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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Pubblico impiego Numero: 29341 | Data di udienza: 13 Settembre 2023

PUBBLICO IMPIEGO – Trasferimento o conferimento di attività – Art. 31 Dlgs. n. 165/2001 – Pubbliche amministrazioni – Enti pubblici – Istituzione di nuovo Ente – Passaggio di personale – Accordo sindacale – Indennità di disagio speciale – Contrattazione collettiva – Nullità della pattuizione contrattuale – Artt. 2103, 2112 c.c. (Massima a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Ottobre 2023
Numero: 29341
Data di udienza: 13 Settembre 2023
Presidente: DI PAOLANTONIO
Estensore: DI PAOLANTONIO


Premassima

PUBBLICO IMPIEGO – Trasferimento o conferimento di attività – Art. 31 Dlgs. n. 165/2001 – Pubbliche amministrazioni – Enti pubblici – Istituzione di nuovo Ente – Passaggio di personale – Accordo sindacale – Indennità di disagio speciale – Contrattazione collettiva – Nullità della pattuizione contrattuale – Artt. 2103, 2112 c.c. (Massima a cura di Alessia Riommi)



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 23 ottobre 2023 (Ud. 13/09/2023), Sentenza n. 29341

 

PUBBLICO IMPIEGO – Trasferimento o conferimento di attività – Art. 31 Dlgs. n. 165/2001 – Pubbliche amministrazioni – Enti pubblici – Istituzione di nuovo Ente – Passaggio di personale – Accordo sindacale – Indennità di disagio speciale – Contrattazione collettiva – Nullità della pattuizione contrattuale – Artt. 2103, 2112 c.c.

Il passaggio di personale attuato in occasione della creazione di un nuovo ente pubblico, cui siano attribuite competenze in precedenza riservate ad altro ente non configura una trasferta del lavoratore, e neppure un trasferimento ex art. 2103 c.c., ma integra un “passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività” che il legislatore ha disciplinato con il d.lgs. n. 165 del 2001, art. 31, secondo cui “Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi da 1 a 4”. La norma può essere derogata solo da disposizioni normative di pari livello, pertanto, debbono essere condivise le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte territoriale quanto alla nullità della pattuizione contrattuale che stabilisce il diritto di coloro che avessero volontariamente aderito alla mobilità a percepire l’indennità di disagio speciale. I limiti entro i quali la contrattazione decentrata è legittimata ad intervenire sono, infatti, disegnati dal d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla contrattazione nazionale, sicché ove faccia difetto una specifica disposizione attributiva del potere di intervento, l’accordo intervenuto non può sfuggire alla sanzione di nullità.

(conferma sentenza n. 80/2018 – CORTE DI APPELLO DI ANCONA), Pres. DI PAOLANTONIO, Est. DI PAOLANTONIO, Ric. M.D. (avv. Mandrelli) c. Provincia di Fermo (avv. Brignocchi)


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 23/10/2023 (Ud. 13/09/2023), Sentenza n. 29341

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 35214-2018 proposto da:

M.D., domiciliata ope legis in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo PEC dell’Avvocato BRUNO MANDRELLI che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

CONTRO

PROVINCIA DI FERMO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO n. 23, presso lo studio dell’avvocato FLAMINIA AGOSTINELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO BRIGNOCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 80/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 04/06/2018 R.G.N. 138/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/09/2023 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso e per l’inammissibilità del secondo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato BRUNO MANDRELLI;

udito l’Avvocato CLAUDIO BRIGNOCCHI.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Ancona ha respinto l’appello di M.D. avverso la sentenza del Tribunale di Fermo che aveva rigettato entrambe le domande, proposte nei confronti della Provincia di Fermo, di pagamento dell’indennità di disagio speciale prevista dall’accordo sindacale del 26 marzo 2009 e, in subordine, di condanna al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c..

2. La Corte territoriale ha premesso che la L. n. 147 del 2004 aveva disposto la nascita della nuova Provincia di Fermo e che l’accordo sindacale aveva previsto il trasferimento alle dipendenze dell’ente territoriale di nuova istituzione di dipendenti già in servizio presso la Provincia di Ascoli Piceno, stabilendo il diritto di coloro che avessero volontariamente aderito alla mobilità a percepire l’indennità di disagio speciale, indennità che inizialmente era stata corrisposta dalle due Province, le quali, poi, avevano omesso il pagamento.

