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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Pubblico impiego, Risarcimento del danno Numero: 4937 | Data di udienza: 5 Dicembre 2023

DIRITTO DEL LAVORO – Lavoro pubblico contrattualizzato – Tutela del lavoratore precario – Onere probatorio del danno e del nesso causale – Contratti di lavoro a termine del Consiglio – Mancanza della forma ad substantiam del contratto di lavoro – Effetti – L. n. 183/2010 – R.d. n. 2440/1923 – RISARCIMENTO DEL DANNO – Risarcimento del danno – Individuazione del c.d. danno comunitario – PUBBLICO IMPIEGO – Amministrazione pubblica – Principio della tutela effettiva del lavoro precario – Unione Europea – Art. 32, c.5, l.n. 183/2010 – Dir. 1999/1970/CE, Accordo quadro – Art. 97 c.4 Cost.. (Segnalazione e massime a cura di Omar El Amri)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Febbraio 2024
Numero: 4937
Data di udienza: 5 Dicembre 2023
Presidente: MAROTTA
Estensore: BELLÈ


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Lavoro pubblico contrattualizzato – Tutela del lavoratore precario – Onere probatorio del danno e del nesso causale – Contratti di lavoro a termine del Consiglio – Mancanza della forma ad substantiam del contratto di lavoro – Effetti – L. n. 183/2010 – R.d. n. 2440/1923 – RISARCIMENTO DEL DANNO – Risarcimento del danno – Individuazione del c.d. danno comunitario – PUBBLICO IMPIEGO – Amministrazione pubblica – Principio della tutela effettiva del lavoro precario – Unione Europea – Art. 32, c.5, l.n. 183/2010 – Dir. 1999/1970/CE, Accordo quadro – Art. 97 c.4 Cost.. (Segnalazione e massime a cura di Omar El Amri)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 23 febbraio 2024 (Ud. 5/12/2023), sentenza n. 4937

 

 

DIRITTO DEL LAVORO – Lavoro pubblico contrattualizzato – Tutela del lavoratore precario – Onere probatorio del danno e del nesso causale – Contratti di lavoro a termine del Consiglio – Mancanza della forma ad substantiam del contratto di lavoro – Effetti – L. n. 183/2010 – R.d. n. 2440/1923.

In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, la tutela del lavoratore precario, – con particolare riferimento all’esonero dall’onere probatorio del danno e del nesso causale nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 – non viene meno nel caso in cui i contratti di lavoro a termine siano nulli per mancanza di forma scritta ai sensi degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923. In particolare, la nullità formale non assorbe la tutela dovuta in caso di abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a termine, in quanto in mancanza di forma scritta si realizza anche la violazione delle norme sulla specificazione della causale o di certezza dell’assetto temporale del lavoro a termine che sono funzionali, nel diritto interno, all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE.

 

RISARCIMENTO DEL DANNO – Risarcimento del danno – Individuazione del c.d. danno comunitario – PUBBLICO IMPIEGO – Amministrazione pubblica – Principio della tutela effettiva del lavoro precario – Unione Europea – Art. 32, c.5, l.n. 183/2010 – Dir. 1999/1970/CE, Accordo quadro – Art. 97 c.4 Cost..

In tema di risarcimento del danno, (nella misura forfettaria indicata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010), è dovuto qualora si realizzi una reiterata utilizzazione del lavoratore a tempo determinato con assunzioni senza contratto scritto, affetto da nullità. Il danno comunitario deve essere riconosciuto in conformità con i principi posti dalla legislazione sovranazionale, poiché in esso si sostanzia la realizzazione del principio di effettività nella tutela del lavoro precario, imposta, non solo dal diritto dell’Unione Europea (Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE), ma anche dalla regola di diritto interno – di rango costituzionale posta dall’art. 97, comma 4, Cost. – per cui «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge».

(accoglie con rinvio e riforma parzialmente la sentenza n. 474/2020 – CORTE D’APPELLO DI CALTANISSETTA), Pres. MAROTTA, Est. BELLÈ – Vinciguerra (avv. Savoca) c. Ass. Reg. Terr. e Amb. Reg. Sicilia e Ass. Reg. Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona dei rispettivi Assessori p.t.


