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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti, Diritto processuale civile, Risarcimento del danno, Sicurezza sul lavoro Numero: 28961 | Data di udienza: 13 Settembre 2023

SICUREZZA SUL LAVORO – Ambiente di lavoro – Esecuzione del lavoro – Appalto – Situazioni di pericolo – Infortunio sul lavoro – Danno alla salute – Dovere di sicurezza – Incidenza della condotta nell’eziologia dell’evento – Verifica – APPALTI – Controllo sull’organizzazione – Responsabilità del committente – Responsabilità dell’appaltatore – Responsabilità solidale – RISARCIMENTO DEL DANNO – Giudizio civile di danno – Inefficacia del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno – Verifica del concorso di colpa del danneggiato – Giudice civile – Art. 1227 c.c. – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Sentenza penale di assoluzione – Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile – Effetto preclusivo nel processo civile – Eccezione – Autonomia e separatezza tra giudizi – Artt. 530, 652, 654 c.p.p. (Massima a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 18 Ottobre 2023
Numero: 28961
Data di udienza: 13 Settembre 2023
Presidente: DORONZO
Estensore: PONTERIO


Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – Ambiente di lavoro – Esecuzione del lavoro – Appalto – Situazioni di pericolo – Infortunio sul lavoro – Danno alla salute – Dovere di sicurezza – Incidenza della condotta nell’eziologia dell’evento – Verifica – APPALTI – Controllo sull’organizzazione – Responsabilità del committente – Responsabilità dell’appaltatore – Responsabilità solidale – RISARCIMENTO DEL DANNO – Giudizio civile di danno – Inefficacia del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno – Verifica del concorso di colpa del danneggiato – Giudice civile – Art. 1227 c.c. – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Sentenza penale di assoluzione – Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile – Effetto preclusivo nel processo civile – Eccezione – Autonomia e separatezza tra giudizi – Artt. 530, 652, 654 c.p.p. (Massima a cura di Alessia Riommi)



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 18 ottobre 2023 (Ud. 13/09/2023), Ordinanza n.28961

 

SICUREZZA SUL LAVORO – Ambiente di lavoro – Esecuzione del lavoro – Appalto – Situazioni di pericolo – Infortunio sul lavoro – Danno alla salute – Dovere di sicurezza – Incidenza della condotta nell’eziologia dell’evento – Verifica – APPALTI – Controllo sull’organizzazione – Responsabilità del committente – Responsabilità dell’appaltatore – Responsabilità solidale.

In tema di responsabilità in caso di infortunio occorso ai dipendenti dell’appaltatore, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 494 del 1996, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può, tuttavia, esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori. Sicché, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto l’incidenza della relativa condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Nel caso in esame, viene affermata la responsabilità per l’infortunio occorso, rispetto al datore di lavoro degli infortunati, quale proprietaria dell’intero impianto nonché quale committente di servizi nella cui gestione la stessa si era ingerita ed era coinvolta a vario livello.

 

RISARCIMENTO DEL DANNO – Giudizio civile di danno – Inefficacia del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno – Verifica del concorso di colpa del danneggiato – Giudice civile – Art. 1227 c.c. – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Sentenza penale di assoluzione – Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile – Effetto preclusivo nel processo civile – Eccezione – Autonomia e separatezza tra giudizi – Artt. 530, 652, 654 c.p.p..

In tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, la sentenza di assoluzione ha effetto preclusivo nel processo civile (sia ex art. 652 c.p.p., che ex art. 654 c.p.p.) solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui sia stata pronunciata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, per inesistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o la sua attribuibilità all’imputato. Inoltre, l’accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata – perché il fatto non costituisce reato – non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale – attesa l’autonomia e la separatezza tra giudizio civile e giudizio penale sottolineata anche dalle Sezioni Unite penali della S.C. (sentenza n. 22065/2021) – compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale. Pertanto, l’obbligo del giudice penale di determinare percentualmente l’efficienza causale delle singole condotte colpose sussiste solo allorché vi sia stato un concorso di colpa tra coimputati; laddove, invece, sia ravvisabile un concorso di colpa del danneggiato, spetta al giudice civile determinare l’incidenza causale dell’imprudenza di quest’ultimo. Difatti, l’eventuale concorso di colpa di soggetti diversi dall’imputato rileva ai fini dell’art. 1227 c.c., al fine di stabilire le quote risarcitorie a carico di ciascuno, ma di per sé non è in conflitto con l’accertamento di sufficienza causale e di responsabilità in sede penale. Nel caso in esame, come riportato nella sentenza d’appello, l’assoluzione del gruista dipendente è stata pronunciata “perché il fatto non costituisce reato” ed ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, e da ciò discende, secondo una giurisprudenza assolutamente granitica, l’inefficacia del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno.