3. Il giudice d’appello ha condiviso le conclusioni del Tribunale quanto all’illegittimità della previsione contrattuale ed ha osservato che:
– il passaggio di personale dalla Provincia di Ascoli Piceno alla Provincia di Fermo aveva realizzato gli estremi della mobilità tra enti dello stesso comparto delle Autonomie Locali;
– la ricognizione preventiva della dotazione organica di personale effettuata ai sensi della L. n. 147 del 2004, art. 3, commi 1 e 2, doveva considerarsi atto equipollente alla dichiarazione di eccedenza di personale di cui alla procedura di mobilità collettiva contemplata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, trattandosi essenzialmente di una situazione di conferimento di attività, tramite assegnazione di eccedenza di personale, derivante dall’istituzione della nuova Provincia di Fermo e dalla correlata riduzione del carico di lavoro gravante sulla pianta organica della Provincia di Ascoli Piceno;
– detta attività doveva ritenersi riservata alla competenza esclusiva degli organi istituzionali e sottratta, sia al preventivo confronto sindacale, sia all’applicazione diretta del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, in virtù della salvezza di disposizioni speciali in quest’ultima norma prevista e della conseguente applicazione della L. n. 147 del 2004, che disciplinava la specifica vicenda traslativa;
– nella specie, ci si trovava di fronte ad una mobilità non volontaria ma collettiva, promossa d’ufficio ma oggetto di adesione da parte della ricorrente, nel momento in cui la stessa aveva preso servizio nell’ufficio di destinazione e non aveva invece optato per il collocamento in disponibilità, dovendosi, quindi, escludere che l’assegnazione alla nuova Provincia avesse avuto connotazione coattiva;
– alla luce, sia del disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 – che riserva la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio dei dipendenti pubblici ai soli contratti collettivi – sia dell’art. 42 del CCNL Comparto Autonomie Locali del 14 settembre 2000 – che prevede una indennità di trasferimento variabile da un minimo di tre ad un massimo di sei mesi, da determinarsi in sede di contrattazione integrativa decentrata entro i limiti di bilancio e degli specifici impegni di spesa già previsti in bilancio – la clausola dell’accordo sindacale del 26 marzo 2009, che aveva invece previsto il riconoscimento dell’indennità di disagio per la durata di un quinquennio, andava dichiarata nulla per contrasto con il citato art. 42 CCNL di comparto.

4. La Corte distrettuale ha ritenuto infondata anche la domanda di risarcimento del danno ed ha rilevato che la Provincia di Fermo non aveva violato gli obblighi di correttezza e buona fede, giacché aveva corrisposto l’indennità nei limiti della capienza dei fondi stanziati e, solo una volta terminati detti fondi, aveva chiesto chiarimenti all’ARAN, che si era espressa nel senso della contrarietà dell’accordo con i limiti imposti alla contrattazione nazionale. Ha richiamato giurisprudenza di questa Corte per sostenere che l’art. 1338 c.c. non può essere invocato qualora l’invalidità del contratto derivi da norme generali che si presumono note alla generalità dei consociati.

4. Per la cassazione della sentenza M.D. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese la Provincia di Fermo.

5. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ed ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 31, 40, 45 e 29, della L. n. 147 del 2000, art. 3, degli artt. 41 e 42 del CCNL Comparto Autonomie Locali del 14 settembre 2000 dell’art. 110 c.p.c. Sostiene, in sintesi, che la Corte territoriale ha errato nella qualificazione dell’accordo sindacale del 26 marzo 2009, al quale non potevano essere applicati i limiti posti dal legislatore alla contrattazione integrativa in quanto detto accordo:
– aveva ad oggetto materie estranee all’ambito della contrattazione decentrata integrativa, investendo profili quali la mobilità, il prepensionamento anticipato, il trasferimento di personale e, appunto, il riconoscimento dell’indennità di disagio;
– aveva seguito nella propria formazione un iter del tutto autonomo e peculiare, diverso da quello previsto per la contrattazione decentrata integrativa;
– conteneva una serie di previsioni a carattere sinallagmatico, tali per cui l’annullamento di una clausola verrebbe inevitabilmente a ripercuotersi anche sulle altre, comportando la caducazione dell’intero accordo.