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 23/02/2024 (Ud. 5/12/2023), sentenza n. 4937

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Omissis

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9429/2021 R.G. proposto da:

VINCIGUERRA C., domiciliata ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Luigi Savoca ( –@pec.ordinedegliavvocaticatania.it), che lo rappresenta e difende

– ricorrente –

CONTRO

Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente della Regione Sicilia e Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, in persona dei rispettivi Assessori p.t.

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta n. 474/2020, depositata il 11.11.2020, RG 29/2019;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.12.2023 dal Consigliere ROBERTO BELLE’;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Roberto Mucci, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla lavoratrice, rigettava la domanda proposta dalla stessa, attuale ricorrente, volta ad ottenere la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il risarcimento del danno per abusiva reiterazione di contratti di lavoro a termine, e il pagamento di un’indennità economica quale corrispettivo della permanente disponibilità a prestare l’attività lavorativa, a chiamata, nell’arco di tutto l’anno solare.

2. Contro tale decisione la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.

Gli Assessorati regionali contro i quali la ricorrente rivolge le domande sono rimasti intimati.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, implicitamente in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione Direttiva Europea n. 1999/70/CE».

La ricorrente contesta la legittimità della decisione della Corte d’Appello laddove questa ha rilevato la nullità per mancanza di forma scritta ad substantiam dei contratti di lavoro a termine conclusi tra la ricorrente e l’amministrazione regionale, traendone la conseguenza che «non si configura nel caso di specie la dedotta abusiva reiterazione di contratti a termine» e che non può trovare quindi applicazione l’agevolazione probatoria in merito al danno risarcibile che, nei rapporti con la pubblica amministrazione, surroga la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in un’ottica di necessaria effettività della tutela imposta dal diritto eurounitario (Cass. S.U. n. 5072/2016).

1.1. Il motivo è fondato, per le ragioni e nei termini di seguito esposti.

1.1.1. Occorre premettere un breve inquadramento del contesto normativo nell’ambito del quale la ricorrente ha svolto le sue prestazioni di lavoro subordinato in favore dell’amministrazione regionale siciliana.

Con l’art. 43 della legge regionale n. 14 del 2006, che introdusse l’art. 45-ter nella legge regionale n. 16 del 1996, la Regione Sicilia istituì «l’elenco speciale regionale dei lavoratori forestali».

L’iscrizione nell’elenco è «condizione essenziale per l’avviamento al lavoro alle dipendenze del dipartimento regionale delle foreste e dell’Azienda regionale delle foreste demaniali». Il successivo art. 46 della legge regionale n. 16 del 1996 prevede che, «per le esigenze connesse all’esecuzione dei lavori condotti in amministrazione diretta, l’Amministrazione forestale si avvale … dell’opera:
a) di un contingente di operai a tempo indeterminato;
b) di un contingente di operai con garanzia di fascia occupazionale per centocinquantuno giornate lavorative ai fini previdenziali;
c) di un contingente di operai con garanzia di fascia occupazionale per centouno giornate lavorative ai fini previdenziali».

A prescindere dai requisiti per l’iscrizione nell’elenco speciale e dai criteri per lo scorrimento degli iscritti nelle relative graduatorie (che qui non rilevano e su un aspetto dei quali è anche intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 206/2015), il sistema è chiaramente diretto alla progressiva stabilizzazione degli operai non assunti a tempo indeterminato (centocinquantunisti e centounisti), che nel frattempo lavorano di volta in volta a chiamata, con
garanzia di un numero minimo annuale di «giornate lavorative ai fini previdenziali».

Nella sentenza impugnata non è messo in discussione che i lavoratori inseriti nei contingenti «di operai con garanzia di fascia occupazionale» limitata ad un certo numero di giornate lavorative sono lavoratori a tempo determinato, come del resto emerge dal testo della legge regionale, per la contrapposizione tra gli operai inseriti in tali contingenti e quelli inseriti nel «contingente di operai a tempo indeterminato».