(conferma sentenza n. 126/2019 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE) – Pres. DORONZO, Est. PONTERIO, Ric. — S.p.a. (avv.ti Carnevali e Saccà) c. M.L. e N.M. (avv. Mascitelli) e c. — A.r.l., T.F., — S.p.a., I.N.A.I.L., P.N.


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 18/10/2023 (Ud. 13/09/2023), Ordinanza n.28961

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 32689/2019 proposto da:
(omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIOVINE ITALIA 7, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO CARNEVALI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONINO SACCA’;

– ricorrente –

CONTRO

M.L., N.M., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO MASCITELLI;

– controricorrenti –

E CONTRO

(omissis) A R.L., IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, T.F., (omissis) S.P.A. (già (omissis) S.P.A.), I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, P.N.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 126/2019 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 30/04/2019 R.G.N. 1032/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/09/2023 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO CHE:

1. La Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello della (omissis) spa, confermando la decisione di primo grado che aveva condannato in solido (omissis). a r.l. in liquidazione coatta amministrativa (datrice di lavoro e appaltatrice), T.F. e P.N., rispettivamente presidente del CdA e stivatore della (omissis), e la (omissis) spa (committente) al risarcimento dei danni subiti da M.L. e N.M., dipendenti di (omissis), a causa dell’infortunio occorso il (omissis); il tribunale aveva ripartito nei rapporti interni la responsabilità nella misura del 60% a carico di (omissis), T. e P. e del 40% a carico di (omissis); aveva inoltre accolto la domanda di garanzia di quest’ultima società nei confronti di (omissis) (ora (omissis)) e dichiarato il diritto di T. e P. di essere tenuti indenni da (omissis) per mala gestio della pratica assicurativa.