Aggiunge che, anche ammettendo che l’accordo sindacale del 26 marzo 2009 possa essere qualificato quale ipotesi di contrattazione decentrata integrativa, il tenore della clausola che contempla il riconoscimento dell’indennità di disagio, parametrandola sulla base della distanza chilometrica tra residenza del lavoratore e sede di lavoro, risulterebbe in ogni caso conforme alla previsione di cui all’art. 41, comma 4, del CCNL di comparto, che riconosce l’indennità chilometrica al lavoratore che si avvalga del proprio mezzo di trasporto per la trasferta.

Deduce, infine, che la Corte d’appello ha erroneamente affermato la nullità della clausola dell’accordo sindacale del 26 marzo 2009, sebbene la Provincia di Fermo avesse contestato unicamente il quantum della pretesa.

2. Con la seconda critica la ricorrente addebita alla sentenza gravata la violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c. e deduce che la pubblica amministrazione aveva tenuto nella fattispecie un comportamento quantomeno negligente e colposamente lesivo dei diritti della dipendente. Sostiene che le risorse finanziarie erano state previste dalla L. n. 147 del 2004 ed aggiunge che, contrariamente a quanto asserito dal giudice d’appello, la Provincia di Ascoli Piceno non aveva eccedenza di personale, tanto che aveva rinnovato i contratti stipulati con gli assunti a tempo determinato.

3. Il primo motivo di ricorso è infondato in tutte le sue articolazioni, perché il dispositivo di rigetto della domanda proposta dalla ricorrente, per quanto di seguito si dirà, è corretto e questa Corte deve limitarsi a correggere, in parte, la motivazione della sentenza gravata, ex art. 384 c.p.c., comma 4.

Non può essere accolta la censura illustrata alla lett. e) – “violazione art. 110 c.p.c. per il profilo dell’ultra petizione” – giacché, anche a voler tenere in disparte l’omesso rispetto degli oneri di specifica indicazione e di allegazione degli atti processuali imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, infondatamente addebita alla Corte territoriale di avere violato il principio del contraddittorio e quello della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.

E’ ius receptum l’orientamento secondo cui non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia, appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (cfr. fra le tante Cass. n. 34027/2022).

Nel caso di specie, risulta dalla sintesi della vicenda processuale riportata nella sentenza gravata che il Tribunale di Fermo aveva accolto l’eccezione di nullità in parte qua dell’accordo stipulato il 26 marzo 2009, sollevata dalla Provincia di Fermo (cfr. anche pag. 6 del ricorso), sul rilievo che con lo stesso era stato attribuito un trattamento economico accessorio non previsto dalla contrattazione nazionale.

L’appellante, nel censurare detto capo della decisione, aveva, invece, rivendicato la piena legittimità della previsione contrattuale, facendo leva sulla specialità della disciplina dettata dalla L. n. 147 del 2004 nonché sulla disponibilità delle risorse finanziarie, stanziate dalla legge istitutiva del nuovo ente territoriale.

Il tema della validità dell’accordo, che implicava necessariamente quello della sua qualificazione, a sua volta conseguente alla ricostruzione in iure della vicenda successoria, era stato, quindi, oggetto di specifica devoluzione, sicché ben poteva la Corte distrettuale rigettare l’impugnazione anche sviluppando argomentazioni diverse da quelle fatte valere dall’amministrazione appellata.

4. Parimenti infondato è il primo motivo nella parte in cui contesta il capo della sentenza impugnata che ha ravvisato il denunciato contrasto, quanto al trattamento economico dei dipendenti trasferiti, con la disciplina dettata dalla contrattazione nazionale.

Il CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto enti locali, applicabile alla fattispecie perché non derogato, in parte qua, dalla contrattazione collettiva successiva, disciplina, all’art. 41, il trattamento di trasferta spettante ” ai dipendenti comandati a prestare la propria attività lavorativa in località diversa dalla dimora abituale e distante più di 10 KM dalla ordinaria sede di servizio”. Il successivo art. 42 riguarda, invece, il trattamento di trasferimento, riconosciuto in favore del personale “trasferito ad altra sede per motivi organizzativi o di servizio, quando il trasferimento comporti il cambio della sua residenza”. Le parti collettive hanno previsto, in quest’ultimo caso, oltre al rimborso delle spese connesse al trasferimento del nucleo familiare dall’una all’altra località, l’attribuzione dell’indennità di trasferta, “limitatamente alla durata del viaggio” nonché ” una indennità di trasferimento, il cui importo, maggiore nel caso che il dipendente si trasferisca con la famiglia e variabile da un minimo di tre mensilità ad un massimo di sei mensilità, viene determinato da ciascun ente in sede di contrattazione decentrata integrativa nell’ambito delle risorse di cui al comma 4″.