1.1.2. La Corte d’Appello di Caltanissetta, premesso che «Il rapporto a termine oggetto di causa trova fonte in un contratto che non è stato affatto stipulato ai sensi del d.lgs. 368/2001, ma sulla base di norme della legge regionale siciliana n. 16 del 1996, quindi con forme e modalità del tutto estranee alle previsioni del d.lgs. 368/2001 e della Direttiva CE n. 70 del 1999» (premessa che ha portato il giudice d’appello a dichiarare infondata l’eccezione di decadenza dall’azione sollevata dalla pubblica amministrazione, sulla scorta della quale il Tribunale aveva invece rigettato, in limine, la domanda della lavoratrice), ha tuttavia rilevato d’ufficio e considerato decisiva la nullità del contratto per mancanza della forma scritta richiesta ad substantiam per tutti i contratti della pubblica amministrazione.

Secondo la Corte d’Appello, la nullità radicale del contratto di lavoro per mancanza di forma assorbe la (e prevale sulla) nullità parziale dell’apposizione del termine, rendendo applicabile la disciplina generale dell’art. 2126 c.c., che riconosce al lavoratore il diritto al corrispettivo per le prestazioni eseguite, senza escludere il risarcimento danno, purché allegato e provato in concreto, anche con riferimento al nesso causale con un comportamento illecito del datore di lavoro. Una volta escluso il diritto del lavoratore alla conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato (con decisione che, in parte qua, non è oggetto di ricorso per cassazione), la Corte territoriale ha negato anche il risarcimento del c.d. «danno comunitario» nella misura forfettaria indicata dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 (secondo l’insegnamento di Cass. S.U. n. 5072/2016), perché tale particolare tutela presupporrebbe la stipulazione di un valido contratto di lavoro, nel quale venga illegittimamente fissato un termine finale di durata, e non opererebbe, invece, nel caso di nullità dello stesso contratto di lavoro.

1.1.3. La motivazione del giudice d’appello, sebbene supportata dal pertinente richiamo a un precedente di questa Corte (Cass. n. 24666/2016), non può essere condivisa proprio nella parte in cui considera prevalente ed assorbente la nullità formale del contratto di lavoro a termine rispetto alla tutela dovuta al lavoratore nel caso (allegato dalla ricorrente e non messo in discussione nella decisione impugnata) di abusiva reiterazione dei rapporti di lavoro a termine.

Occorre innanzitutto ribadire che le norme per la protezione del lavoro a tempo determinato contenute nel d.lgs. n. 368 del 2001 di attuazione della direttiva 1999/70/CE (così come quelle ora scritte nel d.lgs. 81 del 2015) si applicano anche ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni su tutto il territorio nazionale, comprese le ragioni a statuto speciale. Il fatto che un contratto di lavoro non sia stato stipulato «ai sensi del d.lgs. 368/2001» nulla toglie alla necessità di applicare le norme di legge imperative che disciplinano quel rapporto.

Ciò in coerenza con il raggiungimento, anche nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, dell’obiettivo perseguito dalla citata direttiva 1999/70/CE, di limitare il ricorso a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori (CGUE, sentenza CGUE 26 novembre 2014, Mascolo e a., nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, punto 72). Più volte la Corte di giustizia ha affermato che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (si v. ex aliis, decisioni causa C177/10, Rosado Santana; sentenza 7 settembre 2006, in causa C53/04, Marrosu e Sardino; causa C-212/04, Adeneler).

L’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 imponeva la forma scritta per la valida pattuizione dell’assunzione a termine, con indicazione specifica della causale, norma che sicuramente risponde, nel diritto interno, all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE, con particolare riferimento all’assicurazione di regole di salvaguardia, tra cui quella della fissazione di «ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti» (art. 5, lett. a) e/o della «durata massima totale» (art. 5 lett. b). La forma scritta risponde del resto a tale esigenza pur nel diverso sistema che ha caratterizzato successivamente il contratto a tempo determinato; infatti, seppure la causalità è in tutto o in parte venuta meno (d.l. n. 34 del 2014 conv. con mod. in L. n. 34/2014; art. 19 d.lgs. n. 81 del 2015, nelle diverse formulazioni succedutesi), il requisito formale continua ad assicurare certezza quanto meno rispetto all’assetto temporale, così contribuendo a garantire il controllo sulle regole dettate dal diritto interno al fine di contrastare la reiterazione indiscriminata di rapporti a termine.