2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha premesso che:
– il (omissis) M. e N. erano addetti all’attività di sbarco di container trasportati da una nave ormeggiata alla banchina del canale industriale del porto di (omissis), nel terminal della (omissis);
– la (omissis) operava direttamente con personale proprio, che manovrava le gru per movimentare i container, mentre aveva appaltato alla (omissis) i lavori di derizzaggio dei container a terra e a bordo della nave;
– il capo turno di (omissis), tramite il capo squadra stivatore P., aveva chiesto ai due lavoratori di svolgere in quota, anziché a terra, il compito di sganciare i sistemi di ancoraggio di cui i container erano forniti (per essere tenuti allineati con gli altri durante le operazioni di trasporto in mare);
– per salire in quota i due lavoratori avrebbero dovuto usare la cella porta persone agganciata alla gru tramite il bilancino, attrezzi tutti di proprietà della (omissis);
– i due lavoratori inizialmente si erano dichiarati contrari all’uso della cella porta persone, a causa della pioggia che rendeva il pavimento della stessa scivoloso e della dotazione di una sola cintura di sicurezza;
– per convincere i due lavoratori, il capoturno di (omissis) aveva fatto intervenire lo stivatore P., che aveva eseguito insieme a loro i primi due viaggi con la cella porta persona, mentre il terzo viaggio era stato eseguito solo dai due dipendenti, poiché il P. era stato chiamato altrove;
– la procedura di sicurezza per scongiurare il rischio di caduta della cella nelle operazioni di sollevamento prevedeva due sistemi di blocco al bilancino della gru: un sistema di tipo elettrico che comandava il blocco automatico della cella allo spreader; un sistema di tipo meccanico interno alla cella che ne realizzava il blocco allo spreader con quattro attacchi supplementari, muniti di “schiavi” o “golfari” in ferro da fissare ai fori dello spreader tramite un perno a vite anch’esso in ferro (questo sistema manuale aveva la funzione di assicurare ulteriormente la cella in caso di cattivo funzionamento del sistema elettrico);
– in nessuno dei tre viaggi in quota la cella veniva assicurata manualmente allo spreader (secondo la prassi in uso presso (omissis) e (omissis), anche perché il sistema manuale richiedeva operazioni faticose e di lunga realizzazione) e quindi la sicurezza della manovra era rimessa esclusivamente al sistema elettrico;
– nel corso del terzo viaggio in quota, una volta che i due lavoratori erano arrivati all’altezza dei container su cui operare, i twist-lock dello spreader comandati elettricamente si sganciavano e la cella (non trattenuta dal sistema manuale non utilizzato) precipitava da un’altezza di 6 metri, cadendo sopra il portellone di coperta della nave;
– entrambi i lavoratori subivano lesioni gravi a causa del violento urto dovuto alla loro caduta all’interno della cella;
– in sede penale T. e P. venivano condannati per il reato di lesioni colpose in danno dei due lavoratori, mentre veniva assolto, ai sensi dell’art. 530 c.p.c., comma 2, S.S., gruista dipendente della (omissis);
– le due sentenze penali del Tribunale di Livorno, emesse rispettivamente in esito a rito abbreviato nei confronti del T. e a rito ordinario nei confronti del P. e del S., entrambe irrevocabili, accertavano che lo sgancio del twist-lock dello spreader, che aveva causato la caduta della cella porta persone, era stato provocato da un problema all’impianto elettrico (un difetto di isolamento di un cavo di alimentazione dello spreader, dovuto alla forte umidità, aveva alterato il funzionamento del sistema comportando un passaggio di corrente fra circuiti);
– se fosse stata rispettata la procedura di sicurezza manuale, l’infortunio non si sarebbe verificato;
– l’eventuale assicurazione degli operai con cintura di sicurezza all’interno della cella sarebbe stata inutile poiché le lesioni erano state causate dalla caduta a terra della cella, con i due lavoratori trascinati in basso all’interno della cella medesima;
– la procedura di sicurezza manuale non era usata da tempo, perché faticosa e lunga da realizzare (gli “schiavi” e i “golfari” erano tutti in ferro e quindi pesanti e dovevano essere portati a spalla dai lavoratori fino agli angoli superiori della cella, in assenza di una scaletta interna, per poi essere fissati con il perno, da spingere a mano all’interno dello spreader); il giorno dell’infortunio era necessario completare rapidamente tutte le operazioni perché la nave doveva ripartire prima possibile lasciando libera la banchina del porto entro le 18.00;
– solo in seguito all’infortunio la (omissis) aveva predisposto un sistema di verifica della adozione della procedura manuale di sicurezza, in attuazione dei protocolli e delle procedure indicate dall’ISPEL e dalla AUSL, intervenute immediatamente dopo l’incidente.

3. La sentenza d’appello ha escluso qualsiasi concorso di colpa dei lavoratori infortunati, sul rilievo che la mancata adozione della procedura di sicurezza manuale costituisse (non una scelta dei medesimi, che anzi si erano dichiarati contrari all’uso della cella, ma) una prassi osservata da tempo dalle due società e, nella specie, oggetto di una precisa direttiva del superiore gerarchico P.. Ha rilevato come sulla responsabilità della (omissis) non potesse in alcun modo incidere l’assoluzione, in sede penale, del suo dipendente gruista (peraltro ai sensi dell’art. 530 c.p.c., comma 2), data la condotta della società, di costante e abituale violazione delle norme di sicurezza, resa ancora più grave in ragione dell’analogo incidente che si era verificato pochi giorni prima dell’infortunio per cui è causa e a seguito del quale la (omissis) si era limitata a sostituire lo spreader del braccio della gru senza provvedere ad una verifica dello stato di manutenzione e funzionamento dell’impianto elettrico. Secondo i giudici di appello, la responsabilità per l’infortunio di (omissis), committente di (omissis) dei servizi nella cui gestione si era ingerita ed era coinvolta a vario livello, specie quale proprietaria dei macchinari utilizzati, derivava dalla mancata adozione del sistema manuale di sicurezza della cella porta persone e dal malfunzionamento del sistema elettrico di sicurezza, privo della necessaria manutenzione. La gravità della violazione degli obblighi di sicurezza giustificava, secondo la Corte di merito, l’attribuzione alla stessa, nella ripartizione interna, di una responsabilità pari al 40%. Nella quantificazione del danno biologico, la Corte d’appello ha fatto propria la valutazione compiuta dal c.t.u. medico legale, che aveva tenuto conto dei pregressi infortuni subiti dai lavoratori; ha confermato la personalizzazione del danno non patrimoniale operata dal tribunale nella misura del 20% in ragione delle conseguenze, in termini di maggior fatica, nello svolgimento dell’attività lavorativa nel periodo successivo alla guarigione dopo l’infortunio.