4.1. La giurisprudenza di questa Corte da tempo ha affermato, con orientamento costante, che ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore, cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità, è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, legame che viene, invece, meno nella diversa ipotesi del trasferimento, che comporta l’assegnazione definitiva del dipendente ad altra sede, diversa dalla precedente (cfr. fra le tante Cass. n. 18479/2014; Cass. n. 6240/2006; Cass. 16812/2002 e, per l’impiego pubblico contrattualizzato, Cass. 21519/2012).

Non e’, pertanto, applicabile alla fattispecie l’invocato art. 41, perché è incontestato fra le parti, e ne dà atto la sentenza impugnata, che la M. aveva preso servizio presso la neo istituita Provincia di Fermo, con conseguente mutamento definito della sede di lavoro e del soggetto in favore del quale la prestazione doveva essere resa.

4.2. Il passaggio del dipendente dall’una all’altra amministrazione, come si dirà riconducibile alla disciplina dettata in via generale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31 non integra neppure trasferimento ex art. 2103 c.c., al quale si riferisce l’art. 42 del CCNL citato, che presuppone la modificazione della sola sede di lavoro in relazione al rapporto di impiego, per il resto, immutato ed intercorrente fra i medesimi soggetti.

Non a caso l’accordo della cui legittimità si discute qualifica l’indennità che qui viene in rilievo “di disagio speciale”, indennità non prevista dalla contrattazione nazionale, che contiene disposizioni sia in tema di mobilità per eccedenza di personale (art. 25 del CCNL 14 settembre 2000), sia con riferimento alla mobilità collettiva D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 31 seppure limitatamente a specifiche vicende successorie, diverse da quella oggetto di causa (artt. 26 e seguenti del CCNL 5 ottobre 2001).

4.3. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, l’infondatezza in parte qua della censura, atteso che la modificazione soggettiva del rapporto implica necessariamente il venir meno di ogni legame con l’originaria sede di servizio e ciò esclude in radice ogni possibilità di applicazione del citato art. 41.

Ne’, d’altra parte, la legittimità dell’accordo sindacale può essere fondata sull’art. 42 dello stesso CCNL, oltre che per quanto si è già detto sull’impossibilità di ravvisare nella fattispecie un trasferimento in senso tecnico, per l’ulteriore ragione che l’indennità prevista in favore del dipendente trasferito non può eccedere il limite massimo delle sei mensilità, mentre in questo caso si discute di un trattamento accessorio di durata quinquennale.

5. Parimenti infondate sono le ulteriori doglianze sviluppate nel motivo.

La L. 11 giugno 2004, n. 147 ha istituito la Provincia di Fermo ed ha previsto che la circoscrizione territoriale sarebbe stata costituita dai Comuni, analiticamente indicati nell’art. 2, originariamente ricompresi nel territorio della Provincia di Ascoli Piceno.

L’art. 3 ha stabilito che ” La provincia di Ascoli Piceno procede alla ricognizione della propria dotazione organica di personale e Delib. lo stato di consistenza del proprio patrimonio ai fini delle conseguenti ripartizioni, da effettuare con apposite deliberazioni della giunta, in proporzione al territorio e alla popolazione trasferiti alla nuova provincia.

Gli adempimenti di cui al comma 1 sono effettuati, non prima del termine di trentaquattro mesi e non oltre il termine di quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dalla giunta provinciale previo concerto con il commissario che il Ministro dell’interno nomina, con il compito di curare ogni adempimento connesso alla istituzione della nuova provincia fino all’insediamento degli organi elettivi. Il commissario è nominato dal Ministro dell’interno entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge….. Fino alla data delle elezioni di cui al comma 4, gli organi della provincia di Ascoli Piceno continuano ad esercitare le loro funzioni nell’ambito dell’intero territorio della circoscrizione come delimitato dalle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge”.

L’art. 8 ha poi dettato disposizioni sulla copertura finanziaria e, per quel che rileva in questa sede, ha previsto che “Per l’attuazione dell’art. 3, comma 2, è autorizzata la spesa di 250.000 Euro annui per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per gli anni 2004 e 2005 dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero”.