L’inosservanza della regola interna sulla pattuizione per iscritto, a prescindere dal fatto che il contratto sia anche nullo per difetto della forma propria dei contratti con la Pubblica Amministrazione, si riverbera quindi nell’elusione di una norma finalizzata appunto a dare attuazione alle regole antiabusive di cui alla direttiva e pertanto, la reiterata utilizzazione del lavoratore a tempo determinato con assunzioni senza contratto scritto realizza un’illegittima reiterazione, in contrasto l’assetto della disciplina eurounitaria.

La Corte d’Appello, dunque, erroneamente non ha verificato la compatibilità del rapporto di lavoro con l’accordo quadro, dalla cui violazione discende il riconoscimento del cd. danno comunitario, in presenza della illegittima reiterazione dei contratti a termine (Cass., SU, n. 5076 del 2016), e se non intervenuta stabilizzazione direttamente riferibile alla precarizzazione. Né è di ostacolo a ciò la diversità strutturale dei contratti in questione rispetto agli ordinari contratti di lavoro a termine, atteso che comunque vi è un’occupazione lavorativa a termine reiterata negli anni.

Ciò posto, il risarcimento del c.d. «danno comunitario» rappresenta, sul piano giurisprudenziale, la realizzazione del principio di effettività nella tutela del lavoro precario, imposta dal diritto dell’Unione Europea, contemperandolo con la regola di diritto interno – e di rango costituzionale (art. 97, comma 4, Cost.) – per cui «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge». Tale regola impedisce di applicare ai dipendenti degli enti pubblici non economici la tutela – sicuramente adeguata sul piano della effettività e applicabile nel lavoro privato – della trasformazione del rapporto (illegittimamente) a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’alternativa tutela meramente risarcitoria rischia, invece, di non essere una tutela sufficientemente efficace (e, quindi, un’effettiva attuazione dei principî eurounitari), qualora governata dalle comuni norme sulla ripartizione degli oneri probatori, che impongono al lavoratore di allegare e provare in modo specifico il danno subito e il suo nesso causale con il rapporto di lavoro. Per questo, si è ritenuta misura doverosa, nel diritto interno, il riconoscimento al lavoratore, in caso di abusiva reiterazione di contratti a termine, del diritto al pagamento di un’indennità forfettaria, in misura variabile tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, che prescinde dalla prova del danno, ferma restando la possibilità per il lavoratore di provare di avere subito un danno maggiore. Tale delicato equilibrio tra un obiettivo del diritto eurounitario e una disposizione interna di rango costituzionale verrebbe infranto qualora l’agevolazione nella tutela risarcitoria del lavoratore illegittimamente assunto a termine dalle pubbliche amministrazioni fosse condizionata al presupposto, meramente formale, della stipulazione del contratto per iscritto.

In sostanza, seguendo questa opinione, la tutela risarcitoria facilitata del lavoratore verrebbe meno per il fatto che, alla violazione delle norme che delimitano l’ambito di legittimità del ricorso al lavoro a termine, si aggiunge la violazione di un’ulteriore disposizione di legge (quella che prescrive la forma scritta per tutti i contratti della pubblica amministrazione: artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923), anch’essa imputabile principalmente al datore di lavoro, il quale, in quanto ente pubblico, è il primo responsabile della legittimità del proprio operato. E sarebbe evidentemente contrario ad ogni razionalità che la tutela giuridica del lavoratore venisse meno, o risultasse attenuata, per il solo fatto che il comportamento del datore di lavoro è illegittimo anche sotto un diverso profilo, oltre a quello che determina la necessità di quella tutela.

Del resto, l’Accordo quadro allegato, come parte integrante, alla Direttiva 1999/70/CE, indica, alla clausola n. 1, l’obiettivo di prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di «contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato», manifestando chiaramente l’intenzione di prevedere una tutela del rapporto di lavoro, anche a prescindere dalla disciplina del contratto in quanto tale. Lo stesso vale per la clausola n. 5 («contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato»), che è quella direttamente rilevante nel caso di specie. Ciò, del resto, è in perfetta coerenza con quella effettività della tutela che il diritto dell’Unione intende garantire allorché riconosce diritti soggettivi e libertà personali, affidandone la cura ai giudici nazionali. E poiché l’agevolazione probatoria ai fini del risarcimento del danno è posta proprio a presidio del principio di effettività della tutela dei lavoratori precari nell’ambito del lavoro pubblico, sarebbe in contraddizione con tale principio farla venire meno in conseguenza di un vizio formale nella stipulazione del contratto.

