a), della legge n. 183 del 2010, deve essere osservato e decorre dall’ultimo (“ex latere actoris”) dei contratti intercorsi tra le parti, atteso che la sequenza contrattuale che precede l’ultimo contratto rileva come dato fattuale, che concorre ad integrare l’abusivo uso dei contratti a termine e assume evidenza proprio in ragione dell’impugnazione dell’ultimo contratto (Cass. n. 4990 del 16.2.2023);

7. anche il secondo motivo non può trovare accoglimento; valgano, anche con riferimento a tale censura, i rilievi contenuti nella sentenza Cass. n. 22106/2022, cit.;

7.1. l’art. 90 T.U. Enti Locali dispone che «Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni»;

7.2. la norma è chiara nell’indicare il criterio di un prioritario ricorso al personale interno, poiché gli uffici in questione devono essere costituiti da dipendenti dell’ente, e anche ove ammette il ricorso a collaborazioni di soggetti esterni, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, considera che la scelta di tali soggetti possa cadere su dipendenti di altra pubblica amministrazione: in sostanza, un criterio di gradualità, che privilegia il personale già in forza all’ente (e alla P.A.) e che appare del tutto coerente con l’esigenza di un contenimento della spesa pubblica, esplicitamente affermata a proposito degli enti dissestati o strutturalmente deficitari ma che non può ritenersi limitata a questi ultimi;

7.3. il criterio di prioritario ricorso al personale interno, già assunto e in forza all’ente, trova inequivocabile conferma nell’art. 21 del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi della Provincia di Genova, che è lo strumento normativo cui rimanda l’art. 90 T.U.E.L. per la disciplina di dettaglio: esso, infatti, dispone che le “strutture” dal medesimo regolate e organizzate «sono costituite in primo luogo con personale dipendente dell’ente anche di qualifica dirigenziale», ove “in primo luogo” non rappresenta certamente il primo punto di un elenco, secondo la riduttiva lettura proposta dalla ricorrente, ma ‒ con il valore di “anzitutto” ‒ esprime ed esplicita la necessità, in coerenza con la norma-base dell’art. 90 T.U.E.L., che la scelta del personale da destinare agli uffici in questione ricada in via prioritaria sul personale già alle dipendenze dell’ente; non è, del resto, senza rilievo che la Ugolino sia stata assunta e abbia svolto attività di tipo segretariale, come accertato dal giudice di merito, e cioè attività che ben potevano essere assolte da personale interno o appartenente ad altre amministrazioni;

8. anche il terzo motivo è inammissibile in quanto il decisum poggia su una duplice ratio decidendi, e segnatamente che la «Città Metropolitana avrebbe dovuto dimostrare che non vi fosse personale di ruolo adeguato cui assegnare la mansione di segretario personale del Presidente della Provincia e di non essere in situazione di dissesto» (pag. 8 della sentenza impugnata), trattandosi ‒ come precisato dal giudice d’appello ‒ di presupposti fattuali richiesti (entrambi) dalla normativa invocata (artt. 90 d.lgs n. 267/2000 e 21 del Regolamento cit.) a sostegno della legittimità del termine;

8.1 nella specie, nulla dice però la Città metropolitana in merito all’applicazione dei criteri di riparto dell’onere della prova con riferimento al primo aspetto (mancanza di personale di ruolo adeguato), bastevole di per sé a inficiare il termine apposto al contratto; orbene, nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato l’orientamento secondo cui qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggere il decisum, i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente a una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 15399/2018);

8.2 in ogni caso, l’onere della prova relativamente ai presupposti di legittimità del termine apposto al contratto è stato giustamente posto a carico sulla Città Metropolitana;

9. parimenti anche il quarto motivo è da disattendere, in quanto la censura di omessa pronuncia su richiesta di acquisizione documentale è di per sé inammissibile perché il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche per il mancato esame di questioni processuali (Cass, Sez. 1, 26.9.2013, n. 22083; Cass. Sez. 2, 25.1.2018, n. 1876; Cass., Sez. 3, 11.10.2018. n. 25154; Cass., Sez. 3, 15.4.2019, n. 10422);

10. il quinto motivo è infondato; nessuna insanabile contraddizione è rinvenibile nella motivazione della sentenza, posto che l’esclusione di ogni rilevanza dell’aliunde perceptum si pone quale naturale corollario della natura forfettaria dell’indennità (cfr. Cass. n. 26214/2018; Cass. n. 14392/2018 secondo cui l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore, senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”, trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio”), la quale è stata in concreto qui commisurata alle condizioni personali, di precariato, della lavoratrice, come riscontrate all’esito del rapporto a termine, nella specie giustamente valorizzate dalla Corte distrettuale unitamente (beninteso) alla durata del rapporto protrattasi per dodici anni;

10.1 è poi principio più volte affermato da questa Corte quello per cui «In materia di sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., sulla misura dell’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, la determinazione, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo è censurabile – al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui all’art. 8 della l. n. 604 del 1966 – solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria» (Cass. n. 25484/2019; conf. Cass. n. 1320/2014);

10.2 né può avere rilievo il fatto che il giudice di merito abbia considerato solo alcuni dei criteri dell’art. 8 legge n. 604/1966, richiamati dall’art. 32 comma 5 legge n. 183/2010, e non tutti: l’incentrarsi della motivazione solo su taluni elementi non significa, infatti, attribuzione di irrilevanza dei criteri residui, ma fa più semplicemente presumere che, nell’economia del giudizio di merito, la gravità dei parametri considerati (qui, lo stato di persistente disoccupazione) sia stata ritenuta prevalente e assorbente rispetto ad ogni diverso aspetto (cfr. Cass. n. 10861 del 2020);

11. alla stregua delle ragioni evidenziate, s’intende come non ricorrano i presupposti per la trattazione del ricorso in pubblica udienza, e ciò per l’univocità di interpretazione delle norme che definiscono le condizioni di applicazione dei contratti fiduciari di diretta collaborazione;

13. in conclusione, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 3 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023

 
 

 

 

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