Nessun’altra disposizione si rinviene nella legge istitutiva della Provincia di Fermo in merito al fabbisogno di personale dell’ente territoriale di nuova istituzione, alle modalità di individuazione del personale da assegnare al nuovo soggetto giuridico, alle procedure da rispettare, al trattamento giuridico ed economico da riservare ai dipendenti transitati dall’uno all’altro ente, sicché non è condivisibile la tesi, sostenuta dalla ricorrente e fatta propria dall’ufficio della Procura Generale, secondo cui la legittimità dell’accordo sindacale andrebbe valutata solo alla luce della normativa speciale, idonea a derogare a quella, dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001.

Al contrario, nel silenzio della legge, è agli istituti disciplinati dalle “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” che occorre fare riferimento, nel rispetto del sistema delle fonti indicato dall’art. 2, commi 2 e 3, del richiamato D.Lgs., nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis.

5.1. Ciò premesso, va evidenziato che il passaggio di personale attuato in occasione della creazione di un nuovo ente pubblico, cui siano attribuite competenze in precedenza riservate ad altro ente, integra un “passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività” che il legislatore ha disciplinato con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31 (ed in precedenza con il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 34 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19), secondo cui “Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi da 1 a 4”.

Nell’interpretare la disposizione in parola, questa Corte, da tempo, ha affermato che i due termini utilizzati dal citato art. 31, cioè quelli di trasferimento o di conferimento di attività, “esprimono, attraverso la loro ampia valenza semantica, la volontà del legislatore di comprendere nello spettro applicativo della disposizione ogni vicenda traslativa riguardante una attività svolta dal soggetto pubblico, per cui non è richiesta o presupposta alcuna cessione d’azienda, bastando il più semplice trasferimento di un’attività svolta fino a quel determinato momento da un soggetto pubblico, indipendentemente dal tipo di strumento tecnico adoperato nella vicenda amministrativa di trasferimento o conferimento, il tutto nell’ottica di una tutela giuslavoristica dei dipendenti pubblici addetti all’attività trasferita” (Cass. n. 17984/2014, che si esprime in continuità con i precedenti citati in motivazione).

La norma, che può essere derogata solo da disposizioni normative di pari livello (cfr. in motivazione Cass. n. 4193/2020), e’, infatti, da un lato finalizzata ad evitare la permanenza presso il datore di lavoro pubblico dei lavoratori addetti alle attività trasferite, ed a prevenire eccedenze di personale; dall’altro a tutelare i dipendenti coinvolti nel trasferimento delle attività medesime, i quali transitano nell’organico del soggetto al quale la competenza è attribuita, a prescindere dalla ricorrenza o meno nella fattispecie di una cessione di azienda, o di un suo ramo, in senso tecnico, ossia a prescindere da un trasferimento che abbia le caratteristiche richieste dall’art. 2112 c.c. e dall’ordinamento Eurounitario. Dai richiamati principi, qui ribaditi perché condivisi dal Collegio, discende che nell’ampia nozione di “trasferimento o conferimento di attività”, va ricompresa, per gli enti la cui competenza sia individuata congiuntamente dalla materia e dall’estensione territoriale, anche l’ipotesi, che qui viene in rilievo, della rimodulazione solo di quest’ultima, ossia della riduzione del territorio nel cui ambito i poteri vengono esercitati, con contestuale attribuzione ad altro soggetto dei poteri medesimi limitatamente alla circoscrizione territoriale sottratta all’ente di provenienza.

La particolarità di detta tipologia di trasferimento, rispetto al conferimento di attività che si verifica allorquando il soggetto pubblico sia soppresso o privato del tutto della competenza, risiede nel fatto che, poiché all’esito del trasferimento entrambi gli enti eserciteranno i medesimi poteri, ciascuno nell’ambito della propria sfera di competenza territoriale, più complessa è l’individuazione del personale interessato dal passaggio, che va effettuata secondo una logica di ripartizione, non potendo in questo caso soccorrere il solo criterio dell’assegnazione allo svolgimento dell’attività trasferita. Non a caso, quindi, della L. n. 147 del 2004, art. 3, il comma 1 richiama, appunto, le “conseguenti ripartizioni da effettuare con apposite deliberazioni della giunta in proporzione al territorio ed alla popolazione trasferiti alla nuova provincia”.