4. Avverso tale sentenza la (omissis) spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. M.L. e N.M. hanno resistito con controricorso. (omissis). a.r.l. in liquidazione coatta amministrativa, T.F., P.N., (omissis) spa e Inail non hanno svolto difese. La (omissis) spa e i lavoratori M. e N. hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Al termine della Camera di consiglio, il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 149 del 2022.

CONSIDERATO CHE:

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p..

6. La società ricorrente assume di avere, sin dalla memoria di costituzione in primo grado, eccepito la propria completa estraneità ai fatti invocando il giudicato di cui alla sentenza penale del tribunale di Livorno n. 705/201 (di condanna del P., dipendente (omissis) come capo squadra stivatore, e di assoluzione del gruista dipendente della (omissis)), resa a seguito di dibattimento nel corso del quale i lavoratori infortunati si erano costituiti parte civile; sostiene che il giudicato penale confermava la corresponsabilità di (omissis) e degli stessi lavoratori ricorrenti nell’infortunio e la completa estraneità della (omissis) e dei suoi dipendenti ai fatti di causa; che, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile ha effetto di giudicato nei confronti delle parti civili, con la conseguenza che i fatti sfavorevoli accertati dalla sentenza penale nei confronti delle predette parti possono essere opposti alle stesse in un altro processo civile; che la statuizione contenuta nella sentenza penale (secondo cui “la violazione della procedura da parte dei singoli lavoratori M. e N., che hanno omesso materialmente di inserire gli schiavi di sicurezza, concorre causalmente nella produzione dell’evento con l’omessa vigilanza imputabile al preposto P., che non ha imposto agli stessi di adottare la procedura e non ne ha verificato il rispetto”), sfavorevole alle costituite parti civili, può essere validamente opposta per ogni effetto dalla (omissis) nel giudizio civile contro di essa promosso per il risarcimento dei danni; che la Corte d’appello, nella parte in cui ha escluso ogni concorso di colpa dei lavoratori, ha svolto una valutazione in fatto difforme rispetto a quella del giudice penale, valutazione preclusa dal giudicato penale.

7. Il motivo non può trovare accoglimento.

8. La (omissis) ricorrente invoca l’efficacia del giudicato penale sotto un duplice profilo: quale giudicato penale di assoluzione del gruista suo dipendente, al fine di escludere la propria responsabilità in ordine all’infortunio per cui è causa; quale giudicato penale sfavorevole alle parti civili ivi costituite (i lavoratori infortunati) in ordine al loro concorso di colpa nella causazione dell’incidente.

9. Sotto il primo profilo, deve premettersi che l’art. 654 c.p.p., invocato da parte ricorrente, esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile (non di danno) la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione, e qualora i fatti oggetto del giudizio penale non siano sovrapponibili a quelli oggetto del processo civile (Cass. n. 30838 del 2018; n. 4961 del 2010; n. 17652 del 2007). Nel caso in esame, è pacifico che la (omissis) non abbia partecipato al processo penale e che, come accertato dai giudici di appello (sentenza, pag. 8-9), “i profili di corresponsabilità della (omissis) rispetto all’infortunio sul lavoro dei due dipendenti (omissis) non risiedono nella (contingente) condotta tenuta dal gruista S. il giorno del fatto, bensì in circostanze molto più significative che riguardano prassi consolidate nel tempo di utilizzo della cella porta persone in costante violazione delle norme di sicurezza”, oltre che nella fattiva collaborazione, e ingerenza, della stessa nel lavoro appaltato alla (omissis) da svolgere usando macchinari forniti dalla stessa committente e non sottoposti alla doverosa manutenzione.