Né può essere condivisa l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui la nullità del contratto per mancanza di forma scritta determinerebbe una «impossibilità intrinseca di procedere alla conversione del rapporto», da intendersi come diversa, e più intensa, rispetto a quella determinata dal divieto di instaurare rapporti di pubblico impiego senza concorso. Anche quest’ultima è, infatti, una impossibilità intrinseca, tant’è che proprio in relazione ad essa i criteri per la liquidazione del «risarcimento comunitario» sono stati individuati nell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 (ora art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2015) e non in quelli dettati per i casi di licenziamento illegittimo (il riferimento è, ancora una volta, a Cass. S.U. n. 5072/2106, che ha considerato inappropriato il rinvio ai criteri dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, perché «L’ipotesi del licenziamento evoca la perdita del posto di lavoro che nella fattispecie del lavoro pubblico contrattualizzato … è esclusa in radice dalla legge ordinaria … in ottemperanza di un precetto costituzionale sull’agire della pubblica amministrazione»).

In definitiva, è necessario affermare che la tutela agevolata del lavoratore, sul piano probatorio ai fini del risarcimento del danno, in caso di abusiva reiterazione di rapporti a termine da parte della pubblica amministrazione, per essere conforme ai vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea, non può venire meno a causa della nullità dei contratti determinata dalla mancanza di forma scritta. Una tale soluzione appare, del resto, del tutto in linea con i precedenti di questa Corte in materia di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto (ad es. Cass. n. 41464/2021; Cass. n. 10157/2019; Cass. n. 10951/2018), sia con quelli in cui si è riconosciuta l’agevolazione probatoria a fronte di contratti privi di causale – vizio di forma – (v. ad esempio Cass. n. 37741/2022 che con riferimento a contratti che non enunciavano alcuna esigenza temporanea ed eccezionale giustificativa del termine ha ritenuto corretta l’agevolazione probatoria dell’art. 32).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia «violazione art. 36 Cost., in relazione all’art. 2094 c.c.».

Il motivo lamenta il mancato riconoscimento di un corrispettivo per la perdurante disponibilità del lavoratore a rendere la prestazione in qualsiasi momento nel corso dell’anno solare.

2.1. Il motivo è palesemente infondato.

È la stessa ricorrente a riconoscere che il corrispettivo richiesto non è previsto dal contratto collettivo applicato al suo rapporto di lavoro, tant’è che egli si sforza di ravvisare in tale omissione una violazione dell’art. 36 Cost., secondo cui «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro». Sennonché, il fatto di poter essere chiamato, nel corso dell’anno, a seconda delle esigenze del datore di lavoro (ma forse sarebbe più corretto dire dei datori di lavoro, dal momento che diversi sembrano essere i soggetti che possono attingere dai contingenti di lavoratori a tempo determinato iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge regionale n. 16 del 1996), non comporta una prestazione di lavoro aggiuntiva (essendo una contraddizione in termini che questa possa consistere in un mero non facere), ma rappresenta soltanto una modalità in cui si estrinseca il rapporto.

Non si ravvisa, pertanto, alcuna violazione dell’art. 36 della Costituzione nella previsione che al lavoratore sia corrisposta la retribuzione determinata dalla contrattazione collettiva in rapporto alla quantità e qualità delle prestazioni effettivamente erogate.

3. Accolto il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata dev’essere cassata, per quanto di ragione, con rinvio alla Corte d’Appello di Caltanissetta perché decida, in diversa composizione, attendendosi a quanto sopra precisato ed al seguente principio di diritto: «la tutela del lavoratore precario nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato, come sancita nella sentenza n. 5072/2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – e, in particolare, l’esonero dall’onere probatorio del danno e del nesso causale nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 – non vengono meno nel caso in cui i contratti di lavoro a termine siano nulli per mancanza di forma scritta ai sensi degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440 del 1923, in quanto in mancanza di forma scritta si realizza anche la violazione delle norme sulla specificazione della causale o di certezza dell’assetto temporale del lavoro a termine che sono funzionali, nel diritto interno, all’esigenza antiabusiva di cui all’art. 5 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/79/CE».

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Caltanissetta, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023

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