5.2. Non è questa la sede per pronunciare, in via generale, sulle modalità e sui criteri che devono presiedere all’individuazione del personale da trasferire all’ente di nuova istituzione, poiché il ricorso, che non contesta l’avvenuta assegnazione alla nuova Provincia di Fermo, pone unicamente la questione della legittimità della pattuizione contrattuale con la quale il datore di lavoro, d’intesa con le rappresentanze sindacali locali, abbia previsto, nell’ambito di un processo di riorganizzazione sussumibile nella previsione del citato art. 31, di valorizzare l’opzione espressa dai singoli dipendenti e di incentivarla mediante la previsione di una maggiorazione del trattamento economico, da corrispondere all’esito dell’immissione in servizio presso il nuovo ente.

Ritiene il Collegio che le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte territoriale, quanto alla nullità di detta pattuizione contrattuale, debbano essere condivise.

Ribadito che la legge istitutiva della Provincia di Fermo non contiene alcuna disposizione speciale sulla quale possa essere fondata la pretesa legittimità, in parte qua, dell’accordo raggiunto in sede decentrata, va detto che la tutela riconosciuta al dipendente pubblico che passa ad altra amministrazione per effetto del trasferimento di attività resta limitata all’applicazione dell’art. 2112 c.c. e, quindi, alla conservazione del trattamento goduto presso il cedente, se di miglior favore, con i limiti più volte rimarcati dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, in linea con le pronunce della Corte di Giustizia, ha costantemente affermato che la disciplina citata ha il solo scopo di evitare che i lavoratori siano collocati per effetto del trasferimento in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente e non può essere invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive.

Del D.Lgs. n. 165 del 2001, il citato art. 31 nel richiamare le procedure di informazione e di consultazione di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47, commi da 1 a 4 impone al datore di lavoro pubblico unicamente il rispetto di detti oneri, e non prevede una forma di contrattazione diversa ed ulteriore rispetto a quelle disciplinate dagli artt. 40 e ss. dello stesso decreto, nelle versioni succedutesi nel tempo. La disposizione, quindi, non deroga al principio generale secondo cui l’attribuzione di trattamenti economici in favore dei dipendenti pubblici è riservata alla contrattazione collettiva nazionale e non può essere conseguenza di un atto unilaterale del datore di lavoro, né di un accordo decentrato che non si svolga nelle materie indicate dal contratto nazionale o ecceda dai limiti da quest’ultimo posti (cfr. fra le tante Cass. n. 21316/2022; Cass. n. 11645/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).

Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità, in parte qua, dell’accordo decentrato D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 40, comma 3, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009, nullità che non può essere esclusa per il solo fatto che l’accordo in questione non riguardasse i soli profili retributivi e si inserisse nell’ambito della complessa questione dell’individuazione del personale da assegnare alla provincia di nuova istituzione.

I limiti entro i quali la contrattazione decentrata è legittimata ad intervenire sono, infatti, disegnati dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dalla contrattazione nazionale alla quale lo stesso D.Lgs. rinvia, sicché ove faccia difetto, come si è detto, una specifica disposizione attributiva del potere di intervento, l’accordo intervenuto non può sfuggire alla sanzione di nullità.

6. Il secondo motivo, con il quale si censura anche il capo della sentenza impugnata che ha rigettato la domanda di risarcimento del danno, formulata in via subordinata, è inammissibile.

Va ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. fra le più recenti Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 640/2019; Cass. n. 24155/2017);

E’ stato altresì affermato che nella deduzione del vizio di violazione di legge o di disposizioni di contratto collettivo è onere del ricorrente indicare non solo le norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, svolgere specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 17570/2020; Cass. n. 16700/2020).

Nella specie il motivo, pur denunciando nella rubrica la violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c., in realtà non illustra le ragioni in iure per le quali la domanda risarcitoria doveva trovare accoglimento, bensì censura l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale nell’escludere che la Provincia di Fermo avesse violato gli obblighi di correttezza e buona fede e poi svolge considerazioni che in parte ripropongono argomenti già sviluppati nel primo motivo, come si è detto infondati.

7. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato.

La complessità e la novità della questione giuridica nonché la presenza di orientamenti difformi espressi dai giudici del merito giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 settembre 2023.

 
 

 

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