10. Deve inoltre ribadirsi che “In tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, la sentenza di assoluzione ha effetto preclusivo nel processo civile (sia ex art. 652 c.p.p., che ex art. 654 c.p.p.) solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui sia stata pronunciata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, per inesistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o la sua attribuibilità all’imputato” (Cass. n. 17708 del 2023); e che “l’accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata – perché il fatto non costituisce reato – non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale – attesa l’autonomia e la separatezza tra giudizio civile e giudizio penale sottolineata anche dalle Sezioni Unite penali della S.C. (sentenza n. 22065 del 2021) – compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale” (Cass. n. 36638 del 2021; n. 4764 del 2016). Nel caso in esame, come riportato nella sentenza d’appello, l’assoluzione del gruista dipendente (omissis) è stata pronunciata “perché il fatto non costituisce reato” ed ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, e da ciò discende, secondo una giurisprudenza assolutamente granitica, l’inefficacia del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile di danno.

11. Sotto il secondo profilo, con cui si censura la sentenza d’appello per avere disatteso l’accertamento vincolante che si assume eseguito dal giudice penale in ordine al concorso di colpa dei lavoratori infortunati costituiti parte civile, deve ribadirsi che “l’obbligo del giudice penale di determinare percentualmente l’efficienza causale delle singole condotte colpose sussiste solo allorché vi sia stato un concorso di colpa tra coimputati; laddove, invece, sia ravvisabile un concorso di colpa del danneggiato, spetta al giudice civile determinare l’incidenza causale dell’imprudenza di quest’ultimo” (Cass. 21402 del 2022 in motiv.). Difatti, l’eventuale concorso di colpa di soggetti diversi dall’imputato rileva ai fini dell’art. 1227 c.c., al fine di stabilire le quote risarcitorie a carico di ciascuno, ma di per sé non è in conflitto con l’accertamento di sufficienza causale e di responsabilità in sede penale (così Cass. n. 11117 del 2015 in motivazione; Cass. n. 15392 del 2018).

12. Ne’ può considerarsi dirimente la circostanza della avvenuta costituzione di parte civile (dei lavoratori infortunati) nel processo penale dal momento che “nei rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe ex art. 651 c.p.p., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pure costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima” (Cass. n. 1665 del 2016 e precedenti ivi citati).

13. Da ciò consegue che “il giudicato di condanna generica del debitore (come nel caso in esame) non preclude, nel successivo giudizio di liquidazione, l’eccezione di concorso di colpa del creditore e il relativo accertamento” e, allo stesso modo, non preclude l’esclusione, nel giudizio civile di danno, del concorso di colpa incidentalmente affermato dal giudice penale; ciò per effetto del “più generale principio secondo cui la condanna generica al risarcimento del danno, anche se contenuta in una sentenza penale, consiste in una mera declaratoria iuris e richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, indipendentemente dall’esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione, sicché ogni affermazione della sentenza penale che non sia funzionale alla condanna generica è insuscettibile di acquistare autorità di giudicato” (Cass. n. 21402 del 2022 in motivazione; Cass. n. 27723 del 2005, n. 9295 del 2010; n. 18352 del 2014, n. 5660 del 2018).

14. Dal giudicato penale (di condanna del dipendente – omissis) e di assoluzione del dipendente – omissis) non è quindi possibile trarre le conseguenze pretese dalla attuale ricorrente in termini di esclusione della propria (co)responsabilità e di affermazione del concorso di colpa dei lavoratori danneggiati.

15. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c., in relazione all’art. 14 del Regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali nel porto di Livorno approvato con ordinanza n. 40 del 15.12.2001 della Autorità Portuale di (omissis). La ricorrente censura la sentenza d’appello per non aver applicato correttamente i principi di ripartizione della responsabilità tra appaltante e appaltatore in caso di infortunio sul lavoro e per non aver considerato che la fattispecie oggetto di causa riguarda un contratto di appalto avente ad oggetto operazioni portuali, quindi connotato dal diritto speciale, ai sensi dell’art. 1 c.n., sia sotto il profilo della normativa di sicurezza che sotto il profilo della normativa regolamentare, in relazione ai rapporti contrattuali tra imprese portuali per l’esecuzione delle operazioni di imbarco e sbarco delle merci dalle navi.

16. Il motivo è inammissibile nella parte in cui solleva questioni, che coinvolgono l’interpretazione ed applicazione del regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali nel porto di Livorno, senza che sia specificato in quali atti processuali e in che termini le stesse siano state poste nei gradi di merito, atteso che la sentenza impugnata non contiene alcun accenno al riguardo. Come statuito da questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018; n. 20694 del 2018).

17. A prescindere da tale rilievo, le censure sono inammissibili in quanto, sebbene formulate attraverso il riferimento alle astratte previsioni del D.Lgs. n. 272 del 1999 (in materia di “adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali..”), della L. n. 84 del 1994, art. 16, e del citato regolamento, criticano nella sostanza la ricostruzione in fatto operata dalla Corte di merito, sulle concrete modalità di svolgimento delle operazioni da parte dei dipendenti (omissis) e sul ruolo svolto dalla (omissis) in termini di ingerenza, coinvolgimento e fornitura dei macchinari, al di fuori del perimetro segnato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (su cui v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014).

18. Sul tema della responsabilità del committente in caso di infortunio occorso ai dipendenti dell’appaltatore, la Corte di merito si è attenuta ai principi affermati da questa Corte (recentemente ribaditi con la sentenza n. 9178 del 2023, secondo cui “In tema di infortuni sul lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 494 del 1996, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, di modo che, ai fini della configurazione della sua responsabilità, occorre verificare in concreto l’incidenza della relativa condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d’opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo”; v. anche Cass. n. 2517 del 2023), principi non derogati dalla normativa invocata da parte ricorrente e in conformità ai quali la Corte d’appello, in base all’accertamento in fatto non censurabile in questa sede, ha affermato la responsabilità della (omissis) per l’infortunio occorso “quale proprietaria dell’intero impianto (gru CMI, cella, sistemi elettrici e manuali di sicurezza) nonché quale committente, rispetto al datore di lavoro degli infortunati, di servizi nella cui gestione la stessa… si era ingerita e (era) coinvolta a vario livello” (sentenza d’appello, pag. 9).

19. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché il travisamento dei fatti.

Si contesta la affermata responsabilità solidale della società per asserite negligenze manutentive di un macchinario in quanto fondate su presupposti di fatto che non trovano alcun riscontro né tra i fatti accertati in sede penale né nel presente giudizio. Si sostiene che, secondo quanto accertato dal c.t.u. in sede penale, la gru era stata sottoposta a regolare verifica annuale da parte dell’Asl di (omissis) il (omissis) ed era risultata adeguata ai fini della sicurezza; che sempre in sede penale si era acclarato come “lo sgancio dello spreader era stato determinato da un problema elettrico, in particolare da un difetto di isolamento di un cavo di alimentazione dello spreader”, mentre la sentenza impugnata fa riferimento a più “cavi con isolamento sbucciato nella scatola di derivazione della gru”; che sempre la sentenza d’appello individua un intervallo temporale ridotto tra i due episodi di sgancio accidentale dello spreader, mentre i testimoni escussi hanno individuato un arco temporale di una ventina di giorni.

20. Il motivo è inammissibile in quanto si traduce in una critica alla valutazione degli elementi di prova, preclusa in sede di legittimità, trattandosi peraltro di fatti presi in esame dalla Corte di merito, il che impedisce di considerare integrati i requisiti richiesti ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (v. Cass., S.U. n. 8053 e 8054 del 2014 cit.), in una ipotesi peraltro di doppia conforme.

21. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.

22. La regolazione delle spese in favore dei controricorrenti segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Non si provvede sulle spese nei confronti delle parti rimaste intimate.

23. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dei controricorrenti che liquida in Euro 10.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023

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